27 agosto 2017

«La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».

Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 
E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 
A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

23 agosto 2017

"Ecco, io faccio nuove tutte le cose"

PAPA FRANCESCO
Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 agosto 2017



 

La Speranza cristiana - 31. "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5). La novità della speranza cristiana.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Abbiamo ascoltato la Parola di Dio nel libro dell’Apocalisse, e dice così: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). La speranza cristiana si basa sulla fede in Dio che sempre crea novità nella vita dell’uomo, crea novità nella storia, crea novità nel cosmo. Il nostro Dio è il Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese. 

Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso – come fanno i maiali: sempre vanno così – senza alzare gli occhi all’orizzonte. Come se tutto il nostro cammino si spegnesse qui, nel palmo di pochi metri di viaggio; come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare, senza alcuna ragione per tante nostre fatiche. Questo non è cristiano.

Le pagine finali della Bibbia ci mostrano l’orizzonte ultimo del cammino del credente: la Gerusalemme del Cielo, la Gerusalemme celeste. Essa è immaginata anzitutto come una immensa tenda, dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro (Ap 21,3). E questa è la nostra speranza. E cosa farà Dio, quando finalmente saremo con Lui? Userà una tenerezza infinita nei nostri confronti, come un padre che accoglie i suoi figli che hanno a lungo faticato e sofferto. Giovanni, nell’Apocalisse, profetizza: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! [… Egli] asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate […] Ecco io faccio nuove tutte le cose!» (21,3-5). Il Dio della novità!

Provate a meditare questo brano della Sacra Scrittura non in maniera astratta, ma dopo aver letto una cronaca dei nostri giorni, dopo aver visto il telegiornale o la copertina dei giornali, dove ci sono tante tragedie, dove si riportano notizie tristi a cui tutti quanti rischiamo di assuefarci. E ho salutato alcuni da Barcellona: quante notizie tristi da lì! Ho salutato alcuni del Congo, e quante notizie tristi da lì! E quante altre! Per nominare soltanto due Paesi di voi che siete qui … Provate a pensare ai volti dei bambini impauriti dalla guerra, al pianto delle madri, ai sogni infranti di tanti giovani, ai profughi che affrontano viaggi terribili, e sono sfruttati tante volte … La vita purtroppo è anche questo. Qualche volta verrebbe da dire che è soprattutto questo.

Può darsi. Ma c’è un Padre che piange con noi; c’è un Padre che piange lacrime di infinta pietà nei confronti dei suoi figli. Noi abbiamo un Padre che sa piangere, che piange con noi. Un Padre che ci aspetta per consolarci, perché conosce le nostre sofferenze e ha preparato per noi un futuro diverso. Questa è la grande visione della speranza cristiana, che si dilata su tutti i giorni della nostra esistenza, e ci vuole risollevare.

Dio non ha voluto le nostre vite per sbaglio, costringendo Sé stesso e noi a dure notti di angoscia. Ci ha invece creati perché ci vuole felici. È il nostro Padre, e se noi qui, ora, sperimentiamo una vita che non è quella che Egli ha voluto per noi, Gesù ci garantisce che Dio stesso sta operando il suo riscatto. Lui lavora per riscattarci.

Noi crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole pronunciate sulla parabola dell’esistenza umana. Essere cristiani implica una nuova prospettiva: uno sguardo pieno di speranza. Qualcuno crede che la vita trattenga tutte le sue felicità nella giovinezza e nel passato, e che il vivere sia un lento decadimento. Altri ancora ritengono che le nostre gioie siano solo episodiche e passeggere, e nella vita degli uomini sia iscritto il non senso. Quelli che davanti a tante calamità dicono: “Ma, la vita non ha senso. La nostra strada è il non-senso”. Ma noi cristiani non crediamo questo. Crediamo invece che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre. Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire. Siamo gente più di primavera che d’autunno. A me piacerebbe domandare, adesso – ognuno risponda nel suo cuore, in silenzio, ma risponda –: “Io sono un uomo, una donna, un ragazzo, una ragazza di primavera o di autunno? La mia anima è in primavera o è in autunno?”. Ognuno si risponda. Scorgiamo i germogli di un mondo nuovo piuttosto che le foglie ingiallite sui rami. Non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni. Non dimenticate quella domanda: “Io sono una persona di primavera o di autunno?”. Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto.

Il cristiano sa che il Regno di Dio, la sua Signoria d’amore sta crescendo come un grande campo di grano, anche se in mezzo c’è la zizzania. Sempre ci sono problemi, ci sono le chiacchiere, ci sono le guerre, ci sono le malattie … ci sono dei problemi. Ma il grano cresce, e alla fine il male sarà eliminato. Il futuro non ci appartiene, ma sappiamo che Gesù Cristo è la più grande grazia della vita: è l’abbraccio di Dio che ci attende alla fine, ma che già ora ci accompagna e ci consola nel cammino. Lui ci conduce alla grande “tenda” di Dio con gli uomini (cfr Ap 21,3), con tanti altri fratelli e sorelle, e porteremo a Dio il ricordo dei giorni vissuti quaggiù. E sarà bello scoprire in quell’istante che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima. Per quanto la nostra vita sia stata lunga, ci sembrerà di aver vissuto in un soffio. E che la creazione non si è arrestata al sesto giorno della Genesi, ma ha proseguito instancabile, perché Dio si è sempre preoccupato di noi. Fino al giorno in cui tutto si compirà, nel mattino in cui si estingueranno le lacrime, nell’istante stesso in cui Dio pronuncerà la sua ultima parola di benedizione: «Ecco - dice il Signore – io faccio nuove tutte le cose!» (v. 5). Sì, il nostro Padre è il Dio delle novità e delle sorprese. E quel giorno noi saremo davvero felici, e piangeremo. Sì: ma piangeremo di gioia.


“Cosa farà Dio quando finalmente saremo con lui? 
Userà una tenerezza infinita nei nostri confronti, 
come un padre che accoglie i suoi figli che hanno a lungo faticato e sofferto”

Papa Francesco. Udienza 23/8/2017

17 agosto 2017

Sub tuum praesidium


Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,
santa Madre di Dio: 
non disprezzare le suppliche
di noi che siamo alla prova,
e liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta.



14 agosto 2017

Eccomi!

..... mentre Gesù parlava alle folle, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».


6 agosto 2017

Trasfigurazione


Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l'amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l'abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.

3 agosto 2017

Pedofilia: la lettera di un prete cattolico al “New York Times”

Caro fratello giornalista,
sono un semplice prete cattolico. Mi sento fiero e felice della mia vocazione, e sono ormai vent’anni e poco più che vivo in Angola come missionario.
Constato in numerosi media, soprattutto nel vostro giornale, una recrudescenza di articoli consacrati ai preti pedofili, sempre con una prospettiva facile e di sicuro impatto emotivo, volta a scrutare nelle loro vite gli errori del passato.
Ce ne sono stati in quella tale città degli Stati Uniti negli anni ’70, in quella tale parrocchia australiana negli anni ’80, e così via fino ai casi più recenti… tutti meritevoli di ferma condanna, senz’alcun dubbio.
Alcune presentazioni giornalistiche sono ponderate ed equilibrate. Delle altre esagerano, causano un pregiudizio, seminano odio. Io stesso sento un grande dolore per il male immenso che provocano alcuni tra quanti dovrebbero essere segni viventi dell’Amore di Dio. Essi infliggono una pugnalata alla vita di troppi esseri innocenti. Non esistono parole che possano giustificare simili atti. Neppure si può dubitare del sostegno che la Chiesa prodiga ai deboli e ai più disagiati. Per questa ragione, la sua priorità assoluta resterà sempre l’adozione e la promozione di tutte le misure necessarie per la prevenzione e per la protezione della dignità dei bambini.
Mi fa impressione, che si leggano così poche notizie riguardo a quelle migliaia di preti che sacrificano la loro vita spendendosi per milioni di bambini e di adolescenti, ricchi o poveri, privilegiati o sfavoriti, ai quattro angoli della Terra.
Penso che il New York Times, quindi, non sarà interessato ad apprendere che:
  • Ho dovuto trasportare decine di bambini affamati in mezzo ai campi minati a causa della guerra del 2002 tra Cangumbe e Luena [due città dell’Angola N.d.T.], perché il governo non riusciva a farlo e le Ong non avevano le autorizzazioni necessarie;
  • Ho dovuto seppellire decine di bambini morti durante il loro esodo in fuga dalla guerra;
  • Abbiamo salvato la vita di migliaia di persone nel Moxico [regione dell’Angola N.d.T.] grazie all’unico centro sanitario esistente in 90.000 km2, distribuendo vivande e semi;
  • Abbiamo potuto fornire istruzione e scuole a più di 110.000 bambini, nel corso degli ultimi dieci anni.
Resta pure poco interessante che, insieme con altri preti,
  • abbiamo dovuto soccorrere circa 15.000 persone negli accampamenti di guerriglia, dopo la loro resa, perché gli alimenti del governo e dell’Onu non arrivavano;
  • Non è certo una notizia interessante che un prete di 75 anni, padre Roberto, percorra ancora la città di Luanda curando i bambini di strada, accompagnandoli a centri di accoglienza perché vengano disintossicati della benzina che mandano giù per sbarcare il lunario come mangiatori di fuoco;
  • L’alfabetizzazione di centinaia di prigionieri non deve sembrare, essa pure, un’informazione cruciale;
  • Allo stesso modo è inutile sapere che altri preti, come padre Stéphane, organizzano ostelli della gioventù che servano da rifugio ai giovani maltrattati, picchiati e perfino violentati;
  • Tanto meno è interessante che padre Maiato, dall’alto dei suoi 80 anni, visiti le case dei poveri, una per una, confortando i malati e i disperati;
  • Neppure è una notizia degna di tale nome che pressappoco 60.000 preti – sui 400.000 preti e religiosi presenti al mondo – abbiano lasciato i loro Paesi e le loro famiglie per servire i loro fratelli in un lebbrosario, in ospedali, in campi per rifugiati e orfanotrofi. Che si prendano cura dei bambini accusati di stregoneria o degli orfani di genitori morti di Aids. Che mandino avanti scuole per i più poveri, centri di formazione professionale, centri di accoglienza per i sieropositivi e via dicendo…
  • Senza parlare di quelli che offrono la propria vita nelle parrocchie e nelle missioni, per dare alla gente motivi per vivere bene e soprattutto per amare;
  • Non è un’informazione, che il mio amico padre Marc-Aurèle, per salvare dei bambini durante la guerra in Angola, li abbia trasportati da Kalulo a Dondo e che sia stato mitragliato sulla via del ritorno dalla sua missione. O che frate François sia morto, insieme con cinque catechiste, in un incidente occorso mentre andavano a dare una mano nelle regioni rurali più sperdute del Paese;
  • Che decine di missionari in Angola siano morti per una banale malaria, a causa dell’inconsistenza dei mezzi sanitari;
  • Che altri siano saltati in aria sulle mine mentre andavano a visitare i loro fedeli (nel cimitero di Kalulo si trovano le tombe dei primi preti che sono arrivati nella regione: nessuno aveva più di quarant’anni);
Seguire un prete “normale” nel suo lavoro quotidiano, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie, mentre dispensa vita, senza strepito, alla comunità che serve… questo non vende.
La verità è che noi non vogliamo creare informazione, ma semplicemente portare la Buona Notizia, questa Notizia che – senza rumore – ha cominciato a far parlare di sé dalla notte di Pasqua. Un albero che cade fa più rumore di mille alberi che crescono.
Si fa parecchio più baccano per un prete che si macchia di una colpa che per migliaia di preti che danno la vita per i poveri e gli indigenti.
Non pretendo di far qui l’apologia della Chiesa e dei suoi preti.
Un prete non è né un eroe né un nevrotico. È semplicemente un uomo normale che, con la sua natura umana, cerca di seguire Gesù e di servirLo nei suoi fratelli.
C’è della miseria, nei preti: della povertà e delle fragilità – come in ogni essere umano. Ma c’è anche della bellezza e della grandezza, come in ogni creatura. Insistere ossessivamente (e con tratti persecutori) su di un tema doloroso, perdendo di vista l’insieme dell’opera, produce volontariamente delle caricature offensive per il sacerdozio cattolico – per le quali io mi sento offeso.
Ti chiedo solo, amico giornalista, di ricercare la Verità, il Bene e la Bellezza. Così crescerai in nobiltà nella tua professione.
In Cristo
p. Martin Lasarte, SDB