30 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 30 aprile 2020

    Preghiamo oggi per i defunti, coloro che sono morti per la pandemia; e anche in modo speciale per i defunti – diciamo così – anonimi: abbiamo visto le fotografie delle fosse comuni. Tanti…


Liturgia della Parola: At 8,26-40; 􏰞􏰒􏰠􏰳􏰟􏰜􏰡􏰧 Sal 65;􏰳􏰣􏰧 Gv 􏰳􏰒􏰜􏰜􏰟􏰣􏰝6,44-51

Omelia - Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica

    «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre». Gesù ricorda che anche i profeti avevano preannunciato questo: «E tutti saranno istruiti da Dio». È Dio che attira alla conoscenza del Figlio. Senza questo, non si può conoscere Gesù. Sì, si può studiare, anche studiare la Bibbia, anche conoscere come è nato, cosa ha fatto, questo sì. Ma conoscerlo da dentro, conoscere il mistero di Cristo è soltanto per coloro che sono attirati dal Padre a questo.
    Questo è quello che è successo a questo ministro dell’economia della regina d’Etiopia. Si vede che era un uomo pio e che si è preso il tempo, in mezzo a tanti suoi affari, per andare ad adorare Dio. Un credente. E tornava in patria leggendo il profeta Isaia. Il Signore prende Filippo, lo invia in quel posto e poi gli dice: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». E sente il ministro che sta leggendo Isaia. Si avvicina e gli fa una domanda: “Capisci?” – «E come potrei capire, se nessuno mi guida?», e fa la domanda: “Di chi dice questo, il profeta?... Ti prego, sali in carrozza”. E durante il viaggio – non so quanto tempo, penso almeno un paio di ore – Filippo spiegò, spiegò Gesù.
    Quella inquietudine che aveva questo signore nella lettura del profeta Isaia era proprio del Padre, che attirava verso Gesù: lo aveva preparato, lo aveva portato dall’Etiopia a Gerusalemme per adorare Dio e poi, con questa lettura, aveva preparato il cuore per rivelare Gesù. Al punto che appena vide l’acqua disse: “Posso essere battezzato?”. E lui credette.
    E questo - che nessuno può conoscere Gesù senza che il Padre lo attiri - questo è valido per il nostro apostolato, per la nostra missione apostolica come cristiani. Penso anche alle missioni. “Cosa vai a fare nelle missioni?” – “Io, a convertire la gente” – “Ma fermati, tu non convertirai nessuno! Sarà il Padre ad attirare quei cuori per riconoscere Gesù”. Andare in missione è dare testimonianza della propria fede; senza testimonianza non farai nulla. Andare in missione – e sono bravi i missionari! – non significa fare strutture grandi, cose…, e fermarsi così. No, le strutture devono essere testimonianze. Tu puoi fare una struttura ospedaliera, educativa di grande perfezione, di grande sviluppo, ma se una struttura è senza testimonianza cristiana, il tuo lavoro lì non sarà un lavoro di testimone, un lavoro di vera predicazione di Gesù: sarà una società di beneficenza, molto buona – molto buona! – ma niente di più.
    Se io voglio andare in missione…, se io voglio andare in apostolato, devo andare con la disponibilità che il Padre attiri la gente a Gesù, e questo lo fa la testimonianza. Gesù stesso lo dice a Pietro, quando confessa che Lui è il Messia: “Tu sei beato, Simon Pietro, perché questo te lo ha rivelato il Padre”. È il Padre che attira, e attira anche con la nostra testimonianza. “Io farò tante opere, qui, di qua, di là, di educazione, di questo, dell’altro…”, ma senza testimonianza sono cose buone, ma non sono l’annuncio del Vangelo, non sono posti che diano la possibilità che il Padre attiri alla conoscenza di Gesù. Lavoro e testimonianza.
    “Ma come posso fare perché il Padre si preoccupi di attirare quella gente?”. La preghiera. Questa è la preghiera per le missioni: pregare perché il Padre attiri la gente verso Gesù. Testimonianza e preghiera, vanno insieme. Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica, non si può fare annuncio. Farai una bella predica morale, farai tante cose buone, tutte buone. Ma il Padre non avrà la possibilità di attirare la gente a Gesù. E questo è il centro: questo è il centro del nostro apostolato, che il Padre possa attirare la gente a Gesù. La nostra testimonianza apre le porte alla gente e la nostra preghiera apre le porte al cuore del Padre perché attiri la gente. Testimonianza e preghiera. E questo non è soltanto per le missioni, è anche per il nostro lavoro come cristiani. Io do testimonianza di vita cristiana, davvero, con il mio stile di vita? Io prego perché il Padre attiri la gente verso Gesù?
    Questa è la grande regola per il nostro apostolato, dappertutto, e in modo speciale per le missioni. Andare in missione non è fare proselitismo. Una volta, una signora – buona, si vedeva che era di buona volontà – si è avvicinata con due ragazzi, un ragazzo e una ragazza, e mi ha detto: “Questo ragazzo, Padre, era protestante e si è convertito: io l’ho convinto. E questa ragazza era…” - non so, animista, non so cosa mi ha detto - “e l’ho convertita”. E la signora era buona: buona. Ma sbagliava. Io ho perso un po’ la pazienza e ho detto: “Senti, tu non hai convertito nessuno: è stato Dio a toccare il cuore della gente. E non dimenticarti: testimonianza, sì; proselitismo, no”.
    Chiediamo al Signore la grazia di vivere il nostro lavoro con testimonianza e con preghiera, perché Lui, il Padre, possa attirare la gente verso Gesù.

Preghiera per fare la comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altre. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio corpo. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te. Non permettere che mi abbia mai a separare da te.


29 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 29 aprile 2020

    Oggi è la festa di Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, Patrona d’Europa. Preghiamo per l’Europa, per l’unità dell’Europa, per l’unità dell’Unione Europea: perché tutti insieme possiamo andare avanti come fratelli.


Liturgia della Parola: 1Gv 1,5-2,2; 􏰝􏰒􏰣􏰟􏰠􏰒􏰠􏰧Sal 102;􏰝􏰡􏰠􏰧 Mt 􏰝􏰝􏰒􏰠􏰣􏰟􏰯􏰡11,25-30

Omelia - La concretezza e la semplicità dei piccoli

    Nella prima Lettera di San Giovanni apostolo ci sono tanti contrasti: fra luce e tenebre, tra bugia e verità, tra peccato e innocenza. Ma sempre l’apostolo richiama alla concretezza, alla verità, e ci dice che non possiamo essere in comunione con Gesù e camminare nelle tenebre, perché Lui è luce. O una cosa o l’altra: il grigio è peggio ancora, perché il grigio ti fa credere che tu cammini nella luce, perché non sei nelle tenebre, e questo ti tranquillizza. È molto traditore, il grigio. O una cosa o l’altra.
    L’apostolo continua: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è con noi», perché tutti abbiamo peccato, tutti siamo peccatori. E qui c’è una cosa che ci può ingannare: dicendo “tutti siamo peccatori”, come chi dice “buongiorno”, “buona giornata”, una cosa abituale, anche una cosa sociale, non abbiamo una vera coscienza del peccato. No: io sono peccatore per questo, questo, questo. La concretezza. La concretezza della verità: la verità è sempre concreta; le bugie sono eteree, sono come l’aria, tu non puoi prenderla. La verità è concreta. E tu non puoi andare a confessare i tuoi peccati in modo astratto: “Sì, io…, sì, una volta ho perso la pazienza, un’altra…”, e cose astratte. “Sono peccatore”. La concretezza: “Io ho fatto questo. Io ho pensato questo. Io ho detto questo”. La concretezza è quello che mi fa sentire peccatore sul serio e non “peccatore nell’aria”.
    Gesù dice nel Vangelo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». La concretezza dei piccoli. È bello ascoltare i piccoli quando vengono a confessarsi: non dicono cose strane, “nell’aria”; dicono cose concrete, e alle volte troppo concrete perché hanno quella semplicità che Dio dà ai piccoli. Ricordo sempre un bambino che una volta è venuto a dirmi che era triste perché aveva litigato con la zia. Ma poi è andato avanti. Io ho detto: “Ma cosa hai fatto?” – “Io ero a casa, volevo andare a giocare a calcio – un bambino –, ma la zia – mamma non c’era – dice: «No, tu non esci: tu prima devi fare i compiti». Parola va, parola viene, e alla fine l’ho mandata a quel paese”. Era un bambino di grande cultura geografica: mi ha detto anche il nome del paese al quale aveva mandato la zia! Sono così: semplici, concreti.
    Anche noi dobbiamo essere semplici, concreti. La concretezza ti porta all’umiltà, perché l’umiltà è concreta. “Siamo tutti peccatori” è una cosa astratta. No: “Io sono peccatore per questo, questo e questo”. E questo mi porta alla vergogna di guardare a Gesù: “Perdonami”. Il vero atteggiamento del peccatore. «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi». E un modo di dire che siamo senza peccato è questo atteggiamento astratto: “Sì, siamo peccatori, sì, ho perso la pazienza una volta…”, ma tutto “nell’aria”. Non mi accorgo della realtà dei miei peccati. “Ma, sa, tutti, tutti facciamo queste cose, mi spiace, mi spiace…, mi dà dolore, non voglio farlo più, non voglio dirlo più, non voglio pensarlo più…”. È importante che dentro di noi diamo nomi ai nostri peccati. La concretezza. Perché se ci manteniamo “nell’aria”, finiremo nelle tenebre. Diventiamo come i piccoli, che dicono quello che sentono, quello che pensano: ancora non hanno imparato l’arte di dire le cose un po’ “incartate” perché si capiscano ma non si dicano. Questa è un’arte dei grandi, che tante volte non ci fa bene.
    Ieri ho ricevuto una lettera di un ragazzo di Caravaggio. Si chiama Andrea. E mi raccontava cose sue. Le lettere dei ragazzi, dei bambini sono bellissime, per la concretezza. E mi diceva che aveva sentito la Messa per televisione e che doveva “rimproverarmi” una cosa: che io dico “la pace sia con voi”, “e tu non puoi dire questo perché con la pandemia noi non possiamo toccarci”. Non vede che voi [qui in chiesa] fate un inchino con la testa e non vi toccate. Ma ha la libertà di dire le cose come sono.
    Anche noi, con il Signore, dobbiamo avere la libertà di dire le cose come sono: “Signore, io sono nel peccato, aiutami”. Come Pietro dopo la prima pesca miracolosa: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Avere questa saggezza della concretezza. Perché il diavolo vuole che noi viviamo nel tepore, tiepidi, nel grigio: né buoni né cattivi, né bianco né nero, grigio. Una vita che non piace al Signore. Al Signore non piacciono i tiepidi. Concretezza. Per non essere bugiardi. «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci». Ci perdona quando noi siamo concreti. È tanto semplice la vita spirituale, tanto semplice; ma noi la rendiamo complicata con queste sfumature, e alla fine non arriviamo mai…
    Chiediamo al Signore la grazia della semplicità. Che Lui ci dia questa grazia che dà ai semplici, ai bambini, ai ragazzi che dicono quello che sentono, che non nascondono quello che sentono. Anche se è una cosa sbagliata, ma lo dicono. Anche con Lui, dire le cose: la trasparenza. E non vivere una vita che non è una cosa né l’altra. La grazia della libertà per dire queste cose; e anche la grazia di conoscere bene chi siamo noi davanti a Dio.

Preghiera per fare la comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te.

28 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 28 aprile 2020

    In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni.


Liturgia della Parola: At 7,51-8,1; 􏱀􏰒􏰣􏰝􏰟􏰞􏰒􏰝􏰧 Sal 30; 􏰯􏰡􏰧 Gv 􏰳􏰒􏰯􏰡􏰟􏰯􏰣6,30-35

Omelia - Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio

    Nella prima Lettura di questi giorni abbiamo ascoltato il martirio di Stefano: una cosa semplice, come è successo. I dottori della Legge non tolleravano la chiarezza della [sua] dottrina, e, appena proclamata, sono andati a chiedere a qualcuno che dicesse di aver sentito dire che Stefano bestemmiava contro Dio, contro la Legge. E dopo questo, gli piombarono addosso e lo lapidarono: così, semplicemente. È una struttura di azione che non è la prima: anche con Gesù hanno fatto lo stesso. Il popolo, che era lì [incerto], han cercato di convincerlo che era un bestemmiatore e loro hanno gridato: «Crocifiggilo!». È una bestialità. Una bestialità, partire dalle false testimonianze per arrivare a “fare giustizia”. Questo è lo schema. Anche nella Bibbia ci sono casi del genere: a Susanna hanno fatto lo stesso, a Nabot hanno fatto lo stesso, poi Aman ha cercato di fare lo stesso con il popolo di Dio. Notizie false, calunnie che riscaldano il popolo e chiedono la giustizia. È un linciaggio, un vero linciaggio.
    E così, lo portano al giudice, perché il giudice dia forma legale a questo: ma già è stato giudicato; il giudice deve essere molto, molto coraggioso per andare contro un giudizio “così popolare”, fatto apposta, preparato. È il caso di Pilato: Pilato vide chiaramente che Gesù era innocente, ma vide il popolo, se ne lavò le mani. È un modo di fare giurisprudenza. Anche oggi lo vediamo, questo: anche oggi è in atto, in alcuni Paesi, quando si vuole fare un colpo di Stato o “far fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo: notizie false, calunnie, poi si affida ad un giudice di quelli ai quali piace creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda, e poi condanna. È un linciaggio sociale. E così è stato fatto a Stefano, così è stato fatto il giudizio di Stefano: portano a giudicare uno già giudicato dal popolo ingannato.
    Questo succede anche con i martiri di oggi: i giudici non hanno possibilità di fare giustizia perché sono già stati giudicati. Pensiamo ad Asia Bibi, per esempio, che abbiamo visto: dieci anni in carcere perché è stata giudicata da una calunnia e un popolo che ne vuole la morte. Davanti a questa valanga di notizie false che creano opinione, tante volte non si può fare nulla, non si può fare nulla.
    Io penso tanto, in questo, alla Shoah. La Shoah è un caso del genere. È stata creata l’opinione contro un popolo e poi era normale dire: “Sì, sì, vanno uccisi, vanno uccisi”. Un modo di procedere per “far fuori” la gente che è molesta, che disturba.
    Tutti sappiamo che questo non è buono, ma quello che non sappiamo è che c’è un piccolo linciaggio quotidiano che cerca di condannare la gente, di creare una cattiva fama sulla gente, di scartarla, di condannarla. Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio che crea un’opinione. Tante volte uno sente sparlare di qualcuno e dice: “Ma no, questa persona è una persona giusta!” – “No, no, si dice che…”, e con quel “si dice che” si crea un’opinione per farla finita con una persona. La verità è un’altra: la verità è la testimonianza del vero, delle cose che una persona crede; la verità è chiara, è trasparente. La verità non tollera le pressioni. Guardiamo Stefano, martire: primo martire dopo Gesù. Primo martire. Pensiamo agli apostoli: tutti hanno dato testimonianza. E pensiamo a tanti martiri, anche a quello che festeggiamo oggi, San Pietro Chanel: è stato il chiacchiericcio a creare [l’opinione] che era contro il re… Si crea una fama, e va ucciso. E pensiamo a noi, alla nostra lingua: tante volte noi, con i nostri commenti, iniziamo un linciaggio del genere. E nelle nostre istituzioni cristiane, abbiamo visto tanti linciaggi quotidiani che sono nati dal chiacchiericcio.
    Il Signore ci aiuti a essere giusti nei nostri giudizi, a non incominciare o seguire questa condanna massiccia che il chiacchiericcio provoca.

Preghiera per fare la comunione spirituale

Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel Sacramento del tuo amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore. In attesa della felicità della comunione sacramentale, voglio possederti in spirito. Vieni a me, o mio Gesù, che io vengo a te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in te, spero in te, ti amo.

27 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 27 aprile 2020

    Preghiamo oggi per gli artisti, che hanno questa capacità di creatività molto grande e per mezzo della strada della bellezza ci indicano la strada da seguire. Che il Signore dia a tutti noi la grazia della creatività in questo momento.


Liturgia della Parola: At 6,8-15; 􏰳􏰒􏰞􏰟􏰝􏰣􏰧Sal 118; Gv 6,22-29

Omelia - Tornare sempre al primo incontro

    La gente che aveva ascoltato Gesù durante tutta la giornata, e poi aveva avuto questa grazia della moltiplicazione dei pani e aveva visto il potere di Gesù, voleva farlo re. Andarono prima da Gesù per ascoltare la parola e anche per chiedere la guarigione degli ammalati. Rimasero tutta la giornata ascoltando Gesù senza annoiarsi, senza stancarsi: erano lì, felici. Quando poi hanno visto che Gesù dava loro da mangiare, cosa che loro non aspettavano, hanno pensato: “Ma questo sarebbe un buon governante per noi e sicuramente sarà capace di liberarci dal potere dei Romani e portare il Paese avanti”. E si sono entusiasmati per farlo re. La loro intenzione è cambiata, perché hanno visto e hanno pensato: “Bene… perché una persona che fa questo miracolo, che dà da mangiare al popolo, può essere un buon governante”. Ma avevano dimenticato in quel momento l’entusiasmo che la parola di Gesù faceva nascere nei loro cuori.
    Gesù si allontanò e andò a pregare. Quella gente è rimasta lì e il giorno dopo cercava Gesù, “perché deve essere qui” dicevano, perché avevano visto che non era salito sulla barca con gli altri. E c’era una barca lì, è rimasta lì…. Ma non sapevano che Gesù aveva raggiunto gli altri camminando sulle acque. Così si sono decisi ad andare dall’altra parte del mare di Tiberiade a cercare Gesù e, quando lo hanno visto, la prima parola che gli dicono a lui è: «Rabbì, quando sei venuto qua?», come dicendo: “Non capiamo, questo sembra una cosa strana”.
    E Gesù fa tornare loro al primo sentimento, a quello che avevano prima della moltiplicazione dei pani, quando ascoltavano la parola di Dio: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni - come all’inizio, i segni della parola, che li entusiasmavano, i segni della guarigione - non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». Gesù svela la loro intenzione e dice: “Ma è così, avete cambiato atteggiamento”. E loro, invece di giustificarsi: “No, Signore, no…”, sono stati umili. Gesù continua: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». E loro, buoni, dissero: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». “Che crediate nel Figlio di Dio”. Questo è un caso nel quale Gesù corregge l’atteggiamento delle persone, della folla, perché a metà cammino si era un po’ allontanata dal primo momento, dalla prima consolazione spirituale e aveva preso una strada che non era giusta, una strada più mondana che evangelica.
    Questo ci fa pensare che tante volte noi nella vita incominciamo una strada alla sequela di Gesù, dietro Gesù, con i valori del Vangelo, e a metà strada ci viene un’altra idea, vediamo qualche segnale e ci allontaniamo e ci conformiamo con una cosa più temporale, più materiale, più mondana - può darsi - e perdiamo la memoria di quel primo entusiasmo che abbiamo avuto quando sentivamo parlare Gesù. Il Signore fa tornare sempre al primo incontro, al primo momento nel quale Lui ci ha guardato, ci ha parlato e ha fatto nascere dentro di noi la voglia di seguirlo. Questa è una grazia da chiedere al Signore, perché noi nella vita sempre avremo questa tentazione di allontanarci perché vediamo un’altra cosa: “Ma quello andrà bene, ma quell’idea è buona...”. Ci allontaniamo. La grazia di tornare sempre alla prima chiamata, al primo momento: non dimenticare, non dimenticare la mia storia, quando Gesù mi ha guardato con amore e mi ha detto: “Questa è la tua strada”; quando Gesù tramite tanta gente mi ha fatto capire qual era la strada del Vangelo e non altre strade un po’ mondane, con altri valori. Tornare al primo incontro.
    A me sempre ha colpito che - tra le cose che Gesù dice nella mattina della Risurrezione – afferma : “Andate dai miei discepoli e ditegli che vadano in Galilea, lì mi troveranno”, Galilea era il posto del primo incontro. Lì avevano incontrato Gesù. Ognuno di noi ha la propria “Galilea” dentro, il proprio momento nel quale Gesù si è avvicinato e ci ha detto: “Seguimi”. Nella vita succede questo che è successo a questa gente - buona, perché poi gli dice: “Ma cosa dobbiamo fare?”, subito loro hanno obbedito - succede che ci allontaniamo e cerchiamo altri valori, altre ermeneutiche, altre cose, e perdiamo la freschezza della prima chiamata. L’autore della lettera agli Ebrei ci rimanda anche a questo: “Ricordatevi i primi giorni”. La memoria, la memoria del primo incontro, la memoria della “mia Galilea”, quando il Signore mi guardò con amore e mi ha detto: “Seguimi”.

Preghiera per la comunione spirituale

Gesù mio, credo che Tu sei nel Santissimo Sacramento. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell'anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te; non permettere che io mi abbia mai a separare da Te.􏰳􏰒􏰠􏰠􏰟􏰠􏰹

26 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - III Domenica di Pasqua - 26 aprile 2020

    Preghiamo oggi, in questa Messa, per tutte le persone che soffrono la tristezza, perché sono sole o perché non sanno quale futuro le aspetta o perché non possono portare avanti la famiglia perché non hanno soldi, perché non hanno lavoro. Tanta gente che soffre la tristezza. Per loro preghiamo oggi.


Liturgia della Parola: At 2,14.22-33; 􏰠􏰒􏰝􏰜􏰌􏰠􏰠􏰟􏰯􏰯􏰧 Sal 15: 􏰝􏰣􏰧1Pt 1,17-21; 􏰝􏰒􏰝􏱀􏰟􏰠􏰝􏰧Lc 􏰠􏰜􏰒􏰝􏰯􏰟􏰯􏰣24,13-35

Omelia - Gesù è il nostro compagno di pellegrinaggio

    Tante volte abbiamo sentito che il cristianesimo non è solo una dottrina, non è un modo di comportarsi, non è una cultura. Sì, è tutto questo, ma più importante e per primo, è un incontro. Una persona è cristiana perché ha incontrato Gesù Cristo, si è lasciata incontrare da Lui.
    Questo passo del Vangelo di Luca, ci racconta un incontro, in modo da far capire bene come agisce il Signore e come è il modo nostro di agire. Noi siamo nati con un seme di inquietudine. Dio ha voluto così: inquietudine di trovare pienezza, inquietudine di trovare Dio, tante volte anche senza sapere che noi abbiamo questa inquietudine. Il nostro cuore è inquieto, il nostro cuore ha sete: sete dell’incontro con Dio. Lo cerca, tante volte per strade sbagliate: si perde, poi torna, lo cerca… Dall’altra parte, Dio ha sete dell’incontro, a tal punto che ha inviato Gesù per incontrarci, per venire incontro a questa inquietudine.
    Come agisce Gesù? In questo passo del Vangelo vediamo bene che Lui rispetta, rispetta la nostra propria situazione, non va avanti. Soltanto, qualche volta, con i testardi, pensiamo a Paolo, quando lo butta giù dal cavallo. Ma di solito va lentamente, rispettoso dei nostri tempi. È il Signore della pazienza. Quanta pazienza ha il Signore con noi, con ognuno di noi!
    Il Signore cammina accanto a noi, come abbiamo visto qui con questi due discepoli. Ascolta le nostre inquietudini, le conosce, e a un certo punto ci dice qualcosa. Al Signore piace sentire come noi parliamo, per capirci bene e per dare la risposta giusta a quella inquietudine. Il Signore non accelera il passo, va sempre al nostro passo, tante volte lento, ma la sua pazienza è così.
    C’è un’antica regola dei pellegrini che dice che il vero pellegrino deve andare al passo della persona più lenta. E Gesù è capace di questo, lo fa, non accelera, aspetta che noi facciamo il primo passo. E quando è il momento, ci fa la domanda. In questo caso è chiaro: “Di cosa parlate voi?”. Si fa ignorante per farci parlare. A Lui piace che noi parliamo. Gli piace sentire questo, gli piace che noi parliamo così, per ascoltarci e rispondere, ci fa parlare. Come se facesse l’ignorante, ma con tanto rispetto. E poi risponde, spiega, fino al punto necessario. Qui ci dice: «“Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui». Spiega, fa chiarire. Io confesso che ho la curiosità di sapere come Gesù ha spiegato, per fare lo stesso. È stata una catechesi bellissima.
    E poi lo stesso Gesù che ci ha accompagnato, che ci ha avvicinato, fa finta di andare oltre, per vedere la misura della nostra inquietudine: “No, vieni, vieni, rimani un po’ con noi”. E così si dà l’incontro. Ma l’incontro non è soltanto il momento dello spezzare il pane, qui, ma è tutto il cammino. Noi incontriamo Gesù nel buio dei nostri dubbi, anche nel dubbio brutto dei nostri peccati, Lui è lì per aiutarci, nelle nostre inquietudini… È sempre con noi.
    Il Signore ci accompagna perché ha voglia di incontrarci. Per questo diciamo che il nocciolo del cristianesimo è un incontro: è l’incontro con Gesù. “Perché tu sei cristiano? Perché tu sei cristiana?”. E tanta gente non sa dirlo. Alcuni, per tradizione. Altri non sanno dirlo, perché hanno incontrato Gesù, ma non si sono accorti che era un incontro con Gesù. Gesù sempre ci cerca. Sempre. E noi abbiamo la nostra inquietudine. Nel momento in cui la nostra inquietudine incontra Gesù, lì incomincia la vita della grazia, la vita della pienezza, la vita del cammino cristiano.
    Che il Signore dia a tutti noi questa grazia di incontrare Gesù tutti i giorni; di sapere, di conoscere proprio che Lui cammina con noi in tutti i nostri momenti. È il nostro compagno di pellegrinaggio.

Preghiera per la comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te. 

25 aprile 2020

Rolando Rivi, Martire per Fede nel triangolo rosso

Era un giovane seminarista di 14 anni e fu ucciso in modo barbaro dai partigiani nel 1945 in odio alla fede. Fu sequestrato e torturato per tre giorni. I carnefici usarono la sua tonaca nera per farne un pallone da calcio e poi appesa come un trofeo. Prima di morire, Rolando chiese di pregare per mamma e papà


Un cristiano adulto e tutto d'un pezzo nonostante la tenera età, martire a causa della sua fede sincera, incapace di compromessi. Il 28 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio, ancora fresco di conclave, ha firmato il decreto: il successivo sabato 5 ottobre Rolando Rivi, già Servo di Dio, è stato proclamato beato, entrando a far parte del primo gruppo di beatificazioni volute dal nuovo papa.

Aveva solo 14 anni quando fu torturato e ucciso da alcuni uomini delle brigate garibaldine “in odium fidei”, il 13 aprile del 1945, a pochi giorni dalla fine della guerra, ma ne dimostrava ancora meno, con quel viso tondo e minuto, lo sguardo intenso reso ancora più vulnerabile dal cappello da seminarista troppo grande, che rischiava anche nella foto di cadergli sugli occhi. Un cappello da “pretino” che Rolando non voleva togliersi da quando, a 11 anni, era entrato in seminario e aveva vestito, come si usava allora, l’abito talare. Per non far torto a Gesù. «Chiediamo a Rolando Rivi di ottenere la grazia di tante vocazioni per la nostra Chiesa», ha dichiarato il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca.

Rolando Rivi era nato a San Valentino, comune di Castellarano, nel reggiano, il 7 gennaio del 1931, secondo di tre figli di due giovani contadini, mamma Albertina e papà Roberto. Gente semplice ma di fede profonda, legata alla parrocchia. Rolando cresce nell’oratorio, impara a suonare l’orano, serve messa. Oggi diremmo che nel gruppo degli amici è un leader. La nonna sostiene che «diventerà un santo o un mascalzone».

Subito dopo la Cresima matura la vocazione e chiede di entrare in seminario. Ha un sogno. Vuole diventare missionario. I genitori non si oppongono e così entra nel seminario di Marola. Siamo nel ’42. Dopo due anni dopo, nel 1944, i tedeschi occupano la struttura e i seminaristi devono tornare a casa. Anche Rolando quell’estate torna a San Valentino e ritrova la famiglia e i coetanei. Il clima è cambiato. Il paese è vessato dalle incursioni dei tedeschi e dei partigiani, i sacerdoti sono malvisti e rischiano ogni giorno la pelle. Siamo nel triangolo della morte, i crimini commessi dai “rossi” faranno i conti completi con l’opinione pubblica solo dopo il famoso “chi sa parli” lanciato negli anni ’80 dall’ex partigiano reggiano Otello Montanari. Tra tutti, questo è stato uno dei più efferati e dei più odiosi, se non altro per l’età della vittima. Tornato dal seminario, Rolando riprende la vita di prima. Gli studi, i giochi con gli amici, la parrocchia. Ma non si vuole togliere l’abito, nonostante il suo vecchio parroco sia appena stato trasferito in un luogo più sicuro dopo essere stato aggredito e picchiato da alcuni partigiani comunisti.

Il nuovo parroco è don Alberto Camellini, ha solo 25 anni ed è al suo primo incarico. Sarà uno dei testimoni contro i suoi assassini. Si arriva così al 10 aprile del ‘45. Rolando va a studiare in un bosco vicino a casa, come al solito. La sera non è ancora rientrato. I genitori trovano i suoi libri e un biglietto lasciato dai partigiani, in cui si dice di non cercarlo. Dopo alcuni giorni di inutili ed estenuanti ricerche nei dintorni, il papà e il giovane parroco si mettono in viaggio e, dietro le indicazioni degli stessi assassini, scoprono la terribile verità. Rolando è stato sequestrato, portato in un casale a Piane di Monchio, nell’Appennino modenese, torturato per tre giorni e infine ucciso, il 13 aprile, alle tre del pomeriggio. La tonaca nera l’hanno usata per farne un pallone da calcio e poi appesa come un trofeo. Prima di morire, ha chiesto di pregare per mamma e papà.

FAMIGLIA CRISTIANA

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 25 aprile 2020

    Preghiamo insieme oggi per le persone che svolgono servizi funebri. È tanto doloroso, tanto triste quello che fanno, e sentono il dolore di questa pandemia così vicino. Preghiamo per loro.


Liturgia della Parola: 1Pt 5,5-14;􏰣􏰒􏰣􏰟􏰝􏰜􏰧 Sal 88; Mc 􏰝􏰳􏰒􏰝􏰣􏰟􏰠􏰡16,15-20

Omelia - La fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza

    Oggi la Chiesa celebra San Marco, uno dei quattro evangelisti, molto vicino all’apostolo Pietro. Il Vangelo di Marco è stato il primo a essere scritto. È semplice, uno stile semplice, molto vicino. Se oggi avete un po’ di tempo prendetelo in mano e leggetelo. Non è lungo, e fa piacere leggere la semplicità con la quale Marco racconta la vita del Signore.
    E nel Vangelo che abbiamo letto adesso - che è la fine del Vangelo di Marco - c’è l’invio del Signore. Il Signore si è rivelato come salvatore, come il Figlio unico di Dio; si è rivelato a tutto Israele, al popolo, specialmente con più dettagli agli apostoli, ai discepoli. Questo è il congedo del Signore, il Signore se ne va: partì e «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio». Ma prima di partire, quando apparve agli Undici, disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura». C’è la missionarietà della fede. La fede, o è missionaria o non è fede. La fede non è una cosa soltanto per me, perché io cresca con la fede: questa è un’eresia gnostica. La fede ti porta sempre a uscire da te. Uscire. La trasmissione della fede; la fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza: “Andate, che la gente veda come vivete”.
    Qualcuno mi diceva, un prete europeo, di una città europea: “C’è tanta incredulità, tanto agnosticismo nelle nostre città, perché i cristiani non hanno fede. Se l’avessero, sicuramente la darebbero alla gente”. Manca la missionarietà. Perché alla radice manca la convinzione: “Sì, io sono cristiano, sono cattolico…”. Come se fosse un atteggiamento sociale. Nella carta d’identità ti chiami così e così… e “sono cristiano”. È un dato della carta d’identità. Questa non è fede! Questa è una cosa culturale. La fede necessariamente ti porta fuori, ti porta a darla: perché la fede essenzialmente va trasmessa. Non è quieta. “Ah, Lei vuol dire, padre, che tutti dobbiamo essere missionari e andare nei Paesi lontani?”. No, questa è una parte della missionarietà. Questo vuol dire che se tu hai fede necessariamente devi uscire da te, e far vedere socialmente la fede. La fede è sociale, è per tutti: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. E questo non vuol dire fare proselitismo, come se io fossi una squadra di calcio che fa proselitismo, o fossi una società di beneficenza. No, la fede è: “niente proselitismo”. È far vedere la rivelazione, perché lo Spirito Santo possa agire nella gente attraverso la testimonianza: come testimone, con servizio. Il servizio è un modo di vivere. Se io dico che sono cristiano e vivo come un pagano, non va! Questo non convince nessuno. Se io dico che sono cristiano e vivo da cristiano, questo attira. È la testimonianza. 
    Una volta, in Polonia, uno studente universitario mi ha domandato: “Nell’università io ho tanti compagni atei. Cosa devo dire loro per convincerli?” – “Niente, caro, niente! L’ultima cosa che tu devi fare è dire qualcosa. Incomincia a vivere, e loro, vedendo la tua testimonianza, ti domanderanno: ‘Ma perché tu vivi così?’”. La fede va trasmessa: non per convincere ma per offrire un tesoro. “È lì, vedete?”. E questa è anche l’umiltà della quale parlava San Pietro nella Prima Lettura: «Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili». Quante volte nella Chiesa, nella storia, sono nati movimenti, aggregazioni, di uomini o donne che volevano convincere della fede, convertire… Veri “proselitisti”. E come sono finiti? Nella corruzione.
    È così tenero questo passo del Vangelo! Ma dov’è la sicurezza? Come posso essere sicuro che uscendo da me sarò fecondo nella trasmissione della fede? «Proclamate il Vangelo ad ogni creatura», farete meraviglie. E il Signore sarà con noi fino alla fine del mondo. Ci accompagna. Nella trasmissione della fede, c’è sempre il Signore con noi. Nella trasmissione dell’ideologia ci saranno i maestri, ma quando io ho un atteggiamento di fede che va trasmessa, c’è il Signore lì che mi accompagna. Mai, nella trasmissione della fede, sono solo. È il Signore con me che trasmette la fede. Lo ha promesso: “Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. 
    Preghiamo il Signore perché ci aiuti a vivere la nostra fede così: la fede da porte aperte, una fede trasparente, non “proselitista”, ma che faccia vedere: “Io sono così”. E con questa sana curiosità, aiuti la gente a ricevere questo messaggio che li salverà.

Preghiera per la comunione spirituale

Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel sacramento del tuo amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore; in attesa della felicità della comunione sacramentale voglio possederti in spirito. Vieni a me, o Gesù, che io vengo da Te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, ti amo.

24 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 24 aprile 2020

    Preghiamo oggi per gli insegnanti che devono lavorare tanto per fare lezioni via internet e altre vie mediatiche e preghiamo anche per gli studenti che devono fare gli esami in un modo nel quale non sono abituati. Accompagniamoli con la preghiera.

Liturgia della Parola: At 5,34-42;􏰣􏰒􏰯􏰜􏰟􏰜􏰠􏰧 Sal 26;􏰠􏰳􏰧 Gv 􏰳􏰒􏰝􏰟􏰝􏰣6 6,1-15

Omelia - Cristo forma il cuore dei pastori alla vicinanza con il popolo di Dio

    La frase di questo passo del Vangelo ci fa pensare: «Diceva così per metterlo alla prova. Egli infatti sapeva quello che stava per compiere». È quello che aveva in mente Gesù quando disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».. Ma lo diceva per metterlo alla prova. Lui sapeva. Qui si vede l’atteggiamento di Gesù con gli apostoli. Continuamente li metteva alla prova per insegnare loro e, quando loro erano fuori dalla funzione che dovevano svolgere, li fermava e insegnava loro. 
    Il Vangelo è pieno di questi gesti di Gesù per far crescere i suoi discepoli e farli diventare pastori del popolo di Dio, in questo caso vescovi: pastori del popolo di Dio. E una delle cose che Gesù amava di più era essere con la folla perché anche questo è un simbolo dell’universalità della redenzione. E una delle cose che più non piaceva agli apostoli era la folla perché a loro piaceva stare vicino al Signore, sentire il Signore, sentire tutto quello che il Signore diceva. Quel giorno sono andati lì a fare una giornata di riposo - dicono le altre versioni negli altri Vangeli, perché tutti e quattro ne parlano … forse ci sono state due moltiplicazioni dei pani - venivano da una missione e il Signore ha detto: “Andiamo a riposarci un po'” e sono andati lì. La gente si accorse di dove andavano per il mare, ha percorso la riva e li ha aspettati lì. E i discepoli non erano felici perché la folla aveva rovinato la “pasquetta”: non potevano fare questa festa con il Signore. Malgrado ciò, Gesù incominciava a insegnare, loro ascoltavano, poi parlavano fra loro… E passavano le ore, le ore, le ore… Gesù parlava e la gente era felice. E loro dicevano: “La nostra festa è rovinata, il nostro riposo è rovinato”.   
    Ma il Signore cercava la vicinanza con la gente e cercava di formare il cuore dei pastori alla vicinanza con il popolo di Dio per servirli. E loro, si capisce questo, si sentono eletti, si sentivano un po’ una cerchia privilegiata, un ceto privilegiato, “un’aristocrazia”, diciamo così, vicini al Signore, e tante volte il Signore faceva gesti per correggerli. Per esempio, pensiamo con i bambini. Loro custodivano il Signore: “No, no, no, non avvicinare i bambini che molestano, disturbano… No, i bambini con i genitori”. E Gesù? “Che vengano i bambini”. E loro non capivano. Poi hanno capito. Poi penso alla strada verso Gerico, quell’altro che gridava: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». E questi: “Ma sta’ zitto, sta’ zitto che passa il Signore, non disturbarlo”. 
    E Gesù dice: “Ma chi è quello? Fatelo venire”. Un’altra volta il Signore [li corregge]. E così insegnava loro la vicinanza al popolo di Dio.
    È vero che il popolo di Dio stanca il pastore, stanca: quando c’è un buon pastore si moltiplicano le cose, perché la gente va sempre dal buon pastore per un motivo, per l’altro. Una volta, un grande parroco di un quartiere semplice, umile, della mia diocesi, aveva la canonica come una casa normale, come le altre, e la gente bussava alla porta o bussava alla finestra, a ogni ora … e una volta mi disse: “Ma io avrei voglia di murare la porta e la finestra perché mi lascino riposare”. Ma lui se ne accorgeva che era pastore e doveva essere con la gente! E Gesù forma, insegna ai discepoli, agli apostoli questo atteggiamento pastorale che è la vicinanza al popolo di Dio. E il popolo di Dio stanca, perché sempre ci chiede cose concrete; sempre ti chiede qualche cosa concreta, forse sbagliata, ma ti chiede cose concrete. E il pastore deve accudire a queste cose.
    Le versioni degli altri evangelisti di questo episodio fanno vedere che sono passate le ore e la gente doveva andarsene perché cominciava il buio, e dicono così: “Congeda la gente perché vadano a comprare per mangiare”, proprio nel momento del buio, quando incominciava il buio. Ma cosa avevano in mente? Almeno di fare un po’ di festa fra loro, quell’egoismo non cattivo, ma si capisce, di stare col pastore, stare con Gesù che è il gran pastore. E Gesù risponde, per metterli alla prova: “Dategli voi da mangiare”. E questo è quello che Gesù dice oggi a tutti i pastori: “Dategli voi da mangiare”. “Sono angosciati? Dategli voi la consolazione. Sono smarriti? Dategli voi una via di uscita. Si sono sbagliati? Dategli voi aiuto per risolvere i problemi… Dategli voi, dategli voi…”. E il povero apostolo sente che deve dare, dare, dare… Ma da chi riceve? Gesù ci insegna: dallo Stesso da cui riceveva Gesù. Dopo questo fatto, congeda gli apostoli e va a pregare: dal Padre, dalla preghiera. Questa doppia vicinanza del pastore è quella che Gesù cerca di far capire agli apostoli perché diventino grandi pastori.
    Ma tante volte la folla sbaglia, e qui ha sbagliato, no? «Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!”. Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo». Forse, forse – ma non lo dice il Vangelo – qualcuno degli apostoli gli avrebbe detto: “Ma Signore, approfittiamo di questo e prendiamo il potere”. Un’altra tentazione. E Gesù fa loro vedere che quella non è la strada. Il potere del pastore è il servizio, non ha un altro potere; e quando sbaglia prendendo un altro potere si rovina la vocazione e diventa, non so, gestore di “imprese pastorali” ma non pastore. La struttura non fa pastorale: il cuore del pastore è ciò che fa la pastorale. E il cuore del pastore è quello che Gesù ci insegna adesso.
    Chiediamo oggi al Signore per i pastori della Chiesa perché il Signore parli sempre a loro, perché li ama tanto: ci parli sempre, ci dica come sono le cose, ci spieghi e soprattutto ci insegni a non avere paura del popolo di Dio, a non avere paura di essere vicini.

Comunione spirituale

Gesù mio, credo sei realmente presente nel Santissimo sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell'anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te; non permettere che io mi abbia mai a separare da Te.

23 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 23 aprile 2020

    In tante parti si sente uno degli effetti di questa pan- demia: tante famiglie che hanno bisogno, fanno la fame e purtroppo le “aiuta” il gruppo degli usurai. Questa è un’altra pandemia. La pandemia sociale: famiglie di gente che ha un lavoro giornaliero, o purtroppo un lavoro in nero, che non possono lavorare e non hanno da mangiare … con figli. E poi gli usurai prendono loro il poco che hanno. Preghiamo. Preghiamo per queste famiglie, per quei tanti bambini di queste famiglie, per la dignità di queste famiglie e preghiamo anche per gli usurai: che il Signore tocchi il loro cuore e si convertano...


Liturgia della Parola: At 5,27-33: 􏰣􏰒􏰠􏱀􏰟􏰯􏰯􏰧 Sal 33; Gv 􏰯􏰒􏰯􏰝􏰟􏰯􏰳3,31-36

Omelia - Gesù prega per noi davanti al Padre, mostrando le sue piaghe

    La Prima Lettura continua la storia che era incominciata con la guarigione dello storpio presso la Porta Bella del Tempio. Gli apostoli sono stati portati davanti al sinedrio, poi sono stati inviati in carcere, poi un angelo li ha liberati. E questa mattina, proprio quella mattina, dovevano uscire dal carcere per essere giudicati, ma erano stati liberati dall’angelo e predicavano nel Tempio . «In quei giorni, [il comandante e gli inservienti] condussero gli apostoli e li presentarono nel sinedrio»; sono andati a prenderli nel Tempio e li hanno portati nel sinedrio. E lì, il sommo sacerdote li rimproverò: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?» – cioè nel nome di Gesù – e voi, «ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e anche volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo». Perché gli apostoli, Pietro soprattutto, e Giovanni rimproveravano ai dirigenti, ai sacerdoti, di aver ucciso Gesù. E allora Pietro rispose insieme agli apostoli con quella storia: “Bisogna obbedire a Dio, noi siamo obbedienti a Dio e voi siete i colpevoli di questo”. E accusa, ma con un coraggio, con una franchezza, che uno si domanda: “Ma questo è il Pietro che ha rinnegato Gesù? Quel Pietro che aveva tanta paura, quel Pietro che era pure un codardo? Come mai è arrivato qui?”. E finisce anche dicendo: «E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo che è con noi, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono». Qual è stata la strada di questo Pietro per arrivare a questo punto, a questo coraggio, a questa franchezza, a esporsi? Perché lui poteva arrivare a dei compromessi e dire ai sacerdoti: “Ma state tranquilli, noi andremo, parleremo un po’ con un tono più basso, non vi accuseremo mai in pubblico, ma voi lasciateci in pace …”, e arrivare a dei compromessi.
    Nella storia, la Chiesa ha dovuto fare questo tante volte per salvare il popolo di Dio. E tante volte, lo ha anche fatto per salvare se stessa – non la Santa Chiesa, ma i dirigenti. I compromessi possono essere buoni e possono essere cattivi. Ma loro potevano uscire attraverso il compromesso. No! Pietro ha detto: “Niente compromesso. Voi siete i colpevoli”, e con questo coraggio.
    E come Pietro è arrivato a questo punto? Perché era un uomo entusiasta, un uomo che amava con forza, anche un uomo timoroso, un uomo che era aperto a Dio al punto che Dio gli rivela che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, ma poco dopo – subito – si lascia cadere nella tentazione di dire a Gesù: “No, Signore, per questa strada no: andiamo per l’altra”: la redenzione senza Croce. E Gesù gli dice: “Satana”. Un Pietro che passava dalla tentazione alla grazia, un Pietro che è capace di inginocchiarsi davanti a Gesù e dire: “allontànati da me che sono peccatore”, e poi un Pietro che cerca di cavarsela, senza farsi vedere e per non finire in carcere rinnega Gesù . È un Pietro instabile, perché era molto generoso e anche molto debole. Qual è il segreto, qual è la forza che ha avuto Pietro per arrivare qui? C’è un versetto che ci aiuterà a capire questo. Prima della Passione, Gesù disse agli apostoli: «Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano». È il momento della tentazione: “Sarete così, come il grano”. E a Pietro dice: “E io pregherò per te, «perché la tua fede non venga meno»”. È questo il segreto di Pietro: la preghiera di Gesù. Gesù prega per Pietro, perché la sua fede non venga meno e possa – dice Gesù – confermare nella fede i fratelli. Gesù prega per Pietro.
    E questo che ha fatto Gesù con Pietro, lo fa con tutti noi. Gesù prega per noi; prega davanti al Padre. Noi siamo abituati a pregare Gesù perché ci dia questa grazia, quell’altra, ci aiuti, ma non siamo abituati a contemplare Gesù che fa vedere al Padre le piaghe, a Gesù, l’intercessore, a Gesù che prega per noi. E Pietro è stato capace di fare tutta questa strada, da codardo a coraggioso, con il dono dello Spirito Santo grazie alla preghiera di Gesù.
    Pensiamo un po’ a questo. Rivolgiamoci a Gesù, ringraziando che Lui prega per noi. Per ognuno di noi Gesù prega. Gesù è l’intercessore. Gesù ha voluto portare con sé le piaghe per farle vedere al Padre. È il prezzo della nostra salvezza. Dobbiamo avere più fiducia; più che nelle nostre preghiere, nella preghiera di Gesù. “Signore, prega per me” – “Ma io sono Dio, io posso darti …” – “Sì, ma prega per me, perché Tu sei l’intercessore”. E questo è il segreto di Pietro: “Pietro, io pregherò per te «perché la tua fede non venga meno»”.
    Che il Signore ci insegni a chiedergli la grazia di pregare per ognuno di noi.

Preghiera per la comunione spirituale

Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel sacramento del tuo amore, (l’Eucaristia). Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore; in attesa della felicità della comunione sacramentale voglio possederti in spirito. Vieni a me, o Gesù, che io vengo da Te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, ti amo.

22 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 22 aprile 2020

    In questo tempo nel quale è necessaria tanta unità tra noi, tra le nazioni, preghiamo oggi per l’Europa: perché l’Europa riesca ad avere questa unità, questa unità fraterna che hanno sognato i padri fondatori dell’Unione Europea.


Liturgia della Parola: At 5,17-26; 􏰣􏰒􏰝􏱀􏰟􏰠􏰳􏰧 Sal 33; Gv 3,16-21 􏰯􏰒􏰝􏰳􏰟􏰠􏰝􏰯􏰒􏰝􏰳􏰟􏰠􏰝

Omelia - Lasciar entrare in noi la luce di Dio"per non essere come pipistrelli nelle tenebre

    Questo passo del Vangelo di Giovanni, capitolo 3, il dialogo tra Gesù e Nicodemo, è un vero trattato di teologia: qui c’è tutto. Il kerygma, la catechesi, la riflessione teologica, la parenesi … c’è tutto, in questo capitolo. E ogni volta che noi lo leggiamo, incontriamo più ricchezza, più spiegazioni, più cose che ci fanno capire la rivelazione di Dio. Sarebbe bello leggerlo tante volte, per avvicinarci al mistero della redenzione. Oggi prenderò soltanto due punti di tutto questo, due punti che sono nel passo di oggi.
    l primo è la rivelazione dell’amore di Dio. Dio ci ama e ci ama – come dice un santo – come una pazzia: l’amore di Dio sembra una pazzia. Ci ama: «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Ha dato suo Figlio, ha inviato suo Figlio e lo ha inviato per morire in croce. Ogni volta che noi guardiamo il crocifisso, troviamo questo amore. Il crocifisso è proprio il grande libro dell’amore di Dio. Non è un oggetto da mettere qui o da mettere là, più bello, non tanto bello, più antico, più moderno … no. È proprio l’espressione dell’amore di Dio. Dio ci ha amato così: ha inviato suo Figlio, si è annientato fino alla morte di croce per amore. “Tanto ha amato il mondo, Dio, da dare il suo Figlio”.
    Quanta gente, quanti cristiani passano il tempo guardando il crocifisso … e lì trovano tutto, perché hanno capito, lo Spirito Santo ha fatto capire loro che lì c’è tutta la scienza, tutto l’amore di Dio, tutta la saggezza cristiana. Paolo parla di questo, spiegando che tutti i ragionamenti umani che lui fa servono fino a un certo punto, ma il vero ragionamento, il modo di pensare più bello, ma anche che più spiega tutto è la croce di Cristo, è “Cristo crocifisso che è scandalo” e pazzia, ma è la via. E questo è l’amore di Dio. Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». E perché? «Perché chiunque creda in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». L’amore del Padre che vuole i suoi figli con sé.
    Guardare il crocifisso in silenzio, guardare le piaghe, guardare il cuore di Gesù, guardare l’insieme: Cristo crocifisso, il Figlio di Dio, annientato, umiliato … per amore. Questo è il primo punto che oggi ci fa vedere questo trattato di teologia, che è il dialogo di Gesù con Nicodemo.
    Il secondo punto è un punto che ci aiuterà, pure: «La luce è venuta al mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie». Gesù riprende anche questo della luce. C’è gente – anche noi, tante volte – che non può vivere nella luce perché abituata alle tenebre. La luce li abbaglia, sono incapaci di vedere. Sono dei pipistrelli umani: soltanto sanno muoversi nella notte. E anche noi, quando siamo nel peccato, siamo in questo stato: non tolleriamo la luce. È più comodo per noi vivere nelle tenebre; la luce ci schiaffeggia, ci fa vedere quello che noi non vogliamo vedere. Ma il peggio è che gli occhi, gli occhi dell’anima dal tanto vivere nelle tenebre si abituano a tal punto che finiscono per ignorare cosa sia la luce. Perdere il senso della luce, perché mi abituo più alle tenebre. E tanti scandali umani, tante corruzioni ci segnalano questo. I corrotti non sanno cosa sia la luce, non conoscono. Anche noi, quando siamo in stato di peccato, in stato di allontanamento dal Signore, diventiamo ciechi e ci sentiamo meglio nelle tenebre e andiamo così, senza vedere, come i ciechi, muovendoci come possiamo.
    Lasciamo che l’amore di Dio, che ha inviato Gesù per salvarci, entri in noi e “la luce che porta Gesù”, la luce dello Spirito entri in noi e ci aiuti a vedere le cose con la luce di Dio, con la luce vera e non con le tenebre che ci dà il signore delle tenebre.
    Due cose, oggi: l’amore di Dio nel Cristo, nel crocifisso, nel quotidiano. E la domanda quotidiana che noi possiamo farci: “Io cammino nella luce o cammino nelle tenebre? Sono figlio di Dio o sono finito per essere un povero pipistrello?”.

Preghiera per fare la comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te.

21 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 21 aprile 2020

    In questo tempo c’è tanto silenzio. Anche, si può sentire il silenzio. Che questo silenzio, che è un po’ nuovo nelle nostre abitudini, ci insegni ad ascoltare, ci faccia crescere nella capacità di ascolto. Preghiamo per questo.


Liturgia della Parola: At 4,32-37; 􏰜􏰒􏰯􏰠􏰟􏰯􏱀􏰧Sal 92; 􏰹􏰠􏰧Gv 􏰯􏰒􏱀􏰟􏰝􏰣􏰌3,7-15

Omelia - Lo Spirito Santo, maestro dell’armonia

    «Nascere dall’alto» è nascere con la forza dello Spirito Santo. Noi non possiamo prendere lo Spirito Santo per noi; soltanto, possiamo lasciare che Lui ci trasformi. E la nostra docilità apre la porta allo Spirito Santo: è Lui che fa il cambiamento, la trasformazione, questa rinascita dall’alto. È la promessa di Gesù di inviare lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è capace di fare delle meraviglie, cose che noi neppure possiamo pensare.
    Un esempio è questa prima comunità cristiana, che non è una fantasia, questo che ci dicono qui: è un modello, dove si può arrivare quando c’è la docilità e si lascia entrare lo Spirito Santo e ci trasforma. Una comunità – diciamo così – “ideale”. È vero che subito dopo di questo incominceranno dei problemi, ma il Signore ci fa vedere fino a dove potremmo arrivare se noi siamo aperti allo Spirito Santo, se siamo docili. In questa comunità c’è l’armonia. Lo Spirito Santo è il maestro dell’armonia, è capace di farla e l’ha fatta qui. La deve fare nel nostro cuore, deve cambiare tante cose di noi, ma fare l’armonia: perché Lui stesso è l’armonia. Anche l’armonia fra il Padre e il Figlio: è l’amore di armonia, Lui. E Lui, con l’armonia, crea queste cose come questa comunità così armonica. Ma poi, la storia ci dice – lo stesso Libro degli Atti degli Apostoli – di tanti problemi nella comunità. Questo è un modello: il Signore ha permesso questo modello di una comunità quasi “celeste”, per farci vedere dove dovremmo arrivare.
    Ma poi incominciarono le divisioni, nella comunità. L’apostolo Giacomo, nel secondo capitolo della sua Lettera, dice: “Che la vostra fede «sia immune di favoritismi personali»”: perché c’erano! “Non fate discriminazioni”: gli apostoli devono uscire ad ammonire. E Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, nel capitolo 11, si lamenta: “Ho sentito che ci sono divisioni tra voi”: incominciano le divisioni interne nelle comunità. A questo “ideale” si deve arrivare, ma non è facile: ci sono tante cose che dividono una comunità, sia una comunità cristiana parrocchiale o diocesana o presbiterale o di religiosi o religiose … tante cose entrano per dividere la comunità.
    Vedendo quali sono le cose che hanno diviso le prime comunità cristiane, io ne trovo tre: prima, i soldi. Quando l’apostolo Giacomo dice questo, di non avere favoritismi personali, dà un esempio perché “se nella vostra chiesa, nella vostra assemblea entra uno con l’anello d’oro, subito lo portate avanti, e il povero lo lasciate da parte”. I soldi. Lo stesso Paolo dice lo stesso: “I ricchi portano da mangiare e mangiano, loro, e i poveri, in piedi”, li lasciamo lì come a dire loro: «Arrangiati come puoi»”. I soldi dividono, l’amore dei soldi divide la comunità, divide la Chiesa.
    Tante volte, nella storia della Chiesa, dove ci sono deviazioni dottrinali – non sempre, però tante volte – dietro ci sono dei soldi: i soldi del potere, sia potere politico, sia soldi in contanti, ma sono soldi. I soldi dividono la comunità. Per questo, la povertà è la madre della comunità, la povertà è il muro che custodisce la comunità. I soldi dividono, l’interesse personale. Anche nelle famiglie: quante famiglie sono finite divise per un’eredità? Quante famiglie? E non si parlarono più … Quante famiglie … Un’eredità … Dividono: i soldi dividono.
    Un’altra cosa che divide una comunità è la vanità, quella voglia di sentirsi migliore degli altri. “Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri”, la preghiera del fariseo. La vanità, sentirmi che … E anche la vanità nel farmi vedere, la vanità nelle abitudini, nel vestirsi: quante volte – non sempre ma quante volte – la celebrazione di un sacramento è un esempio di vanità, chi va con i vestiti migliori, chi fa quello e l’altro … La vanità … per la festa più grande … Anche lì entra la vanità. E la vanità divide. Perché la vanità ti porta a fare il pavone e dove c’è il pavone, c’è divisione, sempre.
    Una terza cosa che divide una comunità è il chiacchiericcio: non è la prima volta che lo dico, ma è la realtà. E’ la realtà. Quella cosa che il diavolo mette in noi, come un bisogno di sparlare degli altri. “Ma che buona persona è quella …” – “Sì, sì, ma però …”: subito il “ma”: quello è una pietra per squalificare l’altro e subito qualche cosa che ho sentito la dico e così l’altro lo abbasso un po’.
    Ma lo Spirito viene sempre con la sua forza per salvarci da questa mondanità dei soldi, della vanità e del chiacchiericcio, perché lo Spirito non è il mondo: è contro il mondo. È capace di fare questi miracoli, queste grandi cose.
    Chiediamo al Signore questa docilità allo Spirito perché Lui ci trasformi e trasformi le nostre comunità, le nostre comunità parrocchiali, diocesane, religiose: le trasformi, per andare sempre avanti nell’armonia che Gesù vuole per la comunità cristiana.

Preghiera per fare la comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te.




20 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 20 aprile 2020

    Preghiamo oggi per gli uomini e le donne che hanno vocazione politica: la politica è una forma alta di carità. Per i partiti politici nei diversi Paesi, perché in questo momento di pandemia cerchino insieme il bene del Paese e non il bene del proprio partito.


Liturgia della Parola: At 4,23-11; 􏰜􏰒􏰠􏰯􏰟􏰯􏰝􏰧 Sal2; 􏰠􏰧 Gv 3,1-8

Omelia - Nascere dallo Spirito


    Quest’uomo, Nicodemo, è un capo dei giudei, un uomo autorevole; sentì la necessità di andare da Gesù. Andò di notte, perché doveva fare con un po’ di equilibrio, perché coloro che andavano a parlare con Gesù non erano guardati bene. È un fariseo giusto, perché non tutti i farisei sono cattivi: no, no; c’erano anche farisei giusti. Questo è un fariseo giusto. Sentì l’inquietudine, perché è un uomo che aveva letto i profeti e sapeva che questo che Gesù faceva era stato annunciato dai profeti. Sentì l’inquietudine e andò a parlare con Gesù. «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come Maestro»: è una confessione, fino a un certo punto. «Nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». E si ferma. Si ferma davanti al “dunque”: Se io dico questo … dunque! … E Gesù ha risposto. Rispose misteriosamente, come lui, Nicodemo, non se l’aspettava. Rispose con quella figura della nascita: «se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio». E lui, Nicodemo, sente confusione, non capisce e prende ad litteram quella risposta di Gesù: “ma come si può nascere se uno è adulto, una persona grande?” Nascere dall’alto, nascere dallo Spirito. È il salto che la confessione di Nicodemo deve fare e lui non sa come farla. Perché lo Spirito è imprevedibile. La definizione dello Spirito che Gesù dà qui è interessante: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito», cioè libero. Una persona che si lascia portare da una parte e dall’altra dallo Spirito Santo: questa è la libertà dello Spirito. E chi fa questo è una persona docile e qui si parla della docilità allo Spirito.
    Essere cristiano non è soltanto compiere i Comandamenti: si devono fare, questo è vero; ma se tu ti fermi lì, non sei un buon cristiano. Essere cristiano è lasciare che lo Spirito entri dentro di te e ti porti, ti porti dove lui vuole. Nella nostra vita cristiana tante volte ci fermiamo come Nicodemo, davanti al “dunque”, non sappiamo il passo da fare, non sappiamo come farlo o non abbiamo la fiducia in Dio per fare questo passo e lasciare entrare lo Spirito. Nascere di nuovo è lasciare che lo Spirito entri in noi e che sia lo Spirito a guidarmi e non io e qui: libero, con questa libertà dello Spirito che tu non saprai mai dove finirai.
    Gli apostoli, che erano nel Cenacolo, quando venne lo Spirito uscirono a predicare con quel coraggio, quella franchezza … non sapevano che sarebbe successo questo; e lo hanno fatto, perché lo Spirito li guidava. Il cristiano non deve fermarsi mai soltanto al compimento dei Comandamenti: si deve fare, ma andare oltre, verso questa nascita nuova che è la nascita nello Spirito, che ti dà la libertà dello Spirito.
    È quello che è accaduto a questa comunità cristiana della prima Lettura, dopo che Giovanni e Pietro sono tornati da quell’interrogatorio che hanno avuto con i sacerdoti. Questi andarono dai loro fratelli, in questa comunità, e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. E la comunità, quando udì questo, tutti insieme, si spaventarono un po’. E cosa hanno fatto? Pregare. Non si sono fermati a misure prudenziali, “no, adesso facciamo questo, andiamo un po’ più tranquilli …”: no. Pregare. Che fosse lo Spirito a dire loro cosa dovessero fare. Innalzarono la loro voce a Dio dicendo: «Signore», e pregano. Questa bella preghiera di un momento buio, di un momento che devono prendere delle decisioni e non sanno cosa fare. Vogliono nascere dallo Spirito, aprono il cuore allo Spirito: che sia Lui a dirlo … E chiedono: “Signore, Erode, Ponzio Pilato con le nazioni e i popoli di Israele si sono alleati contro il tuo Santo Spirito e Gesù”, raccontano la storia e dicono: “Signore, fa’ qualcosa!”. «E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce - quelle del gruppo dei sacerdoti - e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola» chiedono la franchezza, il coraggio, di non avere paura: «stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome di Gesù». «E quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò, e tutti furono colmati di Spirito Santo e predicavano la Parola di Dio con franchezza». È successa una seconda Pentecoste, qui.
    Davanti alle difficoltà, davanti a una porta chiusa, che loro non sapevano come andare avanti, vanno dal Signore, aprono il cuore e viene lo Spirito e dà loro quello di cui hanno bisogno e vanno fuori a predicare, con coraggio, e avanti. Questo è nascere dallo Spirito, questo è non fermarsi al “dunque”, al “dunque” delle cose che ho sempre fatto, al “dunque” del dopo i Comandamenti, al “dunque” dopo le abitudini religiose: no! Questo è nascere di nuovo. E come si prepara uno a nascere di nuovo? Con la preghiera. La preghiera è quella che ci apre la porta allo Spirito e ci dà questa libertà, questa franchezza, questo coraggio dello Spirito Santo. Che mai saprai dove ti porterà. Ma è lo Spirito.
    Che il Signore ci aiuti ad essere sempre aperti allo Spirito, perché sarà Lui a portarci avanti nella nostra vita di servizio al Signore.

Preghiera per la comunione spirituale

Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel sacramento del Tuo amore, l’Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore; in attesa della felicità della comunione sacramentale voglio possederti in spirito. Vieni a me, o mio Gesù, che io vengo da Te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, ti amo

19 aprile 2020

Papa Francesco - II Domenica Di Pasqua (O della Divina Misericordia) - 19 aprile 2020

SANTA MESSA DELLA DIVINA MISERICORDIA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Liturgia della Parola: At 2,42-47; 􏰠􏰒􏰜􏰠􏰟􏰜􏱀􏰧Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 􏰠􏰡􏰒􏰝􏰹􏰟􏰯􏰝20,19-31

Omelia

    Domenica scorsa abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, oggi assistiamo alla risurrezione del discepolo. È passata una settimana, una settimana che i discepoli, pur avendo visto il Risorto, hanno trascorso nel timore, stando «a porte chiuse», senza nemmeno riuscire a convincere della risurrezione l’unico assente, Tommaso. Che cosa fa Gesù davanti a questa incredulità timorosa? Ritorna, si mette nella stessa posizione, «in mezzo» ai discepoli, e ripete lo stesso saluto: «Pace a voi!». Ricomincia da capo. La risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute. Egli vuole che lo vediamo così: non come un padrone con cui dobbiamo regolare i conti, ma come il nostro Papà che ci rialza sempre. Nella vita andiamo avanti a tentoni, come un bambino che inizia a camminare, ma cade; pochi passi e cade ancora; cade e ricade, e ogni volta il papà lo rialza. La mano che ci rialza sempre è la misericordia: Dio sa che senza misericordia restiamo a terra, che per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi.
    E tu puoi obiettare: “Ma io non smetto mai di cadere!”. Il Signore lo sa ed è sempre pronto a risollevarti. Egli non vuole che ripensiamo continuamente alle nostre cadute, ma che guardiamo a Lui, che nelle cadute vede dei figli da rialzare, nelle miserie vede dei figli da amare con misericordia. Oggi, in questa chiesa diventata santuario della misericordia in Roma, nella Domenica che vent’anni fa san Giovanni Paolo II dedicò alla Misericordia Divina, accogliamo fiduciosi questo messaggio. A santa Faustina Gesù disse: «Io sono l’amore e la misericordia stessa; non c’è miseria che possa misurarsi con la mia misericordia». Una volta, poi, la santa disse a Gesù, con soddisfazione, di avergli offerto tutta la vita, tutto quel che aveva. Ma la risposta di Gesù la spiazzò: «Non mi hai offerto quello che è effettivamente tuo». Che cosa aveva trattenuto per sé quella santa suora? Gesù le disse con amabilità: «Figlia, dammi la tua miseria». Anche noi possiamo chiederci: “Ho dato la mia miseria al Signore? Gli ho mostrato le mie cadute perché mi rialzi?”. Oppure c’è qualcosa che tengo ancora dentro di me? Un peccato, un rimorso del passato, una ferita che ho dentro, un rancore verso qualcuno, un’idea su una determinata persona… Il Signore attende che gli portiamo le nostre miserie, per farci scoprire la sua misericordia.
    Torniamo ai discepoli. Avevano abbandonato il Signore durante la Passione e si sentivano colpevoli. Ma Gesù, incontrandoli, non fa lunghe prediche. A loro, che erano feriti dentro, mostra le sue piaghe. Tommaso può toccarle e scopre l’amore, scopre quanto Gesù aveva sofferto per lui, che lo aveva abbandonato. In quelle ferite tocca con mano la vicinanza tenera di Dio. Tommaso, che era arrivato in ritardo, quando abbraccia la misericordia supera gli altri discepoli: non crede solo alla risurrezione, ma all’amore sconfinato di Dio. E fa la confessione di fede più semplice e più bella: «Mio Signore e mio Dio!». Ecco la risurrezione del discepolo: si compie quando la sua umanità fragile e ferita entra in quella di Gesù. Lì si dissolvono i dubbi, lì Dio diventa il mio Dio, lì si ricomincia ad accettare sé stessi e ad amare la propria vita.
    Cari fratelli e sorelle, nella prova che stiamo attraversando, anche noi, come Tommaso, con i nostri timori e i nostri dubbi, ci siamo ritrovati fragili. Abbiamo bisogno del Signore, che vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità. Scopriamo di essere come dei bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso. E se, come il cristallo, siamo trasparenti di fronte a Lui, la sua luce, la luce della misericordia, brilla in noi e, attraverso di noi, nel mondo. Ecco il motivo per essere, come ci ha detto la Lettera di Pietro, «ricolmi di gioia, anche se ora […], per un po’ di tempo, afflitti da varie prove».
    In questa festa della Divina Misericordia l’annuncio più bello giunge attraverso il discepolo arrivato più tardi. Mancava solo lui, Tommaso. Ma il Signore lo ha atteso. La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: «Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno». Non è ideologia, è cristianesimo.
    In quella comunità, dopo la risurrezione di Gesù, uno solo era rimasto indietro e gli altri lo aspettarono. Oggi sembra il contrario: una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro. E ognuno potrebbe dire: “Sono problemi complessi, non sta a me prendermi cura dei bisognosi, altri devono pensarci!”. Santa Faustina, dopo aver incontrato Gesù, scrisse: «In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso… [Signore], ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi». Lei stessa, però, un giorno si lamentò con Gesù che, ad esser misericordiosi, si passa per ingenui. Disse: «Signore, abusano spesso della mia bontà». E Gesù: «Non importa, figlia mia, non te ne curare, tu sii sempre misericordiosa con tutti». Con tutti: non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno.
    Oggi l’amore disarmato e disarmante di Gesù risuscita il cuore del discepolo. Anche noi, come l’apostolo Tommaso, accogliamo la misericordia, salvezza del mondo. E usiamo misericordia a chi è più debole: solo così ricostruiremo un mondo nuovo.

Regina Coeli

Cari fratelli e sorelle,
    in questa Seconda Domenica di Pasqua, è stato significativo 􏰈􏰖􏰁􏰇􏰓􏰐􏰘􏰁􏰀􏰆 celebrare l’Eucaristia qui, nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, che San Giovanni Paolo II volle come Santuario della Divina Misericordia. La risposta dei cristiani nelle tempeste della vita e della storia non può che essere la misericordia: l’amore compassionevole tra di noi e verso tutti, specialmente verso chi soffre, chi fa più fatica, chi è più abbandonato... Non pietismo, non assistenzialismo, ma compassione, che viene dal cuore. E la misericordia divina viene dal Cuore di Cristo, di Cristo Risorto. Scaturisce dalla ferita sempre aperta del suo costato, aperta per noi, che sempre abbiamo bisogno di perdono e di conforto. La misericordia cristiana ispiri anche la giusta condivisione tra le nazioni e le loro istituzioni, per affrontare la crisi attuale in maniera solidale.
􏰲􏰆􏰂􏰅􏰚􏰉􏰆    Formulo l'augurio ai fratelli e sorelle della Chiesa d'oriente che oggi celebrano la Festa di Pasqua. Insieme 􏰰􏰖􏰛􏰁􏰎􏰅􏰎annunciamo: «Davvero il Signore è risorto!» Soprattutto in questo tempo di prova, sentiamo quale grande dono è la speranza che nasce dall’essere risorti con Cristo! In particolare, mi rallegro con le comunità cattoli- che orientali che, per motivi ecumenici, celebrano la Pasqua insieme con quelle ortodosse: questa fraternità sia di conforto là dove i cristiani sono una piccola minoranza.
    Con gioia pasquale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, Madre di Misericordia.

“Regina caeli”
Regína caeli laetáre, allelúia.
Quia quem merúisti portáre, allelúia.
Resurréxit, sicut dixit, allelúia.
Ora pro nobis Deum, allelúia.
(Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia).

18 aprile 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 18 aprile 2020

    Ieri ho ricevuto una lettera di una suora, che lavora come traduttrice nella lingua dei segni per i sordomuti, e mi raccontava il lavoro tanto difficile che hanno gli operatori sanitari, gli infermieri, i medici, con i malati disabili che hanno preso il Covid-19. Preghiamo per loro che sono sempre al servizio di queste persone con diverse abilità, ma non hanno le abilità che abbiamo noi.


Liturgia della Parola: At 4,13-21; 􏰜􏰒􏰝􏰯􏰟􏰠􏰝􏰧Sal 117; Mc 􏰝􏰳􏰒􏰹􏰟􏰝􏰣16,9-15

Omelia - Il dono dello Spirito Santo: la franchezza, il coraggio, la parresìa


    I capi, gli anziani, gli scribi, vedendo questi uomini e la franchezza con la quale parlavano, e sapendo che era gente senza istruzione, forse non sapevano scrivere, rimanevano stupiti. Non capivano: “Ma è una cosa che non possiamo capire, come questa gente sia così coraggiosa, abbia questa franchezza”. Questa parola è una parola molto importante che diviene lo stile proprio dei predicatori cristiani, anche nel Libro degli Atti degli Apostoli: franchezza. Coraggio. Vuol dire tutto quello. Dire chiaramente. Viene dalla radice greca di dire tutto, e anche noi usiamo tante volte questa parola, proprio la parola greca, per indicare questo: parresìa, franchezza, coraggio. E vedevano questa franchezza, questo coraggio, questa parresìa in loro e non capivano.
    Franchezza. Il coraggio e la franchezza con i quali i primi apostoli predicavano … Per esempio, il Libro degli Atti è pieno di questo: dice che Paolo e Barnaba cercavano di spiegare agli ebrei con franchezza il mistero di Gesù e predicavano il Vangelo con franchezza.
     Ma c’è un versetto che a me piace tanto nella Lettera agli Ebrei, quando l’autore della Lettera agli Ebrei si accorge che c’è qualcosa nella comunità che sta andando giù, che si perde quella cosa, che c’è un certo tepore, che questi cristiani stanno diventando tiepidi. E dice questo – non ricordo bene la citazione, … – dice questo: “Richiamati ai primi giorni, avete sostenuto una lotta grande e dura: non gettate via adesso la vostra franchezza”. “Riprenditi”, riprendere la franchezza, il coraggio cristiano di andare avanti. Non si può essere cristiani senza che venga questa franchezza: se non viene, non sei un buon cristiano. Se non hai il coraggio, se per spiegare la tua posizione tu scivoli sulle ideologie o sulle spiegazioni casistiche, ti manca quella franchezza, ti manca quello stile cristiano, la libertà di parlare, di dire tutto. Il coraggio.
    E poi, vediamo che i capi, gli anziani e gli scribi sono vittime, sono vittime di questa franchezza, perché li mette all’angolo: non sanno cosa fare. Rendendosi conto “che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. Vedendo poi in piedi vicino a loro l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare”. Invece di accettare la verità come si vedeva, avevano il cuore tanto chiuso che hanno cercato la via della diplomazia, la via del compromesso: “Spaventiamoli un po’, diciamo loro che saranno puniti e vediamo se così tacciono”. Davvero, sono messi all’angolo proprio dalla franchezza: non sapevano come uscirne. Ma a loro non veniva in mente di dire: “Ma non sarà vero, questo?”. Il cuore già era chiuso, era duro: il cuore era corrotto. Questo è uno dei drammi: la forza dello Spirito Santo che si manifesta in questa franchezza della predicazione, in questa pazzia della predicazione, non può entrare nei cuori corrotti. Per questo, stiamo attenti: peccatori sì, corrotti mai. E non arrivare a questa corruzione che ha tanti modi di manifestarsi …
    Ma, erano all’angolo e non sapevano cosa dire. E alla fine, hanno trovato un compromesso: “Minacciamoli un po’, spaventiamoli un po’”, e li invitano, li richiamarono e ordinarono loro, li invitano a non parlare in alcun momento né di insegnare nel nome di Gesù. “Facciamo la pace: voi andate in pace, ma non parlate nel nome di Gesù, non insegnare”. Pietro lo conoscevamo: non era un coraggioso nato. È stato un codardo, ha rinnegato Gesù. Ma cosa è successo, adesso? Rispondono: “Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”. Ma questo coraggio, da dove viene, a questo codardo che ha rinnegato il Signore? Cosa è successo nel cuore di quest’uomo? Il dono dello Spirito Santo: la franchezza, il coraggio, la parresìa è un dono, una grazia che dà lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste. Proprio dopo aver ricevuto lo Spirito Santo sono andati a predicare: un po’ coraggiosi, una cosa nuova per loro. Questa è coerenza, il segnale del cristiano, del vero cristiano: è coraggioso, dice tutta la verità perché è coerente.
    E a questa coerenza chiama il Signore nell’invio. Dopo questa sintesi che fa Marco nel Vangelo: «Risorto al mattino...» – una sintesi della resurrezione –, «li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto». Ma con la forza dello Spirito Santo - è il saluto di Gesù: «Ricevete lo Spirito Santo» – e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Andate con coraggio, andate con franchezza, non abbiate paura. Non – riprendo il versetto della Lettera agli Ebrei – “non gettate via la vostra franchezza, non gettate via questo dono dello Spirito Santo”. La missione nasce proprio da qui, da questo dono che ci fa coraggiosi, franchi nell’annuncio della parola.
    Che il Signore ci aiuti sempre a essere così: coraggiosi. Questo non vuol dire imprudenti: no, no. Coraggiosi. Il coraggio cristiano sempre è prudente, ma è coraggio.

Preghiera per la comunione spirituale

Ai Tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e Ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella Tua santa presenza. Ti adoro nel Sacramento del Tuo amore, l’Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che Ti offre il mio cuore. In attesa della felicità della comunione sacramentale, voglio possederTi in spirito. Vieni a me, o mio Gesù, che io vengo da Te. Possa il Tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in Te, spero in Te, Ti amo.