31 marzo 2013

Papa Francesco - Pasqua di Risurrezione 2013


CITTÀ DEL VATICANO - Oltre 250 mila persone hanno assistito stamane in Piazza San Pietro alla messa di Pasqua di papa Francesco, la prima del suo pontificato, al termine della quale, affacciandosi dalla loggia centrale della basilica, il Pontefice ha pronunciato il messaggio pasquale e impartito la benedizione Urbi et Orbi. 

«Pace a tutto il mondo - ha invocato Bergoglio -, ancora così diviso dall'avidità di chi cerca facili guadagni, ferito dall'egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo». «Pace a tutto il mondo - ha proseguito -, dilaniato dalla violenza legata al narcotraffico e dallo sfruttamento iniquo delle risorse naturali!». «Pace a questa nostra Terra! - ha detto ancora il Pontefice - Gesù risorto porti conforto a chi è vittima delle calamità naturali e ci renda custodi responsabili del creato». 

Le zone calde. Il Papa ha chiesto la pace per il Medio Oriente, «in particolare tra Israeliani e Palestinesi» perché «riprendano con coraggio e disponibilità i negoziati ». Quindi anche per l'Iraq, e «soprattutto per l'amata Siria», auspicando «che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi». Bergoglio non ha mancato di ricordare i conflitti in Africa, gli attentati e i rapimenti in Nigeria, e, a proposito delle minacce di guerra tra le due Coree, ha fatto appello a che «si superino le divergenze e maturi un rinnovato spirito di riconciliazione». 

Vescovo di Roma. Al termine del messaggio, il Papa ha pronunciato gli auguri di Buona Pasqua solo in italiano, e non anche nelle decine di lingue come avveniva con i suoi predecessori. Prima di salire alla loggia, al termine della messa ha fatto il giro della piazza sulla «campagnola» scoperta, salutando e benedicendo la folla che lo acclamava e fermandosi a baciare neonati e ad abbracciare ed accarezzare giovani disabili. 

In mattinata, in un nuovo messaggio su Twitter, ha invitato i numerosissimi followers ad accettare Gesù Risorto nella propria vita. «Anche se sei stato lontano - ha scritto -, fà un piccolo passo verso di Lui: ti sta aspettando a braccia aperte».


Cristo è risorto, è veramente risorto! Halleluja

Buona Pasqua e tutti voi fratelli e sorelle in Cristo Gesù




Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

il Signore ci benedica ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.

30 marzo 2013

L'ora della Madre



Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre. Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: "Ho sete". Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto. Gesù disse: "Tutto è compiuto!". E, chinato il capo, spirò.

Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora:
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloè di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei.
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino. (Giovanni 19,25-42)

29 marzo 2013

Disgustosi tradizionalisti...

SAREBBERO CAPACI DI ACCUSARE ANCHE GESÙ



"Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»." (Matteo 9,10-13)

"È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli". (Matteo 21,32)

"scribi della setta dei farisei, vedendolo (Gesù) mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?»." (Marco 2,16)

"I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?»." (Luca 5,30)

(il blog tradizionalista è volutamente irraggiungibile per non fare pubblicità ai loro deliri)

E noi che pensavamo che bastava pregare per essere ascoltati dal signore... invece.....




Inviare la richiesta di preghiera a Gesù, senza superare le 250 parole.... Gesù garantisce che leggerà ogni richiesta di preghiera.... la risposta dipenderà dalla sua volontà.... dipende dal tempo che ha a disposizione.... 
Emoticon smile Emoticon smile

Dopo una settimana aver ricevuto le preghiere e ascoltate (la risposta non è assicurata, dipende se ne ha voglia o meno) le preghiere saranno eliminate dal database....

Non disturbare in ogni caso la veggente inviandogli mail.... non ha tempo d perdere con gli scocciatori

OLTRE CHE DIFFONDERE MESSAGGI DEMONIACI, SONO ANCHE RIDICOLI....

Passione di nostro Signore Cristo Gesù

http://www.reginamundi.info/cappella-virtuale/Cappellavirtualedelcrocifisso.asp

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «E' meglio che un uomo solo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest'uomo?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era gia morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.

Giovanni 18,1-40.19,1-42.

INVITIAMO TUTTI VOI AL SILENZIO PER STARE PIU' VICINI A GESU'.

28 marzo 2013

"In Cena Domini"




Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». (Gv 13,1-15)

27 marzo 2013

Nell'immagine potete vedere lo stemma papale di Giovanni Paolo I: Papa Luciani


Notare che nello stemma papale di Giovanni Paolo I, di stelle, e relativo sfondo azzurro, ce ne erano ben tre... sicuramente un massone anche lui!  
smile emoticon  smile emoticon 
Quello che pero' non c'era ai tempi di Papa Luciani era internet e quindi ancora non si potevano leggere in rete le clamorose idiozie di un pentecostale presunto "dottore della parola"

Lo Stemma di Papa Francesco (nella sinistra il suo stemma episcopale)


LO SCUDO

Nei tratti, essenziali, il Papa Francesco ha deciso di conservare il suo stemma anteriore, scelto fin dalla sua consacrazione episcopale e caratterizzato da una lineare semplicità.

Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero.

In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.

IL MOTTO

Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).

Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell'itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell'anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull'esempio di Sant'Ignazio di Loyola.

Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l'espressione di San Beda miserando atque eligendo, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/elezione/stemma-papa-francesco_it.html

SE POI C'E' QUALCHE ESALTATO PENTECOSTALE PRESUNTO "DOTTORE DELLA PAROLA" CHE DICE CHE CI SONO SIMBOLI MASSONICI FACCIA PURE... MA APPUNTO E' UN ESALTATO.

DOVREBBE ESSERE MASSONICA ANCHE LA STELLA CHE HA GUIDATO I MAGI FINO A GESU', E ANCHE GESU' E' UN MASSONE VISTO CHE E' "LA LUCENTE STELLA DEL MATTINO" (Apocalisse 22,16)

E INFINE ANCHE DIO DEVE ESSERE UN MASSONE, PERCHE' SEMPRE PER TALE ESALTATO PENTECOSTALE NELLO SFONDO AZZURRO DELLO STEMMA PAPALE, CI VEDE UN COLORE MASSONICO.... E AVENDO DIO CREATO IL CIELO AZZURRO DEVE ESSERE PER FORZA DI COSE UN MASSONE....

MA QUI STIAMO PARLANDO DI VISIONARI ESALTATI PENTECOSTALI

Da Benedetto XVI a Papa Francesco



Diversi e Complementari 

di Lucetta Scaraffia

In un primo tempo, l'idea dell'esistenza di due Pontefici ha spaventato qualcuno: c'è chi ha parlato di desacralizzazione e addirittura di declino della figura papale, chi ha riesumato da un lontano passato le vicende complicate e conflittuali di Papi e antipapi. Ma tutti questi timori si stanno sciogliendo davanti alla semplice realtà, ben rappresentata da quella fotografia in cui abbiamo visto il Pontefice e il suo predecessore l'uno accanto all'altro mentre pregano. Così diversi come aspetto, come biografia, come personalità, ma così vicini nell'intensità della preghiera e nell'amore per la Chiesa.
È apparso chiaro, allora, che proprio la diversità delle figure dei Papi che si sono susseguiti nella storia ha costituito e costituisce la ricchezza della Chiesa, così come la diversità dei carismi degli ordini religiosi, dei movimenti, e naturalmente dei santi. La forza della Chiesa è infatti quella di essere composta da individui anche molto differenti, che si completano e si rafforzano a vicenda, se non si combattono ma sanno far scattare la sinergia giusta.
Si tratta di una complementarietà fra Benedetto XVI e Francesco - lo studioso e il pastore, se vogliamo sintetizzare - che si può rilevare chiaramente anche dai loro libri. In questi, se pure in modo e con stile molto diverso, entrambi si accingono a quello che è il compito di ogni intellettuale e pastore cristiano: far rivivere gli insegnamenti di Cristo nel presente.
Sono state ora tradotte in italiano due meditazioni di Jorge Mario Bergoglio, l'una dedicata all'accusa di sé, cioè alla capacità di esercitare un esame di coscienza severo, l'altra sulla corruzione. Sono molto chiaramente scritti di un gesuita, di un sacerdote particolarmente ben preparato alla cura delle anime, di cui conosce i difetti e le abitudini dannose, ma anche le possibilità di ascesa spirituale.
Entrambi i testi, in fondo, hanno il fine di rendere i lettori consapevoli della gravità e della pericolosità delle loro mancanze, di farli pentire: solo così, infatti, può nascere la richiesta di perdono a Dio, e quindi la redenzione. È meglio un peccatore che si riconosce come tale - egli scrive - di un essere umano dall'anima così corrotta da non saper più riconoscere il peccato, ma solo giustificarlo. Sono le parole del medico vero, non inutilmente pietoso, che vuole guarire il malato con la consapevolezza e con la medicina della misericordia.
Leggendo questa analisi chiara e forte vengono in mente molti discorsi e scritti di Benedetto XVI, che ha dedicato gran parte della sua riflessione a smascherare le manipolazioni culturali che nelle società contemporanee trasformano il peccato in qualcosa di positivo, se non addirittura desiderabile. Una rielaborazione che rende il peccato stesso "socialmente accettabile" - scrive l'arcivescovo di Buenos Aires - e lo trasforma così in corruzione.
Nei testi ora ripubblicati Jorge Mario Bergoglio invita ad avere coraggio e a "rinunciare a tutti i maquillage di noi stessi perché si manifesti la verità", cioè a fare tesoro di quella dottrina spirituale "dell'accusa di se stessi" che si esercita attraverso un severo esame di coscienza. È solo grazie alla fede nell'esistenza della verità, come tante volte ha ripetuto Benedetto XVI, che ciascun essere umano può guardare onestamente a se stesso, senza lasciarsi confondere da ideologie o da elaborazioni culturali - per esempio, certe forme di psicologia o psicanalisi - che vogliono deresponsabilizzare, come se la cancellazione del senso di colpa costituisse la via maestra per la felicità.
La complementarietà dei due messaggi colpisce, e ancora una volta porta credenti e non credenti a volgere lo sguardo verso la Chiesa con rinnovata speranza. Una speranza che non sta tanto nelle persone ma nella saggezza che esse sanno trasmettere: la speranza portata da Gesù che, come ha detto Papa Francesco, non bisogna lasciarsi rubare.

(©L'Osservatore Romano 27 marzo 2013)

26 marzo 2013

Sull'Eucaristia


L’istituzione dell’Eucaristia è uno degli eventi centrali della fede cristiana. Raccontata in tutti e tre i Vangeli sinottici nell’episodio dell’Ultima Cena e spiegata in vari passi del Nuovo Testamento, divenne presto il centro della vita della Chiesa. Un segno distintivo di cui anche i pagani, seppur talvolta distorcendolo, erano a conoscenza. Per questo motivo troviamo molti scritti dei Padri della Chiesa a riguardo, scritti che significativamente non presentano quasi mai un contenuto polemico; segno che nei primi secoli del Cristianesimo si discuteva su tutto (ma proprio tutto) ma non sulla natura dell’Eucarestia. Solo quindici secoli dopo, con l’avvento della Riforma protestante, questo sacramento centrale fu messo in discussione e progressivamente svuotato del suo significato.

Partiamo, dunque, da uno dei passi che raccontano l’istituzione di questo sacramento:

Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”.
Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

(Matteo 26, 26 – 28)

Da notare che se volessimo applicare il metodo letterale in voga presso molti evangelici, la discussione si potrebbe concludere qui. Non si può infatti negare che il senso letterale sia piuttosto lapidario e non dia adito a dubbi. Viene usato il verbo essere: “è il mio corpo”. Non viene detto “in questo pane è presente il mio corpo” (è il senso spirituale su cui si basa la dottrina della consustanziazione elaborata da Lutero) o peggio “questo rappresenta il mio corpo”. Si potrebbe essere tentanti di dire che è scritto così e non si discute. Ma siccome questo non è il nostro metodo, una volta chiarito il senso letterale del passo (che pure è importante, beninteso) andiamo avanti con la riflessione.

La prima cosa da notare è la quasi assoluta coincidenza dei passi. Confrontando infatti il passo sopra citato con le versione date da Marco (14, 22 – 24), Luca (22, 19 – 20) e Paolo (1 Cor. 11, 24 – 26) si evince che le parole riportate sono esattamente le stesse, con sfumature di scarso rilievo. Viene riportato infatti sempre il verbo essere. Degna di nota anche la versione di san Paolo in cui, cosa piuttosto rara (se non erro), vengono riportate le parole di Gesù in modo diretto. Segno che quelle parole erano particolarmente importanti ed era quindi necessario conoscerle nel modo più fedele possibile. Ad ogni modo, questa coincidenza fra ben quattro versioni depone senza dubbio a sfavore di interpretazioni che cercano di sminuire quel verbo essere sostituendolo con interpretazioni simboliche. Mentre, infatti, si può dubitare delle parole che Gesù ha usato esattamente (e con quale ordine) in discorsi riportati diversamente dagli evangelisti (senza andare a discapito del significato), lo stesso non si può dire qui. Infatti è ragionevole affermare, viste le fonti, che Gesù ha detto veramente “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”.

IL MEMORIALE
A questo punto la domanda è: esiste davvero qualcosa che induca a interpretare in senso simbolico quel verbo essere? E, se sì, perchè usarlo allora esponendosi ad un così plateale fraintendimento? I tentativi di dare risposta affermativa a questa domanda sono svariati. Qui cercheremo di vedere i più importanti e diffusi. C’è chi insiste sul valore di memoriale indicato dallo stesso Gesù in alcune versioni dell’Ultima Cena (compresa quella di Paolo). Questa obiezione può sembrare importante a chi non conosce il linguaggio biblico. Per noi oggi il concetto di memoria è piuttosto usurato, essendosene spesso fatto abuso con la conseguenza di farlo scadere in vuota retorica. Per questo noi tendiamo a concepire la memoria come il ricordo di qualcosa di lontano, che non ci coinvolge più direttamente. Ma non è questo il significato biblico. Basti pensare al valore memoriale della Pasqua ebraica, a cui Gesù collega consapevolmente la sua Pasqua. Per gli Ebrei di oggi come per quelli di ieri, celebrare la Pasqua non è ricordare un evento passato: è riviverlo. E riviverlo non nel senso sentimentale dell’ immedesimazione, come ancora potremmo equivocare, ma nel senso letterale di prendere parte a quell’evento che si ripresenta. Quindi il valore di memoriale che Gesù attribuisce all’Eucarestia non induce a favore di una interpretazione simbolica. Anzi, il memoriale è una potente manifestazione divina e non un “ricordino” simbolico, lo attesta anche questo articolo di un docente di giudaismo post-biblico.

UN MODO DI DIRE?

Altri fanno notare che in altri passi Gesù usa parole simili:

In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore (Giov. 10, 7).
Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Giov. 14, 6).

La differenza però è sostanziale e non è difficile da cogliere. Prima di tutto il contesto è completamente diverso, queste sono parole pronunciate in normali discorsi. Niente a che vedere con la solennità dei passi che abbiamo visto sopra e, soprattutto, Gesù non identifica nessuna porta o via con se stesso. Il fatto che qui Cristo usi espressioni simboliche è dimostrato anche dall’importanza loro attribuita. Infatti, in nessun passo la salvezza viene subordinata al riconoscimento di Gesù come una porta o una via. Non così, invece, per il pane e il vino. In maniera particolare, in un passo molto illuminante di Giovanni:

In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita.
I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”.
Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: “Questo vi scandalizza?
E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?
È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.
Ma vi sono alcuni tra voi che non credono. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito.
E continuò: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”.
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”
(Giov. 6, 47-67)

Si tratta di un passo lungo ma che vale la pena di essere letto per intero. La prima reazione dei Giudei indica che il tono tenuto da Gesù non dà spazio a simbolismi di sorta. Sembra proprio che Gesù parli di carne e sangue in senso materiale e la risposta che ricevono lo conferma. Infatti in poche righe la coppia di termini carne-sangue ricorre per ben quattro volte ed è sempre accompagnata dai verbi “mangiare” e “bere”. Non è proprio la risposta di chi vuol chiarire di stare parlando per simboli o di essenze spirituali. Ma l’evangelista, non contento, ci offre anche la reazione della cerchia dei discepoli. Reazione anche questa negativa che, se fosse dovuta ad un malinteso, Gesù sarebbe tenuto a chiarire. Infatti le Scritture dicono che Cristo spiegava tutto ai suoi in maniera diretta (vd. Matteo 13, 10-13). Se ai Giudei avesse parlato in maniera simbolica, come con l’uso di parabole, in questo secondo momento “privato” dovremmo trovare il chiarimento: il significato spiegato in maniera diretta. Invece sembra che non via sia nulla da aggiungere, per questo molti discepoli mormorano e si tirano indietro. Perchè Gesù non gli dice che quello è solo un modo di dire, un’espressione simbolica che non ha nulla a che vedere con la materialità del suo corpo e del suo sangue. Cristo li lascia andare perchè non si fidano di lui, non sanno intendere il significato spirituale (e non quello simbolico) delle sue parole. Poi, secondo i protestanti, dopo tutto questo Gesù non avrebbe avuto la scaltrezza di evitare l'istituzione dell'Eucaristia con del pane (v. 48-51, 58), identificato col suo corpo. Visto che i suoi discepoli si scandalizzavano di simboli...invece è chiaro che Cristo quello scandaloso discorso ha voluto ribadirlo nell'Ultima Cena. Il passo di Giovanni (6, 47-67) è iscindibilmente legato a quelli dell'istituzione dell'Eucaristia, infatti entrambi parlano di un pane che è il Corpo di Cristo. Ed è questa l'interpretazione che Cristo stesso dà delle sue parole, specificando che "il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (v. 51). Quindi non si capisce perchè gli evangelici si ostinino a credere che Gesù stia parlando della sua Parola. 

Si citava, all’inizio, l’istituzione dell’Eucaristia secondo san Paolo. Ancora più importanti i passi immediatamente successivi, in cui l’apostolo fornisce anche una spiegazione del sacramento:

Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice;
perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.
(1 Cor. 11, 26 – 29)

Molti evangelici intendono questo passo come un semplice invito a fare della “santa cena” un’occasione per un esame di coscienza. Chiaramente, però, il significato è ben più profondo. Prima di tutto, san Paolo ammonisce dal considerare l’Eucaristia come un semplice rito. Inoltre, ribadisce la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino. Non si parla di un simbolismo, nè di una presenza vagamente spirituale o mistica. Altrimenti avrebbe detto che Cristo è semplicemente presente nelle specie eucaristiche, invece parla proprio del corpo e del sangue. Così come, nel capitolo precedente, definisce il sacramento come comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo (1 Cor 10, 16). I quali, per i credenti, non sono delle sembianze che Dio ha preso come suppellettili ma una realtà materiale in tutto simile a quella degli altri uomini. Il Cristo risorto, nei Vangeli, non è un fantasma ma un uomo fisicamente presente, con una materialità trasfigurata ma ancora umana. Parlare quindi di corpo e sangue di Cristo vuol dire, per forza di cose, fare riferimento a una realtà materiale. Quindi quello che avviene al pane e al vino consacrati è un miracolo che, come gli altri, ha delle conseguenze fisiche. Una realtà materiale, infatti, non può manifestarsi solo in modo spirituale. Come questo possa avvenire è senza dubbio un mistero che la ragione può solo scalfire ma che, a ben vedere, non è più incredibile dell’Incarnazione stessa.

Per questo la consustanziazione è una teoria che non regge. Inoltre, nel contesto delle Scritture, non ha molto senso. Infatti, Cristo è sempre spiritualmente presente e in particolare dove sono riuniti due o tre cristiani (Matteo 18, 20). Sarebbe stato davvero esagerato istituire un sacramento, col trambusto che abbiamo visto, per una cosa del genere. Dandogli poi una tale importanza da indicarlo addirittura come strumento di salvezza privilegiato e legandolo, in un modo così solenne, all’istituzione della Nuova Alleanza. Particolarmente paradossale è questa concezione per gli evangelici. Proprio loro che aborriscono riti e mediazioni di sorta, si vedono costretti a considerare la “santa cena” come un rito che permette loro di entrare in comunione con Dio! Un rito a cui bisogna accedere degnamente, altrimenti si va incontro a nientedimeno che la condanna divina. Sembra proprio una di quelle fosche descrizioni degli oscuri “riti religiosi” che si incontrano spesso in rete negli ambienti protestanti. Possibile che Dio si sia fatto uomo per poi limitarsi ad istituire un rito? Possibile, ancora, che la salvezza sia subordinata al riconoscimento di un determinato simbolismo? Sono contraddizioni evidenti, per cui non stupisce l’imbarazzo con cui spesso il tema viene trattato (o abilmente glissato). In molte chiese evangeliche, si ricorre addirittura allo stratagemma di fare quante meno “sante cene” è possibile e di privarle di una ricorrenza periodica. Per non farne un “rito”, appunto. Solo che la ricorrenza periodica è una caratteristica facoltativa di un rito, per cui la “santa cena” – anche se celebrata una volta all’anno – un rito resta.

LA DIDACHÈ E LA DOMENICA

Preoccupazioni, queste, che certo non avevano i primi Cristiani. Esatto, proprio quella talvolta mitizzata prima comunità cristiana celebrava ogni Domenica l’Eucaristia e lo faceva alla lettera. Ce ne informa la Didachè, antichissimo testo cristiano (probabilmente risalente al primo secolo) tenuto molto in considerazione – talvolta in modo paradossale – dagli stessi protestanti. I capitoli dedicati all’Eucarestia sono ben tre, già questo la dice lunga per uno scritto così breve, e hanno contenuti talvolta sconvolgenti. Leggiamo:

Capitolo quattordicesimo
La santificazione della Domenica.Nel giorno del Signore poi radunatevi, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro Ognuno che ha una lite col suo compagno, non si raduni con voi finché non si siano riconciliati, affinché non sia profanato il vostro sacrificio.Questo è infatti il sacrificio voluto dal Signore:in ogni luogo e in ogni tempo sia offerto a me un sacrificio mondo, poiché io sono un re grande, dice il Signore, ed il mio nome è di ammirazione tra i popoli.

Quindi, i primi cristiani santificavano la Domenica (e – ricordo – santificare le feste è uno dei comandamenti) col sacrificio eucaristico. Se già l’idea che la cosiddetta “santa cena” possa santificare qualcosa è in grado di far storcere il naso a qualcuno, con la definizione di sacrificio andiamo proprio nello scandaloso. Infatti, insieme alla transustaziazione, Lutero depennò anche il valore di sacrificio della Messa cattolica, ritenendolo incompatibile col perfetto e irripetibile sacrificio di Cristo. Velleità teologiche che i primi cristiani non avevano ed, essendo appunto i primi cristiani, non si può ricorrere nemmeno alla tiritera degli oscuri dogmi semi-pagani inventati dai Concili nel corso dei secoli. La Didachè ci consegna semplicemente il Cristianesimo delle origini così com’era, senza le fantasiose sovrastrutture che – queste sì – nel corso di secoli le sono state costruite sopra e che hanno finito con l’imporsi nell’immaginario collettivo. E' importante notare che il testo, riguardo il sacrificio, cita un passo della Scrittura: "Perchè dall'oriente all'occidente grande è il mio nome tra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perchè grande è il mio nome tra le genti, dice il Signore degli eserciti" (Mal 1, 11). Proprio il passo che la Chiesa ritiene essere prefigurazione del banchetto eucaristico che, come quelli antichi, è un vero sacrificio solo che non si tratta più di animali ma del perfetto sacrificio di Cristo che è vittima e sacerdote. Si può dire che sia il compimento degli antichi sacrifici dei quali, però, resta l'impianto fondamentale. Infatti, come Aronne e i suoi figli mangiavano alcune parti dell'oblazione (Lv. 6, 9, 19; Es 29, 32-33) i cristiani - investiti di un sacerdozio universale (1 Pietro 2, 9) - mangiano dell'Angello di Dio (Ap. 5, 12). Inoltre, a me sembra che sia citato anche un passo del Vangelo di Matteo (5, 23) riguardo le contese tra fratelli. E si tratta di un passo dove Gesù sta parlando, anche qui, di un sacrificio propriamente detto. Ma le sorprese non finiscono qui, ci sono ancora da leggere i capitoli nono e decimo:

Capitolo nono
La celebrazione dell’Eucaristia.
Per quanto riguarda l’Eucaristia rendete grazie così:
Dapprima per il calice:
Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo figlio; a te gloria nei secoli.
Poi, allo spezzare del pane:
Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e per la scienza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo figlio; gloria a Te nei secoli.
Come questo pane fu dapprima grano sparso sui monti e poscia raccolto divenne uno, così si raduna la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno:
poiché tua è la gloria ed il potere per Gesù Cristo nei secoli.
Nessuno poi mangi o beva della vostra Eucaristia, se non quelli che abbiano ricevuto il battesimo nel nome del Signore.
Poiché a questo riguardo il Signore disse: non date ciò che è santo ai cani.

Capitolo decimo
Ringraziamento dopo la Comunione.
Dopo esservi saziati, dite grazie così:
Ti ringraziamo, Padre Santo, per il tuo sacro nome, che hai scolpito nei nostri cuori e per la scienza e la fede e l’immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo figlio; a te gloria nei secoli.
Ricordati, o Signore della tua Chiesa; liberala da ogni male e rendila perfetta nel tuo amore; raccoglila dai quattro venti, quella che tu hai santificato, nel tuo regno che le hai preparato; poiché tuo è il potere e la gloria nei secoli.
Venga la grazia e passi questo mondo; osanna al Dio di David; se qualcuno è santo si accosti; se qualcuno non lo è, faccia penitenza;
Maran atha; Così sia.
Ai profeti poi che rendano grazie come vogliono.

Che dire? Provate ad applicare gli schemi ideologici che tanto vanno di moda. Avrete senza dubbio dei cristiani che, ingannati da secoli di oscurantismo, non solo si danno a dei “riti” ma addirittura credono che siano veicolo della Grazia. Da qui l’importanza di seguire un pur semplice schema e il divieto agli estranei di partecipare. Inutile dire che, neanche qui, si parla di simboli e affini. Poi – come se non bastasse – l’autore della Didachè viene addirittura a dirci come si deve rendere grazie, con quali esatte parole (eccezion fatta per i profeti). Si tratta di una Chiesa conscia della sua universalità e unità, elemento fondamentale che ha bisogno di segni tangibili come l’Eucarestia e non certo di buoni sentimenti. Viene quasi voglia di dire che, allora, la prima comunità cristiana era quanto di peggio si possa trovare oggi in una chiesa: pretese di universalità, Grazia veicolata da “riti” a ricorrenza periodica, preghiere con parole “a memoria”. Non proprio quella comunità di “puri” (in senso protestante). E non crediate che la Didachè possa essere confinata ad un’esperienza particolare che potrebbe non valere come testimonianza generale. Essa, infatti, fu un testo notissimo e grandemente apprezzato ed usato anche dai Padri della Chiesa. Tanto che alcuni inserivano la Didachè nel novero degli scritti neotestamentari.

L’EUCARISTIA NELLA TRADIZIONE

Come già accennato, ci sono molti scritti dei Padri della Chiesa che trattano dell’argomento. dopo la Didachè, una delle testimonianze più antiche è senza dubbio quella di san Giustino martire (II secolo). Il quale, nella Prima apologia a favore dei cristiani, ci conferma la santificazione della Domenica con l’Eucarestia in cui

quel cibo che, trasformato, alimenta i nostri corpi e il nostro sangue, è la carne e il sangue di Gesù fatto uomo.

Particolarmente interessanti, poi, queste pagine che san Gaudenzio di Brescia (IV-V secolo) ha dedicato all’Eucarestia. Una volta chiarito che i segni del pane e del vino diventano effettivamente il Corpo e il Sangue di Cristo, spiega che non è certo una cosa impossibile per chi “produce il pane dalla terra” per cui “dal pane produce sacramentalmente il suo corpo, poiché lo ha promesso e lo può fare”.
Sant’Ilario di Poitiers, invece, nel De Trinitate insiste sull’aspetto della comunione fra Cristo e il fedele, di cui l’Eucarestia è il mezzo imprescindibile e garanzia anche della comunione dei santi. Per questo scrive che

Noi siamo in lui per la sua nascita nel corpo. Egli poi è ancora in noi per l’azione misteriosa dei sacramenti è [...]Nessuno sarà in lui, se non colui nel quale egli stesso verrà, poiché il Signore assume in sé solo la carne di colui che riceverà la sua.
Riferimenti come questi, che non lasciano dubbi sulla concezione dell’Eucaristia da parte dei cristiani dei primi secoli, sono innumerevoli. Per ultimo riporto questo passo molto bello di sant’Ambrogio (insieme agli altri citati, non certo l’ultimo arrivato…):

Tu forse dirai: “Questo è il mio solito pane”; ma io ti rispondo, che è certamente pane prima della consacrazione, però dopo diviene carne di Cristo” (De Sacram., 4, 4).

La Domenica, con l’Eucaristia come fondamento, era quindi il centro della vita cristiana. Per questo i cristiani di Abitene subirono il martirio, nel IV secolo, dicendo che “sine Dominico non possumus”. Ovvero “senza la Domenicanon possiamo vivere”, oggi qualcuno direbbe che quegli illusi riponevano le loro speranze in un “rito” invece che in Dio. A riprova che il Cristianesimo delle origini era quanto di più lontano da certe realtà del Cristianesimo “alternativo” che dicono – evidentemente senza alcuna cognizione di causa – di rifarsi alla Chiesa originaria.

Magdì Allam abbandona la Chiesa Cattolica


NOTIZIA DI QUESTI GIORNI E' CHE MAGDÌ ALLAM HA ABBANDONATO LA CHIESA CATTOLICA IN QUANTO "DEBOLE CON L'ISLAM"

COME LUI SCRIVE NEL SUO SITO, DICE CHE LA SUA CONVERSIONE E' AVVENUTA IL 22 MARZO 2008 QUANDO SI E' BATTEZZATO.

Poi in inizia la serie delle accuse contro la Chiesa cattolica che sembrano tanto provenire dal galassia settario protestante o da un certo estremismo tradizionalcattolico.

Il sig.Magdi è rimasto turbato "di fronte alla realtà di due Papi, che per la prima volta nella Storia s'incontrano e si abbracciano…"

MA PERCHE' SECONDO LUI SI DOVEVANO VICENDEVOLMENTE ODIARE?

E' rimasto turbato dalla "papalatria" che avrebbe a suo dire infiammato i cattolici.
Non mi sembra che i cattolici si sono prostrati davanti a Papa Francesco che se ne stava seduto li sul suo trono per essere adorato.
Papa Francesco va in mezzo alla gente comune e che lo ricambia dimostrandogli il proprio affetto. Voler bene a qualcuno è dimostrargli il proprio affetto, per il sig.Magdì è papolatria?.
Lo sa il sig.Magdì che i cristiani si riconoscono dall'amore che hanno gli uni versoi gli altri? (Giovanni 13,35) e che Papa Francesco pur essendo il successore di Pietro è anche lui al pari di tutti noi cristiani un discepolo di Cristo e come tale lo amiamo e da lui siamo ricambiati, come anche del resto è accaduto anche con i papi precedenti a Francesco, che non mi pare che siano stati snobbati dai cattolici.
Il sig.Magdì è giornalista e questo lo dovrebbe sapere.

LO SA SIG.MAGDÌ CHE ANCHE I PRIMI CRISTIANI ERANO "PAPALATRI"?

"andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore 15 fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti." (Atti 5,14-16)

Non poteva mancare da parte del sig.Magdì citare il bacio del corano da parte di Giovanni Paolo II, nonché il fatto che Benedetto XVI abbia pregato posando la mano sul corano. la cosa la sconvolge?

Lo sa sig.Magdì che S.Paolo, si è fatto servo i tutti per portare anime a Cristo Gesù?:

"pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1 Corinzi 9,19-23)

Ecco ciò che hanno fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Cosa crede sig.Magdì, che le persone le si converte prendendoli a pesci in faccia?.

E poi il sig.Magdì non se ne era accorto prima della sua "conversione", che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano "inciuciato" con il corano… i fatti sono avvenuti prima che lei si "convertisse"…. non lo sapeva???… eppure è un giornalista.

Il sig.Magdì è anche contrario al fatto che la chiesa si erga a protettrice degli immigrati, al concepire il fatto che l'"l'insieme dell'umanità deve concepirsi come fratelli e sorelle".

Si dimentica che la Chiesa è Cattolica (universale) e in quanto tale accoglie tutti.

Ora non ci rimane che da vedere in quale modo continuerà ad essere cristiano il sig.Magdi, se come "rinato" in qualche setta protestante oppure aggregato agli ultras tradizionalisti. I presupposti ci sono per essere già caduto nelle loro reti già ci sono. Che Dio l'assista sig.Magdì

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/magdi_allam_cristianesimo_chiesa_islam/notizie/260758.shtml

25 marzo 2013

Ma chi lo ha detto che la Bibbia, con quei libri e non altri, e' parola di Dio?

Dove sta' scritto nella Bibbia l'elenco dei libri da ritenere ispirati?... non si trova...

Quando i settari credono che siano piovute bibbie dal cielo:


La tradizione invisibile

Avendo acquisito ormai una discreta esperienza di protestantesimo contemporaneo, mi sono reso
conto di un particolare che inizialmente mi era sfuggito. Infatti, quando studio il sito di una chiesa evangelica di solito mi soffermo sui “particolari”. Se cioè credano o meno nella Trinità, della concezione che hanno del battesimo, della struttura interna ecc…Pur trovando un po’ tutto e il contrario di tutto, non ho fatto subito caso a un dato fondamentale unificante: il canone neotestamentario. Solo la Bibbia? Già, ma quale? Almeno io, infatti, non ho ancora trovato una chiesa protestante che non legga i quattro vangeli canonici con annesse lettere apostoliche e Apocalisse. Una cosa che per me, cattolico, è del tutto scontata. Ma come può esserlo anche per un evangelico? Perché leggere i quattro Vangeli invece delle decine e decine di altri vangeli che hanno proliferato per secoli? Ecco una domanda (e che domanda!) la cui risposta non può essere demandata alla Bibbia. Infatti la Bibbia non dice cosa va letto e cosa no. Per intenderci, il Vangelo di Matteo non dice che è buono anche quello di Giovanni; così come Luca non garantisce per Marco e via dicendo. Ogni Vangelo, in sostanza, deve garantire per se stesso. Già, ma chi (e soprattutto come) stabilisce che il Vangelo di Giovanni è veritiero e quello di Giacomo no? E il Vangelo di Pietro? E quello di Giuda? Si potrebbe rispondere che questi ultimi vangeli vadano rifiutati perché nati spesso in ambienti gnostici, cioè in contrapposizione col Cristianesimo degli apostoli. Ma chi ci dice che il vero Gesù non sia quello degli gnostici? La Bibbia? Sì, ma chi decide cosa è Bibbia e cosa no?

Il ruolo della Chiesa

Anzi, il canone comunemente adottato andrebbe come minimo guardata con sospetto. Si tratta infatti del canone cattolico, di quello che la Chiesa cattolica ha ufficializzato e tramandato per secoli. A partire dal II/III sec d.C. in cui il canone fu ufficializzato, da una Chiesa già “corrotta” in cui un evangelico non si può assolutamente riconoscere. Quale protestante, infatti, potrebbe mai accettare le decisioni dei Concili di Nicea (325) e di Efeso (431)?

Senza contare che andrebbe dimostrata la liceità di una Chiesa talmente “centralista” da poter stabilire per tutti i cristiani quali testi siano ispirati e quali no. Oggi, nel mondo protestante, quale istituzione potrebbe fare un’operazione simile? Solo una proposta del genere non susciterebbe scandalo con l’accusa di “papismo”? Qualcuno potrebbe però obiettare, a ragione, che il canone non è stato integralmente creato dalla Chiesa. Quest’ultima infatti ha solo ufficializzato una scelta che si era già venuta consolidando da tempo nelle varie comunità (anche se c'erano differenze sull'accettazione di alcuni libri e lettere su cui la Chiesa si è dovuta esprimere). Ma questo vorrebbe dire che degli uomini, per quanto cristiani, hanno preso una decisione che non aveva a fondamento la Bibbia (che ancora non esisteva nel senso di canone definito). Proprio quello che oggi si contesta alla Chiesa cattolica, sarebbe quindi alla base stessa del Cristianesimo!

Uno Spirito pre-biblico?

Infine si potrebbe, ancora una volta a ragione, chiamare in causa lo Spirito Santo. Egli avrebbe cioè ispirato ai primi cristiani quali vangeli ritenere degni di fiducia. Ma si dovrebbe supporre con questo la possibilità che lo Spirito Santo faccia rivelazioni extrabibliche e – cosa ancora più importante – post-apostoliche. Che riveli quello che la Bibbia non dice su se stessa (l’unica soluzione sarebbe stata un testo dello stesso Gesù che desse indicazioni in questo senso, magari indicando un biografo ufficiale…). E ancora una volta si cade in contraddizione con la polemica anticattolica. La grande colpa della Chiesa cattolica sarebbe infatti quella di avvalorare la Tradizione a discapito della Bibbia, proclamando in base alla prima verità di fede che non sono pienamente sviluppate nella seconda. Esattamente quello che sarebbe successo per la formazione del canone. Un impasse dal quale è difficile (se non impossibile) uscire, per cui si rimuove il problema accettando il canone come qualcosa di scontato. Come fanno i cattolici…anche se alcuni evangelici si creano l'illusione di averlo davvero stabilito loro il canone. Nel senso che il credente, essendo ispirato, è in grado di discernere un libro canonico da un apocrifo. Tuttavia, chiunque legga le testimonianze degli evangelici si rende conto che non c'è mai il momento "indovina quale libro è ispirato". Il nuovo adepto riceve una Bibbia bella e pronta, senza alcuna discussione sul problema canone.

Come ultimo e disperato tentativo, si potrebbe dire che lo Spirito Santo ha fatto uno strappo alla regola per forza di cose. Perché la Bibbia non c’era ancora, ma che adesso noi ce la abbiamo per cui lo Spirito – svolto il suo compito – sarebbe andato in una sorta di pensionamento anticipato. Un ragionamento accattivante, ma sbagliato. Infatti la Rivelazione finisce con la morte dell’ultimo apostolo e qui siamo ben oltre quel limite. Il canone è nato dopo, quando i vangeli erano già stati scritti e quindi lo Spirito doveva essere già pensionato da tempo.

Conclusioni: Chiesa, Bibbia e Tradizione

In conclusione, si può ben dire che il Cristianesimo deve il suo testo fondamentale – la Bibbia – all’intervento della Tradizione cristiana post-apostolica. La quale, tramite l’autorità della Chiesa, ha stabilito un canone ben preciso che è rimasto invariato per millenni. Per cui rispondendo alla domanda iniziale, i protestanti oggi leggono i quattro vangeli canonici (senza farsi tanti problemi) essenzialmente per tradizione. Mi rendo conto quanto orrore possa suscitare un’affermazione del genere, che i protestanti fanno qualcosa (e qualcosa di fondamentale) unicamente per tradizione. Ma questa è la realtà (triste o divertente, fate voi) dei fatti.

Cosa accadrebbe se, come spesso ci viene chiesto di fare, davvero abbandonassimo la Tradizione fino in fondo? La prima conseguenza sarebbe la necessità di abbandonare il canone o dare un nuovo fondamento ai Vangeli. In entrambi i casi l’esito sarebbe paradossale. Se dovessimo scegliere gli stessi Vangeli, dovremmo ammettere che la Tradizione aveva ragione. Se, invece, abbandonassimo i canonici in favore di qualche apocrifo (magari di quelli più eterodossi e alla moda) dovremmo cambiare i connotati del Cristianesimo trasformandolo in un’altra cosa.

Quindi abbiamo raggiunto due risultati considerevoli. Il primo è che lo Spirito Santo non va mai in pensione, nemmeno dopo la Rivelazione. Infatti la Bibbia trova il suo fondamento nella Tradizione apostolica prima, e in quella patristica dopo per quella che oggi potremmo definire la redazione finale. Cioè, senza l’intervento di questa Tradizione successiva oggi la scelta dei quattro vangeli canonici non sarebbe così scontata. Presumibilmente ogni chiesa evangelica avrebbe il suo di canone, complicando ancora di più una situazione già estremamente frammentata. Anzi, ogni evangelico dovrebbe avere il suo canone personale, vista l’avversione verso qualunque "autorità" valida per tutti i cristiani. E invece la Tradizione, tanto bistrattata, ha un ruolo fondamentale tanto da precedere la Bibbia stessa. Per cui anche la Chiesa è un’autorità pre-biblica, nata dall’Annuncio cristiano di cui la Bibbia è solo la messa per iscritto. Quindi la Bibbia stessa è un pò un prodotto anche della Chiesa, di una Chiesa non intesa solo in senso spirituale. Ma una Chiesa fatta di persone, di apostoli, profeti, maestri; di carismi e gerarchie, insomma, che prendono decisioni valide per tutti. Da qui tutto ha avuto inizio, da questa realtà umana toccata dal divino. La Bibbia non è discesa dal Cielo come il Corano, il canone è un atto del Magistero della Chiesa. Accettare questa decisione come "ispirata", vuol dire di fatto accettare anche il Magistero. La babilonia protestante dell'infinito proliferare di dottrine e contro-dottrine, ha avuto inizio quando si è voluto separare la Bibbia dal contesto in cui è nata: il Magistero e la Tradizione. Per questo, molto opportunamente, il Catechismo insegna che Sacra Scrittura, Magistero e Tradizione sono tre elementi inscindibili di un'unica cosa: il patrimonio della fede cristiana.

Secondo risultato, meno importante ma pur sempre significativo. I protestanti disprezzano – o quantomeno sottovalutano – la Tradizione, però usano il canone che essa (tramite la pur disprezzata Chiesa cattolica) ha tramandato. Come se non bastasse la contraddizione di predicare contro una cosa che è alla base di un tesoro per loro così prezioso quale è la Bibbia, vi aggiungono la negazione di questo debito. In sostanza prima disprezzano la Tradizione, poi la usano e infine negano di averlo fatto. E, ciliegina sulla torta, accusano – sovente con rabbia – i cattolici colpevoli solo di usarla invece consapevolmente. Quasi che la Tradizione, che è la realizzazione delle promesse evangeliche (vedi Giovanni 16, 12-13), fosse qualcosa di sporco. Una di quelle cose che si fa ma non si dice. Solo che essa, come abbiamo visto, è indispensabile. E infatti anche i protestanti hanno una tradizione, solo che non si vede. Una tradizione invisibile, appunto.

http://ettorebarra.blogspot.it/2012/02/gli-evangelici-e-la-tradizione-parte-ii.html

Lo sapete che i pentecostali non festeggiano la Pasqua?....

"La celebrazione della Pasqua quindi a poco a che fare con il ricordo della morte e resurrezione di Gesù. Spesso la cristianità in generale unisce usi pagani con insegnamenti cristiani."

http://www.tuttolevangelo.com/....../la_celebrazione_della_pasqua.php (volutamente non raggiungibile)

MAGARI SECONDO LORO GESÙ QUANDO "MANGIÒ" LA PASQUA CON I DISCEPOLI STAVA FESTEGGIANDO UNA FESTA PAGANA.... (Marco 14,14 Luca 22,8) .....

Sempre secondo loro, Gesù ha desiderato "ardentemente" mangiare la Pasqua con i suoi discepoli per onorare un'usanza pagana (Luca 22,15)....

e per certi pentecostali "cristiani", "Cristo nostra Pasqua" (1Corinzi 5,7), non è stato immolato!...

e ancora per certi pentecostali, anche Dio è tornato sui suoi passi, abolendo la Pasqua che aveva istituito come rito perenne:

"Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne." (Esodo 12,14)

MA CREDERANNO CHE GESÙ È VERAMENTE RISORTO?

...o crederanno , come i testimoni di geova ai quali spesso rassomigliano, che Gesù non è risorto con il suo corpo (che è scomparso) e chi lo ha rivisto dopo la sua risurrezione, aveva si davanti a se Gesù, ma con un corpo preso in prestito da chissà dove...

"Prima di ascendere al cielo, Cristo, come potente e immortale persona spirituale, si materializzò assumendo vari corpi carnali adatti all’occasione, al solo scopo di dare ai suoi discepoli una prova visibile e tangibile della sua risurrezione."
it-1 pp. 434-436 - Perspicacia, vol. 1

ROBA DA FILM DI STAR TREK





Francesco e il diavolo


Controllate pure: i principali siti internet non ne parlano o quasi. Papa Francesco torna a parlare del
diavolo e i mass media, quei furbetti, scelgono, filtrano, selezionano. Col risultato che passaggi molto interessanti, anzi decisivi dei suoi discorsi – ancora pochi ma già molto significativi - vengono censurati, messi da parte, lasciati alla pignoleria e alla curiosità di chi ha la pazienza di leggerseli integralmente. E’ successo qualche giorno fa, quando Papa Francesco ha sì invitato ad un dialogo con l’Islam ma ha pure sferrato un vibrante attacco al relativismo sulla scia di Benedetto XVI, attacco subito nascosto, ed è accaduto oggi, col suo invito a fare attenzione perché  «QUANDO IL CAMMINO DELLA VITA SI SCONTRA CON PROBLEMI E OSTACOLI CHE SEMBRANO INSORMONTABILI […] IN QUESTO MOMENTO VIENE IL NEMICO, VIENE IL DIAVOLO, MASCHERATO DA ANGELO TANTE VOLTE, E INSIDIOSAMENTE CI DICE LA SUA PAROLA». non ascoltatelo – ha poi aggiunto – PERCHÉ C’È GESÙ DA SEGUIRE, e con Lui è tutta un’altra musica.

Forte, no? Certo, il Cristianesimo è ben altro che puro timore del Maligno, ci mancherebbe. Però è anche vero che una delle ragioni dell’odierno crollo della dottrina e della riduzione dell’insegnamento cristiano a filantropia mielosa sta proprio nella rimozione del Diavolo, di quel nemico tante volte «mascherato da angelo», e conseguentemente dell’Inferno. Perché, parliamoci chiaro, se uno – ciascuno di noi – non rischia la dannazione eterna, che diamine di senso ha impegnarsi e seguire Cristo per guadagnarsi il Paradiso? Sarebbe pura perdita di tempo. Il problema è talmente serio che negli anni passati esegeti come Hubert Haag hanno pubblicato libri fuorvianti sin dal titolo – «Addio al diavolo» – e s’è pure cercato di attribuire in tutti i modi ad un teologo del calibro di Hans Urs von Balthasar l’idea di «inferno vuoto», idea apertamente respinta dallo stesso von Balthasar (Cfr. Von Balthasar H.U. Sperare per tutti. Breve discorso sull’inferno, Jaca Book, Milano 1997, p. 123).

Morale (cattolica): il Diavolo c’è, eccome se c’è. Infatti Papa Francesco, che è un pastore vero e che tiene al destino delle proprie pecore, non teme di esprimersi chiaramente, CI RICORDA IL PROBLEMA DEI LUPI e quello, ancora peggiore, del nemico «mascherato da angelo», la facile soluzione a problemi difficili, la scorciatoia, l’inganno comodo e maledetto. Perché la sola via d’uscita, «quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili», continua ad essere Lui, Gesù Cristo, il vero Autore della speranza, che diversamente scemerebbe anch’essa in sterile ottimismo, in auspicio debole e provvisorio. Invece Gesù c’era, c’è e ci sarà. Ed oggi c’è anche, grazie a Dio, Papa Francesco, questo pontefice che parla come un parroco di campagna: senza troppi giri di parole, con chiarezza, mettendoci in guardia anche da quei pericoli che una certa teologia mondana e salottiera ci chiede di sottovalutare. Papa Francesco, insomma, parla chiaro. Anche se i mass media, quei furbetti, fanno di tutto per nasconderlo.

http://giulianoguzzo.wordpress.com/2013/03/24/francesco-e-il-diavolo/

24 marzo 2013

"I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla chiesa, ma vanno matti per la curia e per le chiacchiere di e sulla curia."


INCONTRO DI CASTEL GANDOLFO: QUELLO CHE I MEDIA NON VEDONO

di Antonio Socci

Non è cosa di tutti i giorni vedere due papi conversare, pregare e pranzare fraternamente assieme. Anzi, è decisamente un evento unico, anche se solo uno dei due è il pontefice in carica (l’altro lo è stato ed ora è emerito).

Ma soprattutto non è consueto vedere un’unità così profonda ed è quasi impossibile trovare due uomini che – chiamati a un altissimo ministero – hanno vissuto e vivono questa responsabilità concependosi davvero come “servi” e mettendo se stessi totalmente in secondo piano rispetto a Colui che amano, a cui la Chiesa appartiene (“la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo”: è una delle ultime frasi che ci ha lasciato papa Benedetto spiegando la sua rinuncia).

Tuttavia è prevedibile che l’avvenimento di Castel Gandolfo fra Benedetto XVI e papa Francesco rinfocolerà le chiacchiere dei media e lo strologamento su presunti dossier segreti – non è il caso di dire “papelli” – che sarebbero stati consegnati dall’uno all’altro (anche se c’è una smentita ufficiale).

Sui media ben pochi coglieranno la dimensione spirituale di due uomini di Dio che vivono questa particolarissima vicenda. E preferiranno tuffarsi piuttosto sul contorno: le questioni curiali, il rapporto della commissione di tre cardinali sui retroscena di Vatileaks, la coabitazione in Vaticano, le nomine….

I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla Chiesa, ma vanno matti per la Curia e per le chiacchiere di e sulla Curia.

Lo ha dimostrato in queste settimane l’oceanica quantità di articoli e pagine e trasmissioni dedicate alle dimissioni di Benedetto XVI, all’elezione del suo successore e a tutti i presunti retroscena e a ogni immaginabile insinuazione o pettegolezzo o banalità spacciata per scoop.

Tutto questo fiume d’inchiostro non significa attenzione alla Chiesa. Infatti i media sono pressoché indifferenti a ciò che i papi insegnano e vivono, ai contenuti spirituali veri, e soprattutto a quello straordinario mondo sommerso, fuori dai riflettori, che sono le comunità cristiane, dove quell’insegnamento è accolto, dove si sperimenta la fede e l’amicizia di Gesù Cristo spesso in una quotidiana dimensione di santità.

Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunati dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere.

Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio.

Tutta la loro vita dimostra un profondo e assoluto disinteresse per le curie, per il potere, per i ruoli. E il loro desiderio di “servire” la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.

Nelle luminose catechesi e omelie di Benedetto XVI c’è – espresso meravigliosamente – il “segreto” di questi due uomini di Dio.

Ricordo due flash degli ultimi mesi: “non porre l’io al posto di Dio” (è esattamente quello che ripete papa Bergoglio quando denuncia la “mondanità” dentro la Chiesa e l’autoreferenzialtà).

E poi il discorso di Benedetto XVI per la festa dell’Immacolata, nel dicembre scorso. Rileggere oggi quelle sue parole è sorprendente, perché sembrano la più perfetta interpretazione di tutti i gesti che in questi giorni ha compiuto papa Francesco commuovendo il mondo.

Papa Benedetto – pensando a Maria, la più umile e la più alta delle creature – pose al centro dell’attenzione proprio i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova o ai margini della società o si sentono inascoltati e irrilevanti nella storia perché non stanno sotto i riflettori dei media.

Il Santo Padre sottolineò che “quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.

Poi aggiunse:

“la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia… Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.

Papa Benedetto aggiunse un’altra perla, che coincide con l’Angelus di papa Francesco su Dio che perdona tutto e perdona sempre:

“Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi… per quanto il nostro cuore sia sviato”, aggiunse Ratzinger, “Dio è sempre più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.

Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus papa Benedetto tornò a parlare del “vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”. E disse: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.

Sembra quasi che papa Francesco voglia mostrare ogni giorno quanto è vero quello che papa Benedetto ha annunciato all’umanità.

Del resto papa Francesco, parlando ai diplomatici, pochi giorni fa, ha richiamato esplicitamente la condanna della “dittatura del relativismo” fatta dal predecessore (ed è significativo che molte cronache dei giornali non lo abbiano sottolineato).

Appare dunque evidente l’unità profonda di questi due uomini. Peraltro anche le esortazioni di papa Francesco trovano un esempio meraviglioso nella vita di Benedetto.

La stessa sua rinuncia al pontificato mostra un distacco veramente francescano dalla cose terrene, è l’esempio di umiltà che si può indicare e seguire se si ascolta l’invito di papa Francesco a fuggire la “mondanità spirituale”.

Infatti entrambi questi uomini di Dio hanno individuato nella figura del santo di Assisi la via per la Chiesa di un futuro luminoso. Ratzinger in un libro di molti anni fa scrisse:

“Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo poiché egli lo amava di più”.

Ed ecco infatti il pontificato di papa Francesco.

Due uomini con storie e temperamenti diversi quanto un pianoforte è diverso da un violino, ma suonano proprio la stessa bellissima opera e l’una voce insieme all’altra creano un’armonia perfetta, che incanta.

Come l’icona della “Madonna dell’umiltà” che il papa ha donato a Ratzinger e che abbraccia insieme questi due figli, prediletti testimoni di Cristo e suoi Vicari nel nostro tempo.

http://www.antoniosocci.com/2013/03/incontro-di-castel-gandolfo-quello-che-i-media-non-vedono/

23 marzo 2013

L'incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI



CASTEL GANDOLFO - «Un momento di altissima, profondissima comunione». Così padre Federico Lombardi ha definito l'incontro di oggi tra i due papi. Il colloquio, ha detto, ha dato modo a Benedetto XVI di «rinnovare il suo atto di riverenza e obbedienza al suo successore» e a questi di rinnovargli la «gratitudine sua e di tutta la Chiesa per il ministero svolto da papa Benedetto nel suo pontificato». Papa Francesco, al termine della visita, prima delle 15, è ripartito in elicottero per il Vaticano.

L'incontro e la preghiera. Benedetto XVI aveva accolto Francesco all'eliporto di Castelgandolfo, dove - come ha riferito Padre Lombardi - c'è stato un «abbraccio bellissimo tra il Papa e il papa emerito». Bergoglio e Raztinger si sono poi recati insieme in auto verso il Palazzo Apostolico, per un incontro nella biblioteca e un pranzo in compagnia dei due segretari, monsignor Georg e monsignor Xuereb. Quando il Papa e il papa emerito si sono recati nella cappella di Castelgandolfo per pregare, Benedetto XVI voleva che il Papa si sedesse sull'inginocchiatoio d'onore, ma il Papa ha voluto che si sedessero insieme sullo stesso banco a pregare. «Siamo fratelli» ha detto, secondo quanto ha riferito padre Federico Lombardi.

Niente foto storica. Il portavoce della sala stampa vaticana ha confermato le indiscrezioni della vigilia: Francesco e Benedetto non si affacceranno dalle finestre del Palazzo Apostolico. Il colloquio privato tra il Papa e il papa emerito, che vestiva la talare bianca, - ha aggiunto Lombardi - è durato «tra i 40 e i 45 minuti». L'unica differenza di abbigliamento tra i due erano che Bergoglio indossava anche la mantelletta e la fascia tipica dei papi. Lombardi ha ricordato che si è trattato del primo incontro di persona, ma che il Papa «ha già rivolto molte volte il suo pensiero al Papa emerito». Ha anche ricordato che l'emerito ha già fatto atto di obbedienza al nuovo papa.

Ressa di fotografi. In piazza della Libertà, dove si affaccia il palazzo Pontificio, tanti giornalisti e fotoreporter attendevano appostati nella speranza che i due pontefici si mostrino insieme. Non mancavano i fedeli: Ferruccio, 82 anni, indossa la maglietta con l'immagine di Benedetto XVI e nella borsa ha un'altra T-shirt con la foto di Papa Francesco. Ferruccio in mano tiene il suo immancabile bastone con croci e rosari. In piazza della Libertà è presente anche un altro fedele che già si era visto in piazza San Pietro con lo stesso cartello: «Caro Papa da lontano sei arrivato, con semplicità ci hai rallegrato. Viva Francesco». C'è anche una donna con una croce e la foto di Eluana Englaro. «Sono un medico - dice Antonella Vian - ed ho visitato Eluana e sono sicura che non voleva morire. Sono qui per dire la verità come testimone di Luana. Stamani sono a Castel Gandolfo, nel pomeriggio andrò alla manifestazione di Berlusconi e in serata parteciperò a quella di Militia Christi all'Isola Tiberina». In piazza uno dei negozianti che vende souvenir ha esposto una bandiera argentina.

Un'icona della «Madonna dell'umità» è il il dono che Papa Francesco ha portato a Benedetto XVI. «Dopo la preghiera che hanno fatto nella cappellina - ha detto padre Lombardi - sono passati nello studio ed è stato il momento del dono: papa Francesco ha portato all'emerito un'icona della Madonna, che si chiama dell'umiltà. Francesco ha detto di aver pensato a lei per tutti gli esempi di umiltà che ci ha dato nel corso del suo pontificato».

Papa Francesco si rivolge al Papa emerito dandogli del 'lei'. Un incontro fraterno, quello tra i due Papi avvenuto oggi a Castel Gandolfo, che rimarrà scolpito nella storia anche grazie ad alcune immagini del Ctv che hanno ripreso i momenti cruciali dell'incontro. Papa Francesco viene accolto all'eliporto di Castel Gandolfo da Papa Ratzinger che arriva pure lui con una talare bianca e sopra una trapuntina, bianca anche questa. È appoggiato ad un bastone. Francesco scende dall'elicottero e va incontro al predecessore con un abbraccio fraterno. Memorabile e commovente la sequenza nella quale i due Papi vanno nella cappella del Palazzo apostolico per un momento di preghiera. Si vede Papa Ratzinger che vorrebbe offrire il posto d'onore a Papa Francesco ma questi prendendolo per mano dice 'siamo fratellì e insieme l'uno accanto all'altro pregano davanti alla Madonna. Grande affetto di fratellanza anche nel momento in cui Papa Francesco dona al Papa emerito una icona della Madonna. «È un'immagine che non conoscevo -dice Papa Francesco a Benedetto XVI-. Mi hanno detto che si chiama la Madonna dell'Umiltà e io ho pensato a lei». Papa Ratzinger si commuove e stringendo con affetto la mano di Papa Francesco dice 'grazie, grazie.

la Donna dell'Apocalisse


“Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. 2 Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3 Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4 la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. 5 Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. 6 La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni…[13] Or quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio…[17] Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù.” (Apocalisse 12, 1- 18)

Quello della donna è il primo dei sette segni sul conflitto fra Dio e Satana. È chiaro che si tratta di visioni allegoriche, per cui gli errori che si possono compiere nell’approccio ad un testo del genere sono, essenzialmente, due: prendere alla lettera quelli che vogliono essere dei simboli (come le varie cifre del testo); oppure accentuare troppo l’aspetto simbolico fermandosi ad esso, privandolo così il testo del suo reale messaggio. Bisogna sapere trovare il giusto equilibrio per una corretta interpretazione.
In questa visione ci sono quattro personaggi principali: Dio, il Drago, la Donna e il Bambino. Per capire l’identità di questi ultimi due, sarà utile partire dal Drago. Esso è senza dubbio il simbolo del male, quel Satana presente anche nel Vangelo. La figura del drago si collega direttamente al “serpente antico” del Genesi, a cui si fa esplicito riferimento nel verso 9. Sarà bene riportare quel passo:

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la sua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Genesi 3, 15)

Le analogie ci sono tutte: la donna, il drago/serpente, la stirpe della donna. La visione sembra quindi la realizzazione profetica della guerra fra il serpente e la Donna e della vittoria di quest’ultima (tramite la sua discendenza, cioè tramite il figlio). Passiamo ora al bambino. L’identificazione del “figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro” non appare difficile. Trattasi inequivocabilmente del Messia, anche per il riferimento allo scettro di ferro di cui parla un salmo:

“Chiedi a me, ti darò in possesso le genti
e in dominio i confini della terra.
Le spezzerai con scettro di ferro,
come vasi di argilla le frantumerai”
(Salmi 2, 8-9)

È un Salmo, questo, che parla esplicitamente del Messia che dovrà venire. Per cui non sembrano esserci dubbi. Il bambino è il promesso Messia “nato da donna”, quel Gesù di cui si parla alla fine del capitolo. Un’interpretazione questa in nulla ostacolata da elementi che possono risultare contrastanti con le narrazioni evangeliche, come l’immediata ascensione del bambino verso Dio e cioè, si presume, verso il Cielo. Questo perché si tratta, per l’appunto, di una visione profetica e allegorica che non ha la pretesa di essere una ricostruzione dei fatti evangelici. Se, quindi, l’identificazione del bambino con il Messia, e quella del drago con Satana non crea difficoltà resta, però, da approfondire la figura della donna. Quest’ultima interpretazione sembra fondamentale per la comprensione di tutto il testo, perché la visione inizia con il segno grandioso della donna. Ed è lei l’unico personaggio che attraversa tutta la visione: dall’inizio alla fine. Per questo sulla figura della donna non si sono risparmiate innumerevoli interpretazioni, da chi la identifica come il Popolo Eletto a chi la guarda come una figura personificata della Chiesa. Probabilmente nessuna delle varie interpretazioni è errata, alcune possono sussistere senza escludersi a vicenda. Eppure nessuna delle due che abbiamo prospettato (che sembrano essere fra le più comuni) calza perfettamente e fino in fondo. La donna può essere vista come l’immagine del Popolo eletto che dà alla luce il Messia. Però la donna continua ad avere un ruolo anche dopo la sconfitta del drago per mezzo dell’Agnello, eppure a questo punto il Popolo eletto avrebbe dovuto esaurire il suo ruolo. Allo stesso modo la donna può essere vista come immagine della Chiesa gloriosa, eppure non è la Chiesa che ha generato Cristo: è il contrario. L’identificazione con la Chiesa meglio si accorda con l’ultima parte della visione, ma fino a un certo punto. Perché? Perché alla fine il drago non può nulla contro la donna e per questo si scaglia contro la sua discendenza. Con la donna la lotta è finita, si evince quasi che il suo ruolo terreno sia finito. Invece Satana può ancora attaccare la Chiesa, anche se non può prevalere. E poi quale sarebbe questa discendenza della Chiesa? Bisognerebbe quindi ipotizzare un doppio significato simbolico della donna: il Popolo Eletto, nella prima parte, per poi diventare la Chiesa (nella seconda). Possibile, anche se nel testo la donna resta sempre la stessa. Inoltre, anche volendo assumere la “doppia interpretazione”, resta il problema del finale e della discendenza. Il testo fa intendere che la guerra intrapresa dal drago contro la discendenza della donna sia la vendetta per la vanificazione dei suoi attacchi. Per cui la donna sembra avere terminato il suo ruolo terreno e la sua personale battaglia, ora affidata alla sua discendenza.

Forse si può provare, senza escludere del tutto questa precedente, ad assumere anche un’interpretazione molto più semplice e senza ambiguità. La visione parla del Messia e della sua nascita da una donna. Nulla vieta, se non un giudizio aprioristico, di vedervi la madre di Cristo, la quale sarebbe così la Donna della profezia del Genesi dalla quale sarebbe nata la discendenza destinata alla vittoria (nella figura, quindi, del Figlio-Messia). La quale non esaurisce il suo ruolo con la nascita di Cristo, visto il perdurare dell’inimicizia con il serpente che continua ancora ad avventarsi contro di lei. La visione la presenta però come inattaccabile per la protezione di Dio, per cui il drago muove guerra contro il resto della sua discendenza. Un’espressione, quest’ultima, a nostro parere molto significativa. Perché il Cristo è il prodotto della discendenza della donna che avrebbe sconfitto il drago. Tuttavia anche Cristo ha dato una discendenza con la Chiesa, e contro di questa continuerà fino alla fine la persecuzione del drago sulla Terra. Non più direttamente contro il Messia, né contro la donna. Sembra molto più logico vedere la Chiesa in “quel resto della sua discendenza” che porta la testimonianza di Gesù, che non altrove.

Se, nonostante le discrepanze, si può ritenere giusta l’interpretazione della donna come immagine del Popolo eletto dei tempi messianici bisogna notare che invece l’identificazione con Maria, madre di Cristo, non trova nessun ostacolo. Anzi quest’ultima sembra l’interpretazione meno artefatta e quindi quella più vicina alla realtà. Ci sono ancora altri indizi che possono confermare questa interpretazione, come l’appellativo di “donna”, che è lo stesso col quale Giovanni si riferisce a Maria nei Vangeli (nell’episodio di Cana e sotto la croce). L’identificazione con Maria permette anche di capire meglio le caratteristiche della donna dell’Apocalisse. IL FATTO CHE SIA “VESTITA DI SOLE” SI PUÒ FORSE COLLEGARE AL FATTO CHE MARIA SIA LA MADRE DEL “SOLE DI GIUSTIZIA” DI CUI PARLA MALACHIA (CAP. 3, 20) (vedere la nota) per cui lei è rivestita di quello stesso splendore. Quello che si pone sotto i piedi è, solitamente, qualcosa che è stato sconfitto. La Luna può simboleggiare il passaggio delle stagioni, ovvero il tempo e quindi la morte. Il fatto che sia sotto i piedi della donna sembra indicare la compartecipazione di Maria alla sconfitta della morte operata da Cristo.

Questo episodio dell’Apocalisse non fa che confermare quello che appariva implicito già nei Vangeli. Ovvero un ruolo, quello di Maria, non ridotto a quello di un “utero in affitto” usa e getta ma a qualcosa di molto più grande. Maria non solo ha dato alla luce il Messia, ma lo ha accompagnato nella sua dolorosa missione prendendovi parte anche lei in modo del tutto particolare; prima ma anche dopo la morte del Cristo. Per questo la vediamo nell’Apocalisse come una splendida regina, coronata di dodici stelle, simbolo delle dodici tribù di Israele, e in veste vittoriosa rispetto al nemico. Il fatto che poi il drago si rivolga contro il resto della sua discendenza, cioè la Chiesa, conferma anche il titolo di “Madre della Chiesa”. Tutto questo non mette affatto in ombra la figura del Cristo. Anzi, senza una corretta mariologia, non si può sviluppare una corretta cristologia. Lo vedremo, con qualche esempio, in ulterirori interventi.

http://ettorebarra.blogspot.it/2009/01/la-donna-dellapocalisse.html