28 febbraio 2015

Leader mistici e gruppi scismatici, chi insidia la Chiesa?

Tutta la verità sul caso dell’Opera San Michele Arcangelo a Bologna. Le nostre telecamere sono entrate nella casa generalizia dell’Osma. Intervista esclusiva a Gennaro Senatore — guida del gruppo – conosciuto come P. Michel Upmann. e poi siamo andati a Teramo dove una sedicente chiesa — Chiesa Ecumenica Cattolica — celebra matrimoni tra omosessuali con intervista a Gianni Di Marco. Una inchiesta su leader mistici e gruppi scismatici che attentano e insidiano la Chiesa cattolica e il Vicario di Cristo.




23 febbraio 2015

Se Antonio Socci usa il martirio dei cristiani per attaccare Papa Francesco…

Nuova aggressione mediatica del giornalista Antonio Socci a Papa Francesco, l’occasione è arrivata dalla tragica morte dei 21 cristiani martirizzati in Libia dall’isis.


Nuova aggressione mediatica del giornalista Antonio Socci a Papa Francesco, l’occasione è arrivata dalla tragica morte dei 21 cristiani martirizzati in Libia dall’Isis.
Per Socci, infatti, il loro martirio sarebbe stata una lezione «alla chiesa di Bergoglio» che «definisce “una solenne sciocchezza” l’annuncio cristiano e il proselitismo». Chiariamo le cose: Francesco non ha mai definito “sciocchezza” l’annuncio cristiano, anzi la “Chiesa in uscita” ad annunciare il cristianesimo è proprio la priorità del suo pontificato. Il Papa ha invece giustamente definito una sciocchezza il proselitismo, ovvero l’ideologia (-ismo, è sempre ideologia) dell’ingrossare le file a tutti i costi. Come ha affermato il vaticanista di riferimento dei tradizionalisti, Sandro Magister«ciò non significa per Francesco che la Chiesa debba chiudersi in se stessa e rinunciare a convertire. Tutt’altro. Fin da quando è stato eletto alla sede di Pietro, papa Bergoglio non ha fatto che incitare la Chiesa ad “aprirsi”, a raggiungere gli uomini fin nelle loro più remote “periferie esistenziali”». Il teologo Gianni Gennari ha criticato chi «spesso distorce apposta le parole e i gesti di Francesco», fingendo di non capire che «la differenza tra missione e proselitismo è grande, e decisiva».
L’articolo del giornalista è ancora una volta strutturato ad “elenco della spesa”, ovvero una serie di fatti sparati a raffica sconnessi gli uni dagli altri e decontestualizzati dalla loro complessità, per creare un fuoco di fila contro il Papa. Si parte con la vecchia accusa dell’«atto di adorazione alla Moschea» (Francesco non ha evidentemente adorato la Moschea, ma semmai ha pregato Dio in una Moschea), mentre evita di parlare dell’adorazione di Dio nella Moschea Blu da parte di Benedetto XVI nel 2006. Viene resuscitata anche l’accusa al Papa di evitare di pronunciare «la parola “Islam”se non in termini laudatori»: ma evitare di incolpare l’Islam in generale è una scelta corretta da parte di Francesco (tanto che lo fece anche Benedetto XVI, come abbiamo mostrato), è fondamentale non confondere la fede di tanti musulmani con il fondamentalismo di alcuni. Tuttavia, il Santo Padre ha più volte invitato «i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani» a condannare «qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza».
Il giornalista di “Libero” ha anche ripescato -effettivamente non lo faceva da qualche puntata, tornerà a farlo tra due o tre articoli- il presunto attacco a Benedetto XVI da parte del portavoce di Bergoglio a Buenos Aires per il discorso di Ratisbona sull’Islam. Come è stato già ampiamente chiarito, il portavoce dell’arcidiocesi argentina specificò di esprimersi a titolo personale e venne in seguito rimosso dall’incarico proprio grazie all’intervento di Bergoglio che, evidentemente, non condivideva tale opinione.
Secondo il giornalista, Francesco avrebbe anche detto che «la grande emergenza attuale della Chiesa non è la fede, ma è l’ambiente e poi l’accoglienza alle nuove coppie e la comunione ai divorziati risposati. Tanto che presto avremo l’enciclica bergogliana sull’ecologia e i pregi della spazzatura differenziata invece di un grido di amore a Dio in questo mondo senza fede e senza speranza». Francesco non ha mai affermato nulla di simile: nell’enciclica Evangelii Gaudium, al contrario, ha più volte ricordato l’emergenza dell’evangelizzazione cristiana«Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne e senza impegno con l’altro. Se non trovano nella Chiesa una spiritualità che li sani, li liberi, li ricolmi di vita e di pace e che nel medesimo tempo li chiami alla comunione solidale e alla fecondità missionaria, finiranno ingannati da proposte che non umanizzano né danno gloria a Dio». Ovviamente Francesco non vuol nemmeno accogliere le «nuove coppie», ovvero legittimare le forme di unione alternative al matrimonio (subdolamente Socci intende questo), più volte infatti ha criticato i tentativi di ridefinire il matrimonio. Tanto meno ha mai parlato di un’urgenza di dare la comunione ai divorziati risposati, semmai ha aperto un confronto tra cardinali per verificare la possibilità di accogliere maggiormente queste persone senza violare il sacramento del matrimonio. Lo sguardo di Francesco è rivolto alle persone e l’emergenza è quella di una Chiesa che non cacci via nessuno, ma sia il luogo dove ricominciare, dove chi si è perso può ritrovarsi, riconoscere il peccato e ripartire.
E’ puerile anche voler ridicolizzare la prossima enciclica di Francesco riducendola ai consigli per la spazzatura differenziata. Ciò di cui vuole occuparsi Francesco è la decentralizzazione dell’uomo dalla società, focalizzata invece su una disumana frenesia del profitto. E’ un’altra grave emergenza di oggi e sappiamo quante volte Benedetto XVI ha indicato nel consumismo il grande male dei nostri tempi! L’ecologia umana e l’uso migliore dell’ambiente per «utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona»ha affermato coraggiosamente davanti al Parlamento Europeo. «La persona umana è in pericolo»ha ricordato in un’altra occasione. «Ecco l’urgenza dell’ecologia umana! La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero, ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro […]. Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano». Un’enciclica indispensabile per riflettere sul grande male della società occidentale.
Dall’elenco della spesa Socci ha tirato fuori un’altra accusa un po’ datata (mischiando il vecchio con il nuovo): «E’ il papa Bergoglio che riceve e arringa i centri sociali tipo Leoncavallo, non i cristiani che eroicamente e pacificamente si battono per testimoniare la salvezza, subendo il disprezzo e le accuse del mondo». Francesco ha partecipato ad un bell’incontro con i movimenti popolari (tra cui era stato invitato anche il Leoncavallo), mostrando che parte delle loro esigenze e interessi sociali sono gli stessi della Chiesa: «terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa»ha detto prima di invitare i movimenti popolari a far rientrare nella loro critica al sistema economico attuale, quando questo mette i benefici al di sopra dell’uomo, anche i temi dell’aborto, dell’eutanasia e delle altre forme di “scarto” della persona umana. Ovviamente è falso anche che Francesco si disinteressi dei cristiani perseguitati, ne parla continuamente e proprio due giorni fa ha ricordato i cristiani copti «sgozzati per il solo motivo di essere cristiani», e pochi giorni prima ha parlato dei «nostri martiri, dei martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri».
L’elenco dei “peccati” del successore di Pietro, elencati su “Libero”, è quasi concluso: Socci critica la scelta di «nuovi cardinali in base alla sua ideologia, invece di dare la porpora» ai vescovi del medioriente. A parte che non si capisce cosa sia “l’ideologia” di Francesco, non risulta che Giovanni Paolo II o Benedetto XVI abbiano nominato cardinali che non stimavano o che erano lontani dal loro pensiero. Anche loro, dunque, hanno scelto in base alla loro “ideologia”? Per quanto riguarda le scelte, come sappiamo ci sono sempre importanti valutazioni geopolitiche dietro ad ognuna di esse, ed evidentemente i criteri utilizzati in Vaticano sono un pochino più complessi di quanto si possa teorizzare sulla pagina Facebook di un giornalista.
L’articolo si conclude parlando di un «clima da caccia alle streghe e da epurazioni che da qualche giorno circola nell’establishment vaticano». E’ la classica bufala catastrofista, Socci lo aveva già scritto nell’ottobre scorso e non è accaduto nulla. Ha anche fatto una proposta al Papa: «Un’operazione lampo di salvataggio di questi cristiani rimasti lì, con il loro vescovo. Sono solo trecento e rischiano tutti la vita per la loro fede. Il Vaticano potrebbe ospitarli […] E’ questa la mia preghiera a papa Bergoglio per salvare dal massacro un’intera comunità cristiana e il suo pastore. Perché non farlo?». Gli ha risposto lo stesso vescovo di Tripoli, padre Martinelli, dimostrando di avere un senso della Chiesa e della missione cristiana diverso dal suo: «Questo è il culmine della mia testimonianza. Tutti mi chiedono di tornare. Ma io non devo tornare da nessuna parte, perché il mio posto è qui. Come faccio a mollare? Sarebbe un tradimento. Io da qui non mi muovo. E non ho paura». Una bellissima testimonianza, dalla quale si nota -esattamente come fa Papa Francesco- l’assenza di un attacco all’Islam (o all’islamismo, come vorrebbe Socci), anzi un’importante distinzione: «Io spero che qualcuno voglia spendersi per questa gente. Penso che sia l’unica strada mica solo per i cristiani, ma anche per quei libici che con gli estremismi e i jiadihisti non hanno nulla a che fare».
E’ sorprendente comunque che il giornalista abbia espresso questa proposta al Papa, guardando a lui evidentemente come il pastore della Chiesa. Eppure, aveva appena finito di scrivere che «siamo come pecore senza pastore». Pecore senza pastore? Una posizione che è in antitesi con il cristianesimo, come ha spiegato Benedetto XVI: «noi non andiamo a tastoni nel buio, non andiamo vagando invano alla ricerca di ciò che potrebbe essere retto, non siamo come pecore senza pastore, che non sanno dove sia la via giusta. Dio si è manifestato. Egli stesso ci indica la strada». Non vedere più la strada è un problema personale con la fede cristiana e non si può scaricare la colpa sugli altri per questo, dato che per tanti Papa Francesco è invece l’occasione per una conversione nuova, un ritrovamento della strada perduta. Magdi Cristiano Allam è uscito dalla Chiesa cattolica criticando Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Per lo meno è stato coerente con se stesso.

20 febbraio 2015

La Madonna contestata


In un congresso svoltosi a Lilla, un sacerdote inglese narrò questo fatto. "Molto lontano da questa città, viveva una famiglia protestante composta di molti figli, l'ultimo dei quali, di sei anni, sentì un giorno recitare dai cattolici la bellissima preghiera dell'Ave Maria, che risuonò alle sue orecchie come una dolce melodia.

Tornato a casa il fanciullo, con il candore e la semplicità propria della sua età, recitò ad alta voce, perchè la madre lo sentisse, la bellissima preghiera dei cattolici.
La madre lo rimproverò aspramente: “Non ripetere mai più queste parole! Sono parole superstiziose, che fanno di Maria una divinità. Maria è una semplice creatura, una donna come un'altra, e niente più!”.

Il fanciullo tacque. Ma gli restava in cuore il piacere di aver sentito per la prima volta l'Ave Maria.
Un giorno, leggendo il santo Vangelo, fu colpito dal passo di S. Luca: "E l'Angelo disse a Maria. “Ave, piena di grazia, il Signore è con te”. Saltando di gioia il ragazzo corse dalla mamma col Vangelo aperto tra le mani e le disse: “Mamma, leggi quello che dice la Bibbia: Ave, piena di grazia". Perchè tu dici che è superstizione pronunciare queste parole?”.

La madre gli strappò nervosamente il libro dalle mani e gli proibì severamente di tornare a ripetere la frase, che per il ragazzo era tanto dolce ma che per la madre, luterana fanatica, era tanto irritante.
Il ragazzo però non dimenticò più la bella preghiera che estasia i buoni cattolici e la recitò molte volte da solo, con immensa gioia.

E intanto crebbe negli anni e, con gli anni, anche nell'intelligenza. A tredici anni fu in grado di proporsi questo argomento convincente: “O è falso il Vangelo o lo è il protestantesimo. I protestanti tengono il Vangelo come regola di fede; e allora come possono negare che la Vergine è la più eccellente delle creature e qualcosa di più che una semplice donna, quando il Vangelo lo attesta chiaramente?".

Continuando a leggere il sacro testo, fu colpito dalle parole del Magnificat: “Tutte le genti mi chiameranno beata”.
Questo passo fece brillare nella sua anima la luce definitiva. La grazia e la fede lo guidarono, persuadendolo fermamente della dignità di Maria.

Un giorno, in casa, la conversazione ricadde sul tema protestantico che Maria è una donna come le altre: soltanto una buona madre di famiglia. Allora il ragazzo, indignato per simili espressioni, si alzò in piedi e con voce vibrante protestò: “No, non è vero; non può essere così, la santissima Vergine è più che una semplice creatura. L'Angelo mandato da Dio la salutò “piena di grazia". E' la Madre di Gesù, Madre di Dio. Voi protestanti avete un impegno particolare nel coprire di vilipendio la più augusta di tutte le creature. Ma notate la vostra contraddizione. Dite che la Bibbia è il fondamento della vostra fede; se è così, perchè non le date credito quando vi insegna e dice in maniera precisa che tutte le generazioni la chiameranno beata?".
Una bomba scoppiata in mezzo alla casa non avrebbe recato una emozione più forte di quella prodotta da queste parole.
“Che avviene mai!” - gridò inferocita la madre – “che vedo, che sento!... Mio figlio finirà per farsi cattolico!..."

E lo era già in cuor suo, ma dovette lottare strenuamente contro tutti quelli di casa per divenirlo effettivamente. Raggiunta la maggiore età, ricevette il Battesimo. L’ostinazione nell'errore da parte dei suoi genitori e fratelli lo ricolmava di dolore. E tuttavia continuava a sperare che la grazia del Signore avrebbe un giorno o l'altro bussato alla porta del cuore dei suoi cari.
Intanto uno dei fratelli cadde gravemente ammalato. In breve si ridusse all'orlo dei sepolcro. Dio ispirò al giovane una felice idea.
“Mamma, disse, Dio è onnipotente; se vuole, può ridarci il caro malato. Recitate insieme con me l'Ave Maria, e promettetemi, se il fratello guarirà, di studiare attentamente la Religione cattolica e se, dopo un esame imparziale, la troverete l'unica vera, giuratemi di abbracciarla".

La madre fremette alla proposta e ruggì come una belva. In preda alla disperazione, agitava i pugni stretti e urlava come una forsennata. Poi, si calmò. Vinta dall'amore materno, piegò il capo dinanzi alla necessità del momento e, inginocchiatasi, recitò assieme al figlio l'Ave Maria.
Il giorno dopo il malato entrava in convalescenza: l'intercessione di Maria l'aveva salvato! La madre e l'intera famiglia, dopo uno studio serio, abbracciarono la Religione cattolica.
Questo ragazzo - concluse il conferenziere - questo ragazzo devoto di Maria è oggi sacerdote, o signori; è colui che ha l'onore di rivolgervi la parola".

(Da: “Capanaga, Maria nella storia delle conversioni”).

Apologetica Cristiana Cattolica

17 febbraio 2015

Il figlio della suora che in realtà non era una suora:


Non era nemmeno una suora, ma questo ai nostri occhi non cambia la sostanza della vicenda. Qualche giorno fa i giornali hanno dato notizia di una suora di clausura che, recatasi in ospedale per forti dolori di pancia, ha poi partorito un bambino. Immaginatevi le ironie sul voto di castità e altri sottintesi da caserma. Qualcuno a digiuno dei più basilari rudimenti di pietà cristiana ha persino ipotizzato che la sventurata potesse incorrere in una scomunica. Solo poi si è scoperto che la ragazza era di umili origini, era straniera, aveva subìto una violenza sessuale nel suo paese ed era stata accolta nel convento dalla suore che, discretamente, l’avevano accudita e aiutata.

Qui si fermano i resoconti dei quotidiani che, non avendo più la possibilità di rimestare su satellitari dettagli erotici, hanno dimenticato la faccenda. E questo è un bene, per il rispetto che si deve all’intimità dei protagonisti, ma è anche significativo di che cosa oggi si intenda per “notizia”.
A noi resta l’impressione che il nocciolo della questione sia quello non raccontato e che può essere solo dedotto dal comportamento delle religiose. Di fronte a un mondo che fa un gran parlare di diritti, quote rosa ed emancipazione femminile, ancora una volta – arrivati al sodo – è la Chiesa a mostrare la cura più adeguata e disinteressata dell’altro. E cos’è questo se non il segno più profondo di ciò che noi chiamiamo “maternità”? Che ce lo insegnino delle vergini di clausura è un ossimoro solo per gli stolti.

http://www.tempi.it/figlio-della-suora#.VOMVhUJ6kz1

15 febbraio 2015

Celebrano messa tra saluti romani, svastiche e "santini" del Führer. Tra fede cristiana e nostalgia



«LA MIA TONACA? UNA CAMICIA NERA TAGLIA XXL». 

Un prete che - tra una messa in onore di Mussolini e una benedizione ai nostalgici della Repubblica di Salò - pronunci una simile frase, andrebbe scomunicato, trattato come un soggetto folcloristico o pietosamente ignorato? Il problema si pone, ad esempio, con don Giulio Tam che la suddetta frase l'ha esclamata davvero, facendo un figurone con tutti i camerati per i quali rappresenta un mito in abito talare.

Non c'è infatti anniversario a sfondo nazifascista che don Giulio non si prenda la briga di battezzare fra un tripudio di fasci littori, svastiche, foto del Duce e anche qualche «santino» di Hitler.
Ogni 28 ottobre, don Giulio - foss'anche in corso il Giudizio Universale - lo troverete, immancabilmente, in quel di Predappio per porre il suo sigillo religioso alla commemorazione della Marcia su Roma, circondato dai suoi fan di Forza Nuova: leggiadra organizzazione in cui don Giulio svolge il delicato ruolo di «padre spirituale». «Il modello di don Giulio - come ha scritto il vaticanista, Giacomo Galeazzi - sono i preti neri del ventennio come don Gino Artini, don Angelo Baroni, fra Galdino, don Alberico Manetti, don Antonio Bruzzesi, fra Ginepro da Pompeiana. O don Ettore Civati, centurione della Milizia, volontario in Albania, podestà in Valtellina e fascista così fascista da finire spretato e diventare funzionario del Minculpop. O su tutti don Tullio Calcagno, il prete scismatico che teorizzò una sua idea di cattolicesimo fascista, diede vita alla rivista Crociata italica, finì sospeso a divinis e scomunicato ed arrivò a un punto tale di rottura con la Chiesa che, davanti al plotone di esecuzione, rifiutò perfino il conforto di un sacerdote». Ma qui il discorso dovrebbe essere molto più ampio e riguardare storicamente le controverse relazioni intercorse tra la Chiesa e il regime nazifascista.

Tornando invece ai nostri giorni, non si creda che don Giulio Tam sia l'unico prete nero in circolazione. In questi giorni, funestati dalla vicenda Priebke, si è infatti molto agitato anche il suo collega lefebvriano DON FLORIANO ABRAHAMOWICZ, parroco di Paese (Treviso), IL QUALE - OLTRE A DEFINIRE PRIEBKE «UN BRAV'UOMO, VITTIMA DELL'INGIUSTIZIA ITALIANA» -, ha aggiunto in un empito negazionista che «NEI LAGER TEDESCHI LE CAMERE A GAS SERVIVANO SOLO PER STERILIZZARE GLI ABITI DEGLI EBREI». Echi molto più soft di preti mussoliniani arrivano anche da Catania con don Antonio Lo Curto e dal Comasco con don Luigi Barindelli.

Sul fronte opposto, quello «comunista», fino a poco tempo fa c'era don Andrea Gallo che in chiesa i suoi fedeli li accoglieva col pugno chiuso e al grido di «Bella Ciao». Don Gallo è morto e oggi tutti lo ricordano come un «eroe partigiano»e un «simbolo della libertà». Ma questa è un'altra storia...

http://www.ilgiornale.it/news/interni/celebrano-messa-saluti-romani-svastiche-e-santini-f-hrertra-959190.html

14 febbraio 2015

Contrordine, compagni! la beata Anna Caterina Emmerick Non vide “due papi”

Per molto tempo si è creduto che la beata Anna Caterina Emmerick, durante la visione del 13 maggio 1820 (sicuramente collegata a Fatima), avesse visto due papi insieme e che la profezia si fosse avverata nel 2013, con la presenza di due papi in Vaticano (uno emerito, Benedetto, e l’altro regnante, Francesco).

In realtà, leggendo integralmente la visione del 13 maggio, la Beata avrebbe visto – il condizionale è d’obbligo – il papa regnante della sua epoca, Pio VII (1800-1823), e il lontano predecessore S. Bonifacio IV (608-615): fra questi due Vescovi di Roma v’è una rapporto – una connessione – importante. Questo è ciò che vide la stigmatizzata tedesca.

Purtroppo, gli stralci parziali della visione possono indurre in errore, dunque per comprenderne bene il significato, è necessario leggerne l’intero resoconto.
In esclusiva per i lettori, riportiamo integralmente la visione del 13 maggio 1820, ringraziando P.R.L. per la traduzione precisa e inequivocabile.



LA VISIONE

«La scorsa notte, tra le undici e le tre ho avuto la più meravigliosa delle visioni circa due Chiese, due papi e una varie cose, antiche e moderne. Devo raccontare meglio che posso, tutto ciò che ricordo.

Il mio angelo custode è venuto e mi ha detto che devo andare a Roma e portare due cose al Papa, ma adesso non riesco a ricordare cosa fossero. Forse è volere del Signore che io le debba dimenticare.

Ho chiesto al mio angelo come potessi fare un viaggio tanto lungo, malata come ero. Ma quando mi è stato detto che ce l’avrei fatta senza difficoltà, ho smesso di obbiettare.

Uno strano veicolo è apparso davanti a me, piatto e sottile, con solo due ruote, il pianale era rosso con le estremità bianche. Non ho visto cavalli. Sono stata delicatamente sollevata e sdraiata su di esso e in quello stesso istante, un bambino luminoso, bianco come la neve, ha volato verso di me e si è seduto ai miei piedi. Mi ha ricordato il “bambino – pazienza” in verde, così dolce, così bello e perfettamente trasparente. Egli doveva essere il mio accompagnatore, era lì per consolarmi e prendersi cura di me.

Il carro era così leggero e liscio, che in un primo momento avevo paura di scivolare; ma iniziò a muoversi delicatamente da solo, senza cavalli e ho visto una figura umana splendente andare avanti.

Il viaggio non mi è sembrato lungo, sebbene avessimo attraversato paesi, montagne e oceani. Ho riconosciuto Roma nell’istante in cui ci siamo arrivati e mi sono subito trovato alla presenza del Papa. Adesso non saprei dire se stava dormendo o pregando, ma dovevo dirgli due cose o dargli due cose e dovrò andare da lui ancora, per comunicargliene una terza.

Allora ho avuto una visione meravigliosa.

Roma mi apparve improvvisamente come era nei primi secoli ed ho visto un Papa (Bonifacio IV) ed un imperatore di cui non conosco il nome (Foca). Non riuscivo ad orientarmi in città, era tutto così diverso, anche le cerimonie sacre; ma le ho comunque riconosciute come cattoliche. Ho visto un grande palazzo circolare come una cupola: era un tempio pagano pieno di bellissimi idoli. Non c’erano finestre, ma nella cupola c’era un’apertura, dotata di un dispositivo per impedire alla pioggia di entrare. Sembrava che tutti gli idoli che fossero esistiti si trovassero là insieme, messi in ogni posizione immaginabile. Molti di loro erano davvero belli, altri eccessivamente strani. Ce ne erano anche alcuni con sembianze di oche che ricevevano onorificenze divine. Al centro del palazzo c’era una piramide molto alta formata interamente da queste immagini. Non ho assistito ad alcun culto pagano in quel momento, sebbene gli idoli fossero ancora ben conservati.

Ho visto messaggeri di papa Bonifacio andare dall’imperatore e chiedere che il tempio fosse trasformato in una chiesa cristiana. Ho sentito quest’ultimo dichiarare che il Papa avrebbe dovuto permettere che le vecchie statue rimanessero, anche se avrebbe potuto erigere là la croce alla quale i più grandi onori sarebbero dovuti essere pagati. Questa proposta non mi parve fatta con intenti malvagi, ma in buona fede. Ho visto i messaggeri fare ritorno con questa risposta e il Papa riflettere su come in qualche modo poteva conformarsi alla volontà dell’imperatore.

Mentre stava così pensando, ho visto un buono e pio prete in preghiera di fronte al Crocifisso. Indossava una tunica lunga, bianca e con uno strascico e un angelo volteggiava al suo fianco. All’improvviso si alzò e andò dritto da Bonifacio e gli disse che non doveva in alcun modo accettare la proposta dell’imperatore. I messaggeri furono allora inviati all’imperatore, il quale adesso acconsente allo sgombero totale del tempio. Allora ho visto i suoi uomini andare e portare via molte statue dalla città imperiale, ma molte rimasero comunque a Roma.

Allora ho visto la consacrazione del tempio, alla quale cerimonia assistettero i santi martiri con in testa la Vergine Maria. L’altare non si trovava al centro della costruzione, ma contro il muro. Ho visto più di trenta carri carichi di reliquie sacre venire portati dentro la chiesa. Molti di loro venivano incastonati nei muri e altri potevano essere visti attraverso aperture rotonde ricoperte di qualcosa simile al vetro. Quando stavo assistendo a questa visione, anche durante i più minimi dettagli, ho visto nuovamente il Papa attuale e la Chiesa oscura di Roma di questi tempi. Sembrava una vecchia, grande casa simile ad un municipio con delle colonne al suo ingresso. Non ho visto alcun altare dentro, ma solo panche, e nel centro qualcosa che somigliava ad un pulpito. C’era stata un’omelia e dei canti, ma niente altro e solo in pochi vi avevano presenziato.

Ed ecco una più singolare visione! Ogni membro della congregazione estrasse un idolo dal proprio petto, ci si sedette di fronte e si mise a pregarlo. Era come se ogni uomo estraesse i suoi pensieri o passioni segrete, sotto l’aspetto di una nuvola scura che, una volta estratta, prendeva una forma definita. Erano esattamente le stesse figure che avevo visto intorno al collo della sposa illecita nella Casa Nuziale, figure di uomini e di animali. Il dio di uno di loro era basso e largo, con la testa sottile e numerose braccia distese pronte ad afferrare e divorare tutti coloro che potevano raggiungere; quello di un altro era piuttosto piccolo e deprimente, con le braccia rinsecchite; un altro aveva a malapena un blocco di legno che fissava con occhi annoiati. Una altro aveva un animale orribile; un altro, una lunga asta. La cosa più singolare di tutto ciò era che gli idoli riempivano lo spazio; la chiesa, nonostante gli adoratori fossero così pochi, era affollata di idoli. Quando la funzione fu finita, gli idoli di ciascuno di loro rientrarono nei rispettivi petti. L’intera chiesa era tinta di nero e tutto ciò che vi era successo era avvolto nell’oscurità.

Allora ho visto la connessione (opp. la relazione, il rapporto) tra i due papi e i due templi.

Mi spiace aver dimenticato i numeri, ma mi è stato mostrato quanto debole uno dei due fosse stato nella fedeltà e nel supporto umano, ma anche quanto forte fosse stato l’altro nel coraggio di rovesciare così tante divinità (sapevo quanti) e nell’unire così tante diverse forme di adorazione in una.

Al contrario, quanto bravo a parole, ma poco risoluto nei fatti fosse l’altro, dato che autorizzando l’edificazione di falsi templi, egli ha permesso che l’unico vero Dio, l’unica vera religione si perdesse tra così tanti falsi dei e false religioni. Mi è stato inoltre mostrato che quei pagani adoravano umilmente gli dei più di loro stessi e che sarebbero stati intenzionati ad riconoscere in tutta semplicità 
l’Unico Dio, la più Santa Trinità. Il loro culto era preferibile a quello di coloro che adoravano loro stessi in migliaia di idoli fino all’escludere totalmente Nostro Signore.

La visione era più favorevole ai tempi antichi, perché mostrava che a quel tempo l’idolatria era in diminuzione, mentre ai giorni nostri è proprio il contrario. Ho visto le conseguenze fatali di questa chiesa falsificata; l’ho vista crescere, ho visto eretici di tutti i tipi riversarsi in città. Ho visto il costante aumento della tiepidezza del clero, il cerchio di oscurità allargarsi ancora di più. – e in quel momento la visione divenne più estesa.

Ho visto ovunque cattolici oppressi, infastiditi, limitati e privati della libertà, chiese venivano chiuse e grande miseria prevaleva ovunque con guerre e spargimenti di sangue. Ho visto persone sgarbate, ignoranti offrire resistenza violenta, ma questa condizione non è durata a lungo.

Di nuovo ho visto nella visione, San Pietro indebolito (opp. danneggiato, rimosso) secondo un piano elaborato dalla setta segreta malgrado, allo stesso tempo, veniva danneggiato dalle tempeste; ma veniva salvato nel momento di maggior difficoltà.
Di nuovo ho visto la Beata Vergine estendere il Suo mantello su di esso. In quest’ultima scena non vedevo più il Papa regnante, ma uno dei suoi successori, un uomo mite, ma molto risoluto che sapeva come tenere vicino a sé i suoi preti e allontanare da sé il male. Ho visto tutte le cose rinnovate ed una Chiesa che si estendesse dalla terra fino al Cielo. Ho visto uno dei dodici nuovi Apostoli nella persona del giovane prete che la sposa impura voleva sposare. È stata una visone davvero completa e mostrava di nuovo ciò che mi era stato precedentemente mostrato circa il destino della Chiesa. In un’altra occasione, ho avuto una visione della forte resistenza del Vicario Generale al potere secolare nell’interesse della Chiesa. La questione lo coprì di gloria, sebbene su altre questioni, fu da biasimare.

Mi è stato detto che sarei dovuta andare di nuovo dal Papa, ma quando questo avverrà non saprei dire».

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Non è facile decifrare la visione profetica, ma possiamo provarci, usando il condizionale ovviamente.

La “connessione” fra Bonifacio IV e Pio VII sarebbe il fatto che sotto il regno del primo, il Cristianesimo sconfisse definitamente il paganesimo in Europa, mentre durante il regno del secondo vi fu l’avvento del neopaganismo, seminato dalla rivoluzione protestante in Germania e da quella borghese in Francia, trovando nella rivoluzione marxista del 1917 il suo apice (questo sembrerebbe il collegamento con Fatima).

Con la presa di Roma, perdendo il potere temporale, il Trono di Pietro si è senz’altra indebolito. È vero che questo “potere” era diventato una specie di zavorra, ma almeno rammentare ai “potenti della terra” che il Papa- il papato in quanto istituzione – non è un leader religioso, né una guida morale, ma il vero e proprio rettore del mondo. Non è forse la massoneria la “setta segreta” che ha orchestrato il Risorgimento?

Si tratta di ipotesi, ovviamente, ma alla luce degli accadimenti storici recenti, sembrano molti vicine alla realtà dei fatti.

http://www.papalepapale.com/strega/?p=2483

11 febbraio 2015

Lourdes: le 18 (diciotto) apparizioni della Vergine Maria


Lourdes è situata in una posizione pittoresca alle falde dei Pirenei, chiamata Tarbes-Lourdes dal tempo di san Pio X. Nel 1858 era abitata da sole 4.000 persone. Vicino alla cittadina si trova la Grotta di Massabielle, un luogo deserto e malfamato. Una ragazzina di 14 anni molto buona, ma malata e priva di qualsiasi cultura, di nome Bernadette Soubirous (1844-1879) fu benedetta nel 1858 da diciotto apparizioni della Santa Vergine Maria.

Prima apparizione (11 febbraio) - Con le tre sorelle minori e altre ragazze, la piccola veggente era intenta a raccogliere la legna sulla riva del fiume Gave; giunta in prossimità della Grotta di Massabielle, Bernadette così descrive l'incontro: "tutto ad un tratto avvertii un gran rumore simile ad un colpo di tuono. Guardai a destra, a sinistra e sugli alberi della sponda, ma niente si muoveva; pensai di essermi ingannata, ma udii un nuovo rumore simile al primo, Oh! Allora ebbi paura e mi alzai in piedi. Non sapevo che cosa pensare, allorché girando la testa verso la grotta, vidi in una delle aperture della roccia soltanto una rosa selvatica agitarsi come se ci fosse un forte vento. Quasi nel medesimo tempo uscì dall'interno della Grotta una nube color oro; poco dopo, una Signora giovane e bella, come non ne avevo mai viste, vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l'abito, aveva sui piedi una rosa d'oro che brillava e portava sul braccio un Rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d'oro lucente, come le due rose ai piedi. La Signora venne a collocarsi all'ingresso dell'ogiva, sopra la rosa selvatica. Subito mi guardò, mi sorrise, e mi fece cenno di avanzare, come se Ella fosse la mia mamma. La paura mi era passata, ma mi sembrava di non sapere più dove ero. Mi stropicciai gli occhi, ma la Signora era sempre là che continuava a sorridermi ed a farmi capire che non mi ingannavo. Senza rendermi conto di quello che facevo, presi il Rosario dalla tasca e mi misi in ginocchio. La Signora approvò con un cenno del capo e prese fra le dita la corona del Rosario che teneva sul braccio destro. Quando volli iniziare la recita del Rosario e portare la mano alla fronte, il mio braccio restò come paralizzato e solamente dopo che la Signora si fu segnata, potei fare anche io come Lei. La Signora mi lasciò pregare da sola, faceva sì passare fra le dita i grani della corona, ma non parlava; soltanto alla fine di ogni decina diceva con me: Gloria Patri, et Figlio, et Spiritui Sancto. Finita la recita del Rosario la Signora rientrò all'interno della roccia e la nube d'oro disparve con Lei".

Seconda apparizione (14 febbraio, domenica) - Dopo mezzogiorno, i bambini avevano raccontato alla madre dell'apparizione e volevano persuaderla ad andare con loro alla Grotta. Bernadette voleva fare una prova con l'acqua benedetta, per assicurarsi che l'apparizione fosse opera di Dio e non del demonio. Infatti si recò sul posto con le sorelle e alcune amiche e portò con sé una bottiglia con mezzo litro d'acqua benedetta. Inginocchiatasi nel punto in cui era avvenuta l'apparizione, Bernadette così narra: "Arrivate là, ciascuna prese il suo rosario e ci mettemmo in ginocchio per recitarlo. Avevo appena recitato la prima decina che scorsi la stessa Signora. Allora le gettai l'acqua benedetta dicendole: se venite da parte di Dio, vi prego di restare e di avvicinarvi, se no andatevene subito. La Signora si avvicinò divenendo sempre più presente, specialmente nell'udire il nome di Dio e per l'effetto dell'acqua santa. Quando ebbi finito di recitare il mio rosario, scomparve".
Nessun'altro oltre la veggente vide la Madonna.

Terza apparizione (18 febbraio) - Al mattino Bernadette, accompagnata dalla signora Giovanna Maria Milet e dalla signorina Antonietta Peyret, entrarono nella Grotta e tutte insieme recitarono il santo Rosario. Quando il Rosario fu terminato, Antonietta Peyret disse a Bernadette di chiedere alla Signora se aveva qualcosa di comunicare e di metterlo per iscritto. Quando la Signora apparve, racconta Bernadette mi ha risposto: "Ciò che ho da dirvi non è necessario che lo mettiate per iscritto - poi mi ha detto - vuoi farmi il piacere di venire qui ancora per quindici giorni? Ed ancora Io non ti prometto di farti felice in questo mondo, ma nell'altro..." Bernardette promise di ritornare, con il permesso della madre. La sera di questo giorno il maresciallo d'alloggio d'Angla, comandante della brigata di Lourdes, informa dell'accaduto il suo superiore il tenente Bourriot, di stanza ad Argelès.

Quarta apparizione (19 febbraio) - All'alba verso le ore 6,30 del mattino circa una ventina di persone si recarono alla grotta con Bernadette. La Santa Vergine le comparve e si mostrò soddisfatta che Bernadette fosse ritornata, mantenendo la promessa e le disse che in seguito le avrebbe fatto delle rivelazioni. In questa apparizione si manifesta il demonio che urla "Vattene via!.. Vattene via".

Quinta apparizione (20 febbraio) - Il mattino della quinta apparizione Bernadette, accompagnata dalla mamma, arrivò a Massabielle verso le sei e mezzo e l'apparizione dura una quarantina di minuti; ha come oggetto una preghiera insegnata "parola per parola" dalla Vergine a Bernadette. Verso le due del pomeriggio il comandante della gendarmeria Renault lascia Tabes e raggiunge Lourdes per fare una inchiesta sulle cose straordinarie che avvengono alla grotta.

Sesta apparizione (21 febbraio) - Appena arrivò davanti alla Grotta, Bernadette si inginocchio, prese dalla tasca la corona e si mise a pregare; le apparve la Santa Vergine: "La Signora, staccando da me il suo sguardo per un momento, lo diresse al di sopra della mia testa; ed avendole chiesto che cosa la rattristasse, mi fisso di nuovo e disse: "Pregate per i peccatori!" Ben presto fui rassicurata dall'espressione serena e buona che le vidi sul volto e poi sparì." Nella sera stessa del 21 febbraio intervenne il commissario di polizia Jacomet che sottopose Bernadette a un interrogatorio. Infine suo padre le proibì di continuare ad andare nella Grotta. Il 22 febbraio la veggente fu portata dal fervore popolare nella Grotta, dove si inginocchiò per recitare il Rosario e pianse; non vi fu alcuna apparizione. Il padre tolse il divieto alla figlia con grande disapprovazione del commissario.

Settima apparizione (23 febbraio) - Bernadette giunse all'alba, accompagnata dalla madre e dalle zie Bernarda e Basilia. Un centinaio di persone erano già sul posto tra i quali il dott. Dozous, l'attendente militare Lafitte. La Madonna comunicò a Bernadette tre segreti che riguardavano solamente lei, da non rivelare a nessuno. Per questo viene oggi chiamata l'apparizione dei segreti. La Signora, che non aveva ancora dichiarato il suo nome disse ancora a Bernadette: "Ora figlia mia, vai e dì ai preti che voglio sia eretta in questo luogo una cappella". Bernadette cercò il curato Peyramale per riferire il desiderio della Signora, ma il prete non volle crederle e incaricò la ragazza a chiedere il nome di questa Signora. In un secondo momento il curato, per poter credere alla visione, chiese che il roseto vicino alla Grotta sarebbe dovuto fiorire; questo sarebbe stato un segno che le apparizioni non erano frutto di un'illusione.

Ottava apparizione (24 febbraio) - La ragazza giunta vicino al roseto, vide la Signora e le riportò le condizioni del prete. Ella non rispose ma, con una voce serissima, espresse il desiderio che Bernadette pregasse per i peccatori. Poi la Signora affidò a Bernadette un Suo messaggio di penitenza e di preghiera: "Penitenza! Penitenza! Penitenza! Pregate Dio per la conversione dei peccatori! Baciate la terra in segno di penitenza in favore dei peccatori". Il roseto selvatico non fiorì tuttavia la gente non né rimase delusa, anzi furono molte le persone che credettero alle apparizioni. Il numero delle persone presenti a questa apparizione furono circa cinquecento come dalla dichiarazione scritta sul rapporto del maresciallo d'Angla indirizzato al suo superiore.

Nona apparizione (25 febbraio) - Dopo qualche istante di preghiera Bernadette si alzò per dirigersi presso la Grotta, Nel passare spostò i rami del roseto selvatico ed andò a baciare la terra sotto la roccia, oltre il cespuglio. Discese poi il pendio, ed essendosi raccolta in se stessa, entrò di nuovo in estasi. Al termine di tre decine del Rosario, Bernadette si alzò, si mostrò incerta; tutta esitante si volse verso il Gave, e fece due o tre passi in avanti. Ad un tratto si fermò bruscamente, guardò indietro come chi si sente chiamare e ascoltò delle parole che sembravano giungere dal lato della roccia. Fece un segno affermativo, si rimise in cammino non più verso il Gave, ma verso la Grotta dalla parte sinistra. A tre quarti del pendio si fermò e volse tutto intorno uno sguardo pieno di smarrimento. Alzò la testa, come per interrogare la Signora; poi risolutamente si curvò e si mise a scavare la terra. La piccola cavità che aveva appena scavata, si riempì di acqua; dopo aver atteso un momento, bevve e si bagnò il volto; poi prese un po' di erba e la portò alla bocca. Più tardi Bernadette racconta: " Mentre ero in preghiera, la Signora mi ha detto con voce amichevole ma ad un tempo grave: "Andate a bere ed a lavarvi alla fonte". Siccome non sapevo dove fosse questa fonte e siccome pensavo che lì non c'e ne fosse altra, mi sono diretta verso il Gave. La Signora mi ha richiamato e mi ha fatto segno col dito di portarmi sotto la Grotta a sinistra; ho obbedito, ma non vedevo alcuna acqua. Non sapendo dove prenderne, ho scavato la terra e ne è venuta. Ho lasciato che si schiarisse un po', poi ho bevuto e quindi mi sono lavata".
Dopo la scoperta miracolosa della nuova fonte, molti accorsero nella caverna e molti bagnarono alcuni panni in quell'acqua. La fonte, non prevista dagli studiosi, ebbe fin dal primo giorno un gettito di 120.000 litri ogni ventiquattro ore e non si seccava mai. Il 26 febbraio avvenne la prima guarigione miracolosa: il tagliapietre Bouriette venne guarito da una malattia agli occhi bagnandosi alla fonte. In segno di riconoscenza tutti i tagliapietre aprirono spontaneamente con le mani, le zappe e i picconi una strada tra le rocce, per arrivare in modo più comodo alla Grotta.

Decima apparizione (26 febbraio) - Contro ogni aspettativa, assai prima dell'alba, a Massabielle ci fu un afflusso di persone superiore a quello del giorno precedente. Bernadette si inginocchiò e dopo la recita del Santo Rosario salutò la Signora che la invitò a far penitenza e a pregare per i peccatori. Poi le disse: "Bacia la terra per la penitenza dei peccatori". Alla sera di quel giorno la veggente fu sottoposta a un severo interrogatorio condotto dal procuratore imperiale e da altri inquisitori. L'interrogatorio non ebbe alcun risultato: la ragazza disse che il giorno seguente sarebbe ritornata alla Grotta.

Undicesima apparizione (27 febbraio) - Fin dalle tre del mattino per le strade che conducevano alla Grotta di Massabielle, molti soldati, inviati dal procuratore, furono presenti all'apparizione e restarono profondamente impressionati: la Madonna invitò di nuovo a pregare per i peccatori, ripetendo le parole e i gesti del 24 febbraio. Subito dopo Bernadette si recò a pregare in chiesa.

Dodicesima apparizione (28 Febbraio) - Bernadette entra in estasi, recita alcune decine del Rosario. Improvvisamente ci si accorge che ella vorrebbe avanzare sulle ginocchia, ma la folla così densa glielo impedisce. Due soldati della guarnigione le aprono un passaggio, Bernadette percorre otto metri, poi ridiscende, ripetutamente bacia la terra, imbrattandosi le labbra e le mani. I presenti hanno la netta impressione che faccia tutto questo in segno di penitenza per i peccatori.

Tredicesima apparizione (1 marzo) - Per la prima volta Francesco Soubirous accompagna la figlia alla Grotta "perché gente malevola avrebbe potuto insinuarsi tra la folla".

Quattordicesima apparizione (2 marzo) - Quando Bernadette arrivò nella Grotta erano già presenti circa 1300 persone come risulta da un rapporto del commissario di polizia Jacomet. L'estasi lascia tutti sconcertati per la sua brevità. Le parole pronunciate dalla Vergine sono: " Andate a dire ai preti di fare costruire qui una cappella e desidero che qui si venga in processione.

Quindicesima apparizione (4 marzo) - In quel giorno accorsero alla Grotta quasi ventimila persone. Bernadette estatica rimase con gli occhi fissi su qualcosa o qualcuno, poi mangiò ancora dell'erba. L'apparizione silenziosa sparì... Bernadette prima sorrise, poi si fece triste, fece il segno della croce, spense il cero e riprese il cammino verso casa.
La sera di quello stesso giorno un bambino di dodici anni che era stato bagnato con l'acqua nella sorgente guarì miracolosamente: si trattava di Jean Bouhorts che morì poi a 79 anni. Di questo giorno Bernadette disse: "Ero triste quando lei era triste, e quando sorrideva io sorridevo, mi diceva spesso che bisognava pregare per la conversione dei peccatori, allora io diventavo triste".

Sedicesima apparizione (25 marzo - Festa dell'Annunciazione) - Bernadette arrivò alla Grotta di primo mattino, trovò la Signora già in attesa, circondata da un chiarore di luce celeste in piedi sopra il roseto. Erano presenti moltissime persone. La ragazza iniziò a recitare come al solito il santo Rosario. La veggente chiese alla Madonna quale era il suo vero nome, non ebbe nessuna risposta; solo alla quarta richiesta, la Signora, prendendo un aspetto solenne e nello stesso momento umile, congiunse le mani, le portò all'altezza del petto, guardò il cielo, poi le riaprì e le tese verso Bernadette, infine disse con un tremito nella voce: "Io sono l'Immacolata Concezione!". La veggente, non capendo il significato di questo termine, voleva domandare se non fosse anche la Madre di Dio, ma la Madonna era già scomparsa. Quest'apparizione era durata circa un'ora. Tale frase fu per Bernadette incomprensibile, nonostante ciò essa la ripeté alla gente che esclamò in un clamore di gioia. La ragazza corse a riferire al parroco don Peyramale, ripetendosi lungo il cammino le parole dette dalla Madonna. Quando la veggente giunse dal parroco costui le domandò: "La Signora è forse la Beatissima Vergine?" e Bernadette rispose: "No, io credo di no! È l'Immacolata Concezione". Appena sentì pronunciare quel titolo devozionale il parroco si convinse dell'apparizione poiché Bernadette non avrebbe mai potuto conoscere quel nome. Una signora istruita spiegò alla veggente cosa significasse quel nome, allora Bernadette fu certa che la "Signora" era la Madonna.

Diciassettesima apparizione (7 aprile) - Erano le cinque del mattino, Bernadette era già in ginocchio e recitava il santo Rosario, nella mano destra aveva la sua corona e nella sinistra un cero acceso. Entrata in contemplazione non ritirò la mano quando il cero, consumatosi, continuò ad ardere sulle sue mani. Il dottor Dozous, che era con lei, notò questo fenomeno che durò circa un quarto d'ora. La veggente assistette all'apparizione, poi, sempre in estasi e in ginocchio, avanzò all'interno della Grotta, infine spostò le mani allontanandole l'una dall'altra e facendo così cessare l'azione della fiamma all'interno della sua mano sinistra. L'estasi era durata circa tre quarti d'ora, la presenza della fiamma all'interno della mano sinistra un quarto d'ora. A un esame medico si notò che la pelle della mano non aveva subito nessuna alterazione, e che Bernadette, in stato di normalità, era sensibile al calore della fiamma.
Dopo questo clamoroso miracolo la polizia fece chiudere la Grotta con barriere di legno, l'acqua fu dichiarata normale acqua curativa e Bernadette fu dichiarata pazza.

Diciottesima apparizione (16 luglio) - Era la festa della Nostra amata Signora del Carmelo: Bernadette si recò in chiesa molto presto e fece la comunione. La sera si recò di nuovo in chiesa, quando si sentì chiamata ed esortata ad andare di nuovo alla Grotta dei miracoli. Così fece. Si spinse fin dove era possibile arrivare e si inginocchiò sulla riva del fiume Gave, vicino alle transenne che ostacolavano l'ingresso alla Grotta. In quella posizione iniziò a pregare; improvvisamente vide la Vergine Maria, al di là delle barriere che chiudevano la Grotta: e più bella che mai e le sorrideva; dopo poco disparve silenziosamente così come era comparsa. In tutte queste apparizioni i messaggi non furono lunghi e spesso gli incontri erano stati del tutto silenziosi.
Dopo questi avvenimenti miracolosi, il 28 luglio il vescovo di Tarbes, monsignor Bertrando Severo Laurence, costituì una commissione ecclesiastica per indagare sugli avvenimenti di Lourdes e annunciò questo in una lunga lettera pastorale diretta al clero e ai fedeli della diocesi. L'inchiesta canonica durò quattro anni e fu molto scrupolosa. Tutti gli inquirenti presentarono al vescovo il parere unanime sull'autenticità delle apparizioni. Il vescovo così scrisse nell'art.1 della dichiarazione di autenticità: "Noi giudichiamo che l'Immacolata Maria Madre di Dio è realmente apparsa a Bernadette Soubirous l'11 febbraio 1858 e per diciotto volte, alla Grotta di Massabielle presso la città di Lourdes; giudichiamo che quest'apparizione abbia tutti i caratteri della verità e possa essere ritenuta certa dai fedeli...".
Alla fine di settembre del 1858, il figlio dell'imperatore Napoleone III si ammalò gravemente, la dama di corte gli diede da mangiare dell'erba della Grotta e dopo poco guarì. Allora l'imperatore diede subito l'ordine di riaprire il luogo miracoloso.
Nel 1866 Bernadette entrò nella Congregazione delle suore della Carità e dell'Istruzione Religiosa dove rimase tredici anni tra le incomprensioni dei superiori, le sofferenze e le umiliazioni. Nel 1876 dal convento di Nevers aveva scritto a Pio IX una lettera, portata a Roma dal vescovo di Nevers, nella quale tra l'altro gli diceva: "Mi sembra che dal Cielo la Beata Vergine debba spesso guardare a Voi in modo materno, perché Voi, Santissimo Padre, l'avete proclamata Immacolata. Mi piace pensare che siate particolarmente amato da questa buona Madre che, quattro anni fa, venne personalmente a dire: "Io sono l'Immacolata Concezione"".
Bernadette si spense a questo mondo il 16 aprile 1879. Il suo corpo è rimasto fino a oggi incorrotto. Fu beatificata nel 1925 e canonizzata nel 1933. Lourdes divenne la principale meta di pellegrinaggio d'Europa. Il modo e lo stile delle celebrazioni crearono un modello anche per gli altri santuari. La prima chiesa, in stile neogotico fu costruita nel 1864 sullo sperone della roccia sovrastante la Grotta. Nel 1889 fu benedetta la seconda, detta Basilica del Rosario, in stile romanico-bizantino. In essa l'altare maggiore, la statua di Nostra Signora di Lourdes che lo sormonta e il grande organo, furono costruiti con il contributo dei cattolici di tutto il mondo come riparazione offerta alla Madonna in risposta al libro su Lourdes scritto dal romanziere Emilio Zola, un libro indegno per menzogne, calunnie e offese. Nel 1958 fu costruita ancora una terza ed enorme chiesa in cemento armato capace di accogliere più di ventimila persone: la Basilica di Pio XI consacrata dal cardinale Roncalli. Il complesso di Lourdes assorbe circa due milioni di pellegrini l'anno. Nell'anniversario del primo centenario si contarono circa sei milioni di pellegrini. Furono annunciate più di cinquemila guarigioni miracolose di cui 58 riconosciute (fino al 1960).

http://digilander.libero.it/monast/appari/lourdes.htm

9 febbraio 2015

Caro Obama, non ci vergogniamo affatto delle Crociate

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, durante il discorso alla National Prayer Breakfast, l’annuale appuntamento di preghiera multiconfessionale, ha più volte ribadito l’importanza della religione come fattore positivo nel mondo e ha condannato lo Stato Islamico definendolo «una setta della morte» e sottolineando che «nessun Dio può tollerare il terrorismo».
Nel criticare giustamente la deformazione della religione, ha tuttavia paragonato il fenomeno dell’Is alle Crociate medioevali, spiegando che anche l’occidente cristiano ha commesso enormi crimini in nome di Dio. Ora, è vero che tantissimi uomini cristiani hanno commesso crimini efferati, ma facendolo si sono posti automaticamente contro e al di fuori del cristianesimo stesso, agendo in nome di loro stessi o di un non certamente cristiano.
In secondo luogo le Crociate non sono affatto paragonabili al terrorismo islamico, lo sanno benissimo gli storici anche se purtroppo nella popolazione (ed evidentemente anche tra i politici) fa ancora presa la leggenda illuminista e pregiudizievole. Le critiche ad Obama non sono infatti mancate, ci interessa però andare a leggere cosa ha scritto lo storico Thomas F. Madden, direttore del dipartimento di Storia e del Center for Medieval and Renaissance Studies presso la Saint Louis University, tra i più esperti delle Crociate al mondo, collaboratore dei principali quotidiani americani e redattore della voce “Crociate” per l’Enciclopedia Britannica. «Gli occidentali in generale (i cattolici in particolare) trovano le Crociate un episodio profondamente imbarazzante per la loro storia. Nelle centinaia di interviste che ho rilasciato l’11 settembre 2001, ho sempre risposto: “Le Crociate furono un fenomeno medioevale senza alcuna connessione al moderno terrorismo islamico”».
Eppure in tanti sono davvero convinti che «i crociati hanno marciato contro gli infedeli mossi dal cieco fanatismo e dal desiderio di impossessarsi di bottini e di terre, che le Crociate tradirono il cristianesimo stesso in nome di “Dio lo vuole”». Ma, ha proseguito il prof. Madden, «ogni parola di questa frase è sbagliata. Gli storici delle Crociate lo sanno da tempo, ma per loro è estremamente difficile penetrare attraverso un abisso di preconcetti radicati». Addirittura lo storico Jonathan Riley-Smith, docente di Storia Ecclesiastica a Cambridge, ha ammesso di aver «quasi perso le speranze». Nel suo libro “The Crusades, Christianity, and Islam” (Columbia University Press 2009) ha mostrato come le Crociate non rappresentano affatto una perversione della religione il cui fondatore predicava mitezza, amore per i nemici e non resistenza. Tanto che  furono proprio i padri della Chiesa, tra cui Sant’Agostino, ad articolare un approccio cristiano alla guerra giusta, quella in cui le autorità sono legittimate a fermare o evitare un male maggiore, una guerra difensiva in reazione ad un atto di aggressione. Ricordiamo che anche San Francesco d’Assisi si aggregò alla Quarta crociata.
Le Crociate rispondono perfettamente ai criteri della guerra giusta, ha spiegato il prof. Madden. «Esse sono nate sempre in risposta ad un’offensiva musulmana alle terre cristiane, i fedeli decisero di entrare in guerra per difendere i cristiani e per punire gli aggressori per terribili torti». E’ quello che ancora oggi fanno le Nazioni Unite entrando in guerra per riportare la pace, quando la diplomazia non è più efficace. Come Riley-Smith ha scritto, la crociata è un atto di aiuto al prossimo, mettendo la propria stessa persona in pericolo di vita, è l’imitazione del Buon Samaritano descritto dai vangeli. Tanto che Innocenzo II disse ai Cavalieri Templari: «Voi trasformate in atti le parole del Vangelo, “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)»Papa Urbano II davanti ai volontari della prima crociata pronti a partire, disse: «Dai confini di Gerusalemme e dalla città di Costantinopoli una storia terribile è stata raccontata e portata alle nostre orecchie: una massa di soldati dal regno dei Persiani, musulmani turchi, hanno invaso le terre di quei cristiani e le hanno spopolate con le armi, i saccheggi e il fuoco; hanno portato via una parte della popolazione prigioniera come schiavi e una parte l’hanno distrutta con torture crudeli; hanno interamente distrutto le chiese di Dio o se ne sono impadronite per i riti della loro religione. E che cosa dovrei dire degli abominevoli stupri delle donne? Parlare di ciò fa più male che stare in silenzio. A chi spetta dunque il compito di aggiustare queste cose sbagliate e di recuperare questi territori per chi li occupava, se non a voi?»
Lo storico americano ha precisato: «Ma le crociate non erano soltanto guerre giuste. Erano guerre sante, non per il loro obiettivo ma per il sacrificio dei Crociati. La crociata era un pellegrinaggio e quindi un atto di penitenza. Quando Urbano II chiamò la prima crociata nel 1095 creò un modello che sarebbe seguito per secoli. I Crociati che hanno intrapreso tale onere con retta intenzione e confessando i loro peccati, avrebbero ricevuto l’indulgenza plenaria. E i sacrifici erano straordinari, il costo della crociata era sconcertante: senza l’assistenza finanziaria solo i ricchi potevano permettersi di intraprendere questo pellegrinaggio, molte famiglie nobili si impoverirono. Gli storici sanno da tempo che l’immagine del crociato come un avventuriero in cerca di fortuna è esattamente l’opposto di quanto accadde. Come ha spiegato Riley-Smith, studi recenti dimostrano che circa un terzo dei cavalieri e nobili è morto in guerra. Non si può mai capire le crociate senza capirne il carattere penitenziale».
Abbiamo già smontato i più diffusi miti sulle Crociate riprendendo l’ottimo lavoro divulgativo dello storico medievalista Paul Crawford, docente alla California University of Pennsylvania. Per chi volesse ulteriormente approfondire pochi mesi fa è uscito l’ultimo volume dello storico statunitense Rodney Stark, intitolato: “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” (Lindau 2014).
Ovviamente tutto questo non significa negare che durante le Crociate vi furono anche episodi di cruda e gratuita violenza, ma si vuole invitare a studiare davvero quel che si pensa di criticare. Per quanto abbiamo scritto qui sopra non solo non ci vergogniamo delle Crociate, ma ne andiamo orgogliosi perché la carità cristiana (si trattò di questo, come abbiamo mostrato) è uno dei più alti valori dell’Occidente. Eppure, come ha spiegato Benedetto XVI«c’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere».
fonte: UCCR

7 febbraio 2015

Sacerdoti martiri nell'oblio che durante la guerra civile in Italia (1943-1945), immolarono la vita per restare fedeli alla loro missione di apostoli di Cristo.

Vittime della ferocia dei nemici della fede e della patria, i partigiani comunisti

DON GIUSEPPE AMATELO, parroco di Coassolo (Torino), ucciso a colpi di ascia dai partigiani comunisti il 15 marzo 1944 perché aveva deplorato gli eccessi dei guerriglieri rossi;

DON GENNARO AMATO, parroco di Locri (Reggio Calabria), ucciso nell'ottobre 1943 dai capi della repubblica comunista di Caulonia;

DON ERNESTO BANDELLI, parroco di Bria, ucciso dai partigiani slavi a Bria, il 30 aprile 1945;

DON VITTORIO BAREL, economo del seminario di Vittorio Veneto, ucciso il 26 ottobre 1944 dai partigiani comunisti;

DON STANISLAO BARTHUS, della Congregazione di Cristo Re (Imperia), ucciso il 17 agosto 1944 dai partigiani perché in una predica aveva deplorato le «violenze indiscriminate dei partigiani»;

DON DUILIO BASTREGHI, parroco di Cigliano e Capannone Pienza, ucciso la notte del 3 luglio 1944 dai partigiani comunisti che lo avevano chiamato con un pretesto;

DON CARLO BEGHÈ, parroco di Novegigola (Apuania), sottoposto il 2 marzo 1945 a finta fucilazione che gli produsse una ferita mortale;

DON FRANCESCO BONIFACIO, curato di Villa Gardossi (Trieste), catturato dai miliziani comunisti iugoslavi l'11 settembre 1946 e gettato in una foiba;

DON LUIGI BORDET, parroco di Hône (Aosta), ucciso il 5 marzo 1946 perché aveva messo in guardia i suoi parrocchiani dalle insidie comuniste;

DON SPERINDIO BOLOGNESI, parroco di Nismozza (Reggio Emilia), ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944;

DON CORRADO BORTOLINI, parroco di Santa Maria in Duno (Bologna), prelevato dai partigiani il 1° marzo 1945 e fatto sparire;
Don Raffaele Bortolini, canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945;

DON LUIGI BOVO, parroco di Bertipaglia (Padova), ucciso il 25 settembre 1944 da un partigiano comunista poi giustiziato;

DON MIROSLAVO BULLESCHI, parroco di Monpaderno (Diocesi di Parenzo e Pola), ucciso il 23 agosto 1947 dai comunisti iugoslavi;

DON TULLIO CALCAGNO, direttore di Crociata Italica, fucilato dai partigiani comunisti a Milano il 29 aprile 1945;

DON SEBASTIANO CAVIGLIA, cappellano della Guardia Nazionale Repubblichina, ucciso il 27 aprile 1945 ad Asti;

PADRE CRISOSTOMO CERAGIOLO o.f.m., cappellano militare decorato al valor militare, prelevato il 19 maggio 1944 da partigiani comunisti
nel convento di Montefollonico e trovato cadavere in una buca con le mani legate dietro la schiena;

DON ALDEMIRO CORSI, parroco di Grassano (Reggio Emilia), assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti, la notte del 21 settembre 1944;

DON FERRUCCIO CRECCHI, parroco di Levigliani (Lucca), fucilato all'arrivo delle truppe di colore nella zona su false accuse dei comunisti del luogo;

DON ANTONIO CURCIO, cappellano dell'11° Battaglione Bersaglieri, ucciso il 7 agosto 1941 a Dugaresa da comunisti croati;

PADRE SIGISMONDO DAMIANI o.f.m., ex cappellano militare, ucciso dai comunisti slavi a San Genesio di Macerata l'11 marzo 1944;

DON TEOBALDO DAPORTO, ARCIPRETE di Castel Ferrarese, Diocesi di Imola, ucciso da un comunista nel settembre 1945;

DON EDMONDO DE AMICIS, cappellano pluridecorato della Prima Guerra Mondiale, venne colpito a morte dai «gappisti», a Torino, sulla soglia della sua abitazione nel tardo pomeriggio del 24 aprile 1945, e spirò dopo quarantott'ore di atroce agonia;

DON AURELIO DIAZ, cappellano della Sezione Sanità della Divisione «Ferrara», fucilato nelle carceri di Belgrado nel gennaio del 1945 da partigiani titini;

DON ADOLFO DOLFI, canonico della Cattedrale di Volterra, sottoposto il 28 maggio 1945 a torture che lo portarono alla morte l'8 ottobre successivo;

DON ENRICO DONATI, arciprete di Lorenzatico (Bologna), massacrato il 23 maggio 1945 sulla strada di Zenerigolo;

DON GIUSEPPE DONINI, PARROCO di Castagneto (Modena), trovato ucciso sulla soglia della sua casa la mattina del 20 aprile 1945. La colpa dell'uccisione fu attribuita in un primo momento ai tedeschi, ma alcune circostanze, emerse in seguito, stabilirono che gli autori del sacrilego delitto furono i partigiani comunisti;

DON GIUSEPPE DORFMANN, fucilato nel bosco di Posina (Vicenza) il 27 aprile 1945;

DON VINCENZO D'OVIDIO, parroco di Poggio Umbricchio (Teramo), ucciso nel maggio 1944 sotto accusa di filo-fascismo;

DON GIOVANNI ERRANI, cappellano militare della Guardia Nazionale Repubblichina, decorato al valor militare, condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale di Forlì, salvato dagli americani e deceduto in seguito a causa delle sofferenze subite;

DON COLOMBO FASCE, parroco di Cesino (Genova), ucciso nel maggio del 1945 dai partigiani comunisti;

PADRE GIOVANNI FAUSTI s.j., superiore generale dei gesuiti in Albania, fucilato il 5 marzo 1946 perché italiano. Con lui furono trucidati altri sacerdoti dei quali non si è mai potuto conoscere il nome;

PADRE FERNANDO FERRAROTTI o.f.m., cappellano militare reduce dalla Russia, ucciso nel giugno 1944 a Champorcher (Aosta) dai partigiani comunisti;

DON GREGORIO FERRETTI, parroco di Castelvecchio (Teramo), ucciso dai partigiani slavi e italiani nel maggio 1944;

DON GIOVANNI FERRUZZI, arciprete di Campanile (Imola), ucciso dai partigiani comunisti il 3 aprile 1945;

DON ACHILLE FILIPPI, parroco di Maiola (Bologna), ucciso la sera del 25 luglio 1945 perché accusato di filo-fascismo;

DON SANTE FONTANA, parroco di Comano (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 16 gennaio 1945;

DON GIUSEPPE GABANA, DELLA Diocesi di Brescia, cappellano della 6ª Legione della Guardia di Finanza, ucciso il 3 marzo 1944 da un partigiano comunista;

DON GIUSEPPE GALASSI, arciprete di San Lorenzo in Selva (Imola), ucciso il 1° maggio 1945 perché sospettato di filo-fascismo;

DON TISO GALLETTI, parroco di Spazzate Sassatelli (Imola), ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo;

DON DOMENICO GIANNI, cappellano militare in Iugoslavia, prelevato la sera del 21 aprile 1945 e ucciso dopo tre giorni;

DON GIOVANNI GUICCIARDI, parroco di Mocogno (Modena), ucciso il 10 giugno 1945 nella sua canonica dopo sevizie atroci da chi, col pretesto della lotta di liberazione, aveva compiuto nella zona una lunga serie di rapine e delitti, con totale disprezzo di ogni legge umana e divina;

DON VIRGINIO ICARDI, parroco di Squaneto (Aqui), ucciso il 4 luglio 1944, a Preto, da partigiani comunisti;

DON LUIGI ILARDUCCI, parroco di Garfagnolo (Reggio Emilia), ucciso il 19 agosto 1944 da partigiani comunisti;

DON GIUSEPPE JEMMI, cappellano di Felina (Reggio Emilia), ucciso il 19 aprile 1945 perché aveva deplorato gli «eccessi inumani di quanti disonorano il movimento partigiani»;

DON SERAFINO LAVEZZARI, seminarista di Robbio (Piacenza), ucciso il 25 febbraio 1945 dai partigiani, insieme alla mamma e a due fratelli;

DON LUIGI LENZINI, parroco di Crocette di Pavullo (Modena), trucidato il 20 luglio 1945. Nobile, autentica figura di martire della fede. Prelevato nottetempo da un'orda di criminali, strappato dalla sua chiesa, torturato, seviziato, fu ucciso dopo lunghissime ore di indescrivibile agonia, quale raramente si trova nella storia di tutte le persecuzioni. Si cercò di soffocare con lui, dopo che le minacce erano risultate vane, la voce più chiara, più forte e coraggiosa che, in un'ora di generale sbandamento morale, metteva in guardia contro i nemici della fede e della patria. Il processo, celebrato in una atmosfera di terrore e di omertà, non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori, i quali, con tale orribile delitto, non unico, purtroppo, hanno gettato fango, umiliazione e discredito sul nome della Resistenza italiana. Ma dalla gloria all'Eternità, come nella fosca notte del martirio, don Luigi Lenzini fà riudire le ultime parole della sua vita, monito severo e solenne, che invitano a temere e a stimare soltanto il giusto Giudizio di Dio;

DON GIUSEPPE LORENZELLI, Priore di Corvarola di Bagnone (Pontremoli), ucciso dai partigiani il 27 febbraio 1945, dopo essere stato obbligato a scavarsi la fossa;

DON LUIGI MANFREDI, parroco di Budrio (Reggio Emilia), ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli «eccessi partigiani»;

DON DANTE MATTIOLI, parroco di Corazzo (Reggio Emilia), prelevato dai partigiani rossi la notte dell'11 aprile 1945;

DON FERNANDO MERLI, mensionario della Cattedrale di Foligno (Perugia), ucciso il 21 febbraio 1944, presso Assisi, da iugoslavi istigati dai comunisti italiani;

DON ANGELO MERLINI, parroco di Fiamenga (Foligno), ucciso il medesimo giorno dagli stessi, presso Foligno;

DON ARMANDO MESSURI, cappellano delle Suore della Sacra Famiglia in Marino, ferito a morte dai partigiani comunisti e deceduto il 18 giugno 1944;

DON GIACOMO MORO, cappellano militare in Iugoslavia, fucilato dai comunisti titini a Micca di Montenegro;

DON ADOLFO NANNINI, parroco di Cercina (Firenze), ucciso il 30 maggio 1944 da partigiani comunisti;

PADRE SIMONE NARDIN o.s.b., dei benedettini olivetani, Tenente cappellano dell'ospedale militare «Belvedere» in Abbazia di Fiume, prelevato dai partigiani iugoslavi nell'aprile 1945 e fatto morire tra sevizie orrende;

DON LUIGI OBID, economo di Podsabotino e San Mauro (Gorizia), prelevato da partigiani e ucciso a San Mauro il 15 gennaio 1945;

DON ANTONIO PADOAN, parroco di Castel Vittorio (Imperia), ucciso da partigiani l'8 maggio 1944 con un colpo di pistola in bocca e uno al cuore;

DON ATTILIO PAVESE, parroco di Alpe Gorreto (Tortona), ucciso il 6 dicembre 1944 da partigiani dei quali era cappellano, perché confortò alcuni prigionieri tedeschi condannati a morte;

DON FRANCESCO PELLIZZARI, parroco di Tagliolo (Aqui), chiamato nella notte del 10 maggio 1945 e fatto sparire per sempre;

DON POMBEO PERAI, parroco dei SS. Pietro e Paolo di città della Pieve, ucciso per rappresaglia partigiana il 16 giugno 1944;

DON ENRICO PERCIVALLE, parroco di Varriana (Tortona), prelevato da partigiani e ucciso a colpi di pugnale il 14 febbraio 1944;

DON VITTORIO PERKAN, parroco di Elsane (Fiume), ucciso il 9 maggio 1945 da partigiani mentre celebrava un funerale;

DON ALADINO PETRI, parroco di Pievano di Caprona (Pisa), ucciso il 2 giugno 1944 perché ritenuto filo-fascista;

DON NAZZARENO PETTINELLI, parroco di Santa Lucia di Ostra di Senigallia, fucilato per rappresaglia partigiana il 1º luglio 1944;

DON UMBERTO PESSINA, parroco di San Martino di Correggio, ucciso il 18 giugno 1946 da partigiani comunisti;

SEMINARISTA GIUSEPPE PIERAMI, studente di Teologia della Diocesi di Apuania, ucciso il 2 novembre 1944, sulla Linea Gotica, da partigiani comunisti;

DON LADISLAO PISACANE, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso da partigiani slavi il 5 febbraio 1945 con altre dodici persone;

DON ANTONIO PISK, curato di Canale d'Isonzo (Gorizia), prelevato da partigiani slavi il 28 ottobre 1944 e fatto sparire per sempre;

DON NICOLA POLIDORI, della Diocesi di Nocera e Gualdo, fucilato il 9 giugno 1944 a Sefro da partigiani comunisti;

DON GIUSEPPE PRECI, parroco di Montalto (Modena). Chiamato di notte col solito tranello, fu ucciso sul sagrato della chiesa il 24 maggio 1945;

DON GIUSEPPE RASORI, parroco di San Martino in Casola (Bologna), ucciso la notte del 2 luglio 1945 nella sua canonica, con l'accusa di filo-fascismo;

DON ALFONSO REGGIANI, parroco di amola di Piano (Bologna), ucciso da marxisti la sera del 5 dicembre 1945;

DON GIUSEPPE ROCCO, parroco di Santa Maria, Diocesi di San Sepolcro, ucciso da slavi il 4 maggio 1945;

PADRE ANGELICO ROMITI o.f.m., cappellano degli allievi ufficiali della Scuola di Fontanellato, decorato al valor militare, ucciso la sera del 7 maggio 1945 da partigiani comunisti;

DON LEANDRO SANGIORGI, salesiano, cappellano militare decorato al valor militare, fucilato a Sordevolo Biellese il 30 aprile 1945;

DON ALESSANDRO SANGUANINI, della Congregazione della Missione, fucilato a Ranziano (Gorizia) il 12 ottobre 1944 da partigiani slavi per i suoi sentimenti di italianità;

DON LODOVICO SLUGA, vicario di Circhina (Gorizia), ucciso insieme al confratello;

DON LUIGI SOLARO, di Torino, ucciso il 4 aprile 1945 perché parente del federale di Torino Giuseppe Solaro, anch'egli trucidato;

DON EMILIO SPINELLI, parroco di Campogialli (Arezzo), fucilato il 6 maggio 1944 dai partigiani sotto accusa di filo-fascismo;

PADRE EUGENIO SQUIZZATO o.f.m., cappellano partigiano ucciso dai suoi il 16 aprile 1944 fra Corio e Lanzo Torinese perché impressionato dalle crudeltà che essi commettevano, voleva abbandonare la formazione;

DON ERNESTO TALÈ, parroco di Castelluccio Formiche (Modena), ucciso insieme alla sorella l'11 dicembre 1944;

DON GIUSEPPE TAROZZI, parroco di Riolo (Bologna), prelevato la notte sul 26 maggio 1945 e fatto sparire. Il suo corpo fu bruciato in un forno da pane, in una casa colonica;

DON ANGELO TATICCHI, PARROCO di Villa di Rovigno (Pola), ucciso dai partigiani iugoslavi nell'ottobre 1943 perché aiutava gli italiani;

DON CARLO TERENZIANI, prevosto di Ventoso (Reggio Emilia), fucilato la sera del 29 aprile 1945 perché ex cappellano della milizia;

DON ALBERTO TERILLI, arciprete di Esperia (Frosinone), morto in seguito a sevizie inflittegli dai marocchini, eccitati da partigiani, nel maggio 1944;

DON ANDREA TESTA, parroco di Diano Borrello (Savona), ucciso il 16 luglio 1944 da una banda partigiana perché osteggiava il comunismo;
Mons. Eugenio Corradino Torricella, della Diocesi di Bergamo, ucciso il 7 gennaio 1944 ad Agen (Francia) da partigiani comunisti per i suoi sentimenti d'italianità;

DON RODOLFO TRCEK, diacono della Diocesi di Gorizia, ucciso il 1° settembre 1944 a Montenero d'Idria da partigiani comunisti;

DON FRANCESCO VENTURELLI, parroco di Fossoli (Modena), ucciso il 15 gennaio 1946 perché inviso ai partigiani;

DON GILDO VIAN, parroco di Bastia (Perugia), ucciso dai partigiani comunisti il 14 luglio 1944;

DON GIUSEPPE VIOLI, parroco di Santa Lucia di Madesano (Parma), ucciso il 31 novembre 1945 da partigiani comunisti;

DON ANTONIO ZOLI, parroco di Morra del Villar (Cuneo), ucciso dai partigiani comunisti perché, durante la predica del Corpus Domini del 1944, aveva deplorato l'odio tra fratelli come una maledizione di Dio.

IL MARTIRIO DI ROLANDO RIVI: il primo aprile di quell’anno, Pasqua di resurrezione, don Olinto Marzocchini è già rientrato a San Valentino e al suo fianco è rimasto il giovane curato. Durante la Settimana Santa, Rolando ha partecipato alle celebrazioni liturgiche con grande entusiasmo. E giovedì, davanti all'altare dell'Eucarestia, ornato di fiori e di ceri accesi, ha pregato: «Grazie, Gesù, perché ci hai donato Te stesso nell'Ostia santa e rimani sempre con noi... Aiutami a ritornare presto in seminario e a diventare sacerdote». Il venerdì, baciando il Crocifisso, ha ripetuto l'offerta al suo grande Amico: «Tutta la mia vita per Te, o Gesù, per amarTi e farTi amare». Il giorno di Pasqua, durante le Messe, Rolando suona l'organo accompagnando i canti. Riceve Gesù nella Comunione. In sacrestia, il parroco gli dice: «Sei stato bravo, Rolando! Per tutti i servizi fatti nella Settimana Santa, accetta questo piccolo dono... E che il Signore ti benedica», e gli mette in mano una piccola somma. Si sente nell'aria qualcosa di nuovo. C'è ancora la guerra, ma tutti sentono che volge alla fine. Nei giorni successivi, Rolando non manca mai alla Messa e alla Comunione. Poi, tornato a casa, esce con un libro sotto braccio e va a studiare presso un boschetto non lontano dalla sua abitazione. Il 10 aprile, martedì dopo la domenica in Albis, al mattino presto, è già in chiesa: si celebra la Messa cantata in onore di San Víncenzo Ferreri, che non si è potuta celebrare il 5 aprile, giorno anniversario, essendo l'ottava di Pasqua. Suona e accompagna all’organo i cantori, tra i quali c'è anche il papà. Si accosta alla Comunione e si raccoglie in preghiera a ringraziare il Signore. Prima di uscire, prende accordi con i cantori, per «cantare Messa» anche l'indomani. Torna a casa. I suoi genitori vanno a lavorare nel campi. Rolando, con i libri sottobraccio, si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa. Indossa, come sempre, la sua veste nera. A mezzogiorno, non vedendolo ritornare, i genitori lo vanno a cercare. Tra i libri, sull'erba, trovano un biglietto: «Non cercatelo.lapide in memoria di rolando rivi Viene un momento con noi, partigiani». Il papà e il curato di San Valentino, in forte ansia, cominciano a girare nei dintorni alla ricerca del ragazzo. Cosa sarà mai capitato?... Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro «base». Rolando capisce con chi si trova. Quelli lo spogliano della veste talare, che li irrita troppo. Ora hanno davanti a loro un povero ragazzo di quattordici anni, tremante, vestito poveramente, come Gesù nel pretorio di Pilato. Alle loro beffe, Rolando risponde: «Sono un ragazzo, si, un seminarista... e non ho fatto nulla di male». Quelli lo insultano, lo percuotono con la cinghia sulle gambe, lo schiaffeggiano. Adesso hanno davanti un ragazzino coperto di lividi, piangente. Così era stato fatto, un giorno lontano, a Gesù. Rolando, innocente, prega nel suo cuore e chiede pietà. Qualcuno si commuove e propone di lasciarlo andare, perché è soltanto un ragazzo. Ma altri si rifiutano: prevale l'odio al prete, all'abito che lo rappresenta. Decidono di ucciderlo. Lo portano in un bosco presso Piane di Monchio (Modena). Davanti alla fossa già scavata, Rolando comprende tutto. Singhiozzando implora di essere risparmiato. Gli viene risposto con un calcio. Allora dice: «Voglio pregare per la mia mamma e per il mio papà». Si inginocchia sull'orlo della fossa e prega per sé, per i suoi cari, forse per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo rotolano a terra, nel suo sangue. Un ultimo pensiero, un ultimo palpito del cuore per Gesù, perdutamente amato... Poi la fine. Quelli lo coprono con poche palate di terra e di foglie secche. La veste da prete diventa un pallone da calciare; poi sarà appesa, come trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina (7). Era il 13 aprile 1945, ricorrenza del giovane martire Sant'Ermenegildo, venerdì, come quando Gesù si immolò sulla croce. Rolando aveva quattordici anni e tre mesi. In quell'istante il cielo si apri e Gesù accolse nella sua gloria Rolando Maria Rivi, piccolo angelo, martire della fede. Con la vita, con la parola e perfino con il suo sangue aveva proclamato: «Quanto ho di più caro al mondo è Cristo: Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui»!