5 settembre 2019

Madre Teresa, una vita copiata dal Vangelo

IO LA RICORDO COSÌ..
cardinale Angelo Comastri
Mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: «Quante ore preghi ogni giorno?». Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: «Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?». Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: «Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il Suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!»


30 agosto 2019

Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore

Siedi in silenzio e appartato; china il capo, chiudi gli occhi; respira più lentamente, guarda con l’immaginazione dentro il cuore, porta la mente, cioè il pensiero, dalla testa al cuore. Mentre respiri, di’: «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore»

29 agosto 2019

Dio di pace e d’amore, noi ti preghiamo: Signore Santo, Padre onnipotente, eterno Dio, liberaci da ogni tentazione, aiutaci in ogni difficoltà, confortaci in ogni tribolazione.

Dona a noi la pazienza nelle avversità, concedici di adorarti in purezza di cuore, di cantarti con retta coscienza, di servirti con somma virtù. Ti benediciamo, santa Trinità.

Ti ringraziamo e ti lodiamo giorno per giorno. Ti supplichiamo, abbà Padre. Ti sia gradita la nostra lode e la nostra preghiera.

23 agosto 2019

Se...

Se la tua fede vacilla, calmati: Dio ti guarda.
Se tutto sembra finire, calmati: Dio rimane.
Se sei nella tristezza, calmati: Dio è la consolazione.
Se il peccato ti opprime, calmati: Dio perdona.
Se hai i nervi tesi, calmati: Dio è pazienza.
Se nessuno ti comprende, calmati: Dio ti conosce.
Se urgono scelte importanti, calmati: Dio ti guida.
Se sei smarrito, calmati: Dio ti vede.
Se sei in difficoltà, calmati: Dio è provvidente.
Se la malattia ti logora, calmati: Dio guarisce.
Se la croce è pesante, calmati: Dio ti sostiene.
Se la morte ti spaventa, calmati: Dio è risurrezione.
Dio è sempre con noi, ci ama e ci ascolta.

14 agosto 2019

Sotto la tua protezione
cerchiamo rifugio,
santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche
di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.

10 agosto 2019

Anche in questa giornata, Signore,
mi hai tenuto per mano, sei stato con me.
Quante volte, Signore, Ti ho tradito? Quante volte?

Ogni volta che mi sentivo abbandonato, senza forza, 
ogni volta che ho messo al posto Tuo il denaro, 
i miei desideri, i miei capricci, ...
che non sono stato testimone del Tuo amore.

Ora che la giornata sta per finire, voglio ringraziarTi 
perché al di sopra della mia cattiveria, brilla il Tuo amore, 
voglio ringraziarTi perchè mi dai sempre 
la possibilità di aprire il mio cuore, 
di vedere quello che c'è dentro e di rivolgermi a Te, 
per riposare tra le Tue braccia e risvegliarmi, 
domani, con la gioia di essere un Tuo testimone.

Ti benedico Padre Celeste,
Padre del mio Signore Gesù Cristo,
perchè Ti sei degnato di ricordarti 
di un miserabile come me.

Ti ringrazio, o Padre Misericordioso 
e Dio di ogni consolazione,
perchè ogni tanto mi rigeneri col Tuo conforto, 
benchè io ne sia del tutto indegno.

Sempre Ti benedico e glorifico, 
insieme con il Tuo Figlio Unigenito 
e lo Spirito Santo Paraclito, nei secoli dei secoli.

Amen

8 agosto 2019

Ascolta nella tua misericordia questa preghiera che sale a te dal tumulto e dalla disperazione di un mondo in cui tu sei dimenticato

Onnipotente e misericordioso Dio, Padre di tutti gli uomini,
Creatore e Dominatore dell'universo, Signore della storia,
i cui disegni sono imperscrutabili,
la cui gloria è senza macchia,
la cui compassione per gli errori degli uomini è inesauribile,
nella tua volontà è la nostra pace!

Ascolta nella tua misericordia questa preghiera
che sale a te dal tumulto e dalla disperazione di un mondo in cui tu sei dimenticato,
in cui il tuo nome non è invocato, le tue leggi sono derise,
e la tua presenza è ignorata.
Non ti conosciamo, e così non abbiamo pace.
Concedici prudenza in proporzione al nostro potere,
saggezza in proporzione alla nostra scienza,
umanità in proporzione alla nostra ricchezza e potenza.
E benedici la nostra volontà di aiutare ogni razza e popolo
a camminare in amicizia con noi, lungo la strada della giustizia, della libertà e della pace perenne.

Ma concedici soprattutto di capire che le nostre vie non sono necessariamente le tue vie,
che non possiamo penetrare pienamente il mistero dei tuoi disegni,
e che la stessa tempesta di potere che ora infuria in questa terra
rivela la tua segreta volontà e la tua inscrutabile decisione.
Concedici di vedere il tuo volto alla luce di questa tempesta cosmica,
o Dio di santità, misericordioso con gli uomini.
Concedici di trovare la pace dove davvero la si può trovare!
Nella tua volontà, o Dio, è la nostra pace!

Thomas Merton

7 agosto 2019

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio.

Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana face
Di caritate; e giuso, intra i mortali,
Se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua disïanza vuol volar senz'ali.

La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontate!

(Dante, Paradiso, XXXIII)

6 agosto 2019

Ti ho cercato, o Signore della vita,
e tu mi hai fatto il dono di trovarti:
te io voglio amare, mio Dio.

Perde la vita, chi non ama te:
chi non vive per te, Signore,
è niente e vive per il nulla.

Accresci in me, ti prego,
il desiderio di conoscerti
e di amarti, Dio mio:
dammi, Signore, ciò che ti domando;
anche se tu mi dessi il mondo intero,
ma non mi donassi te stesso,
non saprei cosa farmene, Signore.

Dammi te stesso, Dio mio!
Ecco, ti amo, Signore:
aiutami ad amarti di più.

19 luglio 2019

Buzz Aldrin fece la Comunione sulla luna ma la Nasa non poteva dirlo

50 anni fa l'uomo metteva piede sulla luna. Armstrong fu il primo a scendere, mentre Aldrin aveva con sé un kit consacrato con un'ostia e del vino: "Era interessante per me pensare: il primo liquido versato sulla luna e il primo cibo mangiato sono stati gli elementi della Comunione".

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate, 
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Salmo 8)
Il prossimo 20 luglio, tra una manciata di giorni, si celebreranno i 50 anni dalla missione di Apollo 11, l’uomo mise piede sulla Luna. Era il 1969 e quel momento rimane nella memoria collettiva col sottofondo della voce di Neil Armstrong: “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. Erano più o meno le 20, ora italiana, e 19 minuti dopo Armstrong anche l’altro astronauta a bordo del modulo lunare, Edwin E. Aldrin Jr. detto Buzz, scese sul Mare della Tranquillità. Intanto, sul modulo di comando in orbita attorno alla luna c’era il terzo membro della missione, Michael Collins.
L’evento fu mandato in onda in tutto il mondo, i miei genitori e nonni ne ricordano ancora i minimi dettagli raccontati dalla voce di Tito Stagno. Ma qualcosa di davvero significativo accadde e non fu mandato in onda: ci fu una lunga pausa tra il momento in cui il LEM toccò il suolo lunare e il momento in cui Armstrong ci poggiò il piede; il piano della missione prevedeva che gli astronauti si riposassero prima dell’evento. Durante quella pausa, Buzz Aldrin fece la Comunione usando un apposito kit portato con sé; Neil Armstrong lo osservò in rispettoso silenzio e la Nasa ne era informata. Per capire il senso di quel gesto e perché venne tenuto segreto occorre fare un passo indietro, alla missione di Apollo 8.

24 dicembre 1968: Natale sulla Luna

Nel 1962 JFK aveva promesso che l’uomo avrebbe messo piede sulla luna, ma non poté assistere alla realizzazione dell’impresa. Un primo grande traguardo fu compiuto dalla missione di Apollo 8, la prima, con degli uomini a bordo, a lasciare l’orbita della Terra, a raggiungere la Luna, ad orbitare intorno ad essa e tornare in sicurezza sulla Terra. Ne facevano parte tre astronauti: Frank Borman, Jim Lovell e William Anders.  (Lovell, forse, noi tutti lo ricordiamo per l’interpretazione di Tom Hanks che raccontò nell’omonimo film quel “fallimento di grande successo” che fu Apollo 13).
Questi tre uomini furono i primi a vedere il lato scuro della luna, peraltro. La missione partì il 21 dicembre e si trovò a festeggiare il Natale facendo il girotondo attorno al candido satellite; dunque: come fare gli auguri in diretta televisiva mondiale? Fu Anders a rompere il ghiaccio con queste parole:
Ci stiamo avvicinando all’alba lunare e, per tutte le persone che sono sulla terra, l’equipaggio di Apollo ha un messaggio che vorrebbe condividere con voi.
Alternandosi nella lettura, Lovell, Anders e Borman lessero il primo capitolo della Genesi. Immaginiamoci che senso profondo potesse avere per loro pronunciare dallo spazio, al cospetto della Luna, parole come:
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
Eccone l’audio originale che ci fa percepire lo spalancarsi della coscienza umana a cospetto della Creazione:

Fu un evento che non passò inosservato e generò persino una forte irritazione che sfociò in un’azione legale. Madalyn Murray O’Hair, fondatrice degli Atei americani e nota come ‘donna più odiata d’America’, citò in giudizio la NASA proprio per quella lettura biblica in mondovisione:
O’Hair voleva bandire le pratiche religiose da parte degli astronauti della Nasa sulla terra, nello spazio e attorno alla luna mentre erano in servizio. (da Real Life Stories)
[Madalyn Murray O’Hair] in riferimento alla lettura pubblica della Genesi, sostenne che gli astronauti erano in quel momento impiegati pubblici e che la separazione tra chiesa e stato supportava la sua causa. (Huffington Post)
La causa legale finì in nulla, ma era stato un avvertimento che la Nasa non ignorò più e modificò le sorti di ciò che avvenne a bordo dell’Apollo 11.

20 luglio 1969: un gesto di gratitudine universale

C’erano un’atea, un deista e un cristiano … potrebbe essere l’inizio di una storiella divertente, ma furono tre presenze forti a bordo della missione che portò l’uomo sulla luna.
Neil Armstrong si dichiarò deista (cioè ammetteva l’esistenza di un Essere Supremo e Creatore, negando però la necessità della Rivelazione), Buzz Aldrin invece era un cristiano devoto, legato alla Chiesa presbiteriana di Webster in Texas.
Vissero l’esperienza della missione con uno sguardo diverso sull’universo; attorno a loro aleggiava ancora l’eco oscura della voce inquisitoria dell’atea O’Hair. Aldrin aveva pensato a lungo a ciò che avrebbe vissuto e a come onorare al meglio l’evento. Si sentiva come Cristoforo Colombo, a tu per tu con un nuovo “continente” e uno dei primi gesti fatti dal navigatore genovese sul suolo americano fu la Comunione. Aldrin si confrontò dapprima col pastore Dean Woodruff, che gli preparò un apposito kit da portare nello spazio: conteneva un’ostia consacrata e una piccola fialetta di vino consacrato.
Ma la Nasa cosa ne pensava?
Nel suo libro Magnificent Desolation, Aldrin racconta cosa gli disse l’astronauta Deke Slayton, che era a capo delle operazioni dell’equipaggio di Apollo 11: “Fallo pure, prendi la Comunione, ma commenta la cosa tenendoti sul generale”. (da The Guardian)
Così fu. Poco dopo l’allunaggio del LEM e prima che Armstrong scendesse, Aldrin prese parola chiedendo a Houston un momento di ringraziamento.

Questo fu ciò che gli spettatori di tutto il mondo ascoltarono:
Houston, qui è il pilota del modulo lunare. Vorrei cogliere questa occasione per chiedere a ogni persona in ascolto, chiunque e dovunque sia, di fermarsi un momento a contemplare gli eventi delle ultime ore e che ciascuno possa ringraziare nel modo che ritiene più opportuno.
Seguì un momento di silenzio e ciò che accadde sul LEM rimase ignoto a tutti sulla terra, l’unico che vide e ascoltò fu Neil Armstrong.

“Io sono la vite e voi i tralci”

Atterrare sulla Luna non è come arrivare dalla nonna il giorno del Ringraziamento. Non si salta già dal modulo lunare appena i motori sono spenti gridando: “Eccoci, eccoci!”. […] La procedura prevedeva che mangiassimo un pasto, ci riposassimo e poi dormissimo per sette ore. […] I responsabili della missione avevano comunicato ai media che potevano fare una pausa e riprendere fiato perché non sarebbe successo nulla mentre ci riposavamo. Era dura riposare con tutta quell’adrenalina in corpo. Tuttavia, nello sforzo di rimanere calmo e concentrato decisi che era il momento opportuno per la cerimonia che avevo meditato, come gesto di gratitudine e speranza. (da Magnificent Desolation)
Dopo aver contattato Houston e aver pronunciato il discorso generale di ringraziamento, Buzz Aldrin estrasse il kit consacrato dalla tuta spaziale e, con l’approvazione di Armstrong, versò il vino nel calice e fece la Comunione.
Tirai fuori anche un piccolo foglietto su cui avevo scritto le parole di Gesù: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Versai un po’ di vino nel calice dalla confezione sigillata e aspettai che il vino si depositasse, a causa della gravità lunare che è un sesto di quella terrestre. […] Lessi in silenzio il passo della Bibbia e presi l’ostia e il vino, feci una preghiera personale riguardo al compito che ci era affidato e all’opportunità che mi era stata offerta. Neil guardò con rispetto, senza fare alcun commento in quel momento. (Ibid)
La ricostruzione degli eventi è stata tradotta in una miniserie televisiva, ecco il momento della Comunione:

La neutralità imposta dalle grida di un’atea non impedì la presenza di questo gesto e, per quanto silenziosa alle orecchie del mondo, quella voce ci fu: la voce di un astronauta che si riconosceva “ramo”, cioé non superuomo ma collaboratore dell’opera universale di un Dio senza la cui presenza viva in mezzo agli uomini nulla accade.

L’intuizione, il ripensamento

Questi fatti sono acclarati anche se non si tende a sventolarli ai quattro venti. Buzz Aldrin ne ha parlato pubblicamente più volte, anche insieme ad altri colleghi astronauti. Nel corso degli anni ha ripensato a quel gesto e nel 2009 Aldrin si è ricreduto sulla scelta di fare la Comunionesulla luna:
Forse, se dovessi farlo di nuovo, non sceglierei di celebrare la comunione. Sebbene fosse un’esperienza profondamente significativa per me, era un sacramento Cristiano, e noi eravamo sulla luna a nome di tutta l’umanità – che fossero i Cristiani, gli Ebrei, i Musulmani, gli animisti, gli agnostici, o gli atei. Ma all’epoca non riuscii a pensare a un modo migliore per riconoscere il valore immenso della missione di Apollo 11 se non rendendo grazie a Dio. (da Magnificent desolation)
Viene da pensare, ma questa è solo una riflessione della sottoscritta, che l’ossessione per la neutralità che ha invaso il pensiero umano nel corso degli ultimi decenni si veda chiaramente nel ripensamento del signor Aldrin. Siamo diventati pian piano schiavi dell’idea che per rispettare le idee altrui non bisogna professare nessuna idea. Chesterton disse che il giorno peggiore di un ateo è quello in cui avrà qualcosa di cui ringraziare e non saprà chi ringraziare.


Le grandi manifestazioni della storia, le scoperte colossali della scienza dovrebbero portare l’uomo sulla soglia di una domanda complessiva sull’origine dell’universo e sul bisogno che tra la creatura e il Tutto ci sia una relazione. Citando sommariamente Baudelaire, la massima espressione delle grandi menti è un ardente singhizzo che va a morire ai piedi dell’Eterno.

L’uomo è una presenza dentro l’universo, infinitesimale ma è una presenza. L’intuizione iniziale di Aldrin, che riporto di seguito, era una testimonianza del vertiginoso compito umano:  l’universo ospita una creatura eccezionale, dotata di coscienza e di speranza, che nel corso della sua storia si è confrontata con l’ipotesi dell’Incarnazione e della Resurrezione:
Resi grazie all’intelligenza e allo spirito che veva guidato due giovani piloti sul Mare della Tranquillità. Era interessante per me pensare: il primo liquido versato sulla luna e il primo cibo mangiato sono stati gli elementi della Comunione. E certo era interessante pensare che alcune delle prime parole sulle luna furono dette da Gesù Cristo, che aveva fatto cielo e terra e che – nel verso immortale di Dante – è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. (Ibid)
ALETEIA 

16 giugno 2019

Visita del Santo Padre Francesco alle zone terremotate dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, 16.06.2019

Oggi celebriamo la Santissima Trinità. La Trinità non è un rompicapo teologico, ma lo splendido mistero della vicinanza di Dio. La Trinità ci dice che non abbiamo un Dio solitario lassù in cielo, distante e indifferente; no, Lui è Padre che ci ha dato il suo Figlio, fattosi uomo come noi, e che per esserci ancora più vicino, per aiutarci a portare i pesi della vita, ci manda il suo stesso Spirito. Lui, che è Spirito, viene nel nostro spirito e così ci consola da dentro, ci porta nell’intimo la tenerezza di Dio. Con Dio i pesi della vita non restano sulle nostre spalle: lo Spirito, che nominiamo ogni volta che facciamo il segno della croce proprio mentre tocchiamo le spalle, viene a darci forza, a incoraggiarci, a sostenere i pesi. Infatti Lui è specialista nel risuscitare, nel risollevare, nel ricostruire. Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo. Questa è la forza che Dio ci dà. Perciò chi si avvicina a Dio non si abbatte, va avanti: ricomincia, riprova, ricostruisce. Soffre anche, ma riesce a ricominciare, a riprovare, a ricostruire.

29 maggio 2019

PAPA FRANCESCO: Domani (30 maggio 2019) celebreremo l’Ascensione del Signore Gesù

Per chi lo avesse dimenticato domani è l’Ascensione che nei lontani anni 70 politici cattolici (gli stessi che hanno firmato la legge sull’aborto) e che facevano uso di simboli religiosi avendo la Croce direttamente nel simbolo del partito, pensarono bene di abolire. Allora ci dissero che era per salvare i conti dell’Italia. Evidentemente la cosa non è riuscita vista la situazione attuale dei conti e abbiamo perso festività religiose con sentiti ringraziamenti degli atei comunisti e ora ci sono cattolici, compresi certi ecclesiastici, che ti fanno sceneggiate per un politico dotato di rosario....

PAPA FRANCESCO: Domani (30 maggio 2019) celebreremo l’Ascensione del Signore Gesù al Cielo. Come agli Apostoli, anche a noi oggi, il Signore ripete: «Non vi lascio orfani, io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine» (cfr Gv 14, 17-18). Se sarete amici di Gesù, Egli farà sentire la sua presenza nella vostra vita, e non vi sentirete mai soli o abbandonati.

28 maggio 2019

il Rosario ostentazione di simboli religiosi? e allora quando un noto partito politico dei decenni passai la croce l'aveva nel proprio simbolo di partito?

Quanto si vede nell’immagine (una mia foto) mi appartiene, ora stando a quanto scrive un certo don (non il solito, ma altro esattamente sulla sponda opposta) ho fatto un uso spregiudicato uso di simboli religiosi? Mi dovrei vergognare perché ho mostrato la mia Bibbia e il mio Rosario e sarebbe preferibile che celo tutto con bel velo altrimenti ci sono cattolici che si potrebbero indignare per tale mia ostentazione?

25 maggio 2019

Don smemorati.....

Certo che ci vuole una bella faccia tosta per negare che di aver accusato il Papa di essere un eretico quando si è firmata la petizione per mettere sotto accusa il Papa per eresia.... una bella faccia ci vuole....

22 maggio 2019

Catechesi sul “Padre nostro”: 16. Ovunque tu sia, invoca il Padre


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Oggi concludiamo il ciclo di catechesi sul “Padre nostro”. Possiamo dire che la preghiera cristiana nasce dall’audacia di chiamare Dio con il nome di “Padre”. Questa è la radice della preghiera cristiana: dire “Padre” a Dio. Ma ci vuole coraggio! Non si tratta tanto di una formula, quanto di un’intimità filiale in cui siamo introdotti per grazia: Gesù è il rivelatore del Padre e ci dona la familiarità con Lui. «Non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2766). Gesù stesso ha usato diverse espressioni per pregare il Padre. Se leggiamo con attenzione i Vangeli, scopriamo che queste espressioni di preghiera che affiorano sulle labbra di Gesù richiamano il testo del “Padre nostro”.

Per esempio, nella notte del Getsemani Gesù prega in questa maniera: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Abbiamo già richiamato questo testo del Vangelo di Marco. Come non riconoscere in questa preghiera, per quanto breve, una traccia del “Padre nostro”? In mezzo alle tenebre, Gesù invoca Dio col nome di “Abbà”, con fiducia filiale e, pur sentendo paura e angoscia, chiede che si compia la sua volontà.

In altri passi del Vangelo Gesù insiste con i suoi discepoli, perché coltivino uno spirito di orazione. La preghiera deve essere insistente, e soprattutto deve portare il ricordo dei fratelli, specialmente quando viviamo rapporti difficili con loro. Dice Gesù: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe» (Mc 11,25). Come non riconoscere in queste espressioni l’assonanza con il “Padre nostro”? E gli esempi potrebbero essere numerosi, anche per noi.

Negli scritti di San Paolo non troviamo il testo del “Padre nostro”, ma la sua presenza emerge in quella sintesi stupenda dove l’invocazione del cristiano si condensa in una sola parola: “Abbà!” (cfr Rm 8,15; Gal 4,6).

Nel Vangelo di Luca, Gesù soddisfa pienamente la richiesta dei discepoli che, vedendolo spesso appartarsi e immergersi in preghiera, un giorno si decidono a chiedergli: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni – il Battista – ha insegnato ai suoi discepoli» (11,1). E allora il Maestro insegnò loro la preghiera al Padre.

Considerando nel complesso il Nuovo Testamento, si vede chiaramente che il primo protagonista di ogni preghiera cristiana è lo Spirito Santo. Ma non dimentichiamo questo: protagonista di ogni preghiera cristiana è lo Spirito Santo. Noi non potremmo mai pregare senza la forza dello Spirito Santo. È Lui che prega in noi e ci muove a pregare bene. Possiamo chiedere allo Spirito che ci insegni a pregare, perché Lui è il protagonista, quello che fa la vera preghiera in noi. Lui soffia nel cuore di ognuno di noi, che siamo discepoli di Gesù. Lo Spirito ci rende capaci di pregare come figli di Dio, quali realmente siamo per il Battesimo. Lo Spirito ci fa pregare nel “solco” che Gesù ha scavato per noi. Questo è il mistero della preghiera cristiana: per grazia siamo attratti in quel dialogo di amore della Santissima Trinità.

Gesù pregava così. Qualche volta ha usato espressioni che sono sicuramente molto lontane dal testo del “Padre nostro”. Pensiamo alle parole iniziali del salmo 22, che Gesù pronuncia sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Può il Padre celeste abbandonare il suo Figlio? No, certamente. Eppure l’amore per noi, peccatori, ha portato Gesù fino a questo punto: fino a sperimentare l’abbandono di Dio, la sua lontananza, perché ha preso su di sé tutti i nostri peccati. Ma anche nel grido angosciato, rimane il «Dio mio, Dio mio». In quel “mio” c’è il nucleo della relazione col Padre, c’è il nucleo della fede e della preghiera.

Ecco perché, a partire da questo nucleo, un cristiano può pregare in ogni situazione. Può assumere tutte le preghiere della Bibbia, dei Salmi specialmente; ma può pregare anche con tante espressioni che in millenni di storia sono sgorgate dal cuore degli uomini. E al Padre non cessiamo mai di raccontare dei nostri fratelli e sorelle in umanità, perché nessuno di loro, i poveri specialmente, rimanga senza una consolazione e una porzione di amore.

Al termine di questa catechesi, possiamo ripetere quella preghiera di Gesù: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10,21). Per pregare dobbiamo farci piccoli, perché lo Spirito Santo venga in noi e sia Lui a guidarci nella preghiera.

20 maggio 2019

🤔🤔🤔🤔🤔🤔 don che dicono che non camminiamo per andare in paradiso?

Leggo in facebook un post cattolico dove si afferma quanto segue: “il paradiso spesso e volentieri è solo la pia proiezione dei propri desideri” e “non camminiamo per andare in paradiso ma per costruirlo, qui fin da ora perché la terra e la vita siano il paradiso per tutta l’umanità”

E io a questo punto non posso che chiedermi cosa vogliono dire le parole finali del Credo quando diciamo “aspetto la risurrezione dei morti e la vita nel mondo che verrà”

Mi chiedo cosa voglia dire anche San Paolo con queste parole: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo..... “ Col 3.1 se non camminiamo per andare in paradiso che le cerchiamo a fare le cose di lassù?

E quando Gesù dice che va a prepararci un posto e quando ritornerà ci prenderà con lui affinché dove sta lui siamo anche noi? Gv 25,1-4 se come qualcuno sostiene che non camminiamo per andare in paradiso che ci importa che Gesù vada a prepararci un posto che evidentemente non è su questa terra?

E se non camminiamo per andare in paradiso allora quando Gesù ci dice che chi crede in lui ha la vita eterna? E dove questa vita eterna se non in paradiso?
Poi certo, il Regno di Cieli come dice Gesù è già giunto a noi ma se il paradiso lo si fa diventare solo una pia proiezione dei nostri desideri allora quando Gesù sulla croce ha detto al malfattore che gli chiedeva di ricordarsi di lui quando sarebbe venuto con il suo regno, Gesù rispondendo “oggi sarai con me in paradiso” ha assecondato il malfattore nelle sue fantasie riguardo il regno dei cieli?

E se la terrà e la vita sono il paradiso per l’umanità che cose ne è dei nuovi cieli e nuova terra?
🤔🤔🤔🤔🤔🤔

18 maggio 2019

❤️ Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. 
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: 
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro 
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

17 maggio 2019

Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore.

Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».


16 maggio 2019

La carità del Papa

Vorrei ricordare che la carità del Papa che non fa rumore, è principalmente la nostra carità perché se le donazioni non arrivano non è che il Papa o chi per lui di carità ne può fare molto

Elemosineria Apostolica

Obolo di San Pietro



12 maggio 2019

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.

E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.

Non avranno più fame né avranno più sete,
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

11 maggio 2019

Vedete un po voi chi sono i veri eretici...

Ormai non si può che concludere che sia il don Tullio Rotondo come anche il vaticanista A.M.Valli abbiano firmato la petizione contro Papa Francesco a loro dire eretico. Come non posso far altro che notare che questi signori, sostenendo che quella odierna è la più grave crisi nella storia della Chiesa, ben peggiore di quella passata nel periodo della riforma protestante, e che quindi l’attuale Chiesa è allo sfacelo, fanno di Cristo un bugiardo visto che Lui stesso che ci ha detto che le porte dell’inferno mai prevarranno contro la Sua Chiesa, e mettono anche in dubbio che la Chiesa stessa sia assistita dallo Spirito Santo, visto che non si capisce come mai lo Spirito Santo abbia consentito ad un eretico, come lo è secondo questi signori Papa Francesco, di essere il Vicario di Cristo.



9 maggio 2019

Tanto per rinfrescare la memoria riguardo zingari e Chiesa, visto che c'è chi si è scandalizzato per l'incontro odierno di Papa Francesco

Papa Benedetto XVI ha incontrato i rom e zingari.... ops! zingari non si può più dire, sembra offensivo, ma il documento ufficiale Santa Sede li chiama zingari

VATICAN.VA

Giovanni Paolo II rivolgendosi ai partecipanti al centro studi zingari (come sopra, zingari non si può più dire ecc ecc) conclude con queste parole: "La Vergine Maria, Regina degli Zingari (aridaje!), vi sostenga e vi accompagni sempre."

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Paolo VI nel lontano settembre 1965 è stato tra i zingari. Ops! zingari non si può più dire ma San Paolo VI li ha chiamati "cari zingari"

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...e ora magari sarò censurato perché ho usato il termine "zingaro". Meno male che dalla mia ho tre Papi due dei quali santi

Il Fatto Quotidiano


Incontro di preghiera con il Popolo Rom e Sinti, 09.05.2019
Discorso del Santo Padre

Delle cose che ho sentito, tante mi hanno toccato il cuore, ma prendiamone una per incominciare, poi arriveranno le altre.

Questa mamma che ha parlato, mi ha toccato il cuore quando ha detto che lei “leggeva”, “vedeva” la speranza negli occhi dei figli. Ne ha quattro, mi ha detto, e questo va bene, questi sono due. La speranza può deludere se non è vera speranza, ma quando la speranza è concreta, come in questo caso, negli occhi dei figli, mai delude, mai delude!

Quando la speranza è concreta, nel Dio vero, mai delude. Le mamme che leggono la speranza negli occhi dei figli lottano tutti i giorni per la concretezza, non per le cose astratte, no: crescere un figlio, dargli da mangiare, educarlo, inserirlo nella società… Sono cose concrete. E anche le mamme – oserei dire – sono speranza. Una donna che mette al mondo un figlio è speranza, semina speranza, è capace di fare strada, di creare orizzonti, di dare speranza.

In ambedue le testimonianze c’era sempre il dolore amaro della separazione: una cosa che si sente sulla pelle, non con le orecchie. Ti mettono da parte, ti dicono: “Sì, sì, tu passi, ma stai lì, non toccarmi”. [Si rivolge al giovane prete che ha fatto la testimonianza] In seminario, ti domandavano se chiedevi l’elemosina, se andavi a Termini... La società vive delle favole, delle cose… “No, Padre, quella gente è peccatrice!...”. E tu, non sei peccatore? Tutti noi lo siamo, tutti. Tutti facciamo sbagli nella vita, ma io non posso lavarmene le mani, guardando i veri o finti peccati altrui. Io devo guardare i miei peccati, e se l’altro è in peccato, fa una strada sbagliata, avvicinarmi e dargli la mano per aiutarlo ad uscire.

Una cosa che a me fa arrabbiare è che si siamo abituati a parlare della gente con gli aggettivi. Non diciamo: “Questa è una persona, questa è una mamma, questo è un giovane prete”, ma: “Questo è così, questo è così…”. Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi. L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore, come ha detto il Cardinale [Bassetti]. È questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza. “Sì, sì, tu sei una persona, ma lontano da me, lontano dal mio cuore”. I diritti sociali, i servizi sanitari: “Sì, sì, ma faccia la coda… No, prima questo, poi questo”. È vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare. Sempre con l’aggettivo buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza: “Vieni, poi parliamo, ma vieni, la porta è aperta”. E tutti dobbiamo collaborare.

Voi potete avere un pericolo… – tutti abbiamo sempre un pericolo – una debolezza, diciamo così, la debolezza forse di lasciar crescere il rancore. Si capisce, è umano. Ma vi chiedo, per favore, il cuore più grande, più largo ancora: niente rancore. E andare avanti con la dignità: la dignità della famiglia, la dignità del lavoro, la dignità di guadagnarsi il pane di ogni giorno – è questo che ti fa andare avanti – e la dignità della preghiera. Sempre guardando avanti. E quando viene il rancore, lascia perdere, poi la storia ci farà giustizia. Perché il rancore fa ammalare tutto: fa ammalare il cuore, la testa, tutto. Fa ammalare la famiglia, e non va bene, perché il rancore ti porta alla vendetta: “Tu fai così…”. Ma la vendetta io credo che non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta. Voi mi capite bene, no? Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere nell’omertà: questo è un gruppo di gente delinquente; non la gente che vuole lavorare.

Voi andate avanti con la dignità, con il lavoro… E quando si vedono le difficoltà, guardate in alto e troverete che lì ci stanno guardando. Ti guarda. C’è Uno che ti guarda prima, che ti vuole bene, Uno che ha dovuto vivere ai margini, da bambino, per salvare la vita, nascosto, profugo: Uno che ha sofferto per te, che ha dato la vita sulla croce. È Uno, come abbiamo sentito nella Lettura che tu hai fatto, che va cercando te per consolarti e incoraggiarti ad andare avanti. Per questo vi dico: niente distanza; a voi e a tutti: la mente con il cuore. Niente aggettivi, no: tutte persone, ognuno meriterà il proprio aggettivo, ma non aggettivi generali, secondo la vita che fai. Abbiamo sentito un bel nome, che include le mamme; è un bel nome questo: “mamma”. È una cosa bella.

Vi ringrazio tanto, prego per voi, vi sono vicino. E quando leggo sul giornale qualcosa di brutto, vi dico la verità, soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro, perché questa non è civiltà, non è civiltà. L’amore è la civiltà, perciò avanti con l’amore.

Il Signore vi benedica. E pregate per me!

7 maggio 2019

«Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete», ci ha appena detto il Signore (Gv 6,35).

SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE 
Piazza Macedonia (Skopje)
Martedì, 7 maggio 2019




Nel Vangelo, attorno a Gesù, si concentra una folla che aveva ancora negli occhi la moltiplicazione dei pani. Uno di quei momenti che sono rimasti impressi negli occhi e nel cuore della prima comunità dei discepoli. Era stata una festa... La festa di scoprire la sovrabbondanza e la sollecitudine di Dio verso i suoi figli, resi fratelli nel dividere e condividere il pane. Immaginiamo per un momento quella folla. Qualcosa era cambiato. Per qualche istante, quelle persone assetate e silenziose che seguivano Gesù alla ricerca di una parola sono state in grado di toccare con le loro mani e sentire nei loro corpi il miracolo della fraternità capace di saziare e di far sovrabbondare.

Il Signore è venuto per dare vita al mondo e lo fa sempre in un modo che riesce a sfidare la ristrettezza dei nostri calcoli, la mediocrità delle nostre aspettative e la superficialità dei nostri intellettualismi; mette in discussione le nostre vedute e le nostre certezze, invitandoci a passare a un orizzonte nuovo che dà spazio a un modo diverso di costruire la realtà. Lui è il Pane vivo disceso dal cielo, «chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete».

Tutta quella gente scoprì che la fame di pane aveva anche altri nomi: fame di Dio, fame di fraternità, fame di incontro e di festa condivisa.

Ci siamo abituati a mangiare il pane duro della disinformazione e siamo finiti prigionieri del discredito, delle etichette e dell’infamia; abbiamo creduto che il conformismo avrebbe saziato la nostra sete e abbiamo finito per abbeverarci di indifferenza e di insensibilità; ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione, chiusura e solitudine; ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà.

Diciamolo con forza e senza paura: abbiamo fame, Signore… Abbiamo fame, Signore, del pane della tua Parola capace di aprire le nostre chiusure e le nostre solitudini; abbiamo fame, Signore, di fraternità dove l’indifferenza, il discredito, l’infamia non riempiano le nostre tavole e non prendano il primo posto a casa nostra. Abbiamo fame, Signore, di incontri in cui la tua Parola sia in grado di elevare la speranza, risvegliare la tenerezza, sensibilizzare il cuore aprendo vie di trasformazione e conversione.

Abbiamo fame, Signore, di sperimentare, come quella folla, la moltiplicazione della tua misericordia, capace di rompere gli stereotipi e dividere e condividere la compassione del Padre per ogni persona, specialmente per coloro di cui nessuno si prende cura, che sono dimenticati o disprezzati. Diciamolo con forza e senza paura, abbiamo fame di pane, Signore: del pane della tua parola e del pane della fraternità.

Tra pochi istanti, ci metteremo in movimento, andremo alla mensa dell’altare per nutrirci del Pane della Vita seguendo il mandato del Signore: «chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete» (Gv 6,35). È l’unica cosa che il Signore ci chiede: venite. Ci invita a metterci in cammino, in movimento, in uscita. Ci esorta a camminare verso di Lui per renderci partecipi della sua stessa vita e della sua stessa missione. “Venite”, ci dice il Signore: un venire che non significa solo spostarsi da un posto all’altro, bensì la capacità di lasciarci smuovere, trasformare dalla sua Parola nelle nostre scelte, nei sentimenti, nelle priorità per avventurarci a fare i suoi stessi gesti e parlare col suo stesso linguaggio, «il linguaggio del pane che dice tenerezza, compagnia, dedizione generosa agli altri»,[1] amore concreto e palpabile perché quotidiano e reale.

In ogni Eucaristia, il Signore si spezza e si distribuisce e invita anche noi a spezzarci e distribuirci insieme a Lui e a partecipare a quel miracolo moltiplicatore che vuole raggiungere e toccare ogni angolo di questa città, di questo Paese, di questa terra con un poco di tenerezza e di compassione.

Fame di pane, fame di fraternità, fame di Dio. Come conosceva bene tutto questo Madre Teresa, che ha voluto fondare la sua vita su due pilastri: Gesù incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri! Amore che riceviamo, amore che doniamo. Due pilastri inseparabili che hanno segnato il suo cammino, l’hanno messa in movimento, desiderosa anch’essa di placare la sua fame e la sua sete. È andata dal Signore e nello stesso atto è andata dal fratello disprezzato, non amato, solo e dimenticato; è andata dal fratello e ha trovato il volto del Signore... Perché sapeva che «amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio»,[2] e quell’amore era l’unica cosa capace di saziare la sua fame.

Fratelli, oggi il Signore Risorto continua a camminare in mezzo a noi, là dove passa e si gioca la vita quotidiana. Conosce la nostra fame e ci dice ancora: «chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete» (Gv 6,35). Incoraggiamoci a vicenda ad alzarci in piedi e a sperimentare l’abbondanza del suo amore; lasciamo che Egli sazi la nostra fame e sete nel sacramento dell’altare e nel sacramento del fratello.

Al termine della Messa a Skopje

Cari fratelli e sorelle,

prima della Benedizione finale sento il bisogno di esprimere la mia gratitudine. Ringrazio il Vescovo di Skopje per le sue parole e soprattutto per il lavoro fatto in preparazione di questa giornata. E insieme con lui ringrazio quanti hanno collaborato, sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Grazie di cuore a tutti!

E rinnovo la mia riconoscenza anche alle Autorità civili del Paese, alle forze dell’ordine e ai volontari. Il Signore saprà donare a ciascuno la migliore ricompensa. Da parte mia, vi porto nella mia preghiera, e chiedo anche a voi di pregare per me.


[1] J.M. Bergoglio, Homilía Corpus Christi, Buenos Aires, 1995.

[2] Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, 15.

1 maggio 2019

La domanda mi sorge spontanea....

... visto che una schiera di teologi e papi formatisi in Facebook e Google sostengono che Dio ci tenta dando dell'eretico a Papa Francesco.

Ma per caso San Giacomo apostolo, l'autore di una delle lettere che fanno parte della Scrittura, era un eretico anche lui visto che nella sua lettera scrive che non è Dio a tentarci?

"Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce" Gc 1,13-14

Giacomo 1,13 "Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male."

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 1 maggio 2019



Catechesi sul “Padre nostro”: 14. Non abbandonarci alla tentazione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo nella catechesi sul “Padre nostro”, arrivando ormai alla penultima invocazione: «Non abbandonarci alla tentazione» (Mt 6,13). Un’altra versione dice: “Non lasciare che cadiamo in tentazione”. Il “Padre nostro” incomincia in maniera serena: ci fa desiderare che il grande progetto di Dio si possa compiere in mezzo a noi. Poi getta uno sguardo sulla vita, e ci fa domandare ciò di cui abbiamo bisogno ogni giorno: il “pane quotidiano”. Poi la preghiera si rivolge alle nostre relazioni interpersonali, spesso inquinate dall’egoismo: chiediamo il perdono e ci impegniamo a darlo. Ma è con questa penultima invocazione che il nostro dialogo con il Padre celeste entra, per così dire, nel vivo del dramma, cioè sul terreno del confronto tra la nostra libertà e le insidie del maligno.

Come è noto, l’espressione originale greca contenuta nei Vangeli è difficile da rendere in maniera esatta, e tutte le traduzioni moderne sono un po’ zoppicanti. Su un elemento però possiamo convergere in maniera unanime: comunque si comprenda il testo, dobbiamo escludere che sia Dio il protagonista delle tentazioni che incombono sul cammino dell’uomo. Come se Dio stesse in agguato per tendere insidie e tranelli ai suoi figli. Un’interpretazione di questo genere contrasta anzitutto con il testo stesso, ed è lontana dall’immagine di Dio che Gesù ci ha rivelato. Non dimentichiamo: il “Padre nostro” incomincia con “Padre”. E un padre non fa dei tranelli ai figli. I cristiani non hanno a che fare con un Dio invidioso, in competizione con l’uomo, o che si diverte a metterlo alla prova. Queste sono le immagini di tante divinità pagane. Leggiamo nella Lettera di Giacomo apostolo: «Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno» (1,13). Semmai il contrario: il Padre non è l’autore del male, a nessun figlio che chiede un pesce dà una serpe (cfr Lc 11,11) – come Gesù insegna – e quando il male si affaccia nella vita dell’uomo, combatte al suo fianco, perché possa esserne liberato. Un Dio che sempre combatte per noi, non contro di noi. È il Padre! È in questo senso che noi preghiamo il “Padre nostro”.

Questi due momenti – la prova e la tentazione – sono stati misteriosamente presenti nella vita di Gesù stesso. In questa esperienza il Figlio di Dio si è fatto completamente nostro fratello, in una maniera che sfiora quasi lo scandalo. E sono proprio questi brani evangelici a dimostrarci che le invocazioni più difficili del “Padre nostro”, quelle che chiudono il testo, sono già state esaudite: Dio non ci ha lasciato soli, ma in Gesù Egli si manifesta come il “Dio-con-noi” fino alle estreme conseguenze. È con noi quando ci dà la vita, è con noi durante la vita, è con noi nella gioia, è con noi nelle prove, è con noi nelle tristezze, è con noi nelle sconfitte, quando noi pecchiamo, ma sempre è con noi, perché è Padre e non può abbandonarci.

Se siamo tentati di compiere il male, negando la fraternità con gli altri e desiderando un potere assoluto su tutto e tutti, Gesù ha già combattuto per noi questa tentazione: lo attestano le prime pagine dei Vangeli. Subito dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni, in mezzo alla folla dei peccatori, Gesù si ritira nel deserto e viene tentato da Satana. Incomincia così la vita pubblica di Gesù, con la tentazione che viene da Satana. Satana era presente. Tanta gente dice: “Ma perché parlare del diavolo che è una cosa antica? Il diavolo non esiste”. Ma guarda che cosa ti insegna il Vangelo: Gesù si è confrontato con il diavolo, è stato tentato da Satana. Ma Gesù respinge ogni tentazione ed esce vittorioso. Il Vangelo di Matteo ha una nota interessante che chiude il duello tra Gesù e il Nemico: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (4,11).

Ma anche nel tempo della prova suprema Dio non ci lascia soli. Quando Gesù si ritira a pregare nel Getsemani, il suo cuore viene invaso da un’angoscia indicibile – così dice ai discepoli – ed Egli sperimenta la solitudine e l’abbandono. Solo, con la responsabilità di tutti i peccati del mondo sulle spalle; solo, con un’angoscia indicibile. La prova è tanto lacerante che capita qualcosa di inaspettato. Gesù non mendica mai amore per sé stesso, eppure in quella notte sente la sua anima triste fino alla morte, e allora chiede la vicinanza dei suoi amici: «Restate qui e vegliate con me!» (Mt 26,38). Come sappiamo, i discepoli, appesantiti da un torpore causato dalla paura, si addormentarono. Nel tempo dell’agonia, Dio chiede all’uomo di non abbandonarlo, e l’uomo invece dorme. Nel tempo in cui l’uomo conosce la sua prova, Dio invece veglia. Nei momenti più brutti della nostra vita, nei momenti più sofferenti, nei momenti più angoscianti, Dio veglia con noi, Dio lotta con noi, è sempre vicino a noi. Perché? Perché è Padre. Così abbiamo incominciato la preghiera: “Padre nostro”. E un padre non abbandona i suoi figli. Quella notte di dolore di Gesù, di lotta sono l’ultimo sigillo dell’Incarnazione: Dio scende a trovarci nei nostri abissi e nei travagli che costellano la storia.

È il nostro conforto nell’ora della prova: sapere che quella valle, da quando Gesù l’ha attraversata, non è più desolata, ma è benedetta dalla presenza del Figlio di Dio. Lui non ci abbandonerà mai!

Allontana dunque da noi, o Dio, il tempo della prova e della tentazione. Ma quando arriverà per noi questo tempo, Padre nostro, mostraci che non siamo soli. Tu sei il Padre. Mostraci che il Cristo ha già preso su di sé anche il peso di quella croce. Mostraci che Gesù ci chiama a portarla con Lui, abbandonandoci fiduciosi al tuo amore di Padre. Grazie.


28 aprile 2019

Pace a voi!

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».

Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»


11 aprile 2019

La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali


Di Benedetto XVI, Papa emerito

"...vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!"

CITTÀ DEL VATICANO , 11 aprile, 2019
Dal 21 al 24 febbraio 2019, su invito di Papa Francesco, si sono riuniti in Vaticano i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per riflettere insieme sulla crisi della fede e della Chiesa avvertita in tutto il mondo a seguito della diffusione delle sconvolgenti notizie di abusi commessi da chierici su minori. La mole e la gravità delle informazioni su tali episodi hanno profondamente scosso sacerdoti e laici e in non pochi di loro hanno determinato la messa in discussione della fede della Chiesa come tale. Si doveva dare un segnale forte e si doveva provare a ripartire per rendere di nuovo credibile la Chiesa come luce delle genti e come forza che aiuta nella lotta contro le potenze distruttrici.
Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi – pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità – come, a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questa ripresa. E così, nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio, ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile. A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su “Klerusblatt” il testo così concepito.
Il mio lavoro è suddiviso in tre parti. In un primo punto tento molto brevemente di delineare in generale il contesto sociale della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile. Cerco di mostrare come negli anni ’60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare.
In un secondo punto provo ad accennare alle conseguenze di questa situazione nella formazione e nella vita dei sacerdoti.
Infine, in una terza parte, svilupperò alcune prospettive per una giusta risposta da parte della Chiesa.
I
Il processo iniziato negli anni ’60 e la teologia morale
  1. La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità. In Germania Käte Strobel, la Ministra della salute di allora, fece produrre un film a scopo informativo nel quale veniva rappresentato tutto quello che sino a quel momento non poteva essere mostrato pubblicamente, rapporti sessuali inclusi. Quello che in un primo tempo era pensato solo per informare i giovani, in seguito, come fosse ovvio, è stato accettato come possibilità generale.
Sortì effetti simili anche la “Sexkoffer” [valigia del sesso] curata dal governo austriaco. Film a sfondo sessuale e pornografici divennero una realtà, sino al punto da essere proiettati anche nei cinema delle stazioni. Ricordo ancora come un giorno, andando per Ratisbona, vidi che attendeva di fronte a un grande cinema una massa di persone come sino ad allora si era vista solo in tempo di guerra quando si sperava in qualche distribuzione straordinaria. Mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente.
Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comunità di passeggeri scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio.
Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi.
  1. Indipendentemente da questo sviluppo, nello stesso periodo si è verificato un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società. Cerco di delineare molto brevemente lo svolgimento di questa dinamica. Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalisticamente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia. Ricordo ancora come la Facoltà dei gesuiti di Francoforte preparò un giovane padre molto dotato (Bruno Schüller) per l’elaborazione di una morale completamente fondata sulla Scrittura. La bella dissertazione di padre Schüller mostra il primo passo dell’elaborazione di una morale fondata sulla Scrittura. Padre Schüller venne poi mandato negli Stati Uniti d’America per proseguire gli studi e tornò con la consapevolezza che non era possibile elaborare sistematicamente una morale solo a partire dalla Bibbia. Egli tentò successivamente di elaborare una teologia morale che procedesse in modo più pragmatico, senza però con ciò riuscire a fornire una risposta alla crisi della morale.
Infine si affermò ampiamente la tesi per cui la morale dovesse essere definita solo in base agli scopi dell’agire umano. Il vecchio adagio “il fine giustifica i mezzi” non veniva ribadito in questa forma così rozza, e tuttavia la concezione che esso esprimeva era divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tantomeno qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio.
Sul finire degli anni ’80 e negli anni ’90 la crisi dei fondamenti e della presentazione della morale cattolica raggiunse forme drammatiche. Il 5 gennaio 1989 fu pubblicata la “Dichiarazione di Colonia” firmata da 15 professori di teologia cattolici che si concentrava su diversi punti critici del rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle rimostranze, crebbe tuttavia molto velocemente sino a trasformarsi in grido di protesta contro il magistero della Chiesa, raccogliendo in modo ben visibile e udibile il potenziale di opposizione che in tutto il mondo andava montando contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II (cfr. D. Mieth, Kölner Erklärung, LThK, VI3,196).
Papa Giovanni Paolo II, che conosceva molto bene la situazione della teologia morale e la seguiva con attenzione, dispose che s’iniziasse a lavorare a un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Fu pubblicata con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993 suscitando violente reazioni contrarie da parte dei teologi morali. In precedenza, già c’era stato il Catechismo della Chiesa cattolica che aveva sistematicamente esposto in maniera convincente la morale insegnata dalla Chiesa.
Non posso dimenticare che Franz Böckle – allora fra i principali teologi morali di lingua tedesca, che dopo essere stato nominato professore emerito si era ritirato nella sua patria svizzera –, in vista delle possibili decisioni di Veritatis splendor, dichiarò che se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva. Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991. L’Enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993 e in effetti conteneva l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone. Il Papa era pienamente consapevole del peso di quella decisione in quel momento e, proprio per questa parte del suo scritto, aveva consultato ancora una volta esperti di assoluto livello che di per sé non avevano partecipato alla redazione dell’Enciclica. Non ci poteva e non ci doveva essere alcun dubbio che la morale fondata sul principio del bilanciamento di beni deve rispettare un ultimo limite. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Che esso in fondo, nella teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, non sia più moralmente necessario, mostra che qui ne va dell’essenza stessa del cristianesimo.
Nella teologia morale, nel frattempo, era peraltro divenuta pressante un’altra questione: si era ampiamente affermata la tesi che al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva (“infallibilità”) solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale. In questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito. E tuttavia c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta. Da tutto ciò emerge come sia messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Chi in quest’ambito nega alla Chiesa un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna.
Indipendentemente da tale questione, in ampi settori della teologia morale si sviluppò la tesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. Nell’affermare questo si sottolinea come tutte le affermazioni morali avrebbero degli equivalenti anche nelle altre religioni e che dunque non potrebbe esistere un proprium cristiano. Ma alla questione del proprium di una morale biblica, non si risponde affermando che, per ogni singola frase, si può trovare da qualche parte un’equivalente in altre religioni. È invece l’insieme della morale biblica che come tale è nuovo e diverso rispetto alle singole parti. La peculiarità dell’insegnamento morale della Sacra Scrittura risiede ultimamente nel suo ancoraggio all’immagine di Dio, nella fede nell’unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e che ha vissuto come uomo. Il Decalogo è un’applicazione alla vita umana della fede biblica in Dio. Immagine di Dio e morale vanno insieme e producono così quello che è specificamente nuovo dell’atteggiamento cristiano verso il mondo e la vita umana. Del resto, sin dall’inizio il cristianesimo è stato descritto con la parola hodòs. La fede è un cammino, un modo di vivere. Nella Chiesa antica, rispetto a una cultura sempre più depravata, fu istituito il catecumenato come spazio di esistenza nel quale quel che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano veniva insegnato e anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune. Penso che anche oggi sia necessario qualcosa di simile a comunità catecumenali affinché la vita cristiana possa affermarsi nella sua peculiarità.
II
Prime reazioni ecclesiali
  1. Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa. Nell’ambito dell’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, interessa soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente sino a quel momento di questa preparazione.
In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata nel dettaglio. Come primo passo fu disposta una Visita apostolica nei seminari degli Stati Uniti.
Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi valeva ora soprattutto la loro “conciliarità”, potendo intendersi naturalmente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chiesa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momento, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo. Un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva mostrato ai seminaristi film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede. Vi furono singoli vescovi – e non solo negli Stati Uniti d’America – che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna “cattolicità”. Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco.
La Visita che seguì non portò nuove informazioni, perché evidentemente diverse forze si erano coalizzate al fine di occultare la situazione reale. Venne disposta una seconda Visita che portò assai più informazioni, ma nel complesso non ebbe conseguenze. Ciononostante, a partire dagli anni ’70, la situazione nei seminari in generale si è consolidata. E tuttavia solo sporadicamente si è verificato un rafforzamento delle vocazioni, perché nel complesso la situazione si era sviluppata diversamente.
  1. La questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti nel frattempo era già cresciuta, divenendo un problema pubblico. Così i vescovi chiesero aiuto a Roma perché il diritto canonico, così come fissato nel Nuovo Codice, non appariva sufficiente per adottare le misure necessarie. In un primo momento Roma e i canonisti romani ebbero delle difficoltà con questa richiesta; a loro avviso, per ottenere purificazione e chiarimento, sarebbe dovuta bastare la sospensione temporanea dal ministero sacerdotale. Questo non poteva essere accettato dai vescovi americani perché in questo modo i sacerdoti restavano al servizio del vescovo, venendo così ritenuti come figure direttamente a lui legate. Un rinnovamento e un approfondimento del diritto penale, intenzionalmente costruito in modo blando nel Nuovo Codice, poté farsi strada solo lentamente.
A questo si aggiunse un problema di fondo che riguardava la concezione del diritto penale. Ormai era considerato “conciliare” solo il così detto “garantismo”. Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna. Come contrappeso alla possibilità spesso insufficiente di difendersi da parte di teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero quasi impossibili.
Mi sia consentito a questo punto un breve excursus. Di fronte all’estensione delle colpe di pedofilia, viene in mente una parola di Gesù che dice: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42). Nel suo significato originario questa parola non parla dell’adescamento di bambini a scopo sessuale. Il termine «i piccoli» nel linguaggio di Gesù designa i credenti semplici, che potrebbero essere scossi nella loro fede dalla superbia intellettuale di quelli che si credono intelligenti. Gesù qui allora protegge il bene della fede con una perentoria minaccia di pena per coloro che le recano offesa. Il moderno utilizzo di quelle parole in sé non è sbagliato, ma non deve occultare il loro senso originario. In esso, contro ogni garantismo, viene chiaramente in luce che è importante e abbisogna di garanzia non solo il diritto dell’accusato. Sono altrettanto importanti beni preziosi come la fede. Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dell’accusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge. Deve proteggere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: protezione giuridica dell’accusato e protezione giuridica del bene che è in gioco. Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione giuridica della fede. Nella coscienza giuridica comune la fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. È una situazione preoccupante, sulla quale i pastori della Chiesa devono riflettere e considerare seriamente.
Ai brevi accenni sulla situazione della formazione sacerdotale al momento del deflagrare pubblico della crisi, vorrei ora aggiungere alcune indicazioni sull’evoluzione del diritto canonico in questa questione. In sé, per i delitti commessi dai sacerdoti è responsabile la Congregazione per il clero. Poiché tuttavia in essa il garantismo allora dominava ampiamente la situazione, concordammo con papa Giovanni Paolo II sull’opportunità di attribuire la competenza su questi delitti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, con la titolatura “Delicta maiora contra fidem”. Con questa attribuzione diveniva possibile anche la pena massima, vale a dire la riduzione allo stato laicale, che invece non sarebbe stata comminabile con altre titolature giuridiche. Non si trattava di un escamotage per poter comminare la pena massima, ma una conseguenza del peso della fede per la Chiesa. In effetti è importante tener presente che, in simili colpe di chierici, ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti. La gravità della pena presuppone tuttavia anche una chiara prova del delitto commesso: è il contenuto del garantismo che rimane in vigore. In altri termini: per poter legittimamente comminare la pena massima è necessario un vero processo penale. E tuttavia, in questo modo si chiedeva troppo sia alle diocesi che alla Santa Sede. E così stabilimmo una forma minima di processo penale e lasciammo aperta la possibilità che la stessa Santa Sede avocasse a sé il processo nel caso che la diocesi o la metropolia non fossero in grado di svolgerlo. In ogni caso il processo doveva essere verificato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per garantire i diritti dell’accusato. Alla fine, però, nella Feria IV (vale a dire la riunione di tutti i membri della Congregazione), creammo un’istanza d’appello, per avere anche la possibilità di un ricorso contro il processo. Poiché tutto questo in realtà andava al di là delle forze della Congregazione per la Dottrina della Fede e si verificavano dei ritardi che invece, a motivo della materia, dovevano essere evitati, papa Francesco ha intrapreso ulteriori riforme.
III
Alcune prospettive
  1. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è già fallito. Solo l’amore e l’obbedienza a nostro Signore Gesù Cristo possono indicarci la via giusta. Proviamo perciò innanzitutto a comprendere in modo nuovo e in profondità cosa il Signore abbia voluto e voglia da noi.
In primo luogo direi che, se volessimo veramente sintetizzare al massimo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signore ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio. È redento chi si affida all’amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull’incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini.
Se ora proviamo a svolgere un po’ più ampiamente questo contenuto essenziale della Rivelazione di Dio, potremmo dire: il primo fondamentale dono che la fede ci offre consiste nella certezza che Dio esiste. Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove proviene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate – solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene – anche la vita dell’uomo può avere un senso.
Che Dio ci sia come creatore e misura di tutte le cose, è innanzitutto un’esigenza originaria. Ma un Dio che non si manifestasse affatto, che non si facesse riconoscere, resterebbe un’ipotesi e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita. Affinché Dio sia realmente Dio nella creazione consapevole, dobbiamo attenderci che egli si manifesti in una qualche forma. Egli lo ha fatto in molti modi, e in modo decisivo nella chiamata che fu rivolta ad Abramo e diede all’uomo quell’orientamento, nella ricerca di Dio, che supera ogni attesa: Dio diviene creatura egli stesso, parla a noi uomini come uomo.
Così finalmente la frase “Dio è” diviene davvero una lieta novella, proprio perché è più che conoscenza, perché genera amore ed è amore. Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo, rappresenta il primo e fondamentale compito che il Signore ci assegna.
Una società nella quale Dio è assente – una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della “morte di Dio”. Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta, essa si è diffusa sempre più. E ora, scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani si commettono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti deve scuoterci e scandalizzarci in misura particolare.
Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza.
Il primo compito che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo consiste nell’iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivolti a lui e in obbedienza a lui. Soprattutto dobbiamo noi stessi di nuovo imparare a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita e non accantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi. Mi resta impresso il monito che il grande teologo Hans Urs von Balthasar vergò una volta su uno dei suoi biglietti: «Il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo: non presupporlo ma anteporlo!». In effetti, anche nella teologia, spesso Dio viene presupposto come fosse un’ovvietà, ma concretamente di lui non ci si occupa. Il tema “Dio” appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire.
  1. Dio è divenuto uomo per noi. La creatura uomo gli sta talmente a cuore che egli si è unito a essa entrando concretamente nella storia. Parla con noi, vive con noi, soffre con noi e per noi ha preso su di sé la morte. Di questo certo parliamo diffusamente nella teologia con un linguaggio e con concetti dotti. Ma proprio così nasce il pericolo che ci facciamo signori della fede, invece di lasciarci rinnovare e dominare dalla fede.
Consideriamo questo riflettendo su un punto centrale, la celebrazione della Santa Eucaristia. Il nostro rapporto con l’Eucaristia non può che destare preoccupazione. A ragione il Vaticano II intese mettere di nuovo al centro della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa questo sacramento della presenza del corpo e del sangue di Cristo, della presenza della sua persona, della sua passione, morte e risurrezione. In parte questa cosa è realmente avvenuta e per questo vogliamo di cuore ringraziare il Signore.
Ma largamente dominante è un altro atteggiamento: non domina un nuovo profondo rispetto di fronte alla presenza della morte e risurrezione di Cristo, ma un modo di trattare con lui che distrugge la grandezza del mistero. La calante partecipazione alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia mostra quanto poco noi cristiani di oggi siamo in grado di valutare la grandezza del dono che consiste nella Sua presenza reale. L’Eucaristia è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano che sia distribuita a tutti gli invitati a ragione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familiari o eventi come matrimoni e funerali. L’ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo Sacramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale. Se riflettiamo sul da farsi, è chiaro che non abbiamo bisogno di un’altra Chiesa inventata da noi. Quel che è necessario è invece il rinnovamento della fede nella realtà di Gesù Cristo donata a noi nel Sacramento.
Nei colloqui con le vittime della pedofilia sono divenuto consapevole con sempre maggiore forza di questa necessità. Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale, che era suo superiore visto che lei era chierichetta, introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei con queste parole: «Questo è il mio corpo che è dato per te». È evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. Sì, dobbiamo urgentemente implorare il perdono del Signore e soprattutto supplicarlo e pregarlo di insegnare a noi tutti a comprendere nuovamente la grandezza della sua passione, del suo sacrificio. E dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia.
  1. Ed ecco infine il mistero della Chiesa. Restano impresse nella memoria le parole con cui ormai quasi cento anni fa Romano Guardini esprimeva la gioiosa speranza che allora si affermava in lui e in molti altri: “Un evento di incalcolabile portata è iniziato: La Chiesa si risveglia nelle anime”. Con questo intendeva dire che la Chiesa non era più, come prima, semplicemente un apparato che ci si presenta dal di fuori, vissuta e percepita come una specie di ufficio, ma che iniziava ad essere sentita viva nei cuori stessi: non come qualcosa di esteriore ma che ci toccava dal di dentro. Circa mezzo secolo dopo, riflettendo di nuovo su quel processo e guardando a cosa era appena accaduto, fui tentato di capovolgere la frase: “La Chiesa muore nelle anime”. In effetti oggi la Chiesa viene in gran parte vista solo come una specie di apparato politico. Di fatto, di essa si parla solo utilizzando categorie politiche e questo vale persino per dei vescovi che formulano la loro idea sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici. La crisi causata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisamente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo. Ma una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza.
Gesù stesso ha paragonato la Chiesa a una rete da pesca nella quale stanno pesci buoni e cattivi, essendo Dio stesso colui che alla fine dovrà separare gli uni dagli altri. Accanto c’è la parabola della Chiesa come un campo sul quale cresce il buon grano che Dio stesso ha seminato, ma anche la zizzania che un “nemico” di nascosto ha seminato in mezzo al grano. In effetti, la zizzania nel campo di Dio, la Chiesa, salta all’occhio per la sua quantità e anche i pesci cattivi nella rete mostrano la loro forza. Ma il campo resta comunque campo di Dio e la rete rimane rete da pesca di Dio. E in tutti i tempi c’è e ci saranno non solo la zizzania e i pesci cattivi ma anche la semina di Dio e i pesci buoni. Annunciare in egual misura entrambe con forza non è falsa apologetica, ma un servizio necessario reso alla verità.
In quest’ambito è necessario rimandare a un importante testo della Apocalisse di San Giovanni. Qui il diavolo è chiamato accusatore che accusa i nostri fratelli dinanzi a Dio giorno e notte (Ap 12,10). In questo modo l’Apocalisse riprende un pensiero che sta al centro del racconto che fa da cornice al libro di Giobbe (Gb 1 e 2, 10; 42, 7-16). Qui si narra che il diavolo tenta di screditare la rettitudine e l’integrità di Giobbe come puramente esteriori e superficiali. Si tratta proprio di quello di cui parla l’Apocalisse: il diavolo vuole dimostrare che non ci sono uomini giusti; che tutta la giustizia degli uomini è solo una rappresentazione esteriore. Che se la si potesse saggiare di più, ben presto l’apparenza della giustizia svanirebbe. Il racconto inizia con una disputa fra Dio e il diavolo in cui Dio indicava in Giobbe un vero giusto. Ora sarà dunque lui il banco di prova per stabilire chi ha ragione. “Togligli quanto possiede – argomenta il diavolo – e vedrai che nulla resterà della sua devozione”. Dio gli permette questo tentativo dal quale Giobbe esce in modo positivo. Ma il diavolo continua e dice: “Pelle per pelle; tutto quanto ha, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia” (Gb 2, 4s). Così Dio concede al diavolo una seconda possibilità. Gli è permesso anche di stendere la mano su Giobbe. Unicamente gli è precluso ucciderlo. Per i cristiani è chiaro che quel Giobbe che per tutta l’umanità esemplarmente sta di fronte a Dio è Gesù Cristo. Nell’Apocalisse, il dramma dell’uomo è rappresentato in tutta la sua ampiezza. Al Dio creatore si contrappone il diavolo che scredita l’intera creazione e l’intera umanità. Egli si rivolge non solo a Dio ma soprattutto agli uomini dicendo: “Ma guardate cosa ha fatto questo Dio. Apparentemente una creazione buona. In realtà nel suo complesso è piena di miseria e di schifo”. Il denigrare la creazione in realtà è un denigrare Dio. Il diavolo vuole dimostrare che Dio stesso non è buono e vuole allontanarci da lui.
L’attualità di quel che dice l’Apocalisse è lampante. L’accusa contro Dio oggi si concentra soprattutto nello screditare la sua Chiesa nel suo complesso e così nell’allontanarci da essa. L’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente. No, anche oggi la Chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania. La Chiesa di Dio c’è anche oggi, e proprio anche oggi essa è lo strumento con il quale Dio ci salva. È molto importante contrapporre alle menzogne e alle mezze verità del diavolo tutta la verità: sì, il peccato e il male nella Chiesa ci sono. Ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile. Anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama. Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (“martyres”) nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli.
Il termine martire è tratto dal diritto processuale. Nel processo contro il diavolo, Gesù Cristo è il primo e autentico testimone di Dio, il primo martire, al quale da allora innumerevoli ne sono seguiti. La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente. Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa, possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro sofferenza si impegnano per Dio. È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Fra i compiti grandi e fondamentali del nostro annuncio c’è, nel limite delle nostre possibilità, il creare spazi di vita per la fede, e soprattutto il trovarli e il riconoscerli.
Vivo in una casa nella quale una piccola comunità di persone scopre di continuo, nella quotidianità, testimoni così del Dio vivo, indicandoli anche a me con letizia. Vedere e trovare la Chiesa viva è un compito meraviglioso che rafforza noi stessi e che sempre di nuovo ci fa essere lieti della fede.
Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!