30 ottobre 2016

Oggi giornata di terremoto,

Ma anche giornata di demenzialità facebookiana secondo la quale Dio ci parla attraverso terremoti.
Ma davvero? è veramente così????

Che strano, Scrittura ci dice che Dio non parla attraverso i terremoti:
"Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma IL SIGNORE NON ERA NEL TERREMOTO. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello....." 1Re 19
Oggi piuttosto si dovrebbe ringraziare Dio, perché con un terremoto della potenza pari a quello dell'Irpina dove morirono 10.000 persone, non c'è stato nessun morto


Il demente di turno si è manifestato più in fretta di quanto ci si potesse aspettare.


Se il terremoto fosse davvero dovuto alla vista del Papa in Svezia, almeno il dio di questi dementi poteva prendere bene la mira e terremotare il vaticano, invece il loro dio sembra un poco strabico e per le malefatte di Papa Francesco si è vendicato di nuovo sulle zone già colpite dal terremoto.

Tralascio le idiozie di un noto "autorevole" quotidiano italiano che lascia intendere che la chiesa cattolica stia diventando luterana. Basta leggere l'intervista rilasciata dal Papa proprio in occasione della sua visita in Svezia della quale riporto di nuovo solo questo passaggio: 
"«Rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una Messa, allungando il viaggio di un giorno. Infatti volevo che la Messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così»."

"NON CONFONDERE I PIANI...."

Intervista del Papa in occasione del viaggio apostolico in Svezia
"Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello....."

29 ottobre 2016

Se il Vaticano ha così tanti soldi perché allora non… ? Sette fatti da conoscere sulle finanze della Chiesa


Probabilmente con amici o conoscenti, o durante una cena, vi sarà toccato di rendere conto del Papa, della Verginità di Maria, del celibato sacerdotale, e di confutare tutte le versioni distorte delle dichiarazione del Papa che compaiono nei tabloid o in TV. E in mezzo a questi mucchi di roba, c’è sempre qualcuno che con grande sicurezza afferma: Il Vaticano è l’istituzione più ricca che esista, se vendesse tutto quello che ha, potrebbe eliminare la povertà nel mondo.

È vero che il Vaticano ha più potere economico di giganti mondiali come Walmart, Apple o Coca Cola? La rivista Fortune, specializzata in argomenti economici, ha pubblicato un articolo in cui respinge l’idea della “grande ricchezza del Vaticano”. Afferma al contrario che il Vaticano non si trova nemmeno tra i 500 più ricchi, nella sua famosa lista “Fortune 500”.

Affinchè possiate condividere con altri queste informazioni, desideriamo fornirvi alcuni dati che potranno essere molto utili al momento di parlare di finanze del Vaticano e della Chiesa.

1. I beni di maggior valore del Vaticano sono invalutabili e non sono in vendita



In sintesi: I beni del Vaticano sono tesori dell’umanità. Preziosi come la prima lettera d’amore ricevuta dal coniuge, di immenso valore per noi (e forse per qualche eccentrico collezionista), ma non possono essere venduti. Nei suoi musei, il Vaticano possiede alcuni dei più grandi tesori artistici del mondo, accumulati in 2000 anni di storia della cristianità, per non parlare di tutte le opere pre-cristiane che pure si trovano in questi musei. Sebbene siano dei tesori, non possono però essere venduti.

Nel 2015 chiesero a papa Francesco se non sentisse talvolta la necessità di vendere i tesori della Chiesa. La sua risposta fu chiara: “Questa è una domanda facile. Non sono tesori della Chiesa, sono tesori dell’umanità”.

Per esempio: quando Giovanni Paolo II compì la sua prima visita in Brasile, dopo una cerimonia ruppe il protocollo, andò in una favela e visitò una famiglia. Commosso dall’incontro, lasciò loro il suo anello papale. Pensate che la famiglia lo abbia venduto per il suo peso in oro per comprare cibo e vestiario? No. È un tesoro che si conserva ancora nella cappella della favela. I poveri sono poveri, mica stupidi.

2. La nuova amministrazione “Francesco”


Non vogliamo dire che altri Papi siano stati cattivi amministratori, ma è vero che ci sono state irregolarità durante alcuni pontificati, che, lungi dal generare ricchezza, hanno indebitato il Vaticano. Per questa ragione papa Francesco ha avviato una nuova politica di amministrazione per alleviare il deficit.

L’austero stile di vita di papa Francesco non è semplice retorica; ha permeato il portafoglio del Vaticano e il modo di gestire le finanze di mese in mese. Per lui la gestione delle finanze è un pilastro della sua missione per aiutare i poveri e i disagiati. Papa Francesco ha detto che vuole una amministrazione del Vaticano più agile, più efficiente e più autosufficiente. Questo potrà rendere disponibili più risorse per le sue opere di carità.

“Il messaggio del Papa è stato chiarissimo: Facciamo soldi perché vadano ai poveri” ricorda José Zahara, membro del COSEA, una commissione pontificia incaricata della riorganizzazione economica del Vaticano.

Papa Francesco è considerato dalla rivista Fortune un manager di primo piano. Nel 2013, sotto di lui, il Vaticano ha avuto un piccolo attivo di 11,5 milioni di dollari, dimostrando che, sebbene si creda che il Vaticano sia una potenza economica a livello mondiale, se fosse un’azienda non farebbe mai parte della lista Fortune 500.

Nonostante la prudenza della sua amministrazione, nel 2013 la Santa Sede ha registrato entrate per 315 milioni di dollari, e uscite per 348 milioni di dollari, con un deficit di 33 milioni, per cui l’attivo serve a riempire un po’ di buchi, e nessuno sta nuotando nell’oro.

3. Gli impiegati del Vaticano


Il Papa non crede nei licenziamenti degli attuali impiegati, ma non crede nemmeno agli sprechi e all’inefficienza. Egli ritiene che il Vaticano funzionerebbe meglio con meno impiegati (presupponendo che essi facciano bene il loro lavoro e non vadano in pensione anticipatamente, il che comporterebbe maggiori spese per pensioni a lungo termine).

Quasi due terzi delle entrate vaticane servono a coprire i salari dei suoi 2886 impiegati. L’impiegato medio (compresi sacerdoti e religiosi) guadagna meno rispetto ai salari di mercato, circa il 25% in meno rispetto agli stipendi dei lavoratori italiani di aziende private. Tuttavia, sebbene abbiano salari più bassi, non pagano tasse e hanno coperture sanitarie e pensionistiche.

4. Indipendenza delle diocesi


Sebbene il Vaticano abbia “succursali” in tutto il mondo, ciascuna delle circa 2800 diocesi è un’entità separata, amministrativamente indipendente, con il suo proprio bilancio e beni. Ciò è attestato dai rendiconti finanziari regolarmente pubblicati in ogni diocesi. La Chiesa è decentralizzata da un punto di vista economico; si può di fatto dire che il Vaticano sta per conto proprio.

È importante sapere che sebbene le diocesi del mondo mandino ogni anno denaro al Vaticano, la grande maggioranza di questo denaro è destinata alle attività missionarie o alle opere di carità sostenute dal Papa. Comunque questa somma è meno del 4,5% delle entrate totali.

Lo stesso si può dire dei beni immobili. Sebbene la Chiesa sia presente in tutto il mondo, gli edifici e i terreni non appartengono al Vaticano. Le diocesi e i 296 ordini religiosi diffusi nel mondo sono i proprietari di questi beni immobili e li amministrano per conto loro.

Il Vaticano ha pure delle proprietà, circa 2000. Si tratta per lo più di edifici di abitazione, affittati a gente che lavora in Vaticano a prezzi inferiori a quelli di mercato. Cioè: non producono denaro.

5. Alcune cose sono vendute e il denaro è devoluto in beneficienza


Il Papa riceve una gran quantità di regali, da manufatti a veicoli nuovi fiammanti, tutti donati con grande affetto. Tuttavia papa Francesco preferisce usare questi regali per finanziare le sue opere di carità. Per esempio nel 2014 l’azienda americana Harley-Davidson gli regalò una motocicletta. Papa Francesco non l’ha mai usata. Ha firmato il serbatoio del carburante e l’ha regatata alla associazione cattolica romana Caritas. La moto fu venduta all’asta per 210.000 euro e il denaro usato per restaurare un asilo per senza tetto e una mensa.

Detto questo, è chiaro che la Chiesa – cioè i Cardinali in Vaticano, ma anche tu ed io – dobbiamo sempre cercare di migliorare. Possiamo sempre fare qualcosa in più e ciascuno di noi deve fare la sua parte. Che tu sia un Cardinale, una suora, un parroco, un uomo/donna di affari o un adolescente, siamo tutti invitati a guardarci intorno e distinguere tra quello che è essenziale e quello che non lo è. Cosa conta di più nelle nostre vite? L’amore per le cose o quello per i nostri fratelli e sorelle? Perché non mettere a buon uso tutta quella roba che prende polvere nel ripostiglio? Perché non trasformare le nostre cose in doni per gli altri?

6. Altre spese e altre entrate…


Ci sono molte spese che non producono entrate, ad esempio: la Radio Vaticana, che per mantenersi operativa conta su 330 impiegati e spende 37 milioni all’anno; in cambio raccoglie meno di un milione in pubblicità.

Le Nunziature Apostoliche, che sono le ambasciate in 113 nazioni, per funzionare hanno bisogno di oltre 30 milioni di dollari all’anno.

Il Vaticano è una città che deve avere entrate; la maggioranza di queste proviene dagli ingressi di turisti e pellegrini ai musei, per circa 130 milioni di dollari l’anno. Altre entrate, per circa 85 milioni di dollari l’anno, provengono da donazioni.

Per finanziarsi, il Vaticano, come tutti i paesi, fa investimenti. Possiede circa 920 milioni in azioni, obbligazioni e oro. Le sue riserve d’oro, collocate nella Riserva federale degli Stati Uniti, ammontano a 50 milioni di dollari. Il Vaticano ricava dai suoi investimenti tra i 15 e i 25 milioni di dollari. Malgrado faccia investimenti, ne ricava relativamente poco con cui pagare i suoi debiti.

Il dettaglio dei conti della Santa Sede può essere visto al sito:

http://www.catholicnewsagency.com/news/budget-keeping-at-the-vatican-in-transition-toward-a-new-era-33551/ (versione inglese)

https://www.aciprensa.com/noticias/vaticano-presenta-los-resultados-del-balance-economico-2014-40882/ (versione spagnola)

7. Ma la Chiesa fa qualcosa per aiutare i poveri?


Forse il discorso più assurdo è quando la gente dice: “il Vaticano straripa di ricchezze. Se vendesse i suoi beni, i soldi potrebbero essere dati ai poveri”. Questa affermazione insinua che il Vaticano non aiuta i poveri e che certamente il Papa si alza tutte le mattine per nuotare in una piscina piena di soldi, circondato da un lusso straordinario, infischiandosene dei poveri. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità.

In tutta la storia, la Chiesa è l’istituzione che ha fatto di più di ogni altra al mondo per aiutare i poveri e gli invalidi, i malati e gli orfani. Nessun’altra istituzione sostiene altrettanti ospedali, ricoveri per senza tetto, centri di assistenza agli anziani, orfanatrofi, scuole, università, ecc.

Terminiamo con una nota positiva. La rivista “Fortune”, parlando dell’amministrazione di Papa Francesco evidenzia che gli affari economici gli stanno davvero a cuore. Sebbene alcuni possano credere che il Vaticano sia tra le più ricche istituzioni del mondo, non è così. Malgrado ciò, con i soldi che ha, il Vaticano aiuta in modo significativo i poveri, i malati e gli oppressi.

Puntiamo decisamente al demenziale.

Ora Papa Francesco è il "primo papa non cattolico della storia". 



Poi ci sono coloro che credono che in Svezia il Papa celebrerà (orrore!) L'Eucarestia con i luterani e varie altre demenziali da T.S.O.

La realtà è che il Papa non celebrerà affatto l'Eucarestia con i luterani.

Se non avete letto l'intervista al Papa nel quale si parla del suo viaggio in Svezia leggete solo questa risposta di Papa Francesco che da a chi lo intervista:

«Rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una Messa, allungando il viaggio di un giorno. Infatti volevo che la Messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così».
http://www.laciviltacattolica.it/articoli_download/extra/Intervista_Francesco_in_Svezia.pdf

Quindi sarà un incontro paragonabile a quanto già avvenuto lo scorso anno in una Chiesa luterana di Roma e altrettanto paragonabile all'incontro che c'è stato tra Papa Benedetto e i rappresentanti della Chiesa Evangelica in Germania dove per l'occasione tra le altre cose disse: "Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica...."
https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110923_evangelical-church-erfurt.html

Poi credo che se si vogliono riportare anime nella Chiesa cattolica non credo che il modo migliore di farlo sia quello di prospettargli le fiamme dell'inferno. Cristo ha pregato il Padre affinché chiunque creda in lui siano una cosa sola.... ha pregato, non minacciato l'inferno come ormai fanno tanti pseudocattolici





Papa Francesco Visita alla Chiesa Evangelica Luterana di Roma

25 ottobre 2016

La vera Bibbia e i libri Deuterocanonici

Il dibattito fra cristiani di diversa denominazione dovrebbe partire proprio dalla Bibbia, cioè dalla base scritta del cristianesimo, dato che troviamo differenze tra le Bibbie protestanti e la Bibbia cattolica. In quelle protestanti, mancano solitamente i 7 libri deuterocanonici, (loro li chiamano apocrifi) in alcune come quelle luterane, i 7 libri si trovano come apice conclusivo, cioè non nello stesso ordine usato nella Bibbia cattolica e in quella dei LXX (settanta), che poi era quella usata dagli apostoli. Avrete capito che l’argomento di questo capitolo è quindi il Canone biblico, la sua storia e la sua formazione, nonché la sua difesa lungo tutti i secoli ad opera della Chiesa.

Se i protestanti sarebbero realmente attaccati alla Bibbia sarebbe giusto che conoscessero bene la storia del canone, perché stiamo parlando proprio della base del cristianesimo, La Bibbia è Parola di Dio, quindi bisogna conoscerla bene! Ma prima ancora che alla Bibbia loro tengono moltissimo alla loro tradizione di attacco contro la Chiesa cattolica, tralasciando ogni prova storica, logica e/o razionale. Non bisogna infatti mai perdere di vista che il cristianesimo prova la sua veridicità su elementi storici, quindi realmente accaduti. Voler quindi cancellare la storia, o parti di essa significa far uso di comportamenti sospettosamente faziosi.

I fratelli evangelici però pur di andare contro la Chiesa cattolica, non riflettono adeguatamente su quanto vanno dicendo nei loro libri e/o siti Internet.
Parlano del sinodo di Jamnia, fatto dagli ebrei nell’anno 90 d.C. nel quale –dicono- fu revisionato il canone biblico dell’Antico Testamento.
Basterebbe leggere con più attenzione la Bibbia per capire che agli ebrei fu tolta ogni autorità ecclesiastica e decisionale, con la nascita del cristianesimo. Fu Cristo a levargliela, dandola ai suoi apostoli e questi ultimi ai loro successori, così avverrà fino alla fine dei giorni terreni.

Nell’anno 90 d.C. Giovanni apostolo era con molta probabilità ancora vivo, ma non partecipò a quel sinodo ebreo, come neppure altri cristiani.
Paolo ad esempio fu un cristiano molto dotto, conosceva benissimo le Scritture dell’Antico Testamento, e come lui anche Apollo, Timoteo, Tito, Filemone e tanti altri, non credo quindi che i cristiani avessero bisogno di farsi rivedere il Canone dagli ebrei, e poi se non sbaglio questi ultimi istigavano i romani a perseguitarli.
Possibile che i fratelli separati non si rendano conto di andare contro il cristianesimo stesso dando autorità agli ebrei, in un’epoca dove già esistevano le prime comunità cristiane?

Sì putroppo è possibile, il loro anticattolicesimo li acceca, e non li fa riflettere abbastanza.
Preferiscono dare autorità a quegli stessi ebrei che rifiutarono il Messia, pur di screditare la Chiesa cattolica. E’ risaputo che gli i dottori ebrei le tentarono tutte per screditare i cristiani agli occhi del popolo. Screditare la Bibbia dei Settanta, in quell’epoca usata dai cristiani, apostoli compresi, era un’abile e astuta mossa, rimisero stranamente mano al canone, ed esclusero i 7 libri deuterocanonici, che erano da parecchio tempo parte integrande del canone ebreo-alessandrino.
Ma non dimentichiamo –come spesso accade- che vi furono anche molti ebrei che accolsero il messaggio cristiano, a cominciare dagli apostoli passando attraverso le conversioni di massa di pentecoste. In quegli anni diversi Messia si presentarono come salvatori di Israele, ma nessuno di essi durò a lungo. Tuttavia alcuni di essi ricevettero il credito dei rabbini, che li appoggiarono esortando il popolo ebraico a ribellarsi contro l’invasore romano, certi di vincere contro ogni ragionevole dubbio. “Per ultimo, ecco Bar Kokheba: è il vertice del messianesimo ebraico in senso non solo cronologico ma anche ideale. Si chiamava Simone, l’altro nome gli fu dato a riconoscimento dei suoi titoli messianici. Bar Kokheba significa infatti, in aramaico “Figlio della Stella”, un termine applicato soltanto al Messia. Del resto il più celebre tra i rabbini e i dottori della legge, Akiba il Grande, riconobbe in lui pubblicamente il Cristo. Anche se “i tempi erano scaduti”, anche se molti nell’ebraismo consideravano ormai passato nella delusione il periodo dell’attesa, la grandezza delle gesta di Simone il Magnifico e il riconoscimento ufficiale da parte dei sacerdoti finirono col trascinare tutti dietro di lui. Nel 132 d.C. Bar Kokheba riuscì a cacciare i romani da Gerusalemme. L’entusiasmo dilagò incontenibile, tanto che si batterono subito monete del Regno così lungamente atteso. Portavano l’iscrizione: <>. Il primo anno, cioè dell’Era Messianica.

Seguirono altre esaltanti vittorie che convinsero anche quei dottori della Legge ancora perplessi che il Messia era davvero giunto. Quando Roma passò al contrattacco, la lotta divampò terribile. La resistenza degli ebrei, fanatizzati dalla certezza di combattere sotto le insegne del Cristo d’Israele, fu tale <>, come scrisse lo storico antico Dione Cassio. Tanta era la fede, che i legionari romani dovettero espugnare con perdite sanguinose ben 50 fortezze e 985 tra città e villaggi. Quando l’incredibile resistenza terminò con la seconda rovina totale di Israele (la prima fu quella intorno al 70 d.C.) crollò anche la fede in quel Messia. Gli stessi sacerdoti che lo avevano soprannominato Bar Kokheba, figlio della stella, gli cambiarono l’appellativo in Bar Kosheba, figlio della menzogna. La fede in quel Simone, il Messia patentato, non sopravvisse in alcun modo allo scacco, seppure glorioso.
Gesù, il Messia sconfessato, sopravvive invece allo scacco vergognoso, alla morte sul servile supplicium, il supplizio per gli schiavi.” (cfr Messori, Ipotesi su Gesù)
Questi elementi storici sconosciuti ai molti, fanno parte della storia del popolo ebraico, quello stesso popolo che perdette l’autorità ecclesiastica per volere del Messia in persona. Lo vediamo barcamenarsi nel disperato tentativo di trovare il Messia giusto, in sostituzione a quello “falso” che avevano crocifisso, i fatti, la storia ci insegna che sbagliarono più volte fino allo loro totale distruzione, rifiutando sempre e comunque il cristianesimo. Escogitavano qualsiasi stratagemma per screditare i cristiani, non per ultimo, come accennavo quello di rivedere il canone estromettendo i 7 libri, nel tentativo di minare la Bibbia dei cristiani, anche nella parte più Antica.

Ad un fratello evangelico, intervenuto in un forum di discussione sul canone biblico fu chiesto quanto segue:

“se si trova d'accordo con il Concilio di Gerusalemme descritto in Atti, come fa ad essere d'accordo con il Concilio di Jamnia dove non vi erano presenti nessuno degli apostoli e nessun vescovo dopo di loro, considerata pure l’ipotesi che Giovanni l'apostolo era ancora vivo?”

Il fratello evangelico diede una mezza risposta, dicendo che agli ebrei furono affidati gli oracoli di Dio. Giusto, corretto, ma bisogna concentrarsi sul “furono “, infatti con la nascita del cristianesimo, agli ebrei fu tolta ogni autorità ecclesiastica, e questo lo dice la Bibbia, del resto furono proprio gli ebrei a far uccidere Gesù, continuando a far perseguitare i cristiani, screditandoli con ogni mezzo.
A tal proposito il fratello Luca ci riporta quanto ha trovato nel sito Avventista di Malta, quindi preso da fonte non cattolica.

Leggiamo:

“Lo sviluppo del cristianesimo contribuì certamente anch'esso all'affinamento della critica testuale ebraica. Gli Ebrei avevano infatti bisogno di chiarire ed affermare la reale natura del testo ebraico ritenuto giustamente fondamentale, oltre che per l'importanza che esso aveva per la propria esperienza religiosa e sociale, anche in relazione alla loro apologetica di fronte ai Cristiani che usavano prevalentemente la LXX.”

Poi continua Luca:

“Un particolare interessante che ho scoperto è che il Talmud al quale fanno più affidamento è quello Babilonese, mi chiedo come questo particolare si possa conciliare con la teologia cristiana, dal momento che tali letture sono giudicate  extrabibliche:”

Letteratura giudaica extrabiblica
Il Talmud (studio) è semplicemente la Mishnà accompagnata dai commenti dei Rabbini successivi, una volta che essa stessa diventa fondamento della vita del popolo e oggetto di meditazione. Questi commenti costituiscono la gemara (ricordarsi che la "g" in ebraico come in greco ha sempre il valore duro di "gh"), cioè la materia studiata. Siccome si sviluppano due tradizioni esegetiche sulla Mishnà, una in Palestina e l'altra in Babilonia, si hanno due Talmud, uno palestinese e l'altro babilonese. Quest'ultimo è quello che assunse più ampia fama e autorità in seno al giudaesimo sia per l'estensione della sua ghemara (da sette a otto volte quella palestinese) che per la sua qualità.(12) Il Talmud Palestinese si concluse verso il 400 a causa dell'instabilità politica del Paese che impedì ai Rabbini di continuare la loro opera, mentre quello babilonese verso il 500.”

Stiamo parlando del 500 d.C. il sito è della Chiesa Avventista.

Ma quello che ho trovato ancora più interessante è il confronto di una frase fra la LXX e il testo Masoretico:

8) Homoteleuton (finale simile). Quando nel testo vi sono due parole o due righe che finiscono in modo uguale, l'occhio del copista può passare facilmente dal primo al secondo saltando ciò che sta in mezzo. 

Esempio: In I Sam. 14:41 il masoretico ha "E Saul disse a Yahveh: Dio d'Israele, fa conoscere la verità ...". La LXX invece legge: "E Saul disse: Signore Dio d'Israele, perché non hai risposto al tuo servo oggi? L'iniquità si trova in me o in mio figlio Jonatan? Signore Dio d'Israele, fa conoscere la verità ...". E' più logico pensare che sia il masoretico ad omettere una parte a causa dell'homoteleuton, che la LXX ad inventarsi ciò che non c'era.

9) Omissione accidentale di parole anche in caso diverso dall'homoteleuton. Esempio: In I Samuele 13:1 manca l'indicazione dell'età che Saul aveva quando cominciò a regnare. La cifra 30 che abbiamo nella Luzzi (Bibbia protestante) deriva da un manoscritto della LXX e sembra arbitraria. Il masoretico dice che Saul aveva un anno quando cominciò a regnare ma è chiaramente un assurdo che non possiamo spiegare se non con la perdita della vera cifra per motivi accidentali.

Diamo per ora qualche cenno sulle varie versioni bibliche dei papiri e delle pergamene ritrovate, per poi approfondire il discorso nelle pagine successive (ndr), e teniamo presente che questi cenni iniziali sono presi al sito avventista. Ci sono quindi anche dei protestanti che attestano la verità storica, cioè che gli apostoli usavano la Bibbia dei settanta.

Versioni greche
Versione dei LXX o Septuaginta. Tradotta tra il 250 e il 150 a.C., presenta caratteristiche e valore diversi da libro a libro. Il Pentateuco e i Profeti anteriori sono quelli tradotti meglio. Gli altri libri presentano una traduzione più libera e anche parafrastica. I codici più importanti che la contengono sono il Vaticano (B) (325-350), il Sinaitico (Alef) (375-400), l'Alessandrino A (450 d.C. circa).
Versione di Aquila. Realizzata verso il 130. Era una traduzione eccessivamente letteralistica realizzata per contrastare l'influenza della LXX e l'importanza che questa aveva assunto nella predicazione cristiana.
Versione di Simmaco. Realizzata forse verso il 170, presenta un buon greco fedele all'ebraico.
Versione di Teodozione. Realizzata verso la fine del II sec. d.C. Sembra essere solo una revisione della LXX o di un'altra traduzione.
Tutte e tre queste ultime versioni ci sono pervenute attraverso frammenti dell'Esapla di Origene.
La versione di Daniele fatta da Teodozione giunse a sostituire nell'uso quella della vecchia LXX.

Targûmîm aramaici
Si tratta di traduzioni aramaiche alquanto libere fatte nelle sinagoghe per permettere ai fedeli che non capivano più sufficientemente l'ebraico di comprendere il testo biblico. Sono contemporaneamente traduzione e spiegazione. Hanno quindi poco valore per la critica testuale mentre ne hanno molto per la storia della interpretazione. Tuttavia un targûm può riflettere una tradizione testuale dell'ebraico, che può tornare utile anche ai fini della critica testuale quando si tratta di scegliere tra lezioni diverse presenti sia nel masoretico che nelle versioni.
Il primo esempio di targûm è forse quello dell'epoca di Esdra descritto in Neh. 8:5,7,18. Il targûm assunse a poco a poco una forma codificata che veniva trasmessa prima oralmente e poi, non prima del 200 d.C., per iscritto.

Versioni latine
Vetus latina, detta anche Itala, fu realizzata nella seconda metà del II sec. d.C. ma è solo una traduzione della LXX. 
Vulgata. Resasi a poco a poco necessaria una revisione della Vetus sulla base della LXX, ne fu incaricato Girolamo. Tuttavia Girolamo, avendo intrapreso lo studio dell'ebraico in Palestina, ne fece, tra il 390 e il 405, praticamente una nuova traduzione dall'ebraico. 
Vulgata significa "popolare", "comune" e fu così chiamata proprio per l'ampia diffusione che ebbe in Occidente durante il Medioevo. Ancora oggi rimane quasi la versione canonica della Chiesa Cattolica.

Versioni siriache
Tra le versioni siriache ricordiamo solo la Peshitta, "semplice", equivalente in Siria a quella che fu la Vulgata in Occidente. Fu tradotta tra il II e III sec. d.C. dall'ebraico e venne poi "corretta" sulla base della LXX.

Mi sembra che le dimostrazioni del valore della LXX e della saggia scelta della Chiesa cattolica sia ampiamente prevalente su tutto ciò che portano a discredito coloro che non credono.
Dalla Chiesa Avventista di Malta vorrei proseguire sul Concilio di Jamnia. Qui di seguito trovate l’indirizzo del sito avventista dal quale abbiamo preso queste citazioni. 
http://www.adventist.org.mt/BibleWorld/AT_I_Canone_frameset.htm

 SIGNIFICATO DI "CANONICITÀ"

“Cosa si intende per canonicità? Vi possono essere due sfumature diverse:
1) canonicità come riconoscimento che gli uomini danno al Testo Sacro.
2) canonicità come caratteristica intrinseca del Testo.

In genere noi mischiamo questi due concetti ma, per potere discutere del canone, bisogna distinguerli.

Si può dire che un libro biblico è canonico...

Fin dal primo momento della sua esistenza in quanto ispirato da Dio, sia che lo si accetti come tale o no, che sia isolato o che esista nell'ambito di una raccolta più vasta.
Nel senso che è riconosciuto come ispirato e quindi come autorevole.
Quando fa parte del Canone, della lista ufficiale dei Testi Sacri che fungono, nel loro insieme, da Canone, norma della fede del popolo di Dio.

In questo capitolo ci occuperemo del punto 3 e, in parte, del punto 2, cercando principalmente di delineare lo sviluppo del Canone.

QUANDO SI COSTITUÌ IL CANONE?

Ipotesi tradizionale: Jamnia

Tradizionalmente si pensa che il canone ebraico sia stato definitivamente e ufficialmente costituito a Jamnia, una cittadina vicino alla costa del Mediterraneo a ovest dell'estrema punta nord del Mar Morto. Qui, verso il 90 d.C., si sarebbero riuniti, in quello che viene chiamato "Concilio di Jamnia", i dotti rabbini per decidere l'estensione e i limiti del canone. In tale occasione sarebbero stati definitivamente eliminati alcuni dubbi che ancora sussistevano sulla canonicità di qualche libro.
Il motivo per cui si sarebbe proceduto alla fissazione del canone (ufficialmente, ndr) sarebbe il seguente: La distruzione del tempio aveva significato la perdita di un centro spirituale aggregante per Israele. Le Scritture dovevano sostituirlo enfatizzando una funzione che avevano cominciato a svolgere già da qualche secolo, soprattutto per influsso del farisaismo.(2) Da ora in poi sarebbero state principalmente le Scritture a costituire il centro aggregante della fede e l'elemento di identificazione nazionale. Era quindi necessario che si determinasse in modo preciso la consistenza delle Scritture.

Che valore ha Jamnia in realtà?

1) Per alcuni il "Concilio di Jamnia" rappresenta il momento della fissazione definitiva del canone rimasto prima nel vago. Solo da ora in poi si può parlare di canone.
2) Per altri non è neppure esistito un Concilio di Jamnia. Ci sono state solo delle discussioni occasionali attraverso le quali si sarebbe riconfermato ciò che il popolo aveva già accettato da tempo come elemento fondamentale della sua fede:
"Nonostante un tale evento possa essere desiderabile, si è molto lontani dall'essere certi che ci sia stato un Concilio o Sinodo di Jamnia nel senso stretto della parola [...] certe discussioni ebbero luogo a proposito di specifici libri dell'Antico Testamento come Ezechiele, Ester, Cantico, Ecclesiaste e Proverbi. E' quasi certo che tali discussioni ci siano state sia prima che dopo tale periodo, e sembra possibile che niente di formalmente normativo sia stato deciso in queste discussioni anche se, come ha indicato Rowley, i vari dibattiti aiutarono a cristallizzare e stabilire la tradizione giudaica a questo riguardo in modo più solido di quanto lo fosse precedentemente.
Se è discutibile parlare di Concilio di Jamnia, è ancora più discutibile dire se i partecipanti a queste discussioni siano stati veramente interessati al problema di ciò che doveva essere incluso nel canone delle Scritture o no. [...] Sembra piuttosto che le conversazioni riguardassero il problema se certi libri specifici dovessero essere esclusi da ciò che era considerato il corpo scritturale. [...]
Il fatto è che le opere in discussione erano già riconosciute dal popolo come canoniche, così che, [...] il "Concilio" stava in realtà confermando l'opinione pubblica, non formandola." (3)
3) Il Commentario Avventista ha una posizione intermedia: Il Concilio c'è stato ma il suo scopo fu quello di confermare quanto già esisteva, eliminando la possibilità che libri apocrifi fossero considerati canonici:
"Poiché alcuni Giudei consideravano certi libri apocrifi come aventi valore uguale a quello dei libri canonici dell'A.T., il giudaismo volle porre il suo sigillo ufficiale sul canone che era esistito immutato da lungo tempo e che si sentiva il bisogno di salvaguardare da aggiunte. Questo concilio non stabilì perciò il canone dell'Antico Testamento, ma confermò [...]. E' vero, comunque, che in certi ambienti la canonicità di Eccl., Cant., Prov., ed Ester era messa in discussione. Ma Rabbi Akiba [...] eliminò i dubbi con la sua autorità e la sua eloquenza, e questi libri mantennero la loro posizione [...]."
E' nostra impressione che tale posizione possa essere superata aderendo alla precedente.
Da quello che ho capito io, il sito Avventista di Malta dice chiaramente che la questione del Concilio di Jaminia discuteva altri problemi e non propriamente quei testi che diventeranno conosciuti come i Deuterocanonici.
I testi in discussione erano: Ezechiele, Ester, Cantico, Ecclesiaste e Proverbi.
Perché citiamo il sito protestante avventista?
Per dare dimostrazione che anche fonti non cattoliche danno poca importanza a quel Concilio citato da chi ama screditare la Bibbia cattolica (ndr).

Tutto l'A.T. (Salmi, Profeti etc.) fa continuo riferimento alla Thorah. Ciò ne attesta l'importanza e l'autorevolezza. Essa viene attribuita a Mosè ed è quindi considerata il primo elemento delle Scritture ebraiche.”

FONTI EXTRABIBLICHE

Citiamo qui una serie di documenti che forniscono dati significativi in relazione alla storia della formazione del canone. 
3) Baba Bathra 14b. Si tratta di una glossa non autorizzata (baraitha) risalente al II sec. a.C.:
"L'ordine dei profeti è Giosuè, Giudici, Samuele, Re, Geremia, Ezechiele, Isaia, i Dodici (Profeti Minori). Quello dei Kethuvim è Rut, Salmi, Giobbe, Proverbi, Ecclesiaste, Cantico di Salomone, Lamentazioni, Daniele, il Rotolo di Ester, Esdra, Cronache.
Chi scrisse i libri? Mosè scrisse il suo libro, la sezione intorno a Balaam e Giobbe; Giosuè scrisse il suo libro e gli ultimi otto versi della Thorah; Samuele scrisse il suo libro, Giudici e Rut. Davide scrisse i Salmi lungo la linea dei Dieci Anziani, cioè Adamo [139:16;92?], Melchisedech [110], Abramo [89], Mosè [90,100], Heman [88], Jeduthun [62,77?], Asaf [50,73-83] e i tre figli di Kore [42,49,78,84,85,88]. Geremia scrisse il suo libro, il libro dei Re e Lamentazioni; re Ezechia e il suo Concilio scrissero Isaia, Proverbi, Cantico di Salomone ed Ecclesiaste; gli uomini della Grande Sinagoga scrissero Ezechiele, i Dodici Profeti, Daniele ed Ester. Esdra scrisse il suo libro e la genealogia delle Cronache fino al suo proprio tempo. Nehemia la completò."(8)
II Maccabei 2:13, scritto da Giasone poco dopo il 160 a.C. e condensato verso il 124 a.C. afferma, a proposito di alcuni fatti creduti avvenuti dopo la distruzione di Gerusalemme, che
"Questi medesimi fatti erano anche riportati negli scritti e negli annali riguardanti Nehemia, nei quali si diceva che egli fondò una biblioteca, in cui raccolse i libri che parlavano dei re, gli scritti dei profeti e di Davide e le lettere dei re relative alle offerte sacre." [i doni dei re persiani fatti per il tempio. Trad. Paoline]

Giuseppe Flavio (storico ebreo) è il primo a parlare di "Libri Santi" o "Sacre Scritture". In Contra Apionem 1:8, egli divide l'A.T. in 3 sezioni composte da un totale di 22 libri per ottenere, probabilmente, una corrispondenza con il numero delle lettere dell'alfabeto ebraico” (fin qui il commento tratto dal sito avventista)

Leggendo questo interessante lavoro mi chiedevo a questo punto se io devo credere ad un Giuseppe Flavio che determina le Sacre Scritture per un gioco di numerazione o alla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Gesù, Figlio di Dio, di insegnare e ammaestrare "tutte le genti"? 

“La Chiesa Avventista conclude dicendo:
“L'autorevolezza di uno scritto deriva anche dall'essere riconosciuto e accettato dagli uomini.” Ma se nelle Lettere del N.T. leggiamo che nessuna Scrittura è soggetta a privata interpretazione, quali sono questi uomini che devono dare questa autorevolezza?
La Chiesa fondata sugli Apostoli o i Giudei che avversarono la Chiesa rifiutando il Messia?” (cfr, del fratello Luca)

Osservazioni pentecostali:
“Se è vero che la chiesa cattolica romana ha chiuso la questione al  Concilio di Trento (1545-1563), tuttavia, la questione fu chiusa molto tempo prima, quando Girolamo disse che i libri deuterocanonici  erano buoni da leggere ma non per stabilirvi una dottrina. Tutta la Chiesa al tempo di Girolamo non considerava ispirati i deuterocanonici, ma semplicemente libri che erano solo buoni da leggere Sappiamo che la “Settanta” è una traduzione dai testi Ebraici in Greco. 
Ora è chiaro che i libri deuterocanonici devono avere il testo originale ebraico che stranamente non si trova, nè Girolamo e nè altri dopo Girolamo sono riusciti a trovare i testi originali ebraici. Per di più, dei libri deutoracanonici, non si conoscono gli autori, mentre in tutti gli altri libri si conosce sia chi li ha scritti e si trova il testo Ebraico.

Nei libri deutorocanonici mancano queste caratteristiche:

Non si trovano i testi Ebraici 
Gli autori sono sconosciuti.” (fin qui le osservazioni evangeliche)

Andiamo avanti proprio partendo dal sito della Società Biblica di Ginevra (protestante):

http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tgen2.htm (potete cliccare qui a fianco per verificare, collegandovi col sito di detta società biblica)

I più antichi manoscritti in pergamena che ci sono rimasti sono "soltanto" del IV e V secolo d.C.: si tratta dei Codici Sinaitico, Vaticano, Alessandrino, ecc., già ricordati e dei quali parleremo ancora in seguito. Dalla lettura di 2 Ti 4:13 ss deduciamo che forse Paolo possedeva dei volumi simili a questi; egli infatti chiede a Timoteo di portargli a Roma, dall'Asia Minore, i libri ("ta biblìa"), cioè i rotoli, e le pergamene ("membrànas"), cioè i codici.... 

Cosa ne deduciamo?
Che se tali "codici" furono portati a Roma, la Chiesa in Roma li ha conservati e di certo tramandati, e se erano veramente "codici", non risulta che essi esistevano nelle Sinagoghe, non almeno in quel periodo. Poi si evincono entrambi gli oggetti, cioè i rotoli e le pergamene, ne deduciamo che era la LXX quella che ritrascrivevano nelle pergamene dal momento che la stessa Società Biblica di Ginevra dice all'inizio:

Questa versione dell'Antico Testamento era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli; quasi tutte le citazioni dell'Antico Testamento fatte dall'Apostolo Paolo nelle sue lettere sono tratte da tale versione.  Essa fu dunque usata ed adottata dalla chiesa cristiana primitiva come versione riconosciuta dell'Antico Testamento, e per tale motivo fu rigettata dai Giudei.

Come vedete la Società Biblica di Ginevra che NON è cattolica, dice che la LXX fu rigettata perche' usata dai primi cristiani e dagli apostoli e perche' era in greco....
decade perciò la motivazione che portano i fratelli separati, non è affatto vero che il testo sacro debba essere scritto in ebraico, poiche' tutti sapevano, apostoli compresi, che la LXX era stata tradotta in greco.

Sempre dalla Società Biblica di Ginevra:

“Il testo della Settanta era praticamente la "Scrittura" letta nelle prime chiese cristiane in tutta l'area di lingua greca (Corinto, Efeso, Filippi, Tessalonica, ecc.). Il fatto però che la Settanta, prima popolarissima nel mondo giudaico, venisse adottata dai Cristiani, ne provocò per reazione la proscrizione da parte dei Giudei.” 

Quindi non è solo la Chiesa cattolica a dare importanza alla Bibbia dei Settanta, consideriamo pure che -per esperienza personale- non pochi fedeli protestanti ne sconoscono l’esistenza e l’importanza.

La società Biblica di Ginevra scrive ancora:

“In conclusione: i “Settanta” ebbero certamente a disposizione un certo tipo di testo ebraico, quando fecero la traduzione in greco nel III secolo a.C. ....”

Commenta la sorella Tea:

“La società biblica di Ginevra, quindi, ammette e riconosce che: E' facile comprendere l'importanza che potrebbe avere un paragone tra il testo ebraico e le varie traduzioni in greco, specialmente la Settanta, così frequentemente citata dagli Apostoli. Questa operazione fu fatta da un famoso studioso alessandrino, Orìgene, intorno al 240 dell'era cristiana, opera citata da diversi padri, ma andata perduta. Ci è rimasto però il testo dei Settanta, che si trova, con qualche variante nei già citati grandi codici Alessandrino, Sinaitico, Vaticano, e Riscritto di Efrem. 
Di questa operazione se ne servì Girolamo per trarre la Vulgata, a noi interessa capire che siamo nell'anno 240 quando già il concilio di Jamnia aveva chiuso il canone, mentre a quanto pare per la Chiesa la questione era ancora aperta, perchè si affidò alla Tradizione apostolica, ed alla successiva continuità dei vescovi della Chiesa che usavano le stesse Scritture.”

Infine sempre dalla stessa Società Biblica leggiamo:
 http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_cnt4.htm 

“Agostino (convertitosi nel 387, morto nel 430), che alcuni definiscono "il più importante dottore della chiesa tra Paolo e Lutero", diede queste risposte: "Perché quei libri attestano la loro ispirazione per il loro carattere intrinseco; perché essi hanno riscosso il consenso generale dei Cristiani; perché le chiese che li hanno sostenuti erano quelle che avevano mantenuto integra la tradizione apostolica".

Ma leggiamo a questo punto il parere del più grande dottore della Chiesa (assieme a s.Tommaso d’Acquino) circa i libri considerati canonici, alla sua epoca:
“Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach (il Siracide, ndr); tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.”

Notiamo che Agostino cita per intero tutti i libri deuterocanonici del V.T. inclusi nella Bibbia cattolica, e lo fa nella sua opera “De Doctrina Christiana” esattamente nel paragrafo dedicato ai libri canonici del secondo libro.

Dalla sito della Chiesa Avventista di Malta rileggiamo ancora sulla Canonicità:

Si può dire che un libro biblico è canonico:

Fin dal primo momento della sua esistenza in quanto ispirato da Dio, sia che lo si accetti come tale o no, che sia isolato o che esista nell'ambito di una raccolta più vasta.
Nel senso che è riconosciuto come ispirato e quindi come autorevole.
Quando fa parte del Canone, della lista ufficiale dei Testi Sacri che fungono, nel loro insieme, da Canone, norma della fede del popolo di Dio.

Riprendiamo alcune osservazioni fatte nei forum da fratelli separati cercando di esporre con un certo ordine.

Il fratello Mario a proposito della Tradizione che permise di individuare i libri ispirati scrive:

“I Deuterocanonici furono  citati come ispirati da Clemente Romano, Ignazio, Policarpo, Ireneo, Giustino martire, Clemente alessandrino, Tertulliano, Cipriano, Agostino, Giovanni Crisostomo.
Nel 382 papa Damaso, dopo aver affidato la revisione della Vetus Latina a Girolamo, iniziò un lungo lavoro di ricerca finalizzato a verificare la canonicità dei vari libri contenuti nei numerosi manoscritti della Settanta. I lavori si conclusero dopo più di un secolo con un sinodo presieduto a Roma da papa Gelasio I (successore di Damasio). Con le cosiddette “Decretali di Gelasio” venne pubblicato nel 494  il catalogo ufficiale dei libri canonici, nonché la lista dei libri apocrifi ed eretici contenuti nei vari codici greci e latini. Dunque, ribadiamo, un secolo di accertamenti. 
Pertanto furono attentamente vagliate, soppesate, confrontate tutte le varie opinioni, discussioni, citazioni, affermazioni, fatte da tutti i singoli Padri, sia di età apostolica, subapostolica che post apostolica, tanto orientali che occidentali, nonché l’esame attentissimo dell’uso dei libri sacri in tutte le varie chiese locali.
Per fare tutto questo dunque è stato necessario far ricorso a tutto il bagaglio che formava la Tradizione. I protestanti stessi per avvalorare la tesi contraria ai deuterocanonici fanno ricorso alla Tradizione nominando padri della chiesa e facendo alcune citazioni di S.Girolamo. Evitando però di citare tutto quello gli stessi (i padri) o altri hanno detto e scritto a favore dei deuterocanonici. Se dunque per ricostruire tutto ci volle un secolo, noi qui non possiamo pretendere di poter avere tutti i singoli dettagli che furono esaminati. Tuttavia per dare una idea di questo paziente lavorio di ricostruzione evidenzio alcune citazioni.
I seguenti scrittori hanno negato solo in teoria, ma non in pratica, l'ispirazione dei deuterocanonici:
san Melitone di Sardi (circa 170 d.C.), Origene (circa 240 d.C.), nel secolo IV san. Cirillo di Gerusalemme, sant’Ilario, sant'Atanasio, san Gregono Nazianzeno, sant'Epifanio, sant'Anfìlochio e l'autore dei Canones Apostolorum, nel secolo V abbiamo ancora Rufino, san Girolamo e lo Pseudo Atanasio.
Va rilevato però che questi autori non sono tutti indipendenti fra loro nel negare in teoria l'ispirazione dei deuterocanonici, alcuni di essi, per venerazione verso i propri maestri, non fanno che riferire l'opinione di questi; cosi sant'Ilario dipende da Origene, Rufino nel suo Commentarius in symbolum Aportolorum, dove riferisce l'elenco dei soli protocanomci, dipende dalle catechesi di san Cirillo di Gerusalemme, nelle quali questi aveva parimenti enunciato l'elenco dei soli protocanonici, e dipende anche da sant'Atanasio, anche lo Pseudo Atanasio dipende da sant'Atanasio.
Nei particolari, i singoli scrittori di questo gruppo non sono perfettamente d'accordo fra loro: così, alcuni di essi (es. sant'Atanasio e san Cirillo di Gerusalemme) considerano deuterocanonico l'intero libro di Ester, secondo una sentenza assai sostenuta dai giudei a quel tempo, ed invece tengono come protocanonico il libro di Baruc, tuttavia qui a noi interessa il fenomeno dottrinale non nei particolari ma in sé, cioè il fatto che essi in genere negano teoricamente la canonicità dei deuterocanonici.
Dobbiamo rilevare subito che in pratica, tutti, quegli scrittori considerano ispirati e canonici i Deuterocanonici dell’A.T. (eccetto forse san Melitone, come vedremo meglio appresso). 
Ciò si può documentare con le citazioni che essi ne fanno, adducendo passi dei deuterocanonici con gli appellativi " Scrittura sacra ", " parola divina " "sta scritto" o simili, oppure citano frasi di deuterocanonici attribuendo loro la stessa importanza e la stessa autorità che alle frasi dei protocanonici. 
ORIGENE: prendendo ad esempio l’indice delle citazioni bibliche, già nella sola opera 
DE PRINCIPII edizione UTET che ho sottomano), cita 4 volte il libro di Tobia, 2 volte Ester, 2 volte la 2 Maccabei, 1 volta Baruc, 15 volte il libro della Sapienza, 4 volte il Siracide (Ecclesiastico).
Di queste citazioni abbiamo per esempio questa introduzione (libro I, 5 pag.147): "ma vediamo come le nostre affermazioni siano suffragate anche dall’autorità della Scrittura: segue la citazione del libro della Sapienza 7,25)
Quindi in sostanza questi autori, pur risentendo in teoria per quanto riguarda il canone, del cattivo lievito dei farisei ormai declassati da Cristo, di fatto però si comportavano come si comportava la maggioranza delle chiese e cioè, leggevano, usavano e citavano tutti i deuterocanonici.
Di S. Girolamo abbiamo già visto che di fatto citava i deuterocanonici come Scrittura sacra in diverse occasioni.
Allo stesso modo si comportavano gli altri autori dubbiosi in teoria ma che in pratica usavano e citavano i deuterocanonici.
Di Melitone ci è conservato solo un canone dell’A.T. in cui non sono elencati i deuterocanonici, e siccome sono andate del tutto perdute le altre sue opere, non siamo in grado di dire se anch'egli in pratica abbia attribuito ai deuterocanomci un'autorità divina che ha loro negato in teoria. 
Quindi non si può dire che lui fosse in disaccordo.
Inoltre vi è da notare che la negazione dei deuterocanonici dell’A.T. da parte dei cataloghi di quell'epoca, non è universale, ne esistono alcuni proprio di quei tempi, i quali elencano, oltre ai protocanonici, tutti i deuterocanonici dell’A.T.
Essi sono il Canone Claromontano, del IV secolo, e il Canone Mommseniano, del 360 circa, proveniente dall'Africa latina. Il Canone Siriaco, del 400 circa, enumera tra gli scritti canonici: Giuditta , Eccle., Sap., 1 e 2 Mac., molto probabilmente (considerando il numero degli stichi attribuiti a Geremia) anche Baruch, e le parti deuterocanoniche del libro di Daniele (sempre tenuto conto del numero dei versetti attribuito a questo libro) solo non si fa cenno del libro di Tobia, e, a quanto pare dal numero degli stichi, della parte deuterocanonica del libro di Ester.
Veniamo ora alle considerazioni circa gli autori che invece non avevano espresso dubbi.

Gli apostoli e Gesù usavano, leggevano e citavano dalla versione dei Settanta, che conteneva i deuterocanonici e non espressero nessuna condanna verso nessun libro, anzi si riferivano anche a tutti quei libri con le espressioni del tipo "tutta la Scrittura è ispirata e utile…"

I padri apostolici citano più volte i deuterocanonici, senza fare differenze rispetto ai protocanonici.
La Didaché (sec. I d.C.) cita 4 volte il Siracide (detto anche Ecclesiastico) e 2 volte il libro della Sapienza

Clemente Romano (circa a. 96), I Epistola ai Corinti cita Giuditta 8 ss e 9,11, Daniele 3,24  Ester 14; Siracide 2,11 Sapienza 2,2411,22; 12,12; 12,10;  San. Policarpo (circa a 135 d.C.), Epistola ai Filippesi 10,2 cita due volte Tobia. 4,10; 12,9; Pastore di Erma (circa 150 d.C.) (7) cita Siracide 2,3 Sap. 1,14 2 Mac. 7,28
Da notare che nessun Padre apostolico ha mai mosso il minimo dubbio contro l'ispirazione dei deuterocanomci dell'A.T.

Furono considerati ispirati tutti i libri del Nuovo Testamento ed i libri deuterocanonici oggi presenti nelle Bibbie cattoliche. Vennero invece rigettati come apocrifi alcuni libri contenuti nella Bibbia greca dei Settanta (libro di Enoch, testamento dei dodici patriarchi, salmi di Salomone, libri della Sibilla, III° e IV° libro di Esdra, III° e IV° libro dei Maccabei, libro dei Giubilei, lettera di Aristeia, …) ed un gran numero di vangeli, atti, epistole ed apocalissi di incerto autore e di fantasioso contenuto. Le decisioni di papa Gelasio (prima ancora di essere pubblicate) furono confermate nel 405 da papa Innocenzo I che ribadì l’ispirazione dei libri deuterocanonici in una famosa lettera indirizzata al dubbioso Esuperio, vescovo di Tolosa.
     La Chiesa cattolica dichiarò ispirati i libri deuterocanonici nei sinodi di Ippona (393) e di Cartagine (397-419) e nei concilii di Basilea-Ferrara-Firenze-Roma (1442) e definitivamente nel Concilio di Trento (1546), mentre gli ortodossi ne riconobbero l'ispirazione nei sinodi locali di Jassy (1642) e di Gerusalemme (1672). I vari patriarcati, pur non avendo mai preso alcuna decisione ufficiale o conciliare, hanno comunque sempre incluso i libri deuterocanonici nelle loro Bibbie. Solo alcune frange della chiesa russa ortodossa  hanno recentemente avanzato dubbi sulla loro canonicità, avvicinandosi così alle posizioni assunte in passato dagli ebrei e dai protestanti.  I libri deuterocanonici sono infine tuttora presenti (purtroppo con alcuni libri apocrifi) nelle bibbie slave, copte, armene, nestoriane, monofisite e giacobite.

Se dai Padri apostolici passiamo agli apologisti, troviamo la continuazione della stessa Tradizione. Familiarità con gli scritti deuterocanonici dell'A.T., che citano o ai quali alludono, e nessun dubbio circa la loro ispirazione.
Qui basti riportare qualche punto dagli scritti di san Giustino e di Atenagora.
San Giustino (circa 150 d.C.) Nella I Apologia, 46 ricorda Anania, Asana e Misaele, cioè i tré fanciulli di cui parla Daniele, e precisamente con questi nomi e con questo"ordine, proprio come si ha nella parte deuterocanonica di Dan, 3.
Ma più importante ancora è un passo del Dialogo con Trifone (PG 6,641 644) dove S.Giustino dice testualmente: "deve ritenersi parte della Scrittura tutto ciò che c'è nella versione dei Settanta, anche quelle parti che i giudei arbitrariamente hanno tolto". Questa è una affermazione di capitale importanza, che ci fa capire quale era la reazione della Chiesa primitiva di fronte all’ingerenza giudaica sulle decisioni e la vita della comunità cristiana.
Atenagora (circa 175 d.C.) ha il seguente passo:
" Non credo che ignoriate gli scritti di Mosè, di Isaia, di Geremia e degli altri profeti, i quali mossi dallo Spirito Santo ripetevano ciò che veniva loro ispirato, quali strumenti dello stesso Spirito .
Che cosa dicono essi? " II Signore è il nostro Dio, non ve n'è un altro che possa paragonarsi a lui " (citazione letterale di Bar 3,36) ")
Donde vediamo che Atenagora mette Baruc sullo stesso piano di Mosé e dei grandi profeti, e dice espressamente che era mosso dallo Spinto Santo.

Secoli II-III

Proseguendo nel tempo, dopo l'epoca degli apologisti propriamente detta, troviamo alla fine del sec.II e nella prima metà del III, sei altri grandi scrittori cristiani sant'Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano, sant'Ippolito, san Cipriano, san Dionigi Alessandrino.
Con essi risalta ancor meglio l'insegnamento circa i deuterocanonici dell'A.T., perché ne riferiscono più frequentemente dei passi, e spesso notando espressamente che si tratta di Scrittura ispirata oppure equiparando quei passi di deuterocanonici a passi di protocanonici. Anche presso questi sei scrittori, inoltre, non troviamo alcuna traccia di dubbio circa l’ispirazione dei deuterocanonici dell'A.T. In particolare si deve notare.
Sant'Ireneo (circa 190 d.C.) riferisce Baruc come profeta uguale a Geremia (Adv ' hoct, V,35,1 PG 7,1219). allega Tobia, chiamandolo profeta (Adv Haer , I, 30,11 PG 7,701), riporta Dan 13 come "Scrittura" e Dan 14 (Adv Haer . IV, 5226,3 i PG 7,984 1054)
Clemente Alessandrino (circa 200 d.C.) nei suoi scritti ha citazioni o chiare allusioni tratte da tutti i deuterocanonici dell'A.T. (eccetto 1 Mac ), compresi Dan ed Est , e spesso aggiunge che si tratta di Scrittura o da alle citazioni dei deuterocanonici la stessa importanza di quelle dei protocanonici. Notevole la frequenza con cui si riferisce ad alcuni deuterocanonici, a Baruc più di 20 volte, a Ecclesiastico (Siracide) una cinquantina di volte, a Sapienza più di 20 volte.
Tertulliano (circa 210 d.C.) ha citazioni di tutti i deuterocanonici dell'A.T., eccetto Tobia, equiparando di solito anch'egli i passi dei deuterocanonici a dei passi di libri o di autori protocanonici. Anzi, come aveva già fatto san Giustino, rinfaccia ai giudei la colpa di aver arbitrariamente accorciato il canone delle Scritture (De cultu. fem: 1,3 TL 1,1308 [1422]).
Sant' Ippolito (circa 230 d.C.) considera il libro di Baruc come " Scrittura ", da ai passi deuterocanonici di Daniele la stessa importanza di quelli prococanonici, ritiene i libri di Sapienza come "profezia".
San Cipriano (circa 250 d.C.) il libro di Baruc è un oracolo dello Spinto Santo, Tobia , Sapienza e i due libri dei Mac hanno la stessa autorità probativa che i libri protocanonici dell'A T.
San Dionigi Alessandrino (circa a 250) mette Tobia sul piano della ' Scrittura ", e ritiene i detti del Siracide come " parole divine ".


Secoli IV-V
Durante i secoli IV e V continua vigorosa la corrente di autori che non fanno riserve sui deuterocanonici, nonostante che nel secolo IV e nei primi anni del V, come vedremo, si noti un certo accentuarsi anche del gruppo di scrittori ecclesiastici che solo in teoria si dichiarano contrari ai deuterocanonici, ma che poi in pratica li citano al pari delle altre Scritture.
Fra essi, in modo speciale, si devono qui ricordare i seguenti: Afraate e sant'Efrem della Chiesa di Siria, san Basilio e san Gregorio Nisseno, cappadoci, che, usando tutti i deuterocanomci dell'A.T. come scritture divine, rendono ancora più precari, come osserveremo, i dubbi teorici sollevati dal loro connazionale e contemporaneo san Gregono Nazianzeno.
Soprattutto sant’Agostino il più insigne di tutto il periodo patristico e grandissimo Dottore della Chiesa, sempre sollecito di indagare e riferire ciò che la Chiesa universale, e la Chiesa romana in modo particolare, credevano, egli, come abbiamo visto intervenne al Concilio di Ippona e ai Concili 3° e 4° di Cartagine, nei quali fu definito il canone completo dell'A.T. (quindi si smetta di dire che i deuterocanoncici furono "aggiunti" nel concilio di Trento), in molte delle sue opere, citò come Scrittura tutti i deuterocanonici dell'A.T.; ed anzi, fornì anche l'elenco totale dei libri dell'A.T. nel De doctrina christiana (2,8.12s.. PL 34,40s.) dell'anno 397, come avevamo già visto.
Sulla scia di questi scrittori pienamente favorevoli ai deuterocanonici dell'A.T. si misero poi, sempre più numerosi, gli autori dei secoli seguenti, tanto che la sentenza della completa canonicità dei deuterocanonici non solo si mantenne preponderante, come già era, ma divenne moralmente unica. Alla luce di tutti questi elementi, secondo i protestanti, la Chiesa avrebbe dovuto togliere dei libri solo perché alcuni, e neanche in modo coerente, avevano espresso dei dubbi?
Per parlare seriamente e criticare i deuterocanonici, molti fratelli separati dovrebbero avere l’onestà intellettuale di studiare e approfondire la storia del canone, prima di pronunciarsi.
Sta di fatto però che molti si avventurano in citazioni e accuse senza aver nessuna base seria, basandosi sulle nozioni apprese solo dai libri protestanti, e dai pastori più anziani.
Le presenti pagine infatti difficilmente verranno lette da fratelli poco interessati alla storia della Bibbia cristiana, essi però dovrebbero avere la serietà di non puntare il dito, almeno, contro la Bibbia cattolica. Un’indagine seria deve prendere per forza in considerazione le due parti, le diverse versioni, altrimenti rimane un’indagine faziosa e poco precisa; da tali approcci verso la storia del Canone ne scaturiscono spesso ridicole accuse pronunciate a pappagallo, che producono solo fumo. Peccato però che questo fumo accechi molti fratelli separati che in buona fede prendono per buone le versioni dei fatti raccontate dai loro pastori.

Anche per i libri del N.T. ci sono stati molti valenti padri e intere chiese locali che hanno espresso dubbi. Secondo i fratelli separati, la Chiesa avrebbe dovuto togliere dei libri del N.T. solo perché alcuni avevano espresso dubbi. Non avrebbe dovuto, come in realtà, e giustamente ha fatto, tener conto di tutti gli elementi in gioco e trarre una conclusione?
La conclusione è stata infatti che nel concilio di Trento sono stati dichiarati vincolanti quei libri che la Chiesa, nell’arco di tutta la sua Tradizione, considerando appunto tutti i detti e gli scritti dei padri, pesando debitamente ogni cosa dall’inizio, già di fatto possedeva e professava.
Mi auguro che i fratelli evangelici e/o evangelicali possano riflettere attentamente su quanto sopra, tenendo ben presente anche i parametri cattolici, oltre quelli evangelici, per fare le loro legittime valutazioni in merito alla questione dei deuterocanonici.” (fin qui commenta il fratello Mario)


IL RIGETTO

La Riforma protestante rigettò i libri deuterocanonici perché conservati solo nella Versione greca dei Settanta, perché non accettati dagli ebrei e perché favorevoli ad alcuni insegnamenti cattolici (opere buone, elemosine, digiuno, preghiera per i defunti, …), non compatibili con il  dogma protestante della "salvezza per sola fede". La Bibbia tedesca di Lutero (1522), pur riconoscendone l’utilità ed il carattere edificante, li pose in appendice. Anche la prima versione della Bibbia di Re Giacomo (1611) inserì i libri deuterocanonici in appendice, salvo poi stralciarli definitivamente dopo la confessione di fede di Westminster (1647). Nella dichiarazione di fede della Rochelle (1559) gli ugonotti francesi dichiararono che tali libri "benché utili, non possono essere usati per fondare alcun articolo di fede", incoraggiando così la progressiva espulsione dei libri deuterocanonici dalle bibbie protestanti francesi.  Nel 1826, su pressione dei presbiteriani e dei calvinisti, anche la Società Biblica Britannica e Forestiera cessò di stampare bibbie contenenti i libri deuterocanonici, favorendo inevitabili critiche, sospetti, rifiuti e condanne da parte della chiesa cattolica. Qualunque cosa si possa pensare delle scelte operate in passato dai fratelli evangelici, occorre ricordare che tra i manoscritti di Qumran (1947) sono stati ritrovati numerosi e consistenti frammenti deuterocanonici in lingua ebraica ed aramaica, cosicché oggi molti cattolici (e non pochi acattolici) pensano che tali libri siano nati ebraici e siano stati tradotti in greco solo in un secondo momento.
      Va inoltre detto che gli ebrei, farisei e giudei seduti sulla cattedra di Mosè, (ma in un tempo ormai lontano dal momento in cui le chiavi della comprensione erano state consegnate a Pietro), nella famosa riunione di Jamnia (90 dopo Cristo), oltre ai libri deuterocanonici, rigettarono in blocco tutta la Bibbia dei Settanta (che fino ai tempi di Gesù avevano peraltro mostrato di gradire) e tutti i libri del Nuovo Testamento (considerati minim cioè eretici). Alcune profezie relative a Gesù Cristo risultavano infatti molto più chiare leggendo il testo greco e la Chiesa cattolica faceva costante riferimento alla Versione dei Settanta, viste anche le reali difficoltà di leggere e tradurre la Bibbia ebraica ed il Targum aramaico.
     L’opinione negativa di molti Padri della Chiesa sul canone del Vecchio Testamento non deve poi turbare più di tanto: dubbi furono infatti avanzati da non pochi autorevoli cristiani dei primi secoli anche sul canone del Nuovo Testamento. L’attuale canone del Nuovo Testamento fu infatti accettato in Occidente  solo nel IV secolo, come testimoniano gli scritti di Atanasio, Ambrogio, Agostino e Girolamo e come confermano i sinodi di Ippona (393) e di Cartagine (397-419). Basti a tal proposito pensare che Origene (185-253) sollevò non poche perplessità sulla canonicità della seconda lettera di Pietro e sulla seconda e terza epistola di Giovanni, mentre Eusebio di Cesarea (265-339) riferì dei non pochi dubbi sulla canonicità della seconda lettera di Pietro, della seconda e terza epistola di Giovanni, della lettera di Giuda e dell’Apocalisse.
Il frammento muratoriano (II secolo) omette poi la lettera agli Ebrei, l’epistola di Giacomo e la seconda lettera di Pietro, mentre nella Vulgata Siriaca (V secolo) mancano l’Apocalisse, la lettera di Giuda, la seconda lettera di Pietro e la seconda e terza lettera di Giovanni. 
    Anche la diceria che i libri deuterocanonici non vengano mai (ma in effetti Paolo ne cita alcuni nelle sue lettere) citati nel Nuovo Testamento non sembra decisiva: il Nuovo Testamento non cita mai neppure Esdra, Neemia, Ester, Cantico dei Cantici ed Ecclesiaste. (eppure non per questo li consideriamo apocrifi).
Inoltre esistono punti del Nuovo Testamento che, pur non citando i libri deuterocanonici, sembrano fare a questi diretta allusione. Si confrontino a tal proposito:

Romani 1, 18-32 con Sapienza 12-14  (a proposito dell'immoralità dei pagani);
Ebrei 1,3 con Sapienza 7,25 (a proposito del Figlio, immagine del Padre);
Ebrei 11,35-38 con 2 Maccabei 6,18-7,41 (a proposito delle torture subite per fede);
Apocalisse 21,18-21 con Tobia 13,16-17 (a proposito della Nuova Gerusalemme).

Ebrei 11,35 (“Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione.”) cita 2° Maccabei 7,28-29 (“Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”) 

Romani 1, 19-20  (poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità;”) 
cita Sapienza 13,1.9 (Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio.
e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere.” “perché se tanto poterono sapere da scrutare l’universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone”)

Giacomo 3,8 (“ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale.“) cita Siracide 37,18 (“bene e male, vita e morte, ma su tutto domina sempre la lingua.”)

Giacomo 1,19 (“Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira.”) cita Siracide 5,11 (“Sii pronto nell’ascoltare, lento nel proferire una risposta”)

Girolamo, dal momento che non vi era ancora un pronunciamento vincolante per il canone definitivo, poteva anche permettersi di avere una sua opinione personale, non condivisa dalla Chiesa, la quale si basava sulla Vetus latina fino alla traduzione della Vulgata. Nella Vetus latina c'erano i deuterocanonici che confluirono nella Vulgata, poi sembra strano come san Girolamo abbia “perso tempo” a tradurre 7 libri che riteneva non ispirati, per includerli nella Vulgata.
In ultima analisi, Gesù e gli apostoli si servivano della Bibbia dei Settanta e in quella Bibbia c'erano i deuterocanonici. Questo è un fatto innegabile.

Ma rispondiamo ancora più dettagliatamente alle obiezioni dei fratelli separati:

La prima obiezione: “Non si trovano i testi Ebraici” è una falsa obiezione riconosciuta tale anche dai protestanti. 

L’International Bible Comentary asserisce che, a parte 2 Maccabei ed Ester, tutti gli altri libri apocrifi (come li definisce questo libro) erano originariamente scritti in ebraico.
Inoltre nelle grotte di Qumran sono stati trovati frammenti in ebraico di alcuni libri deuterocanonici fra i quali  Tobia e il Siracide. Non solo. C’è anche un’altra scoperta, ancor più eclatante. Nella Bibbia dei LXX alcuni libri, fra i quali Geremia e Samuele, riportano testi che non si riscontravano nell’ebraico. A Qumran sono statai trovati questi testi in lingua originale.
Vero è che dagli scavi archeologici sono emersi libri veramente apocrifi assieme ai deuterocanonici e ai canonici, ma l’elemento che fa cadere la tesi ebraica che invalidava qualsiasi libro scritto in greco ritenendolo non canonico, viene a cadere proprio con i ritrovamenti di Qumran.
E ancora: prima delle scoperte di Qumran, la documentazione principale sulla varietà di testi nel giudaismo antico erano le citazioni bibliche fatte nel N.T. Ma, essendo tutte in greco, le divergenze si spiegavano normalmente come frutto delle recensioni greche. Adesso i rotoli provvedono esempi di testi ebraici che coincidono con l'ebraico che serve di base ad alcune citazioni bibliche: Am 9,11 così come citata in 4QFlor 1,12 è simile alla citazione che ne fa At 15,16. 

Seconda obiezione: gli autori sono sconosciuti. In realtà noi non sappiamo chi sono gli autori di buona parte dei libri dell’A.T. così come  non conosciamo quelli che hanno composto il N.T. 
Il Libro del profeta Isaia, ad esempio, è composto da almeno tre autori diversi. L’autore del Cantico dei Cantici è sconosciuto, mentre il Pentateuco, che tradizionalmente è attribuito a Mosè, contiene un’innegabile interpolazione di un altro scrittore.
Nei capitoli successivi continueremo per spirito di completezza e di dettaglio ad approfondire la storia del canone biblico, perché riteniamo di fondamentale importanza per ogni cristiano, conoscere la storia della Bibbia, e quindi le scelte delle Chiesa che fanno da garanzia riguardo all’ispirazione dei Libri Sacri.


IL PROIBIZIONISMO

Un’altra delle accuse che spesso riceve la Chiesa cattolica da parte protestante, è quella di aver (nei secoli scorsi) proibito la lettura della Bibbia ai fedeli. Spesso però queste accuse si basano solo sul sentito dire, i  fratelli separati le ripetono perché le hanno sentite da qualcun altro; nessuno di questi fratelli però va a controllare da quali fonti risulta che la Chiesa cattolica abbia proibito la lettura della Bibbia ai fedeli. I più volenterosi arrivano a leggersi qualche libro di matrice protestante, avverso alla Chiesa cattolica, ma non si spingono mai più avanti.
Danno fiducia a libri, tipo “La Bibbia al Rogo Editrice il Mulino, scritto da Gigliola Fragnito,
docente di storia moderna all'università di Parma.” perché leggono quello che vorrebbero leggere, trovano quindi appagamento nelle pagine di questo tipo di libri  e si fermano lì.
Molti protestanti riconoscono come sole autorità esistite tra gli uomini, gli apostoli.
Ma questo tipo di libri anticattolici, sono stati scritti dagli apostoli? 
Indubbiamente no, e allora perché vengono giudicati credibili “a tavolino”?
Non sarebbe opportuno indagare seriamente, prima di accusare o contestare qualcuno?
Gli scrittori che scrivono quei libri sicuramente hanno consultato alcune fonti, quindi è giusto che un cristiano verifichi, di persona quelle o altre fonti, onde evitare di cadere nella rete dello scrittore, che può dare un’impronta poco veritiera al suo libro.
A titolo di esempio è risaputo infatti che la storia dell’umanità non viene raccontata sempre allo stesso modo, ogni scrittore imprime alla propria opera un carattere diverso rispetto ad altre, talvolta alterando alcuni fatti, che vede in modo diverso dei suoi colleghi. Uno scrittore iraniano probabilmente negherà l’esistenza dell’olocausto commesso dai nazisti, diversi scrittori italiani non hanno per lungo tempo scritto nulla sulle vergognose Foibe, dove venivano buttati moltissimi italiani, a volte anche vivi, ad opera del regime comunista della Jugoslavia di Tito, nei libri scolastici italiani non c’era traccia di tale strage, in molti libri turchi non si trova traccia della strage in Armenia, perpetrata ai danni dei cristiani, e così via.
La stessa cosa accade anche nei libri che denigrano la Chiesa cattolica.
Esistono fonti attendibili da poter consultare per controllare i documenti della Chiesa cattolica?
Sì, una queste fonti è sicuramente il Denzinger che raccoglie in maniera autorevole e seria, tutti i documenti della Chiesa, partendo dai primissimi secoli.

Il fratello Paolo Blandini, a tal proposito scrive:

Tempo fa in un libretto scritto da alcuni avventisti ho letto:

"La storia è piena di proibizioni di Papi nei confronti della divulgazione della Bibbia. Innocenzo III (1198-1216) e Giulio III (1550-1555), considerandola una seduzione satanica, la proibirono.
Pio VII (1800-1823) e Pio IX  (1846-1878) definirono una peste che faceva orrore la diffusione ormai crescente delle Bibbie."

La Chiesa non ha mai proibito la divulgazione delle Bibbie, ovvero veniva proibita la divulgazione delle Bibbie di cattiva traduzione, false, mentre ne veniva consigliata la lettura e la divulgazione di quelle di buona traduzione concordante con la Vulgata. Questo è ben differente dal dire che la proibizione era generale.

Copio una lettera, (parla sempre Blandini) riguardante l'argomento, scrittami da un protestante evangelico:

"Giovanni 5:39; FATTI O ATTI 17:11 Gesù ci insegna di esaminare, investigare e di studiare la parola di Dio perché essa da vita Eterna. ma vediamo che il Vaticano per secoli e secoli non è stato a favore. ma contro la parola di Dio, cercando in tutti i modi di distruggerla completamente, ma Gesù dice "I cieli e la terra passeranno ma la mia parola dimorerà in eterno" quindi se sarebbero uomini veramente da Dio non farebbero cose contro la Parla dell'Eterno.
Papa Pio IV ha proclamato dicendo: la Bibbia non è per le persone e tutti quelli che vogliono essere salvati debbono rinunziarla, egli stesso ancora ha detto che la Bibbia è un libro proibito alle persone, e le sue società (cioè le fabbiche che stampano le Bibbie ) sono sataniche, così disse papa Nicola. Papa Innocenzo ha detto che coloro che leggevano la Bibbia dovevano essere messi a morte. Nel Concilio di Tolosa e in seguito anche nel Concilio di Trento hanno deliberato di non far possedere la Bibbia alle persone la Bibbia di leggerla."

Ho risposto a questa persona, che la Chiesa non ha mai proibito niente, specialmente le Sacre Scritture, anzi a questo riguardo ho chiesto la documentazione storica di  quando scritto.
Se tutto questo fosse vero, perché la  Chiesa ha regalato le Bibbie in Russia e in altri paesi comunisti? Non solo, e se noi vogliamo la Bibbia la possiamo avere in qualsiasi formato e di qualsiasi grandezza, possiamo avere le Sacre Scritture in greco, in aramaico e in latino con tutte le spiegazioni possibili. Allora come possiamo dire tali assurdità? Qual'è la differenza tra oggi e ieri?  Oggi la gente non è più istruita di allora? Se ci fosse imbroglio non sarebbe più evidente?
Invece non è così!  E per essere più coerente ho fatto alcune ricerche sul Denzinger nei periodi accennati dal protestante evangelico. Nel periodo di Innocenzo III leggiamo cosa ha scritto il Papa agli abitanti di Metz il 12 Luglio 1199 al capitolo 770:

Come avete letto quì la Chiesa non ha proibito la Sacra Scrittura, anzi ha scritto che coloro che hanno il desiderio di volere capire le Sacre Scritture non sono da biasimare, anzi si deve raccomandare, mentre sono da biasimare quelli che hanno fatto riunioni occulte, hanno preso il posto dei Sacerdoti rifiutando la Parola della Sacra Scrittura e hanno affermato che hanno avuto di meglio nei loro libretti dove coloro che non si sono associati alle loro idee. Da notare che la Chiesa ha scritto : "SIA DA BIASIMARE", non "SIA DA CONDANNARE A MORTE", e le cose dovevano essere fatte alla luce e non di nascosto. Quindi è il contrario di ciò che ha scritto il protestante evangelico. 
Ma andiamo nel periodo del Papa Paolo III, precisamente l'8/4/1546 e leggiamo:

Come avete letto anche in questo documento non risulta che la Chiesa proibiva le Sacre Scritture, anzi la Chiesa ha fatto un decreto per evitare di falsificare la Bibbia imponendo di seguire la traduzione della Volgata. Come vedete la Chiesa non ha proibito niente, anzi voleva che si seguiva e si stampava con le copie dell'originale senza falsificare. Ma cos'è la Volgata. Leggiamolo assieme direttamente nel Dizionario del Cristianesimo:

Leggiamo altro documento riguardante il periodo del 1564:

Regole tridentine per la proibizione dei libri, confermate nella costituzione Dominici gregis custodiae del 24 marzo 1564.

Come notate, qui la Chiesa non ha proibito affatto la Sacra Scrittura del Vecchio Testamento, ma addirittura ha chiesto che venisse affidata la traduzione a persone dotte, istruite e serie. Se era come riferivano e riferiscono i protestanti, non dovevano darle a persone istruite ma a persone ignoranti. Veniva permessa la lettura e/ la traduzione proprio a persone istruite e serie, perché non avevano niente da nascondere. Anzi dovevano usare le traduzioni dell'Antico Testamento, come spiegazione dell'edizione Vulgata per comprendere meglio la Sacra Scrittura e anche per conservare l'autenticità biblica dall'originale.
Continuiamo a leggere questa stessa "Regola III": 

Notate, quì la Chiesa non riferisce che il Nuovo Testamento non sia concesso a nessuno, ma le traduzioni fatte da autori (dell'indice della "prima classe" )  poco seri e poco preparati, che non traducono esattamente come devono esattamente tradotte, per cui essendo tradotte male o falsate, diventa una lettura pericolosa. L'indice di cui si parla è quella nota 1 che abbiamo già letto sopra. Quindi, come sicuramente avete compreso,  vengono proibite solo le traduzioni del "Nuovo Testamento" fatte da autori che sono annotati nella "prima classe", mentre le traduzioni (del Nuovo Testamento) fatte da autori che non appartengono in quella classe (la prima)  sono permesse, perché sono tradotte correttamente.
Infatti nel 4° e nel 5° rigo si legge: "...che sono in circolazione con quelle traduzioni che sono permesse",  e le “traduzioni che sono permesse”  è riferito al Nuovo Testamento, quindi come vedete, quest’ultimo era in circolazione e per niente proibito. Ma anche lo stesso S.Paolo in 2 Timoteo scrive 2:1-2:

"Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è Cristo Gesù e le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche gli altri."

e ancora in 2 Tessalonicesi 3:6

"Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi."

Quindi la Chiesa si è comportata come ha ordinato S.Paolo.

Continuiamo a leggere:

Come avete notato, si legge nel documento: "La lettura della Bibbia tradotta in lingua volgare da autori cattolici, possano concedere a coloro che, secondo quanto essi sono in grado di capire, da una lettura possano ricevere non un danno ma un accrescimento della fede..." Ricordiamo che le pagine qui incollate rappresentano testi ufficiali della Chiesa, riportate nel Denzinger, che chiunque può controllare.

Prima di tutto cosa significa "in lingua volgare"? leggiamolo direttamente nel "Grande Dizionario Enciclopedico de Agostini" :

Quindi, carissimi fratelli, come abbiamo appurato i protestanti ci ingannano quando riferiscono che il Papa o i Papi ha o hanno proibito la Bibbia. Essi non hanno mai proibito le Sacre Scritture, anzi ne consigliavano la lettura alle persone istruite, pie e degne di fiducia, come del resto consigliava lo stesso S.Paolo in 2 Timoteo 2:1-2 e in 2 Tessalonicesi 3:6.  La Chiesa ha proibito solo le Bibbie mal tradotte o falsificate. Se la Chiesa evangelica (ad esempio) proibisce di leggere la Traduzione del Nuovo Mondo  (Bibbia dei tdG), significa che proibisce di leggere tutte le Sacre Scritture?

Per esempio quando mia moglie frequentava gli evangelici pentecostali gli hanno proibito di leggere la Bibbia Cattolica, altri evangelici ad un mio nipote gliela hanno fatto buttare nella spazzatura, (parla sempre Paolo Blandini, ndr)  e altri libri cattolici, questo è molto grave. A questo punto devo dire che sono gli evangelici a proibire di leggere le Sacre Scritture Cattoliche e non la Chiesa, ecc. ecc. E vi dico ancora che la Chiesa, da quello che abbiamo letto, aveva ragione e faceva bene, infatti, da quando la Bibbia è in mano a tutti ne è scaturita tantissima confusione e da quest’ultima sono nate tantissime sette, tutte con idee diverse sulla Bibbia , che si sconfessano a vicenda. Pietro stesso scrive in 2 Pietro 3:15-16:

"La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari della altre Scritture, per loro propria rovina."

e in 2 Pietro 1:20:

"Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetto a privata spiegazione"

Ma continuiamo a leggere il documento del 1564:

Come abbiamo visto, nel documento si legge: "...incorrerà in una sentenza di scomunica", e mi sembra che ciò non significhi ,  "essere messo a morte", come qualcuno ha avuto l'ardire di dire. Non solo, ma questa condanna non era per la Sacra Scrittura,  ma per i libri degli eretici o i libri di falsa dottrina. Ciò è ben diverso da ciò che mi ha scritto il protestante evangelico riferito a Papa Pio IV, perché questo documento che è incollato è proprio il documento (Regole tridentine per la proibizione dei libri, confermatre nella costituzione Dominici gregis custodiae del 24 marzo 1564) di Papa Pio IV.

Ricordiamo che il protestante evangelico ha scritto:

"Nel Concilio di Tolosa e in seguito nel Concilio di Trento hanno deliberato non  far possedere alle persone la Bibbia e di leggerla"

Innanzitutto informo che i Concilii si distinguono in "Provinciali" , "Plenari" ed "Ecumenici". Quindi i concilii "Provinciali" e "Plenari" non hanno tanta importanza per la Chiesa in generale, perché per esempio il concilio "Provinciale" vale solo per la città in cui si fa questo concilio  e partecipa solo il Vescovo di quella città. Riguardo al "Concilio Ecumenico" partecipano tutti i Vescovi del mondo cattolico e lo presiede il Papa o un suo delegato. Quindi i concilii ecumenici sono della massima importanza per la vita della Chiesa. E sono: il primo concilio tenutosi a Gerusalemme nel 50; il concilio di Nicea a Betania (325); di Efeso (431); di Calcedonia (451); di Costantinopoli (869); i quattro concilii Laterani a Roma (1123; 1139; 1179; 1215); di Costanza (1414, 1418); di Trento (dal 1545 al 1563), che è considerato della massima importanza dopo Riforma luterana; il Concilio Vaticano I (1869-1870); ed, infine, ai nostri giorni il Concilio Vaticano II (1962-1965).
Come sicuramente si avrà notato il Concilio di Tolosa non c'è. Mentre il Concilio di Trento recita (anche se precedentemente ne abbiamo parlato:

Come abbiamo letto, non risulta che il Concilio di Trento abbia deliberato di non far possedere la Bibbia e di non leggerla. Anzi recita: "il magistero divino della Chiesa attraverso la "Vulgata", unica versione ufficiale della Bibbia." e questo non significa “di non far possedere la Bibbia”, anzi come abbiamo letto antecedentemente, nei documenti del 1546 con il Papa Paolo III e nei documenti del 1564 con il Papa Pio IV, la Sacra Bibbia era in circolazione ed era ammessa quella tradotta dalla "Vulgata", infatti se voi rileggeste chi c'era nel Concilio Ecumenico di Trento, notereste : "Papi da Paolo III a Pio IV" e datato: "1545-1563", propri i nomi e le date che sono che sono nei documenti su accennati. E quando leggiamo: "Emanò ancora decreti sulla censura delle pubblicazioni", già sappiamo dai documenti su allegati [b) Decreto sull'edizione Vulgata della Bibbia e sul modo di interpretare la Sacra Scrittura (Paolo III - 8.4.1546)] e [Regole Tridentine per la proibizione dei libri, confermata nella costituzione Dominici gregis custodiae del 24 marzo 1964 - (Papa Pio IV) ] di quali pubblicazioni si parla e che ripeto: cioè traduzioni fatte da autori non seri, traduzioni falsate, libri eretici e degli eretici, libri di falsa dottrina:

Come vedete, ciò che mi ha scritto il protestante evangelico del Concilio Ecumenico di Trento e completamente falso.
In un foglietto dal titolo "la Domenica", foglietto che serve di ausilio per la Messa, nell'ultima pagina in fondo ho letto:

"Per il Giubileo del duemila Giovanni Paolo II insiste perché i cristiani "tornino con rinnovato interesse alla Bibbia". Mentre la Chiesa in Italia si mobilita per un nuovo apostolato biblico , le Edizioni San Paolo presentano la Bibbia nella Nuovissima versione dai testi originali ".

Come avete letto, ancora oggi la Chiesa insiste, perché tutti torniamo alla "BIBBIA"..

Ritornando al libricino avventista leggo:

"Innocenzo III (1198-1216) e Giulio III (1550-1555), considerandola una seduzione satanica, la proibirono.  Pio VII (1800-1823) e Pio IX (1846-1878) definirono una peste che faceva orrore ormai crescente delle Bibbie."

- INNOCENZO III (1198-1216): Rileggete il seguente e-mail su Innocenzo III.

- GIULIO III (1550-1555): Dalla mia ricerca non risulta che suo pontificato ci siano stati dei decreti in riferimento alle "Sacre Scritture".
Nelle sessioni del suo pontificato ci sono stati:

- Sessione 13^ , 11 ott. 1551: - Decreto sul sacramento dell'Eucarestia.

- Sessione 14^, 25 Nov. 1551:
  a) dottrina sul sacramento della penitenza;
  b) Dottrina sul sacramento dell' estrema unzione;
  c) canoni sulle due dottrine.

Da questo accertamento, come si è visto non risulta nessuna proibizione e seduzione satanica. E' FALSO! Gli autori di quel libricino, non mi hanno mai dato nessuna prova documentale, dopo avergliela chiesta espressamente (parla sempre il fratello Blandini, ndr).

-Pio VII (1800-1823): Allego "Lettera  Magno et acerbo all'arcivescovo di Mogilew, Sett. 1916", riferito alle Sacre Scritture:

Come avete letto e appreso è tutto il contrario di ciò che asserivano gli autori (Avventisti)  del libricino in mio possesso.

Pio IX (1846-1878): Leggiamo il documento riferito a Pio IX: 

Come vedete, era grande preoccupazione della Chiesa, quella di evitare la proliferazione di Bibbie mal tradotte o alterate da eretici. In epoche dove la stragrande maggioranza della popolazione era analfabeta, il pericolo che alcuni dotti eretici potessero trascinare all’eresia grandi masse di gente, era molto forte, la Chiesa faceva quel che poteva, per arginare il dilagare di certe eresie, e una di queste contromisure era il tenere sotto controllo la traduzione della Bibbia.
Con l’avvento del protestantesimo e quindi con le libere traduzioni che cosa ne scaturì?
Confusione, la storia ci ricorda la nascita di tante sette eretiche, ognuna della quali manipolava la Bibbia a proprio piacimento. Paradossalmente l’avvento della libertà di pensiero e di stampa, non ha giovato alle traduzioni bibliche, perché oggi assistiamo ad una infinità di traduzioni e manipolazioni, ad opera di moltissime sette eretiche, (Mormoni, Moon, Testimoni di Geova ecc.)  ognuna della quali afferma di avere la vera Bibbia, la più corretta, la sola vera.
Quello che la Chiesa nei secoli passati temeva, si è realizzato, il caos dottrinale.
 http://digilander.libero.it/domingo7/ (dal quale abbiamo preso diverse pagine) citiamo integralmente quanto segue, perché lo ritengo molto interessante e dettagliato. 
“La Chiesa Cattolica ha sempre incoraggiato le anime pie e devote alla lettura e alla meditazione del Vangelo e della Bibbia ma ha sempre pensato che la lettura delle Sacre Scritture fosse poco utile per gli spiriti increduli, infedeli, superstiziosi, diffamatori, diabolici, impuri, malvagi, settari, eretici, ignoranti ed instabili (Matteo 7,6 ; Tito 3,10-11; 2 Pietro 3,16). 
Nessuna madre amorevole vieterebbe un cibo salutare ai propri figli, a meno che i figli non ne abusassero e ne facessero scempio. È pertanto comprensibile come in tempi di ignoranza, di eresie e di scismi la Chiesa possa aver limitato, controllato e vietato la lettura di bibbie sospette, senza note, senza approvazione ufficiale, edite da stamperie anonime, in lingua volgare o in dialetto. In tempi di grave apostasia può essere stato anche salutare ridurre al minimo la lettura delle Sacre Scritture, visto l'uso perverso che ne veniva fatto dagli eretici e dai nemici della Chiesa. 
Nel Medioevo più volte la Chiesa operò controlli sulla lettura delle Bibbie in lingua volgare (spesso poco affidabili perché tradotte da persone prive di una adeguata preparazione), sulla indiscriminata diffusione delle versioni dialettali e sull'utilizzo delle Sacre Scritture da parte degli eretici. In realtà, fino al 1500, per circa 15 secoli, i cristiani hanno sempre e comunque avuto modo di leggere la Bibbia, gli scritti dei Padri, quelli dei religiosi, quelli dei laici, dei profani, dei cristiani, dei non cristiani, dei classici greci e latini e dei pensatori arabi ed ebrei.
Fu soprattutto grazie alla lungimiranza ed alla cultura della Chiesa che, nel Medioevo, gli amanuensi  ed i monaci ricopiarono e salvarono da distruzione un immenso patrimonio di libri classici, religiosi, filosofici, scientifici spesso ereditati dalla cultura pagana, giudaica ed islamica. Vietati furono solo quei libri contrari alla fede ed alla salute spirituale e materiale dei fedeli.  
Anche la condanna al rogo di William Tyndale (1494-1536), autore di una autorevole traduzione inglese del Nuovo Testamento, viene di solito falsamente attribuita alla Chiesa Cattolica, nemica dei lumi e del libero pensiero. Tyndale fu però fatto imprigionare ad Anversa da Enrico VIII nel 1534, quando il re di Inghilterra aveva già apostatato dal cattolicesimo: il suo successivo assassinio (venne bruciato al rogo già morto) ricade pertanto tra i crimini più orrendi del sovrano inglese (nel 1531 Enrico VIII si fece riconoscere capo supremo della Chiesa di Inghilterra, nel 1533 divorziò da Caterina d'Aragona e sposò Anna Bolena, nel 1534 venne confermato dal Parlamento inglese come capo assoluto della chiesa anglicana, nel 1535 fece uccidere Tommaso Moro che rifiutava di rinnegare la fede cattolica e nel 1536 si occupò personalmente dell'eliminazione fisica di William Tyndale e di Anna Bolena).
Dopo il Concilio di Trento (1545-63) maggiori controlli vennero introdotti, nei paesi cattolici,  sulle Sacre Scritture, sulle versioni in lingua volgare e sulla diffusione di Bibbie tradotte da ignoti e stampate da anonimi editori.  Il Textus Receptus, cui facevano costante riferimento le bibbie protestanti, risultava poi meno sicuro della Vulgata  in quanto ricostruito da Erasmo da Rotterdam utilizzando alcuni manoscritti poco affidabili. Tutte le versioni nelle lingue nazionali furono tratte dalla Vulgata (considerata, a quei tempi, la versione più attendibile), inclusero i libri deuterocanonici (definitivamente accettati come ispirati dopo il Concilio di Trento) e vennero liberamente lette dal popolo cristiano. Le autorità ecclesiastiche proibirono, invece, la lettura delle versioni protestanti in quanto spesso ricavate da manoscritti scarsamente attendibili, talora segnate da stili polemici ed anticattolici e sempre prive di note esplicative (indubbiamente utili in presenza di bassissimi livelli di cultura).
I timori legati alla diffusione della Bibbia in volgare si fondavano anche sul grave precedente di Lutero che, traducendo, facendo stampare e diffondendo la Bibbia in tedesco, aveva utilizzato la Bibbia come strumento per portare a termine il distacco della Germania dalla comunione con la Chiesa Cattolica.     
   In Inghilterra, il re protestante Giacomo I diffuse, nel 1611, la famosa Authorized Version (meglio nota come King James Bible), facendo ampio ricorso alla Bibbia cattolica di Douay-Rheims, iniziata nel 1568 ed ultimata nel 1610, ed al Nuovo Testamento tradotto da William Tyndale nel 1534. Anche qui, nonostante il gran parlare di riforma, di libero esame e di libero accesso ai testi originali, tutte le bibbie diverse dalla King James divennero "versioni non autorizzate" e la persecuzione infuriò contro i cattolici ed i puritani.
      Fu Papa Clemente XI, nell'enciclica Unigenitus del 1713, che considerò sospette di eresia, tra le altre, alcune affermazioni categoriche dei giansenisti (movimento cattolico fortemente affascinato dalla speculazione filosofica, dal protestantesimo, dalla teoria del libero esame e dalle dottrine calviniste sulla predestinazione) riguardanti l'indiscriminata libertà di lettura e di interpretazione della Bibbia. Nell'enciclica Inter praecipuas del 1844, il Papa Gregorio XVI mise in guardia vescovi e fedeli dalle Società Bibliche protestanti, dall'attendibilità delle molteplici versioni in lingua volgare e dagli effetti della propaganda biblica anticattolica sugli infedeli, sugli ignoranti e sulle anime instabili. Permise invece la lettura della Bibbia in lingua volgare a tutte le persone in grado di trarre benefici in termini di "aumento della fede e della pietà", purché si trattasse di "traduzioni approvate dall'autorità ecclesiastica e corredate da note esplicative di Padri della Chiesa o di altri dotti e cattolici studiosi".
   Occorre onestamente riconoscere che molti evangelici sostenevano e sovvenzionavano le Società Bibliche con il nobile intento di diffondere la conoscenza della Parola di Dio tra il popolo inglese e nelle colonie britanniche. È questo il caso, ad esempio, di Granville-Sharp (primo presidente della British and Foreign Bible Society), ricordato per i profondi studi biblici e linguistici, per lo zelo missionario in Gran Bretagna, in Nord America, in Africa ed in Asia, per il fervore nella diffusione della Bibbia, per la lotta alla schiavitù in Inghilterra e per l'impegno a favore dell'indipendenza religiosa e politica degli Stati Uniti. 
   Come nel Medioevo, però, molti spiriti settari e libertini si servivano delle traduzioni delle Sacre Scritture in lingua volgare (o dialettale) per contendere con credenti spesso analfabeti, per confondere gli ignoranti, per seminare il dubbio tra le anime semplici, per diffondere perniciose eresie, per spingere all'apostasia larghe masse di persone, per disprezzare l'autorità e la Tradizione cattolica, per diffondere critiche offensive, idee agnostiche e scetticismo religioso, per deridere dogmi, devozioni e consuetudini, per far trionfare l'ateismo ed il libero pensiero, per sostenere società massoniche e per appoggiare movimenti rivoluzionari.  
   Anche il confronto con i missionari protestanti era poi difficile da sostenere, soprattutto dal popolo italiano, spesso analfabeta e quasi sempre privo di cultura religiosa: la chiesa cattolica sapeva che molte anime semplici non avrebbero saputo rispondere alle domande di persone culturalmente molto preparate, che molti deboli sarebbero stati turbati e scossi nella fede e che non pochi instabili avrebbero potuto cadere nell'apostasia. In attesa di un innalzamento del livello culturale della popolazione (compito delle autorità civili e non solo dei poveri parroci di campagna), la soluzione più semplice era pertanto controllare le versioni bibliche in circolazione (possedere una bibbia protestante voleva dire aver già avuto contatti e rapporti con gli acattolici) e permettere la lettura delle Scritture solo a coloro che avessero un minimo di cultura (cioè non fossero analfabeti), che fossero disposti a ricevere un minimo di istruzione (lettura di note storiche, culturali e religiose a piè di pagina) e che fossero mossi da un minimo di devozione (cioè non leggessero le Scritture per  torcerle e calpestarle) [6].
Non tutti sanno però che papa Leone XIII, con decreto del 13/12/1898, offrì ai cattolici devoti ben 300 giorni d'indulgenza per 15 minuti giornalieri di lettura del Vangelo e l'indulgenza plenaria per una lettura regolare delle Sacre Scritture. 
Di fatto, dal Concilio di Trento fino ad oggi, la Chiesa non ha mai né proibito, né ostacolato la lettura della Bibbia, purché ciò non fosse contrario alla fede ed alla salute spirituale dei propri fedeli.  Alcune misure preventive, adottate in passato dalla Chiesa Cattolica per limitare la penetrazione delle filosofie atee, agnostiche, libertine o protestanti, oggi sembrano eccessive, severe e fanatiche. Non mancarono infatti sacerdoti e laici che talora assunsero atteggiamenti bigotti ed oscurantisti, destinando al rogo non solo gli eretici ma anche le Bibbie cattoliche ristampate senza note. 
Prima di condannare la Chiesa Cattolica senza appello, occorre però considerare che la scarsa disponibilità di informazioni rendeva giustamente circospette le autorità religiose. Oggi sappiamo che Bibbie evangeliche come la Riveduta del Luzzi, la Nuova Riveduta (Diodati), la Revised Standard Version, la New American Standard Bible e la New King James sono fortemente affidabili (pur mancando dei 7 libri deuterocanonici,ndr) , risultano frutto di un profondo lavoro di studio e di revisione sui testi originali e vengono stampate da autorevoli case editrici (come la Società Biblica Britannica e Forestiera, la Società Biblica di Ginevra e la Nelson Publishers). In passato però, in assenza di informazioni e di controlli, qualsiasi tipografo o libero pensatore avrebbe potuto manomettere le scritture e spacciare bibbie contraffatte, diffondendo tra il popolo (cattolico ed evangelico) errori, dubbi ed eresie. 
    La severità delle autorità religiose era poi poca cosa se confrontata al dispotismo ed al totalitarismo delle autorità civili. Fino a mezzo secolo fa valori come la libertà di pensiero, di stampa, di riunione, di associazione, di religione erano quasi del tutto sconosciuti. I sovrani assoluti e i dittatori avversavano infatti tutte le libertà (religiosa, filosofica, scientifica, politica, economica e sindacale) nel timore di perdere i propri privilegi, di vedere criticato il proprio operato e di lasciar spazio ad idee divergenti o rivoluzionarie. Non mancarono poi sovrani (come Enrico VIII, Carlo V, Filippo II, Caterina dei Medici, Luigi XIV, Vittorio Amedeo II di Savoia) che perseguitarono con zelo maniacale ebrei ed eretici, tentando di guadagnare la stima, l'amicizia ed i favori dei cattolici, dei vescovi e del papa, salvo poi infischiarsene della fede e della religione quando la ragion di stato lo consigliava. Evidentemente valori come la democrazia, il dialogo, la libertà di coscienza, il rispetto delle opposizioni, la tolleranza religiosa si affermeranno a fatica soltanto in epoche più recenti. Riportiamo qui il primo decreto sui libri sacri del Concilio di Trento, Sessione IV (8 Aprile 1546). Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante, il signore nostro Gesù Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.
E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.
E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.
Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.
Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.
Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.
Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella chiesa.

Riportiamo anche il secondo decreto sui libri sacri del Concilio di Trento, Sessione IV (8 Aprile 1546). Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto. Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.
Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense.
Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.
Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.
Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi stessi. (Questa ampia parte e diverse pagine che seguono, sono tratte dal sito sopra menzionato avventista come si può verificare dai collegamenti ipertestuali che ho lasciato volutamente attivi, basta cicclare sopra le scritte in blu per collegarsi con tale sito, ndr).
La Chiesa Cattolica per lungo tempo riconobbe come versione ufficiale solo la Vulgata per il terrore di manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, degli ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli). Di fatto, il testo latino della Vulgata, pur datato e con i suoi limiti,  non era per nulla disprezzabile, trattandosi di una versione ottenuta da Girolamo utilizzando i testi originali greci ed ebraici.  Dopo un iniziale diffidenza verso le traduzioni nelle varie lingue nazionali (innescata soprattutto dal timore del protestantesimo), la Bibbia venne integralmente tradotta in lingua inglese verso il 1610 (celebre è la versione Douay-Rheims) ed in lingua italiana verso il 1780 (famosissima è la traduzione in lingua italiana della Vulgata curata dall'arcivescovo di Firenze Antonio Martini che peraltro ebbe grande diffusione fino al XX secolo). 
Tutto il protestantesimo continuò però ad accusare la Chiesa cattolica di attaccamento superstizioso e bigotto alla Vulgata e di immotivato rifiuto delle traduzioni dai testi originali. Dalla seconda metà del 1500 le chiese riformate, in chiara polemica con la chiesa cattolica, fecero costante riferimento al cosiddetto Textus Receptus, ricostruito da Erasmo e da Robert Estienne. Le famose versioni italiana del Diodati, tedesca di Lutero ed inglese di King James sono state infatti ottenute proprio partendo da tale testo. 
Il Textus Receptus (come già accennato) era però tutt'altro che perfetto e, secondo la critica testuale moderna, risultava pesantemente condizionato da aggiunte, arricchimenti ed abbellimenti del testo originale. Di qui nascevano i timori e le chiusure della chiesa cattolica: il testo greco che rappresentava, almeno in parte, la tradizione testuale della chiesa bizantina era stato ricostruito da Erasmo da Rotterdam (già accennato) utilizzando alcuni manoscritti poco affidabili (due provenienti da una biblioteca monastica di Basilea ed uno risalente al XII secolo) e, in non pochi punti (soprattutto per il libro dell'Apocalisse), lo stesso Erasmo si era addirittura affidato alla Vulgata, ritraducendo in greco il testo latino. 
Solo dopo la scoperta e la pubblicazione del Codice Sinaitico da parte di  Tishendorf (1862) molti studiosi cattolici e protestanti hanno tentato di  ricostruire il testo greco originale, abbandonando pregiudizi, sospetti e superstizioni. Il Codice Sinaitico (oggi conservato al British Museum di Londra) ed il Codice Vaticano (ospitato dalla grande biblioteca vaticana a Roma) risultano infatti molto antichi (IV secolo), sostanzialmente concordi e, molto probabilmente, liberi da corruzione.   Con i due codici sopraddetti concordano anche papiri molto antichi come P45 o Chester Beatty I (inizi del III secolo), P46 o Chester Beatty II (II secolo) e P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo).   
Per il Nuovo Testamento la ricostruzione critica del testo greco originale è stata quindi portata avanti da Westcott e Hort verso la fine del XIX secolo, mentre nel XX secolo si sono distinte le varie versioni  curate da Nestlé e Aland e recentemente rivedute da Martini e Metzger. 
Oggi le versioni bibliche più accreditate (Bibbia di Garofalo, Bibbia di Galbiati, Bibbia di Nardoni, Bibbia di Gerusalemme, Bibbia Cei, Bibbia Riveduta di Luzzi, Nuova Riveduta) hanno definitivamente abbandonato la Vecchia Vulgata ed il Textus Receptus per fare costante riferimento ai testi originali, anche se tra gli ortodossi ed in molte chiese evangeliche esiste tuttora un elevato numero di convinti difensori del Textus Receptus. La Chiesa cattolica ha quindi recentemente curato una splendida revisione della Vulgata sui testi originali, oggi disponibile in lingua latina: la Nova Vulgata.

Si trattava, più precisamente, dei   seguenti manoscritti: 1eap (XII secolo), 1r (XII secolo), 2e (XII-XIIIsecolo), 2ap (XII secolo), 4ap (XV secolo) e 7p (XIV-XV secolo). 

Secondo Wescott e Hort  (protestanti) sarebbe possibile identificare ben quattro grandi famiglie testuali: il testo occidentale, il testo cesariense, il testo bizantino ed il testo neutrale. 
Il testo bizantino-koinè, usato dalle chiese orientali ed accolto dalla riforma protestante nel Textus Receptus (XVI secolo), trarrebbe origine dalla recensione di Luciano di Antiochia (III secolo) e sarebbe rappresentato dal "alessandrino"  codice Alessandrino o A (V secolo), dal codice Basilensis o E (VII secolo), dal codice Boreelianus o F (IX secolo), dai codici Wolfi o G-H (IX secolo), dal codice Cyprus o K (IX secolo), dai codici S ed Sap (IX secolo), dal codice Mosquensis o V (IX secolo), dal codice Athous Dionysiou o Ω (VIII secolo) e, in parte, dai codici Washington o W (V secolo) e Athous Laurae o Ψ (IX secolo). Strettamente legate a tale testo risulterebbero quindi le versioni gotica (IV secolo), siriaca-peshitta (V secolo), etiopica (VI secolo) e slava antica di Cirillo e Metodio (IX secolo). Il testo avrebbe forma linguistica molto elegante e maggior chiarezza, ottenute però mediante cambiamenti di vocaboli, armonizzazione di passi paralleli e fusioni di più varianti di un medesimo versetto. Sarebbe stato usato da Giovanni Crisostomo, da Teodoreto di Ciro e da Cirillo Alessandrino.
Il testo neutrale-alessandrino sarebbe rappresentato dal codice "vaticano" Vaticano o B (IV secolo) e dal codice "sinaitico" Sinaitico o א (IV secolo). Inoltre presenterebbe forti analogie con papiri molto antichi come P45 o Chester Beatty I (inizi III secolo), P46  o Chester Beatty II (II secolo) e P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo). Il papiro P66 o Bodmer II (II secolo) presenterebbe invece elementi caratteristici sia del testo neutrale sia del testo occidentale. Dovrebbe essere il testo più vicino al testo originale perché rifuggirebbe da rielaborazioni, armonizzazioni ed ampliamenti. Risulterebbe spesso citato da Clemente Alessandrino e, in parte, anche da Origene e Gerolamo.
Il testo occidentale sarebbe molto antico, diffuso soprattutto in occidente e rappresentato dal "beza" codice Beza o D (V secolo), dal codice Claromontanus o Dp, dalla Vetus Latina (III secolo), dalla Vetus Syra (V secolo) e dalle versioni Philoxeniana e/o Harclensis (VI secolo). È citato da Marcione, Giustino, Taziano, Cipriano, Tertulliano ed Ireneo. Avrebbe una certa tendenza all'armonizzazione ed alla parafrasi e conterrebbe aggiunte ed omissioni significative. 
Il testo alessandrino-cesariense sarebbe conservato nel "efremi" codice di Efrem o C (V secolo), dal codice Regius o L (VIII secolo), nel codice Washington o W (V secolo) e, in parte, nel codice Koridethi o Θ (IX secolo). Strettamente legate a tale testo risulterebbero quindi le versioni copte sahidica (III secolo) e boharitica (IV secolo) e le versioni armena (V secolo) e georgiana (VI secolo?). Il testo risulterebbe molto accurato nelle forme linguistiche ma risentirebbe di infiltrazioni del testo occidentale. Sarebbe citato da Origene, Eusebio di Cesarea, Clemente, Dionigi, Didimo e Cirillo.
Fin qui la chiesa avventista, che per riporta in maniera quasi esatta la storia delle varie versioni bibliche.

Esistono delle prove per cui un cristiano può essere sicuro della autenticità della Bibbia?
Esiste una lista ufficiale che garantisca quali sono i libri veramente e divinamente ispirati?
Certo, esiste il Canone biblico, che ci garantisce, con prove storiche, quali sono sempre stati i libri venerati da tutti i cristiani di ogni tempo.

Il Canone biblico da chi fu fatto?

La Bibbia  contiene il Canone di se stessa?

In Apocalisse troviamo scritto che essa (l’Apocalisse) è ispirata, ma questa frase si riferisce anche agli altri Libri della Bibbia?

A scanso di equivoci, non sto affermando che la Bibbia non è ispirata, ma è giusto porsi queste domande, per arrivare a capire chi fu a decidere quali libri includere o escludere dalla Bibbia.
E’ troppo semplicistico dire la Bibbia è ispirata perché c’è scritto in Apocalisse, anche nel libro di Mormon (e in altri) c’è scritto che sono ispirati, che facciamo, ci crediamo?
Imparare a chiedersi perché, è un buon inizio che favorisce l’allontanamento dei preconcetti, dei luoghi comuni, della mancanza di voglia verso la ricerca e il confronto.
Come mai Lutero, grande studioso biblico, in un primo tempo tolse proprio l’Apocalisse, assieme ad altre lettere (come quella di Giacomo) dalla Bibbia protestante, adducendo la motivazione che le riteneva non ispirate? L’Apocalisse ci quali sono i libri da ritenere ispirati? La Bibbia ci indica l’elenco dei Libri ispirati?
Non bastò a Lutero la frase di Giovanni apostolo, che ha scritto in Apocalisse, con la quale definiva ispirato il Libro stesso? Perché a Lutero non bastò, e ad alcuni pentecostali basta?
Costoro che si sentono appagati da quella frase di Apocalisse, sono sicuri di aver studiato quanto Lutero?
Per onestà intellettuale e spirituale, bisogna ammettere che ci fu la Chiesa a decidere i Libri da includere nella Bibbia e quelli da escludere, non in base a sogni premonitori, ma in base alla Tradizione. Fu la Tradizione e creare l’elenco dei Libri Sacri, essi venivano letti nelle più autorevoli chiese locali. Autorevoli Padri e Vescovi delle prime comunità cristiane, ne testimoniarono la effettiva ispirazione, perché lo avevano sentito dalla viva voce dei diretti discepoli degli apostoli.

CRITERI DI SCELTA DEI LIBRI SACRI

Questa parte è tratta dal sito www.ilmurialdo.it
Nel I-II secolo circolavano nelle comunità cristiane parecchi libri di apostoli, di discepoli di questi ultimi, o falsamente attribuiti agli apostoli (apocrifi).
Nelle discussioni teologiche che sorsero c’era incertezza su quali libri ritenere veramente vincolanti.
Si sentì allora la necessità di stabilire un elenco di libri «ufficiali» in cui ritrovare il genuino pensiero cristiano.
Fu essenziale l’apporto ed il controllo delle Chiese che giudicarono quali fossero i libri da accettare come vincolanti per la fede.
I criteri usati per fare questa selezione furono i seguenti:
-   ecclesialità: libri accettati da tutte le Chiese che li conoscevano;
-   apostolicità: libri che avevano alle loro spalle, direttamente o indirettamente, un apostolo che ne garantiva l’autenticità;
-   tradizionalità: libri che facevano su Gesù un discorso conforme alla predicazione orale degli apostoli.
In base a questi criteri vennero selezionati 27 libri, detti Nuovo Testamento. 
La trasmissione del testo
La Chiesa è intervenuta anche a garantire la corretta trasmissione dei manoscritti che venivano copiati.
Così, con i manoscritti per ora in nostro possesso, siamo in grado di ricostruire il testo come era in uso agli inizi del III sec. o forse anche alla fine del II.
Si è visto che solo la Chiesa, per ora, può garantire la conformità del testo del III sec. col testo originale (atto di fiducia nella Chiesa.
La Bibbia, parola di Dio
    (ispirazione)
La Chiesa, assistita dallo Spirito Santo e quindi infallibile, i concili ecumenici e i papi, anch’essi infallibili, hanno sempre riconosciuto come Parola di Dio, e quindi vincolante per la fede e la vita del cristiano, la Sacra Scrittura.
Ma qual è la Sacra Scrittura?
Secondo il Cattolicesimo solo la Chiesa può dire quali siano i libri sacri, cioè provenienti da Dio e vincolanti. Infatti non è scritto nella Bibbia quali siano i libri della Bibbia!
      a)   Per il Nuovo Testamento
      La Chiesa ha riconosciuto come parola di Dio i 27 libri delle Scritture Cristiane detti "Nuovo Testamento", in cui, secondo essa, è contenuto l’autentico pensiero cristiano.
      b)   Per l'Antico Testamento 
      Quanto ai libri delle Scritture ebraiche (Antico Testamento), la Chiesa ha accettato che contengano la parola di Dio solo alla luce dell’interpretazione data ad essi da Gesù. 
      Per i cristiani l'Antico Testamento contiene una rivelazione «incompleta» e provvisoria e viene perciò letto come preparazione al N.T.
La Chiesa si è sempre comportata in modo libero nei confronti dell'Antico Testamento. Ha infatti lasciato cadere molte norme contenute in esso, come le norme di purità (l’aveva detto anche Gesù almeno riguardo ai cibi - Mc 7, 19), le norme liturgiche e sacrificali, molte norme giuridiche (es. la circoncisione o il divieto di farsi immagini, su cui Gesù non disse nulla, ...).
Documentazione del N.T.
NB. Offrire una documentazione biblica di queste affermazioni sarebbe un circolo vizioso: la Bibbia direbbe quali sono i libri della Bibbia!
Tuttavia si può presentare qualche documento che dice almeno qual è il modo di pensare di alcuni cristiani del I secolo: 
- per l'Antico Testamento:
θ «...Tutta la Scrittura (è) divinamente ispirata e utile per l’insegnamento, per convincere, per correggere, per formare alla giustizia, affinché l’uomo del Dio sia formato perfetto, pronto per ogni opera buona» (2 Tim 3,16).
θ «... e abbiamo ben salda la parola profetica, alla quale voi fate bene ad attenervi, come a luce che splende in luogo oscuro, finché non splenda il giorno e non si levi nei vostri cuori la stella del mattino; questo sapendo in primo luogo che nessuna profezia può diventare di interpretazione propria: infatti non per volontà di uomo fu fatta una profezia, ma mossi da Spirito Santo uomini parlano da (parte di) Dio» (2 Pt 1,19-21).
- per le lettere di Paolo e le altre lettere:
«... e la magnanimità del Signore nostro ritenetela salvezza, come anche l’amato nostro fratello Paolo, secondo la sapienza data a lui, scrisse a voi, come anche in tutte le lettere, parlando in esse di queste cose; nelle quali vi sono alcune cose difficili da intendersi, che gli ignoranti e deboli stravolgono, come anche le altre Scritture, per la propria perdizione» (2 Pt 3, 15-16).
   Le lettere di Paolo sono messe qui sullo stesso piano delle "altre scritture". Non abbiamo per gli altri libri del N.T. alcuna documentazione contenuta nel N.T. stesso.
Dire che i libri della Bibbia sono «ispirati», significa che le Chiese riconoscono che in essi è contenuto quanto Dio vuole rivelare all’umanità, non nel senso che Dio parli ebraico o greco, ma nel senso che il contenuto di essi corrisponde, in modo comprensibile dagli uomini, a quanto Dio ha voluto che i cristiani sapessero sul senso della vita umana e sul modo migliore per realizzarlo 1.
L'interpretazione della Bibbia
*    La Bibbia è un messaggio di Dio, ma le parole attraverso cui si esprime sono parole umane, scritte secondo la mentalità e la cultura dell'autore umano.
      Ora qualsiasi testo scritto, per essere rettamente capito, deve essere interpretato. E ciò è tanto più necessario per la Bibbia, se si tiene conto del fatto che essa è scritta in tempi, culture e lingue molto diverse dalle attuali.
      Hanno senso perciò ulteriori domande:
a)   Chi può interpretare autorevolmente la Bibbia?
b)   Con quali criteri o metodi deve essere interpretata?
      Ecco la ragione dell’argomento che segue!
*    Come si è visto, è stata la Chiesa che ha stabilito quali sono i libri sacri. È perciò la Chiesa che fonda e giudica le Sacre Scritture e non viceversa.
      Pensare diversamente vuol dire mettersi nell'impossibilità di stabilire quali siano le Sacre Scritture. Perché infatti il vangelo secondo Luca dovrebbe essere parola di Dio, mentre la Didaché (libro contemporaneo al vangelo secondo Luca e che pretende di contenere la dottrina dei Dodici Apostoli) no?
L’unica risposta che i cristiani possono dare è che la Chiesa di allora, guidata dallo Spirito di Gesù, così ha giudicato.
Dunque, secondo la testimonianza delle Chiese antiche (contestata però da Lutero nel 1500), la Sacra Scrittura non può da sola essere norma e fondamento della fede, in quanto essa, almeno per il Nuovo Testamento, è venuta dopo: la fede cristiana c’era già quando il Nuovo Testamento non c’era ancora. Si ricordi infatti che il Cristianesimo è sorto verso il 30 d. C., mentre il Nuovo Testamento sorse dal 51 al 100 circa!
*      Ammesso il principio secondo cui è la Chiesa che, ispirata dallo Spirito santo, giudica la Scrittura, ne consegue che è sempre la Chiesa che ha il compito di interpretarla per stabilire che cosa veramente lo Spirito di Dio ha voluto far sapere ai cristiani (e attraverso loro all’umanità), perché vi si uniformino.  
Documentazione
υ Sant'Agostino di Ippona (†nel 430), nel suo Contra epistulam fundamenti, 5, scrive:
   «Non crederei al vangelo se non mi spingesse l'autorità della Chiesa cattolica»
υ Vincenzo di Lérins († prima del 450) ha sintetizzato il pensiero tradizionale dei cristiani in questo bel testo:
   «La Sacra Scrittura, per la sua stessa sublimità, non viene interpretata da tutti nello stesso senso: uno ne spiega i detti in un modo, l’altro in un altro; sembra quasi di poterne dedurre: tanti uomini, tante sentenze...  Ma per questo, per tante tortuosità di vario errore, è necessario che la linea interpretativa degli scritti profetici e apostolici sia guidata dalla norma del senso ecclesiale (sensus Ecclesiae) e cattolico (= universale). Nella stessa Chiesa cattolica dobbiamo curare con grande attenzione di attenerci a ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti: ciò infatti che è veramente e propriamente cattolico, per lo stesso significato e la stessa forza della parola, comprende universalmente tutto. Ma ciò avverrà solo se ci atterremo all’universalità, all’antichità e al consenso.
Ci atteniamo all’universalità, se professiamo come vera solo la fede che tutta la Chiesa professa in tutto il mondo; ci atteniamo invece all’antichità, se non ci allontaniamo dalle concezioni che i nostri santi predecessori e padri hanno chiaramente professato; e ci atteniamo infine al consenso, se, all’interno delle dottrine antiche, seguiamo il parere di tutti, o almeno di quasi tutti, i vescovi e i maestri. Che farà dunque il cristiano cattolico, se qualche piccola parte della Chiesa si stacca dall’universale comunione di fede? Che cosa, se non anteporre ad un membro appestato e corrotto la salute di tutto il corpo? E che farà, se qualche nuovo contagio cerca di invadere non solo una particella della Chiesa, ma tutta la Chiesa insieme? Anche allora avrà cura di attenersi alle dottrine antiche, che certo non possono venire sedotte da inganno di novità. Ma se anche in queste si scova l’errore di due o tre uomini, o addirittura di una città o di una provincia? Avrà allora cura di preporre alla presunzione o all’ignoranza di pochi le decisioni conciliari, se vi sono, della Chiesa universale. Ma se si affaccia una dottrina su cui non si trova nulla di simile? Allora si metterà all’opera per consultare, esaminare e confrontare tra di loro le opinioni degli antichi e precisamente di coloro che, pur in tempi e luoghi diversi, costanti nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica divennero, in materia, un’autorità. Tutto ciò che egli troverà essere stato sostenuto, scritto e difeso non da uno o da due soli, ma da tutti, nello stesso senso, chiaramente, con frequenza e continuità, sappia che anch’egli lo deve credere senza dubbio alcuno» (Commonitorio, 2-3).
*      Dunque, alle due domande iniziali si risponde:
a)   solo la Chiesa può interpretare autorevolmente la Bibbia. Infatti 
-     alla radice del N.T. c’è una lunga tradizione orale che lo precede;
-     è la tradizione che ha scelto quali libri fossero «apostolici»;
-      l'interpretazione del testo biblico data dagli antichi ha maggiori garanzie di verità, rispetto a tutte quelle che vennero dopo, sia per la maggior vicinanza al tempo come lingua e sia per la migliore conoscenza dell'ambiente in cui il testo fu prodotto.
            E, come si è visto, la Chiesa si esprime
- o mediante una sostanziale unanimità dei fedeli,
- o mediante il Concilio Ecumenico,
- o mediante il vescovo di Roma.
Si noti però che la tradizione non ha peso uguale per tutti i punti della fede. Ci sono infatti interpretazioni di testi biblici da tutti sempre e dovunque accettate e queste sono vincolanti per il cristiano. Ci sono invece altre interpretazioni che, anche se comunemente sostenute da molti, non furono sostenute sempre e da tutti e inoltre le persone che dissentirono pubblicamente non furono mai condannate. Queste interpretazioni sono di libera discussione.
b)   i criteri per interpretare la Bibbia sono stati fissati dalla Chiesa stessa.
      La tradizione antica ci ha presentato due metodi per interpretare la Bibbia:
1)     quello della scuola teologica di Antiochia di Siria: preferiva dare ai testi uninterpretazione letterale, cercando il senso esatto delle parole usate dall’autore sacro (agiógrafo) e cercando di capire esattamente tutto quello che egli voleva comunicare;
2)    quello della scuola teologica di Alessandria d’Egitto: preferiva invece una interpretazione simbolica, allegorica, basata sul principio secondo cui, trattandosi di parola di Dio, la Bibbia poteva avere significati molteplici, al di là delle intenzioni dello scrittore sacro.
      Garanzia di non commettere errori in questa interpretazione allegorica è il sentire cristiano (il sensus Ecclesiae).
Lo specchietto che segue espone sinteticamente il percorso obbligato che deve fare il cristiano per arrivare a dire che la Bibbia (e in particolare il N.T.) è parola di Dio:
1.   l'atto di fiducia nella Chiesa antica ed attuale porta a dire che i libri del Nuovo Testamento sono libri antichi e ufficiali;
NB. Qui la Chiesa è vista come una società umana, cioè una realtà formata da uomini che si danno i loro statuti per poter operare in modo ordinato.
2.   l'atto di fiducia nella Chiesa del I/II sec. porta a dire che sono libri apostolici (sono stati prodotti direttamente o indirettamente dagli apostoli);
3.   l'atto di fiducia negli apostoli porta a dire che sono libri storici;
4.   l'atto di fiducia in Gesù, figlio di Dio perché risorto, che ha dato l'infallibilità alla Chiesa, porta a dire, sull'autorità della stessa, che sono libri sacri - parola di Dio.
NB. Qui la Chiesa è vista come una mistero, cioè come la presenza dello Spirito di Gesù nella storia.
"Il" metodo di lettura della Sacra Scrittura
Premesse
L’articolo determinativo «il» è volutamente provocatorio.
In nome della libertà di lettura, di interpretazione, di giudizio e di scelta, questo articolo oggi è da abolire; oggi vale il «secondo me».
Ma, superato il primo momento di reazione puramente emotiva, dovuta forse al condizionamento ambientale, vediamo se non vi siano ragioni valide per sostenere tale tesi. Se non tengono, si potranno pur sempre scartare. È però quanto meno onesto prenderle in esame.
 Il punto di partenza
È dato dalla seguente considerazione:
di fronte allo scritto di un autore, possono certo darsi da parte dei lettori numerose interpretazioni del suo pensiero, ma è innegabile che ad una e ad una sola pensava egli scrivendo, cioè a quanto intendeva veramente dire (a meno che non lo sapesse bene neppure lui...).
Esistono cioè nella lettura un dato soggettivo (la nostra interpretazione) ed un dato oggettivo (l’idea che l’autore vuole trasmettere).
Metodo corretto di lettura è quello che si propone di giungere al secondo: non che cosa l’autore suggerisce a noi, ma che cosa egli intendeva veramente dire, pur tenendo conto delle difficoltà di determinare tale dato oggettivo e del fatto che esso dovrà pur sempre essere espresso mediante una nuova formulazione soggettiva.
Mettendoci sulla strada del «cosa dice a me», il testo diventa solo uno spunto per operazioni mentali di tipo volutamente indifferente alle intenzioni ed alle espressioni dell’autore: come si può affermare che i risultati abbiano ancora qualcosa in comune col suo pensiero? Esso non interessa più: rimane solo una scintilla che fa scoppiare l’incendio delle nostre meditazioni. Per questo tipo di operazioni, se vogliamo spingere fino in fondo, il testo scritto può addirittura essere superato.
 Applicazione alla Sacra Scrittura
La Bibbia è un testo sorto, quanto all'A.T., nell’ambiente ebraico durante molti secoli e, quanto al N.T., nell’ambito delle prime comunità cristiane, le quali hanno recepito come Sacra Scrittura anche l'A.T., dandone una nuova ed originale interpretazione alla luce di un fatto nuovo: Gesù di Nazareth è il Messia, perché è risorto.
Volendo conoscere il pensiero degli autori biblici, ci si deve necessariamente rifare all’ambiente che l'ha prodotto.
Come si può pretendere di leggere con una mentalità moderna testi tanto antichi? Interpretarli liberamente? Si rischia di inventare. Chi può garantire in questa avventurosa avventura?
Eppure sono dei nostri giorni interpretazioni «riduttive» del testo: è edificante vedere tanti begli ingegni chinarsi su questo libro e pretendere di leggerlo come un libro di oggi. Le «spiegazioni» si snocciolano una dietro l’altra piane, suadenti, «vere» (?).
Si può tirare un respiro di sollievo dopo tale «lettura»: essa non turba più come all’inizio, quando conservava intera la sua carica dirompente di assoluta novità. Adesso quel libro è stato ridotto nei nostri schemi e si può anche accantonarlo, perché inutile. La domanda che poneva è stata evitata, non si è risposto, ma gli sono state poste delle domande e sono state risolte ritrovando non l’autore, ma se stessi.
Ecco allora due modi opposti di leggere la Bibbia:
1.   una lettura pagana: leggere il testo sentendo che risponde alle nostre esigenze. Il testo è vero, perché corrisponde alle nostre idee.
2.   una lettura di fede: non sempre si sa bene che cosa sia la verità e quindi non sempre si trova che il testo sia vero, ma lo si crede vero, fidandosi della Chiesa, anche quando non corrisponde alle nostre idee.

Quindi la Chiesa cattolica romana, davvero si è arrogata il diritto di interpretare autoritariamente le Sacre Scritture, ed è vero che ella sola ha il diritto di interpretarle?
Alcuni Padri scrissero (tre le altre cose) che la Bibbia può essere capita da chiunque, ed è vero!
Ma cosa significa questo “chiunque”? 
Significa forse che ogni singola persona o gruppo possa capire la Bibbia in un modo tutto proprio?
E’ normale che ogni cristiano venga guidato nell’interpretare la Bibbia dallo Spirito Santo, in modi diversi e difformi tra loro?
E’ giusto sostenere che lo Spirito Santo suggerisca a ciascuno cose diverse?
E’ possibile che Cristo abbia lasciato a libera interpretazione le Sacre Scritture?
Quale è il risultato della libera interpretazione introdotta dal protestantesimo?
Fino ad oggi (anno 2002), il risultato ha portato alla formazione di circa 21.104 denominazioni protestanti diverse. Ciò non significa che vengano predicate tutte queste differenti “verità” ma vi assicuro che, comunque, di dottrine diverse tra loro ne esistono parecchie.
E’ possibile che sia stato lo Spirito Santo a provocare una tale confusione di dottrine?
Ma come si può continuare scagliarsi contro la Chiesa cattolica romana quando è dimostrabile che solo essa ha sempre seguito fin dai primi secoli la dottrina di Cristo e degli apostoli?
S. Ireneo di Lione vissuto dall’anno 130 d.C. fino al 200 circa, nella sua opera “Contro le Eresie” ci dà una chiara ed inequivocabile testimonianza della successione apostolica, e di come fin dai primissimi secoli c’erano gruppi di eretici che si opponevano alla sana dottrina, e che pretendevano di essere loro la vera Chiesa di Cristo.
Il fenomeno protestante quindi non è nuovo al cristianesimo, perché nel corso dei secoli ci fu sempre chi si oppose alla Chiesa cattolica, ma i protestanti (gli eretici) non presero mai parte nelle decisioni della Chiesa, i protestanti non partecipavano ai Concili, non decidevano mai in materia di fede, perché loro erano fuori dalla sana dottrina.
La Chiesa ha sempre resistito agli attacchi di gente che portava nuove interpretazioni alla Parola di Dio, e Ireneo ci da prova di ciò nella sua opera “Contro la Eresie” pag. 232 libro terzo, ed. Cantagalli (Siena) terza edizione.
Scrive S. Ireneo:

Atteggiamento degli eretici

Quando si portano argomenti scritturistici contro di loro prendono ad accusare le stesse Scritture dicendo che il testo è corrotto, che è apocrifo, che è in contraddizione con altri, che non può provare in esso le verità chi non conosce la tradizione.
La verità essi dicono, non è trasmessa solo per scritto, ma anche mediante la viva voce; per questo l’Apostolo avrebbe detto: “Parliamo di sapienza tra i perfetti, ma non la sapienza di questo mondo” (1 Cor 2,6). Tale sapienza ciascuno di loro dice esser quella  che lui ha scoperto, o meglio inventato, così che la verità si trova ora in Valentino, ora in Marcione, ora in Cerinto; in seguito sarebbe passata in Basilide, che la pensa diversamente dalla Chiesa senza poter dir nulla circa l’ordine della salvezza. Ciascuno di essi, infatti, è tanto perverso che, falsando la norma della verità, non arrossisce di “ predicare se stesso” (2 Cor 4,5).

Ecco un chiaro esempio di discordanza dottrinale tra vari gruppi eretici, che avevano l’unico punto in comune nell’accusare la Chiesa di essere falsa e menzognera.
Praticamente Valentino diceva di essere lui nella verità e interpretava le Scritture a modo suo, si sentiva divinamente guidato e si scagliava contro la Chiesa cattolica, lo stesso si può dire per ogni altro eretico, ognuno di loro si sentiva divinamente guidato e riusciva a convincere moltitudini di persone a seguire le proprie dottrine, spacciandole per verità bibliche.
Ora fratelli, è bene chiedersi, ma le persone che seguivano Valentino erano cretine?
Le persone che seguivano Marcione erano cretine? E così via…….
No, le persone che seguivano questi eretici sicuramente non erano cretine, ma ignoranti, non conoscevano la sana dottrina, e si fidavano di questi personaggi e dei loro seguaci, magari ammirando i modi fraterni di questi predicatori eretici, ammirando le loro gesta amorevoli, e la loro accoglienza comunitaria.
In buona fede seguivano Valentino, altri Marcione, altri Basilide ecc., ma nessuno di loro verificava, studiava e approfondiva le Sacre Scritture confrontando le spiegazioni date dai vari eretici con quelle che dava la Chiesa.
Nell’antichità è risaputo che non c’erano mezzi di comunicazione come i nostri, non c’era la stampa, non c’erano le TV, non c’era Internet, e quindi risultava difficile ai fedeli di questi eretici andare a verificare, confrontare. Ma, la stessa cosa non si può dire per i cristiani dei tempi moderni, oggi chiunque voglia veramente verificare, confrontare, studiare, lo può fare con molta facilità. Quindi la responsabilità dei negligenti odierni è maggiore rispetto che nell’antichità.
Un cristiano oggigiorno può indagare facilmente, sa leggere chiunque, non c’è più l’analfabetismo di una volta, e con i mezzi moderni si può studiare e confrontare quello che si vuole, è triste vedere  moltissimi credenti, sia cattolici che protestanti, che non lo fanno.
Dicono di non aver tempo, ma in realtà gli manca la voglia, quando una cosa sta veramente a cuore il tempo lo si trova comunque.
Quindi il ripetere “a me basta quel che Dio mi dà di sapere” è una scusa per rifiutare qualsiasi confronto dottrinale. 
Il problema è che in realtà a moltissimi fratelli pentecostali, sta a cuore Gesù, ma non trovano né il tempo, né la voglia per addentrarsi in lunghi studi e confronti alla ricerca della corretta interpretazione biblica, tanto restano convinti ad oltranza che la Bibbia non si interpreta.
Le spiegazioni che troviamo nei loro commentari biblici non sono forse frutto di interpretazione?
Come accennavo, queste persone non si possono definire di scarsa intelligenza, ma hanno due fattori penalizzanti, scarsità di tempo, e scarsa voglia di ricercare e confrontare.
Quindi assistiamo a prediche di pastori pentecostali antitrinitari, dove ci assicurano di essere loro e solo loro nella verità piena, lo stesso vale per i predicatori del reverendo Moon, per gli avventisti, per i testimoni di Geova, per i Bambini di Dio, per i Mormoni ecc..
In ognuno di questi gruppo indubbiamente ci sono fedeli molto intelligenti, ma che credono i trovarsi nella piena verità, e in forza di questa convinzione cercano di “convertire” altre persone al loro Gesù. Non che di Gesù ne esistano più di uno, ma ognuno di questi gruppi lo predica in modi diversi, lo considera in modi diversi. 
La Parola di Dio è Gesù stesso, quindi a seconda della particolare interpretazione soggettiva viene presentato un Gesù diverso, adattato.
Ragionando in questi termini si rimane in mano (oserei dire in pugno) a persone che ci guidano a loro piacimento, adducendo il tutto al volere del Signore.
Magari ci fidiamo di loro perché le reputiamo brave persone, e magari lo sono veramente, ma siamo sicuri che sono veri dottori biblici?
Perché loro possono studiare e noi no?
Loro hanno più tempo, e noi dobbiamo accontentarci di quello che ci spiegano?

Non è un offesa al Creatore, il non fare uso della nostra intelligenza per indagare, confrontare studiare e pregare, al fine di conoscere veramente i fatti e la vera dottrina cristiana?
Una persona può sentirsi a suo agio in una comunità protestante e non sentire il bisogno di ricercare e confrontare, è normale, ma se capita che qualcuno porta delle interpretazioni diverse e di una certa consistenza, il cristiano avrebbe il dovere di verificare, e non di tapparsi orecchie e occhi. 
Il problema comunque è più complesso di quanto potrebbe apparire a primo approccio, perché oggi esistono troppe “verità” troppi gruppi che assicurano di essere nella verità, una persona scarsamente preparata può cadere facilmente in errori dottrinali.
Una sicura ancora di verità, si trova negli scritti patristici, dove vediamo spiegati tutti i versetti biblici che generano discordia tra i vari gruppi.
Chi meglio dei Padri, che avevano ben impresse in mente le predicazioni degli apostoli, essendo vissuti in epoche molte vicine agli inizi del cristianesimo, può rappresentare una chiara ed inequivocabile prova di riscontro?
Abbiamo visto che Ireneo ci dà uno spaccato della realtà che esisteva intorno al 170 d.C. e vediamo che già nei primissimi anni del cristianesimo c’erano gruppi che interpretavano la Bibbia a modo loro, e che naturalmente accusavano la Chiesa di essere nella menzogna.
Qualche pagina sopra citavo l’opera “Contro le Eresie” di Ireneo, e sempre in quest’opera egli continua il suo discorso facendo notare come gli eretici si divincolavano disinvoltamente nel dare le loro personali interpretazioni bibliche, un po’ come fanno oggi molti pastori protestanti.
Ireneo continua dicendo: “ Quando poi li richiamiamo alla tradizione apostolica custodita nelle varie chiese dalla successione dei presbiteri (grassetto mio, ndr),  allora si oppongono alla tradizione dicendo che, essendo essi superiori non solo ai presbiteri, ma agli stessi apostoli, essi soli hanno scoperto la verità pura. Gli Apostoli infatti avrebbero confuso insieme le parole del Signore a quelle della legge; anzi non solo gli Apostoli, ma lo stesso Signore avrebbe parlato ora del Demiurgo, ora del Mediatore, ora delle regioni superne. Essi invece senza dubbi e confusione conoscerebbero veramente il mistero nascosto (cfr. Ef 3,9; Col 1,26).
Ora questo è bestemmiare il proprio Creatore!
Essi non credono né alle Scritture né alla tradizione .
La nostra battaglia, carissimo, è contro costoro i quali sfuggono da ogni parte come lubrici serpenti. Si deve resistere loro in tutti i modi nella speranza che qualcuno, confutato e confuso, ritorni alla verità. Se è difficile che si riprenda da sola l’anima presa dall’errore, non è del tutto impossibile che se ne allontani quando viene presentata da qualcuno la verità.”

Ecco che qui Ireneo parla di successione dei presbiteri, cosa che non è mai piaciuta ai protestanti, perché questa (la successione) praticamente annulla l’autorità che essi pretendono di avere nello spiegare la Bibbia.
E Ireneo per contrastare gli eretici, e dimostrare dove dimora la vera autorità ecclesiastica continua a parlare della successione apostolica.
Libro III 3,1

“Dov’è la vera tradizione.

La  tradizione degli Apostoli, manifesta in tutto il mondo, può essere riscontrata in ogni chiesa da coloro che vogliono conoscere la verità.
Potremmo qui enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli e i loro successori fino a noi: essi non insegnarono e non conobbero affatto ciò che costoro vanno delirando. Ora se gli Apostoli avessero conosciuto i “misteri segreti” e li avessero insegnati ai “perfetti” all’insaputa degli altri, li avrebbero confidati prima di tutto a quelli ai quali affidavano la chiesa stessa.
Volevano infatti che i loro successori, ai quali trasmettevano il loro stesso ufficio di maestri, fossero perfetti e in tutto irreprensibili, poiché, agendo bene, ne sarebbe venuta grande utilità a tutta la chiesa, mentre se fossero venuti meno ne sarebbero provenuti gravi danni.
Ma poiché sarebbe troppo lungo enumerare in un volume come questo le successioni di tutte le chiese, ci limiteremo alla chiesa più grande e antica, a tutti nota, fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo e, indicando la sua tradizione, ricevuta dagli Apostoli e giunta fino a noi attraverso la successione dei suoi vescovi, confondiamo tutti quelli che per compiacenza di sé o vanagloria, per cecità o errore si allontanano dall’unità delle Chiesa. 
Con questa Chiesa infatti, in ragione della sua autorità superiore, deve accordarsi ogni chiesa, cioè i fedeli di tutto il mondo, poiché in essa è stata conservata la tradizione apostolica attraverso i suoi capi.
I beati Apostoli che fondarono la Chiesa romana ne trasmisero il governo episcopale a Lino, ricordato da Paolo nella lettera a Timoteo. Lino ebbe come successore Anacleto e dopo Anacleto fu Clemente, terzo a partire dagli Apostoli.”

E poi a pagg. 236-237 Ireneo continua:

“Anche la chiesa di Efeso, fondata da Paolo e nella quale Giovanni dimorò fino ai tempi di Traiano, è testimone autentico della tradizione apostolica.
Essendo le nostre prove così solide non è necessario cercare presso altri la verità che possiamo trovare facilmente nella Chiesa. Gli Apostoli, infatti, recarono come ad un ricco deposito tutto ciò che appartiene alla verità, affinché chiunque lo desidera trovi qui la bevanda della vita (cfr Ap 22,17). Di qui soltanto si entra nella vita: tutti gli altri dottori sono ladri  e briganti che occorre evitare. E se sorgesse qualche questione di dettaglio, non si deve forse ricorrere alle chiese più antiche, fondate dagli Apostoli, per sapere da loro quello che è certo e quello che è da abbandonare?
E se gli Apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si sarebbe forse dovuto seguire l’ordine della tradizione, da essi trasmessa a quelli ai quali affidavano le chiese?”

Questa è una grande prova contro le dottrine protestanti, e per tutti coloro che vorrebbero annullare il primato della Chiesa di Roma. 
Da quello che scrive Ireneo si capisce chiaramente l’antica origine della Chiesa di Roma, e la sua autorità risulta inconfutabile, ne consegue anche l’autorità nell’interpretare le Sacre Scritture.
Quindi si dimostra che il modo sgusciante di comportarsi dei primi gruppi eretici, che non erano mai soddisfatti e non si davano mai per vinti di fronte all’evidenza, è riscontrabile anche in molti protestanti odierni, che da un lato cominciano a dire che loro non accettano gli scritti dei padri posteriori a Costantino, perché dopo Costantino (sempre secondo loro) la Chiesa venne inquinata dai pagani. Se portiamo loro invece scritti di Padri e dottori antecedenti Costantino (come ad esempio Ireneo) non sanno più che dire, e mi vanno a citare la scissione della Chiesa di Occidente con quella di Oriente che accade intorno al 1054 d.C.
Insomma devono per forza sgusciare dalla morsa della verità, arrivando a negare la realtà a tutti i costi. Mi è capitato diverse volte di dialogare con fratelli pentecostali, che negano la presenza di Pietro a Roma, senza portare alcun riscontro però, dicendo solo: “Non mi risulta che Pietro sia stato a Roma…”, praticamente basandosi sul sentito dire, o meglio su quello che dice il loro pastore.
Menzionadogli i vari Ireneo, Giustino martire, Ignazio di Antiochia, ottenevo sempre la stessa risposta, trincerandosi testardamente dietro essa, per non ammettere e condividere le prove che gli citavo. Non conoscono bene la storia del cristianesimo eppure in alcune occasioni ne citano alcuni episodi, spesso per voler affossare la Chiesa cattolica, quando poi gli si presenta qualcuno che sa rispondere con prove alla mano, allora lo accusano di odiare i fratelli separati.
Insomma o si dà loro ragione, o si è cattivi e non cristiani.
Più sguscianti di così…

Non potremmo credere alla Bibbia se non ci fosse stato un organo che l’avrebbe preservata dalla eresie e ne avrebbe attestato l’autenticità attraverso tutti i secoli.
Quest’organo erano gli Ebrei per tutti i libri del V.T., ed è la Chiesa cattolica da quando Gesù fondò la Sua Chiesa.
Gesù preferì stabilire alcuni come apostoli, distinguendoli dai semplici fedeli. Gli apostoli erano l’autorità ecclesiastica di quei tempi dopo Gesù, Egli affidò loro la Sua Chiesa, ed essi avendo ben capito le intenzioni del Maestro sceglievano i loro successori mettendoli a capo delle diverse Chiese  raccomandando loro di conservare la Tradizione così come l’avevano ricevuta.
I vescovi quindi sono stati preposti alla guida delle Chiese, affinché i fedeli avessero sempre un punto di riferimento al quale fare appello in caso di controversie, il giudizio del vescovo veniva ascoltato, e ogni controversia tra fedeli veniva accordata. 
La gerarchia ecclesiastica dunque serviva e serve a mantenere l’ordine, tra pari autorità, liti e divisioni non cesserebbero mai, ognuno farebbe di testa propria non accettando il giudizio o il parere di un fratello con pari autorità.
Questo in realtà, è proprio quello che accade nelle chiese protestanti, dove tra pari autorità (pastori) ognuno vuol dire la sua, e trovandosi in disaccordo con altri si stacca da essi e forma un’altra chiesa separata, magari seguendo una dottrina leggermente diversa, oppure diversa in alcuni punti chiave.
I gruppi più pericolosi sono quelli che differiscono in maniera poco vistosa dalla vera dottrina, perché in tale modo è più difficile per i fedeli individuare l’errore o gli errori. Molta importanza ha anche il sistema organizzativo del gruppo, il modo di istruire e convincere i fedeli che “essi” e solo essi si trovano nella “verità”, è il caso ad esempio della società Torre di Guardia, che pur falsificando la Bibbia in molti punti, modificandola a proprio uso e consumo, riesce a convincere i fedeli che loro e solo loro si salveranno, perché solo loro interpretano correttamente la Bibbia. Sappiamo che i tdG non si possono definire nemmeno cristiani, però loro continuano imperterriti a “evangelizzare” di casa in casa sicuri di essere nella ”verità”.
E’ pure il caso dei pentecostali che battezzano solo nel nome di Gesù, e di tantissime altre denominazioni protestanti che differiscono a volte anche pesantemente dalla giusta dottrina.
Naturalmente c’è differenza tra pentecostali e tdG, ma è il concetto che ci interessa, e cioè che la troppa libertà di pensiero religioso, la soggettività esasperata, sfocia nella formazione di moltissimi gruppi protestanti con dottrine diverse.
Le dottrine pentecostali sicuramente rappresentano un pericolo per la verità, il diavolo evidentemente nel corso dei secoli ha avuto modo di affinare i suoi metodi, e ha capito che se agisce con precisione chirurgica sicuramente ottiene di più.

Quando manca un’autorità riconosciuta e inappellabile si assiste a liti e divisioni continue.
Un esempio chiarificatore può aiutare a meglio capire: oggi la magistratura in Italia rappresenta l’organo ufficiale che garantisce la legalità, ma come è risaputo alcuni magistrati sbagliano nel giudicare, altri si sono fatti corrompere, ma ciò non significa che tutta la magistratura sbaglia.
La maggioranza dei cittadini italiani ripone ogni speranza di giustizia nella magistratura, perché sa bene che ci sono sempre dei magistrati onesti e precisi, quindi gli errori che hanno commesso
(e commettono) altri magistrati, non hanno smantellato la magistratura, perché essa è l’organo ufficiale ed autorevole che lo stato italiano ha designato in materia di giustizia.
Se per caso la magistratura verrebbe smantellata, e ogni cittadino sarebbe libero di interpretare le leggi a modo suo allora regnerebbe il caos totale, in ogni quartiere nascerebbero delle bande, perché l’uomo ha la tendenza ad organizzarsi in gruppi per sopravvivere e, si finirebbe per scannarsi a vicenda, il più forte detterebbe legge.
Se ogni stato è organizzato affinché regni (per quanto possibile) la disciplina e l’ordine, la Chiesa doveva essere forse lasciata senza regole in mano ai fanatici e agli eretici?
I fedeli a chi dovevano e devono credere, visto che ogni pastore di denominazione diversa, afferma sul proprio onore di essere nella verità? 
Alla Bibbia? 
E chi garantisce che la Bibbia non sia solo un libro storico, piuttosto che Parola di Dio?
La Bibbia scende dal cielo e atterra nella casa di ogni singolo credente?
La Bibbia è stata scritta da uomini ispirati da Dio, ma come si fa a saper discernere i libri veramente ispirati da quelli truffaldini?
I Libri Sacri sono ispirati ancor prima di essere riconosciuti dalla Chiesa, cioè quando escono dalle mani degli autori sacri, già sono Parola di Dio, non è la Chiesa a renderli ispirati, ma fu la Chiesa a riconoscerli come tali, a riconoscerne l’autorevolezza, come fu la Chiesa a rigettare molti libri apocrifi, ritenendoli falsi e non cristiani.
Dobbiamo affidarci per forza ai preti o ai pastori, oppure potremmo anche noi conoscere la storia del canone, il metro di giudizio con il quale sono stati scelti alcuni libri e rigettati altri?
Fidarsi è bene, ma non fidarsi (in senso lato, e in certi casi) è meglio, quindi facendo fruttare il dono intellettivo che ci ha donato Dio, anche noi possiamo verificare, conoscere e discernere.
Conoscere la storia della Bibbia e del Canone è un punto fondamentale per ogni cristiano, purtroppo troppa gente sconosce la storia del Canone biblico, spesso conoscono solo il canone RAI, troppa gente si fida delle buone parole, della buona accoglienza, si fida a naso, senza verificare un bel niente. A volte le apparenze ingannano, le belle parole, le strette di mano, i sorrisi, le pacche sulla spalla, le riunioni per lodare Cristo, non sono sinonimo di verità. 
Non chi dice “Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli.”
Il buon Dio ci ha donato l’intelligenza, e tramite questo dono, accompagnato dalla preghiera, possiamo conoscere e vedere la verità, ciò non significa che la nostra capacità intellettiva verrà radicalmente trasformata, ma mettendosi in ricerca paziente e costante, il Signore ci farà incontrare altri membri del Corpo che sicuramente ci aiuteranno, anche con i loro scritti. Noi con la preghiera dobbiamo acquisire la capacità di discernimento.
Si deve credere a Cristo, questo è il primo punto, il fondamento, ma purtroppo nella Bibbia vi sono molti punti che richiedono chiarimenti interpretativi.
Ma la Parola di Dio è Cristo Gesù, il Verbo di Dio è nelle Scritture, Gesù è Scrittura, Gesù è la Parola, quindi interpretando male le Scritture non si conosce bene Gesù
Non bisogna sottovalutare il fatto che in realtà solo pochissimi fedeli protestanti conoscono le differenze dottrinali dei vari gruppi, moltissimi credono di far parte di una chiesa compatta contrapposta alla Chiesa cattolica romana, ma la realtà è ben diversa, se molti fedeli protestanti uscirebbero dai loro compartimenti stagni, vedrebbero la molteplicità spaventosa delle varie dottrine. Sanno di essere protestanti, magari sanno di essere pentecostali, ma non sanno a quale ramo pentecostale appartengono, e quali sono le differenze dottrinali con gli altri gruppi protestanti.
Bisogna chiedersi se, credere in Gesù e non credere nell’Eucaristia è cristiano?
L’Eucaristia, punto fondamentale di tutto il cristianesimo, viene malamente interpretata dai protestanti, che non si trovano d’accordo nemmeno tra loro. 
Un pentecostale male informato mi faceva notare (via internet) che anche nella Chiesa cattolica ci sono divisioni, infatti esistono i benedettini, i focolarini, i passionisti, i francescani, i salesiani, ecc., ma come si fa ad asserire che gli ordini religiosi derivanti dai rispettivi fondatori rappresentino delle divisioni? Sì, nella Chiesa cattolica ci sono stati dei vescovi che distaccandosi da essa hanno formato dei gruppi scismatici; l’episodio più recente e rilevante, su scala mondiale, è stato lo scisma del vescovo Marcel Lefebvre, che si è consumato nel 1988.
Non mancano anche gruppi “integralisti” o “sedevacantisti” i quali (con spiegazioni teologiche piuttosto diverse fra loro) considerano la sede di Roma  almeno formalmente e talora anche materialmente “vacante”, non riconoscendo l’autorità dei pontefici. Ma tutto ciò è ben diverso dei vari gruppi recanti il nome del loro fondatore, perché tutti seguono la stessa identica dottrina.
Non mancano anche, dall’inizio del Concilio Vaticano II a oggi, un certo numero di personaggi che affermano di essere il vero Pontefice (e per il quali, collettivamente, si può resuscitare l’appellativo – frequente in epoche passate – di “antipapi”.
Per la verità fenomeni di questo genere –se pure hanno avuto una recrudescenza negli anni successivi al Vaticano II – non sono mai mancati nella storia della Chiesa.
Se vogliamo essere precisi, anche i protestanti sono degli scismatici che si sono distaccati dalla Chiesa cattolica.
Io domando a questo fratello se ha mai visto pregare i francescani o i passionisti, oppure se ha mai assisto alla Celebrazione Eucaristica all’interno dei diversi ordini religiosi. Se questo fratello assisterebbe alla S. Messa presso ogni ordine religioso sicuramente si accorgerebbe che tutti loro credono nella presenza reale di Gesù nel pane e nel vino dopo la consacrazione, come anche si accorgerebbe (dialogando con i vari religiosi) che tutti loro credono nella stessa identica dottrina, quindi come si possono mettere in giro simili affermazioni francamente non lo capisco.
Purtroppo la disinformazione che sta alla base di molte comunità protestanti porta a fare simili affermazioni. 
Il prodotto delle non gerarchie (come le chiamano loro) che esiste in molte chiese protestanti (tra le quali i pentecostali) porta al caos, dove ognuno detta legge, dove ognuno si forma la propria chiesa con i propri seguaci. 
Le diversità dottrinali tra i protestanti emergono appena si comincia a studiare la loro storia.
La Chiesa di Cristo fu UNA, rimase UNA e rimarrà UNA, quindi i protestanti a quale chiesa appartenevano nei primi secoli?
L’autorità ecclesiastica in quale Chiesa risiedeva nei primi secoli?
Quale Chiesa si occupò del canone biblico sia del Vecchio che del Nuovo Testamento?
Queste sono le domande che deve porsi chi ricerca veramente la Verità!

Da "I fondamenti del cristianesimo"
P. Ottaviano, Ed. Didaskaleion – Torino 3/2000
I libri nelle prime comunità cristiane
Perché nascono
            Poiché  cristiano è colui che si impegna a vivere secondo gli insegnamenti di Gesù, gli è necessario conoscerne il genuino pensiero. E poiché Gesù non ha scritto nulla che sia giunto a noi (almeno per ora), i primi cristiani, per risolvere il problema, si rivolgevano agli apostoli, testimoni di quanto Gesù aveva detto e fatto.
Valga la testimonianza di Giovanni:
«Quello che era fin da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato, deVerbo di vita... ve l'annunciamo» (1 Gv 1,1).
            Gli apostoli erano dunque la norma viva della fede cristiana, poiché raccontavano direttamente gli insegnamenti di Gesù e i fatti della sua vita.
            Ma poiché gli apostoli stavano cominciando a morire, fu necessario affidarsi sempre più a libri che conservassero il loro insegnamento. Scomparsi i testimoni oculari, infatti, non sarebbe stato più possibile controllare la veridicità di quanto continuava ad essere predicato su Gesù, soprattutto di fronte ad eventuali nuove affermazioni a suo riguardo.
            Inoltre, col diffondersi del Cristianesimo, non era più così facile per tutti incontrare qualche apostolo, per poter effettuare le necessarie verifiche.
DOCUMENTAZIONE
_ Prologo del vangelo secondo Luca: 
   «Poiché molti hanno messo mano a ordinare la narrazione dei fatti compiuti in mezzo a noi, come tramandarono a noi quelli che dall’inizio videro con i propri occhi e (sono) diventati servi della parola, parve anche a me, avendo seguito ogni cosa da principio diligentemente, di seguito (o con ordine), scriverti, ottimo Teofilo, affinché tu conosca la saldezza della parola con la quale sei stato istruito» (Lc 1, 1-4).

_ 2a Lettera di Pietro: 
   «...e la magnanimità del Signore nostro ritenetela salvezza, come anche l’amato nostro fratello Paolo, secondo la sapienza data a lui, scrisse a voi, come anche in tutte le lettere, parlando in esse di queste cose; nelle quali vi sono alcune cose difficili ad intendersi, che gl'ignoranti e deboli stravolgono, come anche le altre scritture, per la perdizione» (2 Pt 3,15-16).
La lettera, scritta verso il 66/67 o verso il 75, sembra supporre che esistesse una raccolta, almeno parziale, delle lettere di Paolo. Tale epistolario viene messo sullo stesso piano dell'Antico Testamento, se si interpreta la parola «scritture» come riferita ad esso.
_ Lettera ai Colossesi: 
   «E quando sia stata letta da voi la lettera, fate in modo che anche nella Chiesa dei Laodicesi sia letta e che quella dei Laodicesi anche voi leggiate» (Col 4, 16).
La lettera, scritta da Paolo, prigioniero a Roma, verso il 61/63, fa pensare al fatto che le comunità si scambiassero le lettere o facessero copie delle lettere stesse.
Questi scritti cristiani si leggevano nelle riunioni comuni, assieme ai testi dell'Antico Testamento, che già erano letti nelle sinagoghe ebraiche.
Che circolassero tra le varie comunità cristiane anche i libri dell'Antico Testamento è dimostrato dalle abbondantissime citazioni di esso che si possono rintracciare nei libri dei primi cristiani.     
_ Molti libri portano il nome di apostoli: vangelo secondo Matteo, secondo Giovanni, lettere di Paolo, ecc.

_
Già nei primi anni dell’attività di Paolo però, alcuni tentarono di diffondere delle lettere falsamente attribuite a lui. Lo assicura Paolo stesso:     «...Vi preghiamo, o fratelli, di non lasciarvi così facilmente turbare la mente, né allarmare, sia da spirito, sia da dicerie, sia da lettere, come se fossero inviate da me...» (2 Tess. 2,1-2),
e finisce la lettera così: «Il saluto è di mio pugno, di me, Paolo; esso è il segno che distingue ogni mia lettera. Io scrivo così» (2 Tess 3,17).

_ 1a Lettera di Paolo ai Tessalonicesi:
«Vi scongiuro nel Signore che questa lettera sia letta a tutti i fratelli» (1 Tess 5,27).
_ Lettera ai Colossesi (4,16), già citata sopra.
Apocalisse:
   «Felice chi legge e quelli che ascoltano le parole della profezia...» (Ap 1,3). 
Ciò suppone che il libro fosse letto in pubblico. 
Giustino, cristiano poi divenuto martire, scrive verso il 155:
   «... E nel giorno chiamato del sole, tanto quelli che abitano in città come quelli che abitano in campagna si adunano nello stesso luogo e si fa lettura delle memorie degli apostoli (vangeli) e degli scritti dei profeti (Antico Testamento), sin che il tempo lo permette. 
   Quando il lettore ha terminato, il preposto (il capo) tiene un discorso per ammonire ed esortare all’imitazione di questi buoni esempi» (1a Apologia - n. 67).

Però, al tempo in cui furono composti, questi libri cristiani non erano giudicati «Sacra Scrittura». Per i primi cristiani Sacra Scrittura rimanevano le "scritture ebraiche", chiamate Antico Testamento. 
La prima citazione di un passo di Paolo, considerato sicuramente come Sacra Scrittura, si trova nella lettera di Policarpo ai Filippesi (12,1), scritta verso il 150:
_ «So che siete molto versati negli scritti sacri e che nulla in essi vi sfugge, cosa che a me non è concessa. Tuttavia voglio ricordarvi solo queste frasi, che in essi sono scritte:
"Sdegnatevi pure, ma non fino al peccato" (Salm 4,5), e ancora: "Il sole non tramonti sopra la vostra ira" (Ef 4,26).
Beato chi se le ricorda, come sono certo che voi fate!». 
_ Conosciamo parecchi vangeli e lettere attribuiti ad apostoli, ma non accettati dalla Chiesa (apocrifi): vangelo di Giacomo, di Pietro, di Tommaso... Quanto al vangelo di Pietro è nominato da Serapione di Antiochia, come riferisce Eusebio di Cesarea nel 318.
Si noti ancora che tutte le lettere nelle Chiese cristiane del II - III sec. imitavano le lettere di Paolo: per es. quella di Clemente di Roma o quelle di Ignazio di Antiochia. Ciò significa che le lettere paoline erano ben conosciute.

_ Giustino afferma:   «... gli Apostoli nelle memorie fatte da loro, che si chiamano vangeli...» (1a Apologia, n. 66).

_
Il Canone  Muratoriano ci dà analoghe informazioni (si veda più avanti).

Nuovi libri 
Si scrivevano anche nuovi libri. Fra essi bisogna distinguere due gruppi:
-     scritti che, pur senza pretendere di risalire agli apostoli, avevano autorità simile a quella degli scritti che fanno oggi parte del Nuovo Testamento. Vengono chiamati Padri Apostolici, perché i loro autori hanno conosciuto gli apostoli;
-     scritti, piuttosto fantasiosi o ricchi di dottrine strane, sorti dal desiderio di colmare le lacune dei vangeli (canonici), libri falsamente attribuiti ad apostoli, allo scopo di aumentarne l’autorevolezza. Vanno sotto il nome di apocrifi o pseudoepigrafi. Poiché tali libri aumentavano rapidamente, nacque il problema di controllarne l’attendibilità.
Copie 
Di alcune lettere venivano fatte copie fin dall'origine. Si presentano infatti come "circolari" destinate a varie comunità.
DOCUMENTAZIONE
Lettera di Paolo agli Efesini:
«Paolo, apostolo di Cristo Gesù secondo la volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso...» (Ef 1, 1).
 Alcuni manoscritti, invece di "in Efeso", hanno "in Laodicea". Altri ancora hanno uno spazio bianco che probabilmente serviva per scrivervi il nome della città in cui si trovava la comunità cristiana destinataria della lettera.
Potrebbe trattarsi dunque di una lettera circolare a cui di volta in volta veniva scritto l’indirizzo.
_ Si confronti inoltre la già citata lettera ai Colossesi, 4,16.
È lecito supporre che anche di tutti gli altri scritti apostolici, data la loro importanza per la fede, si facessero copie che circolavano fra le Chiese. Di qui la spontanea e graduale formazione di raccolte di scritti. Però questo non impediva che fosse tramandato ancora a voce l’insegnamento di Gesù e che spesso questa tradizione orale avesse maggior peso di quella scritta.
Il canone del Nuovo Testamento
 
(= elenco dei libri ufficiali cristiani)
Sicurezza che nei testi sia contenuto il pensiero di Gesù 
1. La formazione del canone
La situazione, nella prima metà del II sec., era la seguente:
a)    circolavano nelle comunità
-      scritti originali risalenti direttamente o indirettamente agli apostoli,
-      copie di tali scritti,
-      scritti falsamente attribuiti agli apostoli,
-      scritti che non risalivano agli apostoli, ma che godevano quasi della stessa autorità;
b)   erano scomparsi o quasi scomparsi i testimoni attendibili, capaci di risolvere le controversie di attribuzione dei testi;
c)   stava prendendo vigore il movimento filosofico-teologico dello gnosticismo.
Il termine "gnosi" proviene dal greco e significa conoscenza. Secondo gli gnostici solo la conoscenza può condurre alla salvezza.

* In generale gli gnostici partono dal problema del male nel mondo: Dio non può fare né volere il male - dunque il male non viene da Dio. Esistono due princìpi increati: uno, Dio-spirito, da cui deriva il bene e l'altro, la materia, da cui deriva il male. Questi due princìpi sono in perenne lotta fra di loro.
* Luogo della lotta fra il principio del bene (spirito) e il principio del male (materia) è il cuore dell'uomo, in quanto l'uomo è appunto composto di spirito e di materia.
* Questa penosa situazione in cui l'uomo veniva a trovarsi ha impietosito Dio, il quale ha inviato nel mondo Gesù per operare la salvezza: guidare gli uomini alla vera conoscenza, onde distaccarli dalla materia.
* Gesù, essendo puro spirito (bene), non poteva rivestirsi di un corpo materiale (che è male). Quindi, per venire nel mondo, ha preso solo una parvenza corporea (greco: dokéo = sembro, da cui anche il nome di doceti dato a questi pensatori),
Pensatori gnostici importanti furono Basilide, Carpocrate, Valentino, ma soprattutto Marcione.
Secondo Marcione (verso il 140 d.C.) il messaggio di Gesù, predicato anche da Paolo, era stato il superamento definitivo dell'A.T., di cui nulla andava conservato. Sarebbe stato successivamente alterato in senso giudaizzante, mediante l'introduzione di scritti non autentici e la manipolazione dei testi originari.
Marcione rifiutava perciò in blocco l'A.T. e, quanto ai vangeli, voleva riportarli "alla forma originale", eliminando quello che costituirebbe un'alterazione fatta dopo. In concreto, rifiutava i vangeli secondo Matteo, Marco e Giovanni e sopprimeva in Luca i racconti dell'infanzia e ogni accenno alla reale corporeità di Gesù (in Gesù-spirito, non potevano esserci manifestazioni di corporeità, come crescere, essere stanco, aver paura, soffrire, sudare sangue...).
Marcione fu il primo a fissare una lista di libri a cui attingere quella che, secondo lui, era la genuina dottrina cristiana. La lista comprendeva: il vangelo secondo Luca (nella versione rimaneggiata da lui) e dieci delle lettere di Paolo (escluse le lettere pastorali).
Contro Marcione le comunità cristiane dovettero prendere posizione:
a)    stabilendo un elenco «ortodosso» (
canone), relativamente fisso, di libri da prendere come norma della genuina fede cristiana: il N.T. (i criteri per questa selezione si trovano più avanti);
b)   sulle nuove copie del N.T. che venivano confezionate, affidando ai vescovi il controllo, per essere sicuri che fossero conformi al testo antico 1
 Il fatto veramente importante è costituito dall’idea della necessità di un canone: le Chiese dovettero riconoscere di non poter più controllare da sole le tradizioni su Gesù che stavano pullulando e andarono perciò alla ricerca di norme o criteri per stabilire quali libri accettare e quali escludere, al fine di conoscere il genuino pensiero cristiano. 
  I criteri di canonicità
            Dai documenti a nostra disposizione (v. oltre)  possiamo ricavare che i criteri utilizzati dalle Chiese per stabilire il canone furono principalmente due: ecclesialità ed apostolicità dei libri.
Nel caso poi in cui l'apostolicità non fosse certa, si ricorse al criterio sussidiario della tradizionalità 
Vediamoli meglio:

a) Ecclesialità
    
Furono scelti come "ufficiali" i libri che erano accolti e letti nella liturgia da tutte (o quasi) le comunità che li conoscevano. 
Furono le comunità che selezionarono i libri del Nuovo Testamento, non attraverso pronunciamenti ufficiali, ma attraverso il «sentire» dei cristiani: in quei libri essi riconoscevano fissata la fede che avevano ricevuto nella predicazione orale ed accettato. 
Ma perché i cristiani leggevano questi libri?
Ecco il secondo criterio:

b) Apostolicità
Furono scelti quei libri che si ritenevano prodotti direttamente o indirettamente dagli apostoli (se a torto o a ragione oggi è difficile/impossibile da stabilire: è un atto di fede nelle comunità cristiane dei primi secoli).
«Si può dire che il concetto di "canone", sia derivato in modo diretto da quello di apostolo. L’apostolo ha nella Chiesa una funzione unica, che non si ripete: è un testimone oculare.
Per conseguenza solo gli scritti che hanno per autore un apostolo o un discepolo di un apostolo sono reputati garantire la purezza della testimonianza cristiana» (O. Cullmann, Le Nouveau Testament, Paris 1966; ed. ital. Bologna, 1968, pag. 141-142).
1.      Quanto ai vangeli, le comunità hanno accettato quelli che avevano come autori sicuri o apostoli o diretti ascoltatori di apostoli (dopo aver valutato, per questi ultimi, che avessero raccolto bene il loro insegnamento). Per questa ragione furono rifiutati i vangeli apocrifi.
2.      Quanto alle lettere, era compito dei destinatari garantire sul mittente. Si noti però che spesso un autore si serviva di uno scrivano-segretario che «metteva in bella» il testo.
È per questa ragione che scritti come la Didaché o la lettera di Clemente di Roma, nonostante fossero dello stesso periodo e sullo stesso argomento dei libri del Nuovo Testamento, non furono accolti tra i libri ufficiali. Ne consegue che, per le comunità cristiane antiche, norma di fede non erano gli scritti, ma le testimonianze orali apostoliche che si fissarono poi in tali scritti. Valeva il principio:
era canonico (= normativo) solo ciò che era apostolico.
E nel caso in cui l’apostolicità non fosse certa?
Si ricorse al criterio sussidiario della
c) Tradizionalità
      Furono scelti quei libri che erano in armonia con la tradizione orale e rifiutati quelli che presentavano la figura di Gesù in modo diverso da quello tradizionale, quello cioè che i cristiani conoscevano bene per averlo ascoltato dalla viva voce degli apostoli e dei loro immediati discepoli. Questo successe per es. per il vangelo di Pietro come dice questo documento di Eusebio di Cesarea che cita la testimonianza di Serapione:
_  «Costui (= Serapione) ha composto anche un altro trattato sul vangelo detto secondo Pietro con l’intento di esporre la falsità degli argomenti in esso contenuti, per il bene di alcuni membri della chiesa di Rhossus (in Siria), che a causa dell’opera suddetta furono preda di dottrine non ortodosse. Sarà bene riportare qui alcune frasi del suo scritto per rilevare il suo giudizio su quel libro. Egli scrive:
"Fratelli, noi accettiamo Pietro e gli altri apostoli come Cristo, ma, da uomini prudenti, respingiamo quanto è falsamente scritto sotto il loro nome, ben conoscendo che da loro non abbiamo ricevuto tali cose. Quando, infatti, io fui presso di voi, pensavo aderiste tutti alla retta fede e, non avendo letto il vangelo sotto il nome di Pietro, di cui parlavamo, dissi: Se era questo l’unico motivo del loro turbamento, leggetelo pure! Ma ora, da quanto mi è stato detto, ho compreso che nella loro mente era annidata una eresia: avrò dunque cura di venire nuovamente da voi. A presto, dunque, fratelli.
Voi sapete che genere di eresia era quella di Marcione e come egli si contraddiceva, non comprendendo quanto andava diffondendo, imparerete (la verità) da quanto ho scritto per voi.
Ho infatti avuto la possibilità di avere tra le mani proprio questo vangelo da coloro che se ne servono, cioè dai successori di quelli che sono stati i suoi autori, ai quali diamo il nome di doceti, in quanto molte delle loro idee appartengono a questa scuola, di scorrerlo e di constatare che in gran parte ha sul Salvatore un insegnamento giusto, ma alcune cose sono nuove e ne ho tracciato una lista per voi".   Questo è quanto si riferisce a Serapione» (Storia Eccles., VI, 12,2-6: PG, 20,545).     
Sembra dunque questa la vera e definitiva norma di fede del Cristianesimo:
l’insegnamento di Gesù fatto con le parole e con la vita e tramandato dalla tradizione orale delle Chiese. 
In sintesi: 
L’insegnamento di Gesù diventava dunque la cosa più preziosa, da conservare con somma cura. Necessitava perciò un accurato controllo.
Per questo si andavano a cercare prima i testimoni e poi, morti quelli, i libri che trasmettevano il suo vero insegnamento. 
CRITERI DI SCELTA DEI LIBRI "CANONICI"
 *  ECCLESIALITÀ  LIBRI LETTI IN TUTTE LE CHIESE CHE LI CONOSCEVANO
 *  APOSTOLICITÀ:   perché AVEVANO COME AUTORE DIRETTO O INDIRETTO UN APOSTOLO
 *  TRADIZIONALITÀ:     perché FACEVANO SU GESÙ UN DISCORSO CONFORME ALLA  TRADIZIONE ORALE
La più antica lista di libri "canonici" a noi giunta è il canone muratoriano, un documento di ignoto autore, compilato in un latino grossolano verso il 180 e scoperto nel 1740 da Ludovico Antonio Muratori nella biblioteca ambrosiana di Milano.
Al testo mancano alcune righe d'inizio. Si può tuttavia immaginare che parlasse dei vangeli secondo Matteo e secondo Marco, visto che presenta come terzo il vangelo secondo Luca. 
_ «... ai quali pure egli (Marco?) fu presente e così ha (es)posto. Il terzo libro dell’evangelo (è quello) secondo Luca. Questo medico, Luca, preso con sé da Paolo come esperto di diritto
(o esperto del viaggio, o della dottrina), lo compose dopo l’ascensione di Cristo secondo ciò che egli (Paolo) credeva. Neppure lui però vide il Signore in carne, e perciò cominciò a raccontare così come poteva ottenere (il materiale), dalla nascita di Giovanni.
Il quarto degli evangeli (è quello) di Giovanni, (uno) dei discepoli. Poiché i suoi condiscepoli e vescovi lo esortavano, disse: "Digiunate con me per tre giorni da oggi e ci racconteremo a vicenda ciò che ad ognuno verrà rivelato".
In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, (uno) degli apostoli, che Giovanni doveva mettere tutto per iscritto in nome proprio, mentre tutti (lo) avrebbero esaminato. E perciò, sebbene diversi princìpi siano insegnati nei singoli libri dei vangeli, ciò non costituisce però una differenza per la fede dei credenti, essendo tutte le cose spiegate dall’unico e normativo Spirito: ciò che riguarda nascita, passione, risurrezione, vita sociale con i suoi discepoli, la duplice venuta, dapprima, disprezzato nell’umiltà, che è già avvenuto, la seconda volta, illustre, con potere regale, che deve (ancora) avvenire. Che c’è di strano, dunque, se Giovanni tanto costantemente presenta anche nelle sue lettere delle particolarità, dato che dice di se stesso: "Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie e che le nostre mani hanno toccato, queste cose abbiamo scritto a voi" (1 Gv 1,1 ss.). Così non solo egli si professa testimone oculare ed auricolare, ma anche scrittore di tutte le cose mirabili del Signore, per ordine. I fatti poi di tutti gli Apostoli sono scritti in un unico libro. Luca raccoglie per l’ottimo Teofilo le singole cose che sono state fatte in presenza sua e lo fa vedere chiaramente omettendo la passione di Pietro e anche la partenza di Paolo dall’Urbe (= Roma), per la Spagna.
Le lettere di Paolo poi rivelano esse stesse, a chi vuol capire, da che località e in che circostanza sono state inviate. Prima di tutte ai Corinzi, vietando l’eresia dello scisma; poi ai Gálati (vietando) la circoncisione; poi ai Romani (spiega) esattamente l’ordine delle Scritture e che Cristo è il loro principio. Delle quali (lettere) è necessario che parliamo singolarmente. Lo stesso beato apostolo Paolo, in ciò seguendo la regola del suo predecessore Giovanni [cfr. sette lettere di Apoc cap. 2-3: si veda più avanti], scrive nominativamente a sole sette chiese in quest’ordine: ai Corinzi la prima (lettera), agli Efesini la seconda, ai Filippesi la terza, ai Colossesi la quarta, ai Gálati la quinta, ai Tessalonicesi la sesta, ai Romani la settima. Sebbene sia tornato a scrivere ai Corinzi e ai Tessalonicesi per correggerli, si vede che una sola chiesa è diffusa per tutta la terra. Perché anche Giovanni scrive nell’Apocalisse a sette chiese, ma parla a tutte. Ma una a Filémone e una a Tito e due a Timóteo (le scrisse) per affetto e amore. Sono ritenute sacre per l’onore della chiesa cattolica (= universale), per il regolamento della disciplina ecclesiale.
Circola anche una (lettera) ai Laodicesi, un’altra agli Alessandrini, falsificate col nome di Paolo dalla setta di Marcione, e molte altre cose che non possono essere accettate nella chiesa cattolica.
Non conviene che il fiele sia mescolato con il miele. Però una lettera di Giuda e due con la soprascritta "Di Giovanni" sono ricevute nella Chiesa cattolica, come pure la Sapienza scritta in onor suo dagli amici di Salomone.
Riceviamo anche le rivelazioni (Apocalisse) di Giovanni e di Pietro soltanto. Alcuni di noi però non vogliono che questa sia letta nella chiesa (= assemblea).
Il Pastore l’ha scritto poc’anzi, nella nostra città di Roma, Erma, mentre sedeva sulla cattedra della chiesa della città di Roma il vescovo Pio, suo fratello. Perciò conviene che sia letto, però non si può leggere pubblicamente nella chiesa al popolo, né tra i profeti il cui numero è completo, né tra gli apostoli della fine dei tempi».
- Dall’accenno al «poc’anzi» ed al vescovo di Roma Pio (Io) si stabilisce la data del 180 circa per questo documento.
- Dei 27 libri che formeranno poi il Nuovo Testamento, ne vengono citati 23. Non sono citate: una lettera di Giovanni, una di Giacomo, una di Pietro e la lettera agli Ebrei.
Le controversie sul canone 
Tra il III ed il V sec. abbiamo un periodo di dubbi e di discussioni sui libri che dovrebbero appartenere al canone.
DOCUMENTAZIONE
Una testimonianza di Eusebio di Cesarea, dell’anno 318 circa: 
 «Arrivati a questo punto, ci sembra ragionevole ricapitolare (la lista) degli scritti del Nuovo Testamento di cui abbiamo parlato. E, senza alcun dubbio, si deve collocare prima di tutto la santa tetrade (= quaterna), degli evangeli, cui segue il libro degli Atti degli Apostoli. Dopo questo, si debbono citare le lettere di Paolo, a seguito delle quali si deve collocare la prima attribuita a Giovanni e similmente la prima lettera di Pietro. A seguito di queste opere si sistemerà, se si vorrà, l’Apocalisse di Giovanni, su cui esporremo a suo tempo ciò che si pensa. E questo per i libri universalmente accettati.
Tra gli scritti contestati, ma tuttavia riconosciuti dalla maggior parte, c’è la lettera attribuita a Giacomo, quella di Giuda, la seconda lettera di Pietro e le lettere dette seconda e terza di Giovanni, che sono dell’evangelista o di un altro che porta lo stesso nome.
Tra gli apocrifi (lett.: bastardi, spuri), vengono anche collocati il libro degli Atti di Paolo, l’opera intitolata Il Pastore, l’Apocalisse di Pietro e dopo questi la lettera attribuita a Barnaba, i cosiddetti Insegnamenti degli Apostoli (Didaché), poi, come s’è già detto, l’Apocalisse di Giovanni, se si vuole. Qualcuno, come ho già detto, la rifiuta, ma altri la uniscono ai libri universalmente accettati.
Tra questi stessi libri alcuni hanno ancora collocato il Vangelo secondo gli Ebrei, che piace soprattutto a quegli Ebrei che hanno creduto a Cristo.
Pur stando così le cose per i libri contestati, tuttavia abbiamo giudicato necessario farne ugualmente la lista, separando i libri veri, autentici e accettati secondo la tradizione ecclesiastica, dagli altri che, a differenza di quelli, non sono testamentari (= vincolanti), e inoltre contestati, sebbene conosciuti, dalla maggior parte degli scrittori ecclesiastici; affinché possiamo distinguere questi stessi e quelli che, presso gli eretici, sono presentati sotto il nome degli apostoli, sia che si tratti dei vangeli di Pietro, di Tommaso e di Mattia o di altri ancora, o degli Atti di Andrea, di Giovanni o di altri apostoli. Assolutamente nessuno mai tra gli scrittori ecclesiastici ha ritenuto giusto di ritrovare i loro ricordi in una di queste opere.
D’altra parte, il carattere del discorso si allontana dallo stile apostolico; il pensiero e la dottrina che essi contengono sono talmente lontani dalla vera ortodossia da poter chiaramente provare che questi libri sono delle costruzioni di eretici. Perciò non si debbono neppure collocare tra gli apocrifi, ma si debbono rigettare come del tutto assurdi ed empi» (Storia Ecclesiastica, III, 25, 1-7).
-  Secondo questo testo, i libri del Nuovo Testamento non ricordati, discussi o rifiutati, sono la lettera agli Ebrei, le lettere di Giacomo e di Giuda, la 2a lettera di Pietro, la 2a e la 3a lettera di Giovanni e l'Apocalisse.
Le controversie sul canone si chiarirono notevolmente già verso la fine del IV secolo:
-   in oriente con la 39a lettera pasquale di Atanasio, vescovo di Alessandria (anno 367),
-   in occidente col sinodo di Roma del 382.
Vengono accettati come canonici 27 libri ritenuti di origine apostolica.
Alla fine del secolo V, con l'attenuarsi delle dispute cristologiche e trinitarie, i dubbi scomparvero, sia nelle Chiese latine, sia nelle Chiese greche. Perdurarono, invece, nelle Chiese della Siria, dove l'accordo si stabilì all'inizio del secolo VI, con la versione del Nuovo Testamento fatta da Filosseno. Da allora e fino al XV secolo non ci furono più controversie sul canone, e come avrete notato, e voi stessi potete approfondire, mai nessun protestante prese parte alla stesura del canone e, mai nessun protestante partecipò ai Concili nei quali furono stabilite le norme della fede cristiana, a cominciare dal Concilio di Gerusalemme. Tutti i dogmi cristiani furono stabiliti senza la partecipazione dei protestanti che non esistevano, ai concili non parteciparono nemmeno (come è ovvio) gli eretici di ogni tempo. Furono dunque stabiliti vari dogmi a cominciare dalla divinità di Gesù, la Santissima Trinità, l’enunciazione del Credo e via via tutti gli altri. E mai i protestanti ebbero a dire la loro nella stesura del canone biblico.
Lutero (sec. XVI) ha ripreso le discussioni, per i suoi motivi teologici, e il Concilio di Trento ha ribadito l'elenco tradizionale dei libri ufficiali.
Ritenere che (come faceva Lutero) la "norma di fede" sia la sola Scrittura (in particolare il Nuovo Testamento) senza la tradizione della Chiesa è un circolo vizioso e quindi un errore logico, perché la Bibbia non può fondare se stessa: non è infatti scritto nella Bibbia quali siano i libri della Bibbia.
Per il Nuovo Testamento, è solo la comunità cristiana che può stabilire quali libri sono conformi alla tradizione orale preesistente ai libri stessi.

Infatti il Cristianesimo è sorto verso gli anni 30, mentre i primi libri cristiani sorgono dopo il 50.
Quindi per almeno 20 anni il Cristianesimo esisteva già, mentre i libri neotestamentari non esistevano ancora. Dunque, il Cristianesimo non può fondarsi sui libri, ma sulla tradizione che poi è stata fissata negli scritti del Nuovo Testamento.
Ma come i protestanti motivano il loro rigetto dei libri deuterocanonici?
Quali sarebbero gli elementi che secondo loro provano la non attendibilità di tali libri?
Qui di seguito vi elenchiamo le presunte contraddizioni contenute in alcuni libri, che ne “inficiano” l’attendibilità o che ne proverebbero la mancarza di ispirazione divina. Peccato però che anche diversi versetti del Nuovo Testamento (accettato dai protestanti) sembrerebbero contraddirsi, o comunque non essere conformi sullo stesso argomento. Alla fine il lettore capirà il perché di queste apparenti contraddizioni, e se tali incongruenze menomano l’insegnamento biblico.
Le presunte contraddizioni contenute nei libri deuterocanonici
Risottolineando quindi che la Bibbia è Sacra e ispirata da Dio, ma che va letta considerando il suo insegnamento finale piuttosto che ogni singola parola, che talvolta può apparire contraddittoria proprio perché scritta da uomini che usavano la propria cultura, a volte limitata e, non dettata virgola per virgola da Dio, facciamo notare alcune apparenti contraddizioni che se intepretrate alla lettera possono fuorviare i meno preparati.
Questo paragrato è scritto dal fratello Massimo del sito MSN Difendere la Vera fede. 
“In qualche sito evangelico si leggono affermazioni di questo tipo:

“Noi Cristiani evangelici non riconosciamo i libri apocrifi come Parola di Dio (e difatti nella nostra Bibbia non ci sono) per le seguenti ragioni:”

“(Nota: ora vengono elencati i quattro motivi per i quali alcuni libri sono stati tolti dal canone. Il fatto che non ne vengano evidenziati altri sta a significare che i motivi sono solo questi. Partendo da questo presupposto noi ci aspetteremmo di trovare una uniformità di giudizi su tutti libri.
Mi spiego con un esempio: se un libro viene escluso perché contiene delle evidenti contraddizioni, allora tutti i libri che contengono contraddizioni  (nota del fratello Massimo del sito Difendere…)
dovrebbero essere esclusi. Se questo non viene fatto allora significa che il motivo era in realtà un FALSO motivo, un pretesto diciamo. 
Chiarito questo punto  proseguiamo con il testo e con le motivazioni in esso contenute.”

Essi sono pieni di contraddizioni (reali e non apparenti), di falsi insegnamenti e di errori.

Né Gesù Cristo e neppure gli apostoli fecero mai riferimento a questi libri apocrifi.

Gli Ebrei prima e poi anche i Cristiani dei primi secoli dopo Cristo non li riconobbero mai come canonici

Infine, ciò che più importa è che lo Spirito Santo, che Gesù definì lo Spirito della verità, non attesta per nulla in noi figliuoli di Dio che gli apocrifi sono Parola di Dio perché ci fa sentire in maniera inequivocabile che essi non devono essere accettati.

Partiamo dal primo: 
“Essi sono pieni di contraddizioni (reali e non apparenti), di falsi insegnamenti e di errori

Partiamo da questo primo punto e utilizziamo l’esempio fatto dall’autore del testo che ci spiega cosa intende per contraddizione:

“Sempre in questo libro  (si sta parlando del secondo libro dei Maccabei,ndr) troviamo una menzogna che consiste in questo: lo scrittore dice che il profeta Geremia se ne andò al monte dove Mosè era salito per vedere la terra promessa e presso questo monte in una caverna nascose il tabernacolo e l'arca e l'altare dei profumi, e poiché aveva detto ad alcuni che il luogo sarebbe rimasto ignoto fino a quando Dio avrebbe riunito nuovamente il suo popolo. Infatti in quel tempo Dio avrebbe rivelato dove erano quegli oggetti sacri (cfr. 2 Maccabei 2:1-8).

Ma le cose ‘non possono essere vere’ perché nel libro del profeta Geremia è scritto che all'arca del patto dell'Eterno non vi si sarebbe più pensato quando Dio li avrebbe ricondotti in Sion infatti è scritto: "E vi ricondurrò a Sion; e vi darò dei pastori secondo il mio cuore, che vi pasceranno con conoscenza e con intelligenza. E quando sarete moltiplicati e avrete fruttato nel paese, allora, dice l'Eterno, non si dirà più: ‘L'arca del patto dell'Eterno!' non vi si penserà più, non la si menzionerà più, non la si rimpiangerà più, non se ne farà un'altra" (Ger. 3:14-16). 
Come potete vedere anche questa aperta contraddizione fa capire come questo libro non può essere ispirato da Dio.” (fin qui l’autore del libro protestante)

Quindi (ora risponde il fratello Massimo, cattolico) da questo esempio deduciamo (o meglio deducono i protestanti) che, se due libri si contraddicono a vicenda, uno dei due è sicuramente non ispirato. 

Adesso confrontiamo questi testi:

2 Cronache  - 1 Re

In 2 Cr 17,6 si legge che il re Giosafat eliminò le alture e i pali sacri di Giuda.

In 1 Re 22,43-44 si dice che Giosafat non eliminò le alture.

Qui non c’è possibilità di mediazione: o Giosafat eliminò le alture o non le eliminò. 

Quindi uno dei due libri dice chiaramente il falso e dovrebbe (secondo la teoria appena esposta dal fratello protestante) essere eliminato dal canone. Eppure i protestanti li considerano entrambi ispirati. 

Gen 7,11 “nell’anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono.”
Confrontato con Gen 8,13 “L’anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque si erano prosciugate sulla terra; Noè tolse la copertura dell’arca ed ecco la superficie del suolo era asciutta. Nel secondo mese, il ventisette del mese, tutta la terra fu asciutta.”

Tutti sappiamo che il diluvio durò 40 giorni e 40 notti, come si può leggere anche nei versetti che vanno dal capitoli 7 e 8 di Genesi, perché allora dai versetti riportati qui sopra si parla di un intero anno? Quando cominciò il diluvio Noè aveva seicento anni, e quando finì ne ebbe seicentouno!


Perché?

Altro metro di giudizio: se uno stesso libro contiene al suo interno delle palesi contraddizioni non può essere ispirato.

Leggiamo qualche altro esempio scritto dai fratelli protestanti:

“Altra contraddizione che fa di 1° e 2° Maccabei dei libri inaffidabili è la descrizione della morte di Antioco Epifane che è riportata in tre maniere completamente diverse l'una dall'altra.
Difatti in un passo è scritto: "Al sentire tali notizie, il Re restò abbattuto e, preso da profonda agitazione, si gettò sul letto, e s'ammalò per la gran tristezza, perché le cose non erano andate secondo i suoi desideri. Egli rimase così per molti giorni, e siccome la sua tristezza andava crescendo, si sentì vicino a morire" (Bibbia di Gerusalemme Ed. 1971, 1 Maccabei 6:8,9 e più avanti si dice che morì); 
in un altro passo si dice che lo stesso Re morì lapidato in Persia nel tempio della dea Nanea infatti troviamo scritto che i sacerdoti di Nanea "massacrarono il condottiero e i suoi compagni a sassate, tagliarono loro le membra e la testa" (ibid., 2 Maccabei 1:16); 
ed infine in un altro passo troviamo scritto che morì roso dai vermi ad Ecbatana perché Dio lo colpì con una piaga (ibid., cfr. 2 Maccabei 9:1-28). 

In questo libro ci sono evidenti contraddizioni e quindi non può essere considerato  ispirato, almeno secondo l’ottica evangelica e protestante.”

Vediamo il Libro della Genesi:

Ci sono due racconti della creazione che si contraddicono l’uno con l’altro. 
Il primo comincia con Gn 1,1 e finisce con Gn 2,4. Il secondo inizia con Gn 2,4 e finisce con Gn 2,24. 

Nel racconto del diluvio universale, Dio “si contraddice” dapprima ordinando a Noè di far salire sull’arca due animali della stessa specie, maschio e femmina. (Gn 6,19). Ma subito dopo ordina di farne salire sette coppie di animali mondi e solo una coppia di animali immondi. (Gn 7,2-3)

Le contraddizioni sono evidentissime e quindi il libro non dovrebbe essere considerato come ispirato.  Ma il libro della Genesi fa parte del canone accettato dagli evangelici e dai protestanti. 

Perché?

La conclusione  credo che sia molto semplice. Lo stesso silenzio di molti evangelici conferma che queste motivazioni portate dagli studiosi protestanti per sostenere l'eliminazione dal Canone dei libri che loro ritengono apocrifi non ha basi scritturali.”
 1.      Nel libro di Ester è scritto: "Il re era assiso sul trono reale nella casa reale, di faccia alla porta della casa. E come il re ebbe veduta la regina Ester in piedi nel cortile, ella si guadagnò la sua grazia; e il re stese verso Ester lo scettro d’oro che teneva in mano; ed Ester s’appressò, e toccò la punta dello scettro. Allora il re le disse: Che hai regina Ester? che domandi? Quand’anche tu chiedessi la metà del regno, ti sarà data" (Ester 5:1-3). Nelle aggiunte deuterocanoniche fatte a questo libro troviamo scritto, a proposito dello stesso episodio, queste parole: "Varcate tutte le porte, si presentò davanti al re, che stava assiso sul suo trono, rivestito di tutti gli ornamenti della sua maestà, fulgente d’oro e di pietre preziose: il suo aspetto era imponente. Or, appena egli ebbe alzato il capo scintillante di splendore, e lanciato uno sguardo ardente di collera, la regina cambiò colore, svenne e si appoggiò sulla spalla della damigella che l’accompagnava"  (Ester 5: 9-10). 
Se si leggono attentamente i due testi si può notare come la descrizione fatta nella parte deuterocanonica non contrasti con quella fornita dal testo greco ma integri, completi ed arricchisca la descrizione più sintetica fornita dal testo ebraico.
2.      Il libro di Tobia non è pieno di favole e di menzogne come affermano molti di quelli che lo hanno escluso dal canone. Il fatto che l'angelo Raffaele risponda a Tobia : ‘Io sono Azaria, figlio di Anania il grande, uno dei tuoi fratelli’ (Tobia 5:4-13) non è un crimine orrendo o una perfida menzogna. 
Non si deve esagerare con il moralismo e non si può considerare il comportamento dell'angelo più deplorevole di quello di Raab la meretrice quando salvò le spie ebree (Giosué 2-7) o di quello di Giacobbe quando carpì la benedizione del padre (Genesi 27)
3.      Non ci sembra carico di superstizione l'episodio in cui Tobia fu consigliato dall'angelo sulle virtù terapeutiche del cuore, del fegato e del fiele di un pesce (Tobia 6:8). 
Che dire dell'episodio dell'angelo della piscina di Betzaeda (Giovanni 5,4)? Che dire del fango applicato dallo stesso Gesù Cristo sugli occhi del cieco nato (Giovanni 9:6)?  Si trattava anche in questo caso di vane superstizioni? Non erano invece miracoli potenti operati mediante materia visibile, segni, gesti e parole?
4.      Nel libro di Giuditta si fa risalire la storia di questa donna a poco dopo il rientro dei Giudei dalla cattività babilonese e in un passo viene detto: "I figli d’Israele, che abitavano in Giudea, venuti a sapere quello che Oloferne, generale in capo di Nabucodonosor, re d’Assiria, aveva fatto a quei popoli, e come avesse spogliato i loro santuari e li avesse distrutti, temettero grandemente al vederselo davanti e si sentirono angosciati per Gerusalemme e per il tempio del Signore loro Dio, perché da poco avevano fatto ritorno dalla schiavitù ed era cosa recente la riunificazione di tutto il popolo della Giudea, la purificazione dei vasi sacri e del Tempio, che era stato profanato" (Giuditta 4:1-3). 
In queste poche parole non ci sono menzogne ma solo l'uso improprio del nome di Nabucodonosor, probabilmente impiegato erroneamente al posto di Seleuco I Nicatore o di Antioco I Sotere (re dei Seleucidi ed eredi dell'impero assiro-babilonese). Anche nel Nuovo Testamento non viene forse attribuita a Geremia una profezia di Zaccaria (Matteo 27,9)?
5.      Lo scrittore del secondo libro dei Maccabei termina con queste parole: "Se la disposizione della materia è stata buona e come si conviene alla storia, é quello che ho desiderato. Se poi é mediocre e di scarso valore, é quanto ho potuto fare" (2 Maccabei 15:38). 
È vero che uno scrittore ispirato da Dio non avrebbe mai scritto parole simili sul contenuto e sulla attendibilità di un libro ispirato: avrebbe però potuto scriverle riguardo all'esposizione e alla forma. Non dice forse la Bibbia che lo stesso Mosé era lento nel parlare ed impacciato di bocca e di lingua (Esodo 4:10)? Dobbiamo forse concludere che lo Spirito Santo lo abbandonava quando parlava?
6.      Sempre nel secondo libro dei Maccabei lo scrittore dice che il profeta Geremia se ne andò al monte dove Mosè era salito per vedere la terra promessa e presso questo monte, in una caverna, nascose il tabernacolo e l’arca e l’altare dei profumi: il luogo sarebbe rimasto ignoto fino a quando Dio avrebbe riunito nuovamente il suo popolo (2 Maccabei 2: 1-8). 
Ciò non contrasta affatto con il libro del profeta Geremia dove è scritto che all’arca del patto dell’Eterno non si sarebbe più pensato (Geremia 3:14-16). L'arca dell'alleanza ricomparve, infatti, in cielo (Apocalisse 11:19) dopo che due popoli (Giudei e Gentili) vennero raccolti nella stessa chiesa (Efesini 2:14)
7.      Altra contraddizione a cui fanno spesso riferimento coloro che negano l'ispirazione dei libri deuterocanonici è la descrizione della morte di Antioco Epifane che è riportata in tre modi completamente diversi. In un passo è infatti scritto: "Al sentire tali notizie, il re restò abbattuto e, preso da profonda agitazione, si gettò sul letto, e s’ammalò per la gran tristezza, perché le cose non erano andate secondo i suoi desideri. Egli rimase così per molti giorni, e siccome la sua tristezza andava crescendo, si sentì vicino a morire" (1 Maccabei 6:8,9). In un altro passo si dice che lo stesso re morì lapidato in Persia nel tempio della dea Nanea: troviamo infatti scritto che i sacerdoti di Nanea "massacrarono il condottiero e i suoi compagni a sassate, tagliarono loro le membra e la testa" (2 Maccabei 1:16). In un altro passo infine troviamo scritto che Antioco Epifane "morì roso dai vermi ad Ecbatana perché Dio lo colpì con una piaga" (2 Maccabei 9:1-28). 
Evidentemente le informazioni in possesso ed in circolazione erano molte ed è probabile che alla stesura dei libri dei Maccabei abbiano contribuito più autori. Non ci sembra però così grave che essi non abbiano controllato meticolosamente gli avvenimenti legati alla morte di Antioco IV. Del resto anche nel Nuovo Testamento non furono talora citate fonti non ispirate (Libro di Enoch ed Assunzione di Mosé) in perfetta buona fede (Lettera di Giuda)? 
A ben guardare (e a rigor di logica) la malattia e l'omicidio di Antioco IV Epifane non sono poi totalmente incompatibili, né un castigo esclude per forza l'altro. Nel Nuovo Testamento non viene forse detto che Giuda morì per impiccagione (Matteo 27,5) ma anche che egli si precipitò in avanti, si squarciò in mezzo e le sue viscere si sparsero tutto intorno (Atti 1,18)? Agli scettici, ai critici ed agli agnostici le due descrizioni possono sembrare antistoriche e contraddittorie.  Si può però legittimamente pensare che la corda non abbia retto il peso dell'impiccato e che il corpo di Giuda sia veramente precipitato, squarciandosi in modo orribile.

Nella Bibbia è importante il nocciolo dell’insegnamento, non lo stile letterario o la presenza di alcune contraddizioni. L’insegnamento salvifico di base non si contraddice mai. Ma anche nei libri canonici troviamo delle apparenti contraddizioni e/o piccoli errori, che sicuramente sono per mano dell’agiografo, che a differenza di quanto credono molti protestanti non apprendeva parola per parola da Dio, la Parola gli veniva ispirata, non dettata. E’ normale che anche l’agiografo dava una sua impronta al libro che scriveva, è comprensibile quindi qualche piccolo errore riscontrabile in diversi Libri Sacri, Vangeli compresi. Eccone altri esempi:

Nella genealogia di Gesù Matteo enumera soltanto 42 antenati, Luca ne ha ben 56. Per giunta i nomi delle due liste ora coincidono e ora no. E quando coincidono il problema è ancora più “grave”, perché Luca risale addirittura ad Adamo, mentre Matteo parte da Abramo. Chiariamo subito che nessuno studioso cristiano, anche tra i più tradizionali, tenterebbe di dimostrare che quelle “genealogie”sono da valutare secondo il nostro concetto di storia. Esse hanno una funzione letteraria, simbolica e, soprattutto, teologica. Ci guarderemo bene dal tentativo di dimostrare che sono “vere” nel senso storico attuale. Qui si vuole solo indicare quale tipo di logica usino coloro che vorrebbero estromettere i 7 libri deuterocanoci dalla Bibbia ufficiale.
Ma Matteo compie qualcosa di assolutamente inconcepibile per la cultura ebraica. Matteo cioè, spezza intenzionalmente l’armonia della sua lista di antenati, introducendo in questa lunga serie di nomi maschili, quattro nomi di donne, più quello di Maria. 
Un’assurdità: per gli ebrei la donna non contava nelle genealogie; quindi, quella costruita in questo modo per Gesù era invalidata. Creatura da guardare con diffidenza, tanto spesso considerata “impura”, la femmina con il suo solo nome creava un’aria poco chiara, comunque del tutto fuori luogo in una genealogia che vorrebbe essere solonessima. Ma lo scandalo diventa intollerabile per il pio israelita se si va a vedere a chi corrispondano quei quattro nomi di donne tratti dalle antiche scritture di Israele. Sono Tamar, la nuora di Giuda figlio di Giacobbe, che si prostituì a lui; Raab, una meretrice di Gerico che tradì la sua città; Rut, una pagana (già grosso titolo di colpa in Israele) che si offrì a Booz e lo costrinse a sposarla; la moglie di Uria, cioè Betsabea, l’adultera che divenne amante di Davide, che per lei uccise a tradimento il marito che lo aveva fedelmente servito. Infine, si parla di Maria, la madre di Gesù.

E ancora:
I ciechi guariti a Gerico non erano uno solo (Mc 10,46), ma due (Mt 20,30), come anche gli angeli apparsi al sepolcro di Gesù (Mt 28,2.5; Lc 24,4); la promessa che Gesù risorto si sarebbe manifestato ai discepoli in Galilea non esclude, ma solo astrae dalle altre apparizioni in Gerusalemme (cf Mt 26,32; 28,7-9 e paralleli).
Mt 4,18-20 “Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono”

Giov 1,40-42 “Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».”

Il messaggio salvifico dei due Vangeli è ugualmente efficace, non viene compromesso da un’imprecisione letteraria di poco conto, ma i fratelli protestanti che amano capire alla lettera, dovrebbero intendere che in casi simili il fedele senza adeguate spiegazioni incontra parecchie difficoltà di comprensione. Come spiegano queste contraddizioni, se come dicono loro ogni parola dei Libri Sacri è stata scritta da Dio? Quindi o si afferma che anche Dio può sbagliare, oppure si ammette che scrivere sotto ispirazione divina non significa “sotto dettatura”. Cioè la mano umana dell’agiografo che interviene può commettere errori, e inserire palesi contraddizioni, senza tuttavia compromettere il valore salvifico del Messaggio Evangelico.

Mc 1,16-17 “Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”

Lc 5,10 Gesù disse a Simone: “«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.”

Ma i fratelli separati hanno mai fatto caso che ognuno dei quattro evangelisti raccontano l’accaduto in maniera differente? Prima di commentare superficialmente le contraddizioni dei libri
Deuterocanonici, non sarebbe meglio riflettere bene anche sugli altri Libri, e valutarne il nocciolo del significato, piuttosto che estrapolare solo alcuni piccoli errori per dimostrare tesi fantasiose?
Oppure più sorprendente ancora: il cosiddetto “discorso della montagna” è tale soltanto per Matteo cap. 5 <>. Per Luca, quello stesso sermone è stato tenuto in pianura. Cap.6: <>.

Qualcuno accusa che nel libro di Tobia, il malato guarisce per l’applicazione di fiele, fegato di pesce ecc., ma costoro hanno mai letto altri passi nella loro stessa Bibbia come ad esempio quello di Isaia 38,21? Proprio oggi (anno 2005), leggendo Famiglia Cristiana, nella quale seguo con interesse le rubriche di padre Raniero Cantalamessa e di Gianfranco Ravasi, il Signore mi ha fatto riflettere sul brano citato proprio da Ravasi, cioè Isaia cap. 38, dove Ezechia guarisce dietro applicazioni di fichi infatti leggiamo al versetto 21: "Isaia disse: "Si prenda un impiastro di fichi e si applichi sulla ferita, così guarirà». 
Come vedete cari fratelli anche nei libri canonici troviamo segni e/o, usati per guarire.

“Il  Libro di Tobia è sicuramente il più maltrattato. Le accuse sono essenzialmente due:
- l’angelo ha mentito sul suo nome e un inviato da Dio non può mentire perché significherebbe che Dio stesse mente.
- L’angelo ha insegnato a Tobi una magia

Un inviato di Dio non può mentire.
Nell' AT ci sono molti esempi di persone che mentono o tradiscono per far sì che il proposito di Dio venga attuato. Citiamo Raab,Giuditta e le levatrici egiziane che mentono al faraone per salvare i figli degli ebrei prigionieri. Anche se la Bibbia stessa ci dice che queste persone sono benedette da Dio per gli evangelici questo non conta. Non conta ciò che Dio ha fatto, conta ciò che loro pensano. E' l'applicazione del metodo cui ho accennato in precedenza. Si parte dal presupposto che una cosa è sbagliata e se ne cercano le prove. 
Leggiamo allora quanto succede in questo episodio:  Michea disse: “Per questo, ascolta la parola del Signore. Io ho visto il Signore seduto sul trono; tutto l’esercito del cielo gli stava intorno, a destra e a sinistra.  Il Signore ha domandato: Chi ingannerà Acab perché muova contro Ramot di Gàlaad e vi perisca? Chi ha risposto in un modo e chi in un altro.  Si è fatto avanti uno spirito che - postosi davanti al Signore - ha detto: Lo ingannerò io. Il Signore gli ha domandato: Come?  Ha risposto: Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti. Quegli ha detto: Lo ingannerai senz’altro; ci riuscirai; và e fà così.  Ecco, dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti; ma il Signore a tuo riguardo preannunzia una sciagura”. 1 Re 22,19-22

L’episodio mostra Dio seduto sul Suo trono e gli angeli (l’esercito del cielo) che stanno ai suoi lati. Uno di essi ( è sicuramente un angelo perché in precedenza non si è detto che vi fossero altri oltre a loro) si offre volontario per ingannare Acab e Dio lo invia ad ingannare i Suoi profeti (i profeti sono coloro che parlano a nome di Dio) che a seguito di questo intervento dicono menzogne. 

Un angelo è inviato ad ingannare coloro che devono parlare a nome di Dio. Come risultato i profeti (profeta è colui che parla  a nome di Dio) profetizzano falsità. Cosa facciamo? Perché non consideriamo apocrifo anche il Primo Libro dei Re?

Vediamo anche quello che fa il profeta Natan con Davide:
ll Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: “Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero.  Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero;  ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia.  Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui”.  Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte.  Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà”.  Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! (2 Sam 12,1-7)

L’episodio è molto conosciuto: Davide si era invaghito di Betsabea che però era sposata con Hurìa che era il comandante dei mercenari Ittiti. Davide avrebbe potuto avere Betsabea semplicemente perché lui era il re ma temeva l’ovvia reazione di Hurìa che avrebbe potuto schierarsi con i nemici di Israele. Allora progettò un piano per far sì che Hurìa rimanesse ucciso in battaglia. Un omicidio, insomma. Il piano di Davide funzionò e così lui potè avere Betsabea senza complicazioni spiacevoli. Ma Dio gli mandò il profeta Natan che gli racconta una storia inventata (una menzogna infatti è sempre inventata) per costringere Davide a prendere coscienza del suo peccato. Anche qui Dio manda un suo messaggero, in questo caso un profeta, per fargli raccontare una menzogna. Cosa facciamo? Perché non consideriamo apocrifo anche il Secondo Libro di Samuele. 

Veniamo ai Vangeli e troviamo questo esempio:
[Gesù] Disse ancora: “Un uomo aveva due figli.  ( Lc 15,11 e seg.)
Ci fermiamo qui perché la parabola del figliol prodigo (o del padre misericordioso, se volete) è troppo conosciuta per essere riportata per intero. 

Un momento.. ho detto “parabola”? Da nessuna parte c’è scritto che Gesù abbia detto ai suoi ascoltatori che si trattava di una parabola. Se prendiamo il testo alla lettera dobbiamo per forza di cose pensare che Gesù abbia ingannato la gente riportando come reale un avvenimento inventato. Cosa facciamo? Consideriamo apocrifo anche il Vangelo di S. Luca?
Certo, si potrebbe obiettare che comunque gli ascoltatori di Gesù erano in grado di riconoscere una parabola da un racconto reale. 

Del resto anche noi siamo in grado di discernere se un racconto è simbolico o effettivamente avvenuto. 
Se io dicessi “Il Grillo Parlante mi ha detto…” la sola presenza di questo personaggio della letteratura per ragazzi è un segnale che quello che sto per dire non è un racconto reale.
E allora è bene che si sappia che anche il Libro di Tobia è una parabola, solo che è più lunga.
Per capire meglio, leggiamo attentamente alcuni versetti del Libro di Tobia

Gli successe allora il figlio Assarhaddon. Egli nominò Achikar, figlio di mio fratelloAnael, incaricato della contabilità del regno ed ebbe la direzione generale degli affari. Allora Achikar prese a cuore la mia causa e potei così ritornare a Ninive. Al tempo di Sennàcherib re degli Assiri, Achikar era stato gran coppiere, ministro della giustizia, amministratore e sovrintendente della contabilità e Assarhaddon l’aveva mantenuto in carica. Egli era mio nipote e uno della mia parentela.  (Tb 1,21-22)
Notato nulla? Ovviamente no, ma questo è dovuto al fatto che noi abbiamo una scarsa cultura semitica. In effetti si dice che Tobia era zio di Achikar. Bene, il personaggio di Achikar era ben conosciuto in ambinte semitico. Ho detto “personaggio” perché la sua figura era paragonabile a quella di Aladino, di don Chisciotte o… del Grillo Parlante, quindi un personaggio simbolico, di fantasia.
Quindi un ebreo che leggeva questo Libro sapeva che si trovava di fronte ad un parabola (che era un metodo di insegnamento ben conosciuto dai rabbini) solo che era più lunga. Quindi così come era una parabola quella del Figliol Prodigo, così era una parabola la storia di Tobia. 

In quest'ottica (una parabola è un racconto che contiene degli insegnamenti) leggiamo i versetti che spingono alcuni ad affermare che l'angelo ha mentito sulla sua identità.:

In quel medesimo momento la preghiera di tutti e due fu accolta davanti alla gloria di Dio e fu mandato Raffaele a guarire i due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio; a dare Sara, figlia di Raguele, in sposa a Tobia, figlio di Tobi, e a liberarla dal cattivo demonio Asmodeo. Di diritto, infatti, spettava a Tobia di sposarla, prima che a tutti gli altri pretendenti. Proprio allora Tobi rientrava dal cortile in casa e Sara, figlia di Raguele, stava scendendo dalla camera. (Tb 3,16,17)

Rispose: “Sono Azaria, figlio di Anania il grande, uno dei tuoi fratelli”.(Tb 5,13)

Partendo dalla certezza che si tratti di una parabola, vediamo che i nomi citati dall'angelo significano “Yavè aiuta”, “Yahvè è misericordioso”, “Yavè ascolta” e quindi comprendiamo l’insegnamento che tutto il racconto ci vuole dare.

L’angelo insegna una magia

Ora vediamo invece alla seconda accusa, quella secondo la quale l’angelo Raffaele avrebbe insegnato una magia usando il cuore e il fegato di un pesce.
Anche Gesù ha adottato un comportamento simile.

Passando vide un uomo cieco dalla nascita  e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? ”.  Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.  Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.  Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”.  Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco  e gli disse: “Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. (Gv 9,1-7)

Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.  Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa? ”. Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”.  Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. (Mc  7,31-35)

In questi due episodi Gesù ha utilizzato terra, acqua, fango e saliva per curare due ciechi quando avrebbe potuto guarirli semplicemente volendolo. Si è comportato nè più nè meno come l’angelo Raffaele. E non ha motivo di essere neppure l’eventuale obiezione che nel primo caso si trattava di un angelo e nel secondo di Gesù Cristo perché questa sarebbe addirittura un’aggravante. 
Cosa facciamo, allora? Consideriamo apocrifi anche il Vangelo di San Marco e il Vangelo di San Giovanni?
  
Un altro Libro considerato apocrifo è quello di Giuditta. Il motivo? Al cap 4 si legge il nome di Nabucodonosor quando probabilmente avrebbero dovuto esserci i nomi di Seleuco Nicatore oppure di Antioco.
Leggiamo però  questi versetti: 

Un giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe  I farisei gli dissero: “Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso? ”.  Ma egli rispose loro: “Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell’offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni? ”. (Mc 2,23-26)

Mi dispiace ma qui c'è un “errore”, non era Abiatar ma Achimelec (1Sam 21,1-2)
Un “grave errore”, sicuramente più grave della confusione fra Nabuccodonosor e altri re, che sicuramente costituirebbe un ulteriore motivo per considerare apocrifo il Vangelo di San Marco!

Vediamo invece un’accusa rivolta al Secondo Libro dei Maccabei. L’accusa parte dai versetti finali:

Se la disposizione dei fatti è riuscita scritta bene e ben composta, era quello che volevo; se invece è riuscita di poco valore e mediocre, questo solo ho potuto fare. Come il bere solo vino e anche il bere solo acqua è dannoso e viceversa come il vino mescolato con acqua è amabile e procura un delizioso piacere, così l’arte di ben disporre l’argomento delizia gli orecchi di coloro a cui capita di leggere la composizione. E qui sia la fine

Queste frasi non significano, ovviamente, che i fatti sono stati scritti in maniera mediocre. Significa semplicemente che l’autore ha fatto del suo meglio per descrivere ciò che è successo. Inoltre l’ eventuale mediocrità non va a toccare il contenuto ma soltanto “la disposizione dei fatti”. Almeno questo è quanto afferma l’autore.

C’è molta differenza con l’inizio del Vangelo di San Luca?: 

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto

In pratica no, in quanto anche l’evangelista dice di essersi impegnato in ricerche il più possibile accurate. Non si parla di Spirito Santo né di interventi divini. Si parla solo di uno sforzo umano. E’ riuscito sempre alla perfezione? Leggiamo questo passo:

Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”.
Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.
Ma il tetrarca Erode, biasimato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le scelleratezze che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa:
fece rinchiudere Giovanni in prigione.
Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.
(Lc 3,15-21)

Solitamente quando si legge questa pericope sfugge un’ incongruenza: Gesù viene battezzato nel Giordano da Giovanni dopo che quest’ultimo è stato arrestato.” (cfr, Massimo dal sito Difendere la vera Fede)

Si può realmente parlare di contraddizioni, o piuttosto bisogna approfondire per meglio capire le verità nascoste nel testo biblico. Il significato più profondo di certi versetti emerge con una adeguata conoscenza biblica, e quasi mai ad una prima lettura. Per cui il citare alcune incongruenze nei 7 libri deuterocanonici, porta il lettore fuori strada, in quanto abbiamo visto che anche nei libri canonici e nei Vangeli esistono delle incongruenze, dovute sicuramente alla mano umano, e non a quella divina, ciò non toglie nulla al nocciolo e al valore del messaggio salvifico.

Le prime obiezioni sulle discordanze evangeliche spuntano già verso la metà del secondo secolo, quando la tradizione su Gesù stava consolidandosi definitivamente e non era ancora stabilito il “canone”, cioè l’elenco dei testi ufficiali del Nuovo Testamento. Perché, di fronte a quelle obiezioni, discordanze e mancate coincidenze dei quattro vangeli che la Chiesa scelse proprio in quegli anni come “ispirati” tra molti concorrenti non sono prontamente appianate? La Chiesa poteva benissimo togliere qualche contraddizione di troppo, per rendere i testi meno contestabili dagli eretici e dagli stessi ebrei, eppure non hanno voluto “aggiustare” nulla. Questo prova che contro ogni logica umana e letteraria quei testi non andavano toccati, così come scritti, da chi aveva visto o sentito (anche per via indiretta Marco e Luca) il Signore.
Ecco perché ad esempio la Chiesa rifiuta il vangelo di Pietro, un’apocrifo –di quelli veri- che toglieva appunto le tante contraddizioni dei vangeli addomesticandone le righe e aggiungendone altre più spettacolari.
“L’assurdità (da parte della Chiesa) di presentarsi al giudizio del mondo con testi che si prestano all’immediata obiezione degli avversari può spiegarsi soltanto se si ammette che all’inzio c’è un messaggio che non è manipolabile a piacere dalla comunità primitiva, come pensano invece critici e mitologi. La comunità appare anzi impegnata ad accertare al meglio quanto sia veramente successo. A raccogliere, predicare, conservare per quanto possibile intatto il messaggio ” (cfr Ipotesi su Gesù, Messori)
Abbiamo dimostrato che le accuse protestanti verso le presunte inesattezze e contraddizioni presenti sui libri deuterocanonici cadono alla luce di tante altre che si trovano nei libri canoni, rafforzando l’incoraggiamento a capire il nocciolo della questione, cioè la linea ininterrotta del disegno salvifico di Dio, piuttosto che aggrapparsi ad ogni singola frase, cioè capire l’insegnamento della Bibbia, il messaggio in essa contenuto, tenendo conto che la Bibbia non è stata scritta dal dito di Dio, ma da uomini ispirati, ai quali non venivano dettati gli insegnamenti divini, ma suggeriti nei loro cuori. Ognuno degli agiografi scriveva secondo la sua cultura personale, secondo il proprio stile, e secondo il proprio scopo, quindi gli errori che troviamo anche nei libri canonici sono da imputare agli uomini e non a Dio. Ma al dil là di ogni ragionevole dubbio resta inamovibile il messaggio che attravesa tutta la Bibbia, cioè l’infinito amore di Dio per l’uomo, e la sua infinita misericordia. Dio vuole salvare l’uomo perché gli è Padre.


La trasmissione del testo del N.T.

Passiamo ora a rispondere ad altri interrogativi che scaturiscono da una attenta critica biblica.
Come ha fatto il Nuovo Testamento ad arrivare fino a noi, integro e non manomesso da eretici?
Qui di seguito citiamo una ampia parte tratta dal sito il www.ilMurialdo.it

Sicurezza di possedere il testo originario 
Poiché i testi originali del Nuovo Testamento sono andati persi, per ricostruire il testo, ricorriamo ai manoscritti antichi.
Sono più di 5200, prodotti tra il II e il XV secolo.
Considerazioni sui manoscritti
In base al materiale da cui sono formati, i manoscritti possono essere papiri o pergamene.
-     I papiri del Nuovo Testamento sono i documenti più antichi che possediamo (ne abbiamo alcuni del III sec. ed uno del II) e, quantunque non siano completi, sono tuttavia testimoni molto importanti del testo, a causa della loro antichità.

Attualmente ne esistono 72 e vengono classificati con la sigla P n.
Tra essi i più importanti sono:
P52  papiro Rylands dell'anno 125 circa, contenente Gv 18,31b-33a sul recto, e 37b-38 sul verso, si trova a Manchester.
P45, P46, P47  papiri di Chester Beatty del III secolo 1, contenenti insieme quasi tutto il Nuovo Testamento.
Si trovano a Dublino.
Le pergamene (il nome deriva dalla città di Pergamo nella Misia-Turchia) sono pelli di pecora o di capra trattate. Sono molto resistenti e perciò si prestano bene per la stesura di documenti importanti, destinati a durare nel tempo. I libri scritti su pergamena si chiamano CODICI.

I più importanti sono:
B: codice Vaticano del IV-V secolo, quasi completo (Roma)
S: codice Sinaitico del secolo IV-V, completo (Londra).
A: codice Alessandrino del V secolo, quasi completo (Londra).
C: codice di Efrem, palinsesto del V secolo, quasi completo (Parigi).
D: codice di Beza del V-VI secolo; ha vangeli e Atti (Cambridge).
F: codice di Koridethi del IX secolo, completo (Tiflis).
La ricostruzione del testo originale del N.T.
Poiché il testo originale del N.T. è andato perso, per ricostruirlo ci serviamo dei seguenti documenti:
      a)   le copie del testo greco originale
Sono lo strumento principale per la ricostruzione del testo. Ognuna è ricavata da un manoscritto più antico.
Si noti che ogni manoscritto è un’entità autonoma, dipendente da un modello, che però non viene riprodotto fedelmente. Di solito il copista, quando non abbia la tendenza ad introdurre correzioni volontarie, introduce nella copia degli errori dovuti a distrazione o fraintendimento del modello («errore progressivo»).
A volte, per creare il manoscritto, lo scrivano si è servito di due o più manoscritti precedenti, confrontandoli fra di loro (collazione).
A volte in fondo al manoscritto troviamo il colofone: è una frase che contiene informazioni sull’editore, sul luogo e sull’anno in cui la copia è stata fatta, e sui manoscritti «predecessori» da cui essa deriva (una sorta di genealogia della copia).
  b)   le versioni antiche
Del Nuovo Testamento greco possediamo anche versioni in lingue antiche.
Tra le molte conservate, ricordiamo:
-
la siriaca, detta «Peshitta», del II secolo
-
le versioni copte del II secolo
-
la Vetus Latina del 150 circa
- la Vulgata fatta da Gerolamo verso il 400 in latino.

Poiché gli antichi traducevano alla lettera, analizzando una traduzione e supponendo che sia stata fatta bene, riusciamo a risalire al testo greco usato dal traduttore.
c) le citazioni dei Padri della Chiesa
Il Nuovo Testamento è stato molto citato e commentato dagli scrittori cristiani dei primi secoli (II - IX), i Padri della Chiesa.
È stato scritto che se si perdesse il testo del Nuovo Testamento, lo si potrebbe ricostruire in base alle citazioni dei Padri.
È vero che questi scrittori sono vissuti a volte parecchi secoli dopo, però ci presentano il testo come veniva letto ai loro tempi e cioè prima di molti codici a nostra disposizione.
d)      Conclusione
Per ricostruire il testo, possiamo risalire coi documenti scritti fino al III sec. e forse fino al II.
Passò dunque un tempo abbastanza limitato tra la stesura dei testi originali e le loro prime copie complete in nostro possesso.
Si noti che il periodo di tempo che separa i manoscritti originali del N.T. dalla prima copia in nostro possesso è inferiore rispetto a quello di qualsiasi altro testo antico.
Le "varianti" dei documenti
Questi documenti, pur così vicini nel tempo agli originali, non presentano tutti lo stesso testo, al contrario, ci sono tra di essi numerose differenze, dette varianti.
La cosa è del tutto normale se si pensa che i testi antichi erano scritti a mano ed in generale sotto dettatura. In tutto il Nuovo Testamento si rilevano complessivamente circa 250.000 varianti su circa 150.000 parole che esso contiene. Però questa cifra così alta va molto ridimensionata, se si pensa che spesso di un’unica parola o frase esistono parecchie varianti, la maggior parte delle quali sono solo di forma letteraria e non alterano il pensiero. Varianti che toccano il senso della frase sono circa 200 e di queste soltanto una quindicina sono davvero importanti.
Il lavoro per ricostruire il testo
Data la presenza di queste varianti, è lecito domandarsi: è possibile ricostruire il testo originale così come è uscito dalle mani degli autori?
Si chiama critica testuale la scienza-arte che cerca di ricostruire il testo originale supposto alterato o, almeno, di arrivare il più vicino possibile all’originale. Per fare questo gli studiosi del testo lavorano in questo modo:
a)   cercano di ridurre l'enorme numero di manoscritti a pochi, ma sufficientemente autorevoli;
Per fare questo studiano le varianti del testo contenute nei manoscritti, in modo da raggrupparle   per "famiglie" e poi cercano di stabilire i manoscritti "capostipiti", da cui molti altri sono derivati. Giungono così ad una settantina di manoscritti "capostipiti", che servono come base per la ricostruzione del testo.
b)   confrontano questi "capostipiti":
- se presentano tutti lo stesso testo, esso viene accolto;
- se ci sono differenze, cercano di stabilire, mediante opportuni criteri, quale potrebbe essere il testo scritto dall'autore (ma indicano in nota, ad uso degli altri studiosi, le varianti degli altri manoscritti);
c)   producono un'edizione "critica" (vedi riproduzione nella pag. 63).
Ultime in ordine di tempo sono quelle del protestante E. Nestle - 1a edizione 1898; 27a edizione 1969 - e del cattolico A. Merk.
I risultati
Applicando alcuni criteri ormai comunemente accettati dagli studiosi, possiamo oggi affermare di avere un alto grado di probabilità di leggere il testo del Nuovo Testamento così come è uscito dalle mani degli autori e la sicurezza quasi totale di possedere il testo come girava nel III secolo 1.

I vari tentativi fatti sia dai protestanti e sia dai cattolici in questi ultimi 150 anni, hanno portato a risultati quasi del tutto concordi.

Tuttavia chi veramente assicura che il testo si sia conservato sostanzialmente integro è la Chiesa (= l'insieme di tutti i cristiani), la quale fin dalla metà del II sec. si è preoccupata di controllare le copie che venivano man mano confezionate, in modo da verificarne la conformità ai testi più antichi, quegli stessi testi che venivano costantemente letti nelle varie comunità ed erano quindi assai ben conosciuti.
E che la Chiesa abbia usato un ottimo controllo è dimostrato anche dal fatto che i numerosi manoscritti riscoperti in questo secolo non hanno fatto che confermare il testo ricostruito precedentemente dagli studiosi.
La Bibbia nelle varie traduzione cattoliche

Dopo aver dato brevi cenni sulla vita degli apostoli può essere significativo ripercorrere, in questa sede, le principali traduzioni cattoliche in italiano degli ultimi 100 anni.
Negli anni 1923-1958 viene editata La Sacra Bibbia in 10 volumi curata dal Pontificio Istituto Biblico di Roma. Si tratta di una traduzione dai testi originali, coordinata da A. Vaccai, con introduzioni e note di carattere scientifico-divulgativo.
Un’altra traduzione appare a partire dal 1947. Si tratta de La Sacra Bibbia in vari volumi, diretta da S. Garofalo e G. Rinaldi con ampie introduzioni e note a carattere scientifico. Opera di consultazione e di studio, viene raccolta in tre volumi nel 1961 e pubblicata da Marietti.
Nel 1956 viene data alle stampe e ampiamente diffusa La Sacra Bibbia, in volume unico, curata da Castoldi - Nardoni - Pasquero – Robaldo con brevi introduzioni e note. Pubblicata dalla Società San Paolo, è la prima Bibbia ad essere diffusa in Italia in milioni di copie, nota come “la Bibbia da mille lire”.
Tra il 1963 e il 1973 l’Utet pubblica La Sacra Bibbia in tre volumi sotto la direzione di Galbiati – Penna – Rossano. Su di essa si baserà la Conferenza Episcopale italiana per la Bibbia ad uso liturgico, pubblicata nel 1971 e ristampata con alcune correzioni nel 1974. Attualmente in revisione, essa costituirà il testo base di diverse edizioni della Bibbia, che però avranno introduzioni e note proprie: si pensi alla Bibbia di Gerusalemme (con introduzioni, note e passi paralleli dell’originale francese), alla Bibbia della Civiltà Cattolica, alla Bibbia TOB (traduzione ecumenica in tre volumi), alla Bibbia Piemme.
Nel 1968 viene pubblicata la Bibbia concordata, attualmente edita in10 volumi in Oscar Mondatori. Curata dalla Società Biblica Italiana, è il frutto della collaborazione fra le varie confessioni cristiane (cattolici, valdesi, ortodossi, metodisti, battisti, Chiesa di Cristo) e gli ebrei. L’impostazione è di carattere scientifico-divulgativo.
Tra il 1967 e il 1980 matura la Nuovissima Versione della Bibbia dai testi originali, un coraggioso progetto editoriale tutto italiano che valorizza il contributo di ben 29 biblisti. 
L’opera, con introduzioni e note di carattere scientifico, viene pubblicata dalla San Paolo in 46 volumetti. Nel 1991 essi vengono raccolti in 4 volumi con introduzioni e note riviste e ampliate. L’attuale Bibbia Emmaus e La Bibbia. E Dio disse… ne costituiscono, in volume unico una versione di studio e una versione economica.
Da queste traduzioni si discosta la traduzione interconfessionale in lingua corrente (TILC) che la Ellenici in collaborazione con l’Alleanza Biblica Universale, ha pubblicato nel 1976 (Nuovo Testamento) e nel 1985 (Antico Testamento).


Le prime traduzioni della Bibbia

I testi di riferimento delle prime traduzioni della Bibbia sono stati:
-   Per la Bibbia ebraica il diqdouqè ha-teamim, fissato da Aaron Ben-Asher ne l930 ca, dalla scuola      di Tiberiade.
- per le Bibbie cattoliche la versione latina di san Girolamo, nota come Vulgata.
- per le Bibbie protestanti le traduzioni tedesche di Lutero (1522-1534) e di Zwingli;

Sebbene prima del Concilio di Trento (1545-1563) già esistessero alcune traduzioni della Bibbia nelle lingue volgari, fu solo con la Riforma protestante che la questione sull'opportunità della traduzione della Bibbia nei vernacoli e della sua divulgazione, piuttosto controversa nella Chiesa cattolica, fu affrontata attraverso discussioni talvolta anche aspre e vivaci.
Il Concilio di Trento confermò il primato della Vulgata come versione ufficiale della Chiesa cattolica e, se non proibì esplicitamente le traduzioni dal latino ai vernacoli, tuttavia assunse un atteggiamento estremamente cauto che non le favorì affatto, impedendo la diffusione della Bibbia tra il popolo per timore di interpretazioni private o della diffusione delle idee protestanti, scoraggiandolo al contatto diretto con la Scrittura, che rimase ancora per lungo tempo un privilegio del clero.
La questione della traduzione della Bibbia fu definitivamente affrontata e risolta in una nuova prospettiva grazie alle decisioni prese nel Concilio Vaticano II (1962-1965): “È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura… La Chiesa ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la parola di Dio dev'essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri. Che se queste, secondo l'opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa, saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i fedeli” ( Dei Verbum ).
Le traduzioni della Bibbia si possono distinguere in due tipi a seconda del tipo di traduzione:
- letterali/letterarie, cioè fatte in base al principio di “equivalenza formale”, che enfatizza la corrispondenza letterale e formale del testo tradotto al testo-base da cui è tradotto.
- in lingua corrente, cioè fatte in base al principio di “equivalenza dinamica” o “equivalenza funzionale”, che mira più alla trasmissione e comprensione da parte del lettore del contenuto e del messaggio del testo di partenza, che alla sua riproduzione formale, secondo un nuovo concetto di traduzione per il quale la “fedeltà” può essere una caratteristica sia di una traduzione letterale, sia di una traduzione funzionale. In virtù di accordi tra l'Alleanza Biblica Universale e il Segretariato Pontificio per l'Unità dei Cristiani, firmati nel 1968 e rivisti nel 1987, molte traduzioni in lingua corrente sono interconfessionali, cioè fatte insieme da cattolici e protestanti.

LA BIBBIA DELLA CEI 
È tradotta dai testi originali ebraico, aramaico e greco. Per l'Antico Testamento, la traduzione è fatta dal testo masoretico, ma quando questo presenta delle difficoltà insormontabili, si è fatto ricorso ad altri manoscritti ebraici (ad es. quelli di Qumran) o a versioni antiche, principalmente quelle greca, siriana e latina. Per i libri greci dell'Antico Testamento (“deuterocanonici”) e per il Nuovo Testamento, viene usato il testo greco quale è stabilito dagli studiosi di critica testuale verso il 1960. Quando la tradizione manoscritta offre diverse possibilità per uno stesso testo, viene scelta la lezione più sicura, ma vengono riportate in nota le varianti di un certo rilievo o ritenute probabili.
Nella trascrizione dei nomi propri, i traduttori hanno tentato di riprodurre il più esattamente possibile la forma e la pronuncia degli stessi in lingua ebraica e greca, ma per quelli entrati nell'uso corrente hanno conservato la forma italianizzata ormai tradizionale e familiare ai fedeli.
È una traduzione preparata secondo le direttive date dalla Cei nel 1965: fedeltà al testo originale, precisione teologica, eufonia della frase e cura del ritmo. Utilizza la lingua letteraria italiana della seconda metà del XX sec. È stata pubblicata per la prima volta nel 1971 ed è stata scelta come versione ufficiale e liturgica della Chiesa cattolica italiana. Il Nuovo Testamento è stato rivisto recentemente in una nuova edizione (1997). Una ulteriore revisione è in corso ed è attesa la sua pubblicazione definitiva, unitamente alla nuova edizione dell'Antico Testamento.

BIBBIA DI GERUSALEMME 
La Bibbia di Gerusalemme è la traduzione italiana dell'edizione 1973 de La Bible de Jerusalem. La Sainte Bible traduite en français sous la direction de l'École Biblique de Jérusalem , Paris, 1973 (un rifacimento integrale di essa, che molte polemiche ha suscitato in Francia, è apparso solo di recente e, quindi, l'edizione italiana non ne tiene conto). Già la prima edizione del 1955 rappresentava il frutto del lavoro di una équipe formata dai migliori esegeti di Francia, sotto la direzione dei domenicani della celebre Scuola Biblica, l'Ecole Biblique, sorta presso la Basilica di S.Stefano a Gerusalemme, ad opera del p.Lagrange, nel 1890. Per l'edizione del 1973 traduzioni e note sono state rivedute e verificate. Hanno collaborato tra gli altri R.de Vaux, P.Benoit e Mons.L.Cerfaux. Nella Bibbia di Gerusalemme grande importanza hanno le note di critica testuale, che si propongono di ristabilire il testo biblico originale e le varianti principali conosciute, in maniera da permettere al lettore di prenderne coscienza. Le sigle TM (testo masoretico), LXX (Septuaginta), Volg (Vulgata), Q (Qumran) ed altre indicano le differenti lezioni presenti nei diversi testi antichi. L'edizione italiana della Bibbia di Gerusalemme non ha voluto ritradurre in italiano il testo biblico tradotto dalle lingue originali in francese, ma ha scelto di riprodurre semplicemente il testo della CEI, curato dalla Conferenza Episcopale Italiana, secondo la “editio princeps” del 1971. Quando nelle note non si trovano le sigle BJ (Bible de Jerusalem) o BC (Bibbia della CEI) vuol dire che le due versioni (francese ed italiana) coincidono. Quando invece compaiono le due sigle vuol dire che le due versioni adottano diverse traduzioni ed i motivi dell'una e dell'altra sono spiegati in nota. In questi casi le note della BJ sono state adattate alla versione BC.
Ogni libro o gruppo di libri è preceduto da introduzioni generali molto dettagliate. Le referenze marginali sono riprodotte fedelmente dalla BJ. Un sistema di segni aiuta la comprensione del testo, rinviando di volta in volta ad altri passi biblici, utili per la comprensione di un versetto.

LA BIBBIA TOB 
La Bibbia TOB (Traduction Oecuménique de la Bible) riprende la traduzione della Bibbia a cura della Cei, mentre le note e i commenti sono tradotti dalla II edizione francese del 1987, revisione della precedente presentata ufficialmente alle Chiese di Francia nel 1975. Questa traduzione costituisce una tappa fondamentale e irreversibile nel cammino ecumenico e, più attenta alla fedeltà letterale rispetto alla “Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente”, è corredata di introduzioni generali, di introduzioni ai singoli libri e di note di carattere filologico, storico e dottrinale, redatte da traduttori cattolici e protestanti in collegamento con la commissione teologica ortodossa.
I libri biblici non sono riportati nell'ordine della Bibbia Cei, ma seguono la Bibbia ebraica: dopo i protocanonici dell'Antico Testamento, seguono i libri deuterocanonici, quindi i libri del Nuovo Testamento. Questa scelta ha indotto gli editori a presentare una doppia traduzione del libro di Ester, una secondo l'ebraico, l'altra secondo il greco.
L'Antico Testamento è tradotto sul testo masoretico, salvo quei passi che vengono indicati nelle note come varianti importanti degli altri manoscritti, specialmente quelli della versione greca dei “Settanta”. I casi relativamente rari in cui ci si allontana dal testo masoretico sono segnalati in nota.
Per i nomi propri di persona e i toponimi è stata mantenuta la trascrizione adottata nella Bibbia Cei. 
LA NUOVISSIMA VERSIONE DAI TESTI ORIGINALI 
A partire dagli anni '70 le Edizioni San Paolo hanno pubblicato, in 46 volumetti, una nuova traduzione della Bibbia, denominata "Nuovissima versione dai testi originali".
I diversi testi sono stati poi raccolti in un unico volume, a partire dal 1983.
Questa traduzione si caratterizza per la sua aderenza al testo originario, rispettandone anche le relative asperità, senza venire, quindi, incontro, alla scorrevolezza della lingua. Alla preoccupazione di una immediata comprensione è, insomma, preferita la lettera del Testo Sacro.
I traduttori sono tutti biblisti italiani e, fra essi, P.Rossano, C.M.Martini, U.Vanni e molti altri.
Numerose note, segnalazioni di passi utili alla comprensione del testo, oltre ad ampie introduzioni ed approfondimenti, arricchiscono le edizioni recenti. Tutto questo apparato critico è stato rivisto, rispetto alla prima edizione in volumetti separati, da A.Girlanda, P.Gironi, F.Pasquero, G.Ravasi, P.Rossano, S.Virgulin. 
LA TRADUZIONE INTERCONFESSIONALE 
Si tratta di una traduzione a "equivalenza dinamica" o “equivalenza funzionale”, che si distingue dalle altre perché cerca di rendere il testo ebraico e greco con parole e forme della lingua corrente, abitualmente usata nei rapporti interpersonali. Essa cerca di rendere i testi biblici accessibili ai principianti e comprensibili al lettore di oggi, privilegiando la trasmissione del contenuto rispetto alla conservazione degli aspetti formali delle lingue originali. Nonostante questa costante attenzione, la traduzione non è mai una parafrasi, ma resta fedele ai testi originali e rispetta le caratteristiche della lingua italiana e si sforza di non aggiungere né togliere alcuna informazione rispetto ai testi originali. E', però, evidente che questo tipo di traduzione talvolta impedisce al lettore di rendersi conto delle sfumature delle singole parole che sottostanno alla traduzione. Inoltre, questa traduzione tenta di colmare il divario culturale tra la realtà del tempo e del contesto in cui la Bibbia è stata scritta e quella dell'uomo contemporaneo, sebbene non sia trascurata la distanza tra queste realtà lontane e vengano mantenuti tutti i riferimenti al mondo palestinese e greco-romano. Dopo quattro anni di lavoro, nel 1976 è stato pubblicato l'intero Nuovo Testamento, mentre l'intera Bibbia è apparsa nel 1985 insieme alla seconda edizione del Nuovo Testamento. I libri Deuterocanonici sono collocati tra l'Antico e il Nuovo Testamento, preceduti da apposita introduzione che in particolare dichiara: “Il valore di questi libri fu ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa romana nel secolo IV d.C. Essi sono stati poi dichiarati canonici dalla Chiesa cattolica nel Concilio di Trento (1546). Da allora divenne comune il nome di libri Deuterocanonici (appartenenti al secondo canone o elenco). I Protestanti li chiamano generalmente Apocrifi, parola che originariamente significava “nascosti”. I Riformatori del secolo XVI non li hanno riconosciuti come canonici. Li hanno però considerati utili per l'edificazione personale e li hanno messi in appendice alla Bibbia. Così, ad esempio, la confessione di fede detta “La Rochelle” (1559) dichiara a questo proposito: “benché utili, non è possibile fondare su di essi alcun articolo di fede”. Le Chiese ortodosse, anche se non hanno mai preso alcuna decisione ufficiale li includono nelle loro Bibbie”. 
LA BIBBIA EBRAICA
A CURA DI RAV DARIO DISEGNI 
Il Rabbino Dario Disegni (1878-1967) ha tradotto in quattro volumi il Tanak. La parola Tanak designa per gli ebrei la Bibbia e deriva da TNK, le iniziali di Torah (la Legge, il Pentateuco), Neviim (i Profeti) e Ketuvim (gli Scritti o Agiografi).
Nel 1960 uscì la traduzione del primo volume Torah e Haftaroth, seguita nel 1962 da quella dei Profeti Anteriori, nel 1964 dai Profeti Posteriori e infine, nel 1967, a pochi mesi dalla scomparsa di Rav Disegni, il volume degli Agiografi.
La Torah o Pentateuco è la prima parte della Bibbia. Si divide in 5 parti che prendono il nome dalla prima o da una delle prime parole con cui hanno inizio. 
Genesi = Bereshit (All'inizio) 
Esodo = Schemot (Questi sono i nomi) 
Levitico = Va-icrà (E chiamò) 
Numeri= Bemidbar (Nel deserto) 
Deuteronomio= Devarim (Queste sono le parole) 
Il contenuto della Torah è duplice: narrativo e legislativo. La parte narrativa è fondata sia su avvenimenti storici che su racconti. La Torah narra, dopo i racconti di creazione, in quale modo si creò un legame speciale tra il Signore ed Abramo, come tale patto fu rinnovato con i discendenti di Abramo via via fino alla generazione di coloro che uscirono dall'Egitto e ricevettero il decalogo e la promessa della terra di Canaan.
La parte legislativa comprende nell'interpretazione rabbinica oltre ai sette precetti cosiddetti “dei figli di Noè” cioè obbligatori per tutta l'umanità, 613 precetti (Mizvoth) dei quali 248 (quanto gli organi del corpo umano) positivi e 365 negativi (quanto i giorni dell’anno solare). Tale parte ha lo scopo di insegnare agli Ebrei quale sia il comportamento cui debbono attenersi per conformarsi alla volontà divina. La tradizione ebraica attribuisce la Torah a Mosè che l'avrebbe scritta sotto ispirazione divina. Gli ultimi versetti che parlano della morte di Mosè, sono attribuiti a Giosuè.
E' uso antichissimo nelle comunità ebraiche di leggere pubblicamente a brani successivi tutta la Torah consecutivamente, da Bereshit a Devarim. A tale scopo la Torah è stata divisa in 54 parascioth, tale essendo, secondo il calendario ebraico, il numero massimo di sabati non corrispondenti a giorni di festa solenne (mo'ed) o di mezza festa (chol hammo'ed) dell'anno.
Le paraschiot prendono il nome dalla prima o da una delle prime parole con cui hanno inizio. La prima (Bereshit) si legge nel sabato successivo a Simchat-Torah (in Erez Israel a Sceminì'Atsèreth), la festa della “gioia della Torah”.
Col nome di Haftarà (plurale Haftaroth) si intende un passo tratto dai libri dei Profeti che si legge dopo quello del Pentateuco (parascià) le mattine dei sabati e dei giorni di festa solenne. L'etimologia del nome haftarà è incerta. Probabilmente il significato è “(lettura) che rende esente”, dato che, in tempi di persecuzioni in cui era stata vietata la lettura pubblica della Torah, si leggeva l'haftarà (che esentava dalla lettura della parascià). 

La Parola di Dio e il sapere dell’uomo

La Scrittura è Parola eterna di Dio incarnato nella storia dell’uomo. Per coglierne il senso è necessario sintonizzarsi sia con la sapienza dello Spirito che con il sapere umano. Da questa coscienza nascono i diversi approcci attraverso i quali gli “esegeti” (dal greco exegesis, “spiegazione”) cercano di sviscerare la ricchezza della Scrittura, partendo da differenti punti di vista. La molteplicità di approcci può essere classificata sullo sfondo di due grandi orientamenti: l’orientamento diacronico che approfondisce la formazione del testo sacro lungo la storia, tenendo presenti i condizionamenti a cui è andato soggetto; l’orientamento sincronico che partendo dal testo in quanto tale, ne evidenzia la struttura, le tecniche narrative, il messaggio, valorizzando anche gli apporti delle scienze moderne e delle altre discipline.

Gli studi diacronici

Il paziente lavorìo e la lunga ricerca che negli ultimi due secoli hanno caratterizzato lo studio del testo e della sua formazione, ha lentamente dato origine al cosiddetto metodo storico-critico: “storico” perché coglie il testo situandolo nella storia e nell’ambiente in cui esso è nato e si è sviluppato; “critico” perché lo passa al vaglio con rigore scientifico. Tale metodo è così scandito:

La critica  testuale che sulla base di manoscritti, papiri, traduzioni antiche e citazioni dei Padri si propone di stabilire un testo che sia il più vicino possibile all’originale.
La critica letteraria che, individuando le singole unità testuali, verifica la coerenza dei testi, cercando di rilevare le aggiunte, le correzioni, gli interventi vari nella fase della redazione.
La critica dei generi letterari che presta attenzione ai generi letterari e ai tratti che li caratterizzano.
La critica delle tradizioni che situa i testi sullo sfondo delle grandi tradizioni che li hanno generati.
La critica della redazione che rivela tutte le modifiche subite dal testo prima di essere fissato come testo definitivo.

Gli studi sincronici

Tra gli approcci che prendono in considerazione il testo così come ci è stato consegnato dalla Tradizione, vanno menzionati:

L’analisi retorica, che studia la Scrittura a partire dai procedimenti di persuasione che gli autori mettono in atto.
L’analisi narrativa, che affronta i testi come “narrazioni” analizzando in essi l’impiego delle regole fondamentali della comunicazione umana.
L’analisi semiotica, nota in origine come “strutturalismo”, che analizza il testo su tre livelli (narrativo, discorsivo e semantico) secondo principi precisi e tecnici.
La lettura canonica che interpreta i testi alla luce del “canone”, evidenziando il dialogo tra i due Testamenti e prestando ascolto alla Tradizione.
La Lettura ebraica che mette a disposizione della Scrittura un ricco patrimonio di riflessioni e commenti da valorizzare con discernimento.
Le letture che si ispirano alle scienze umane (analisi sociologica, antropologica, psicologica, psicanalitica) le quali valorizzano i frutti di tali settori del sapere.
Le letture contestuali dove prevale il desiderio di illuminare un preciso contesto legato al lettore (si pensi agli approcci libera-zionisti nati in America latina e poi sviluppatisi anche in Africa, Asia ed Europa o all’approccio femminista).

Un esegeta sui generis: l’archeologo

L’archeologia è la scienza che si propone di studiare l’antichità, ricostruendone la storia e l’ambiente. L’archeologia cerca le tracce del passato, le osserva le analizza: monumenti, ceramica, iscrizioni, resti umani, prodotti artigianali… tutto diventa prezioso per conoscere l’uomo che ci ha preceduti, comprenderne i gesti, penetrarne il pensiero, sapere perché viveva in un certo modo e come concepiva la propria vita prima e dopo la morte. 
Lo sviluppo e la valorizzazione di questa scienza per la comprensione del mondo biblico è recente. Nella prima metà del 1800 l’archeologia era ancora una sorta di “caccia al tesoro” finalizzata alla scoperta di oggetti preziosi, destinati ai grandi musei d’Europa. Furono le sensazionali scoperte di Babilonia, di Ur, di Gerico, di Petra, della biblioteca di Mari, a suscitare una valorizzazione sistematica degli scavi archeologici, con l’accurata analisi e catalogazione di tutti i materiali via via portati alla luce. La Bibbia ne uscì profondamente arricchita: la storia di Dio trovava una concretezza tangibile, per certi aspetti addirittura verificabile.
Questa scienza ha riportato alla luce documenti preziosissimi come la stele del faraone Merneptah del XII secolo a.C. che menziona esplicitamente Israele; “l’obelisco nero” del IX secolo a.C. che raffigura Jeu, re di Israele, mentre presenta il tributo al re assiro Salmanassar III; il tunnel di Ezechia, scavato dall’omonimo re di Giuda nell’VIII secolo a.C. per rifornire d’acqua Gerusalemme; la casa di Pietro e la sinagoga di Cafarnao che ci riconducono all’epoca di Gesù; l’iscrizione che menziona Pilato… e tanti altri resti che rendono vive le pagine dei testi sacri.

Ala luce di queste scoperte, e alla luce delle numerose testimonianze dei Padri, l’affidarsi troppo alle spiegazioni dei pastori protestanti, porta a una grande ristrettezza di vedute…Tale approccio è pericoloso, perché attira le persone che cercano risposte bibliche ai loro problemi di vita.
Tale approccio può illuderle offrendo interpretazioni pie ma illusorie, invece di dire loro che la Bibbia non contiene necessariamente una risposta immediata a ciascuno di questi problemi. 
Il fondamentalismo invita, senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero. Mette nella vita una falsa certezza, poiché confonde inconsciamente i limiti umani del messaggio biblico con la sostanza divina dello stesso linguaggio. 

I consigli dei Padri: la lecito divina

Come cogliere e custodire la ricchezza che la Bibbia racchiude? I grandi Padri della tradizione ecclesiale ci hanno lasciato alcuni consigli preziosi. Essi riprendono le tappe di quella lettura spirituale dei testi sacri, nota come lectio divina.

Raccogliersi. “La mente è come un mercato di roba usata, pieno di gente. Finché continui a restare nella testa i pensieri continueranno a ronzarti attorno, come bufera di neve d’inverno o le nuvole di zanzare d’estate, e la tua lettura rimane esteriore. Devi scendere dalla testa nel cuore, raccogliere la mente nel cuore, restare nel tuo cuore perché lì è Dio. Chiunque incontra il Signore, lo incontra lì” (Teofane il Recluso).
Leggere. “Dedicati alla lettura delle Divine Scritture; applicati a questo con perseveranza.  Se durante la lettura ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e il Suo custode te l’aprirà” (Origene).
Meditare. “Ti invito a non scorazzare per le Scritture, perché la fretta e la superficialità impediscono all’anima di diventare esperta e padrona del senso spirituale del testo sacro. Bisogna cercare Dio percorrendo il sentiero più breve. La meditatio di un solo versetto della Scrittura ci fa varcare tutte le frontiere del mondo visibile” (Cassiano).
Pregare. “Non ti devi però accontentare di bussare e di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria la preghiera. E’ per esortarci ad essa che il Salvatore ci ha detto non soltanto: “Cercate e troverete” e “bussate e vi sarà aperto”, ma ha aggiunto: “Chiedete e riceverete” (Origene).
Condividere. “La condivisione è superiore alla lettura individuale. Sommando insieme i lumi e le esperienze concessi a ciascuno, si arriva più addentro nella comprensione della Parola. Le domande, le risposte e le obiezioni stimolano una ricerca più alacre, tutto, allora, si fa più chiaro” (Isidoro di Siviglia).


La Bibbia è il Libro più antico che possegga l’umanità.

Il Pentateuco, nel quale ci ha messo mano lo stesso Mosè, è, sino ad oggi il libro più antico giunto completo fino a noi.
Tutti gli altri libri di qualunque civiltà si arrestano ad un certo punto dell’antichità.
La Bibbia invece, ci narra il principio del genere umano, la creazione dell’universo. Noi non l’avremmo saputo se Dio non l’avesse rivelato a Mosè, il cronista storico più vicino alle origini,
al Creatore, a Dio.
La Sacra Scrittura è anche il Libro di tutti i popoli. Anche solo umanamente, è considerato il Libro più bello della terra. Non c’è studioso che lo ignori; scrittori atei, per apparire grandi, lo copiano, imparano fatti, parole, descrizioni.
E’ il Libro Sacro per eccellenza, e per la materia, e per l’autore, che è duplice: l’uomo e lo Spirito Santo (ne parleremo a suo tempo).
Il protestante Guizot diceva: E’ un libro che si legge sotto l’impressione di un soffio venuto da ben altro che dall’uomo”. Quante conversioni ha operato la sola lettura di esso…
Noi che ci diciamo cristiani, cattolici, apostolici, quali doveri abbiamo verso la S. Scrittura?
Anzitutto dobbiamo averne una grande stima e venerazione perché in essa è Dio stesso che ci istruisce. Poi dobbiamo procurarcela e leggerla spesso, almeno nei tratti più salienti e facili.
In essa vi è tutto Dio e i suoi attributi, sublimi esempi di virtù; ci sono mostrate le tristi conseguenze del vizio e ci insegna a fuggirlo. Tutto il bene che si può trovare altrove, lì si trova e non si finisce di imparare.
Sino alla fine del sec. XVIII nessuno aveva mai negato direttamente l’ispirazione della S. Scrittura. Antichi eretici a sfondo dualistico – come gli gnostici (sec I-II), i marcionisti (sec. II), i manichei (sec. III) e i neo manichei del sec X, ai quali sono da aggiungere i valdesi (sec. XII) – benché non negassero l’ispirazione in sé, pure, siccome attribuivano l’A.T. al principio del male (il Dio della creazione, diverso dal Dio della redenzione, autore del N.T.), implicitamente negarono la divina ispirazione. Gli antichi protestanti esclusero dal canone dei libri ispirati i deuterocanonici dell’A.T., ritenendo però l’ispirazione degli altri libri; respinta inoltre la tradizione e il magistero della Chiesa, considerarono la S. Scrittura come l’unica regola di fede, esagerando talmente l’idea dell’ispirazione da identificarla come una dettatura meccanica.
Sulla fine del sec. XVIII il protestantesimo incominciò a degenerare in razionalismo, passando così all’estremo opposto, cioè alla completa negazione dell’ispirazione biblica. I razionalisti negano a priori il soprannaturale e pretendono che la ragione umana sia l’unico criterio di verità. 
Come è possibile distinguere un testo “canonico” da un testo “apocrifo”? Perché, ad esempio, la comunità cristiana ha accolto nel canone il vangelo di Marco e non il vangelo apocrifo di Tommaso? Quali criteri hanno presieduto a tale selezione?
Il criterio dell’ispirazione è il mezzo per distinguere i libri ispirati da quelli che non sono tali;
più precisamente è il metodo per conoscere con certezza: 

1) se esistono dei libri divinamente ispirati e, in caso affermativo,

2) quali sono in concreto questi libri ispirati e come si possono distinguere dai non ispirati.

Nel primo caso si parlerà di criterio di ispirazione, nel secondo di criterio di canonicità.
Perché il criterio dell’ispirazione sia legittimo e adatto allo scopo deve possedere diversi requisiti, che si possono ridurre ai tre seguenti. Deve essere:
Infallibile: nella S. Scrittura si contengono verità rivelate alle quali dobbiamo credere con fede assoluta, bisogna dunque che sia infallibile il modo di riconoscere i libri dove si trovano queste verità alle quali è dovuta un’adesione incondizionata;
Esclusivo e universale, cioè deve valere solo per i libri ispirati, a esclusione dei non ispirati; e inoltre deve potersi ugualmente applicare a tutti i libri ispirati: in caso contrario non servirebbe allo scopo;
Accessibile a tutti: poiché tutti hanno il dovere di credere, tutti hanno il diritto ai mezzi necessari per giungere a conoscere le verità di fede.

Nel corso dei secoli, e quasi esclusivamente da autori non cattolici, sono stati proposti diversi criteri dell’ispirazione. Vi fu chi ha additato la forma letteraria e il contenuto dei libri sacri, o gli effetti che essi producono nel lettore come criterio dell’ispirazione; altri hanno giudicato la S. Scrittura partendo dalle testimonianze che gli scrittori sacri, gli agiografi, adducono sulla propria opera, oppure dal fatto che questi scrittori erano apostoli; altri studiosi, infine, riflettendo che l’ispirazione è un fatto soprannaturale, ritengono che il criterio dell’ispirazione sia una rivelazione privata dello Spirito Santo ad ogni lettore, oppure – e questo è il criterio cattolico – interrogano la tradizione cattolica.
Gli antichi protestanti per provare l’ispirazione della Bibbia, respingendo la tradizione e il magistero della Chiesa, si appellarono ai criteri ricavati dal contenuto del libro stesso (sublimità e santità della dottrina, miracoli e profezie riportati, qualche insegnamento caratteristico ecc.) o anche dalla forma (bellezze letterarie).
Lutero ad esempio riteneva ispirati quegli scritti che contenessero l’insegnamento caratteristico della “giustificazione per mezzo della sola fede, senza le opere”, che costituiva per lui il culmine di tutta la dottrina evangelica.
Questi due criteri sono insufficienti. Difatti:
non sono accessibili a tutti, perché richiedono istruzione e studio;
neppure sono universali ed esclusivi, perché, anche applicandoli isolatamente, non si riscontrano in tutti i libri e in tutti i passi della S. Scrittura, come per es. le Cronache, l’Ecclesiaste, Rut, ecc.;

Non è da tutti infatti saper riconoscere le sublimità o la santità della dottrina, ecc., come anche nei libri qui sopra citati non si intuisce la salvezza per sola fede senza le opere, ma anche in altri scritti come la lettera di Giacomo, infatti Lutero la definì “lettera di paglia”, perché Giacomo nella sua lettera sottolinea l’importanza delle opere, che non sono fondamentali ma tuttavia necessarie ai cristiani non disabili, che possono mostrare i frutti dello Spirito.
Occorre quindi un metodo sicuro, efficace, infallibile valido per tutti i libri sacri e non solo per alcuni, e soprattutto questo metodo deve essere accessibile a tutti gli uomini di qualsiasi fascia culturale, affinché essi non debbano dipendere da altri nel verificare l’ispirazione dei libri sacri.
C’era pure chi affermava che si doveva credere alla testimonianza dell’agiografo e in particolare modo se l’agiografo era apostolo allora il suo scritto purché avesse per oggetto un insegnamento religioso era sicuramente ispirato. Questo metodo di riconoscimento potrebbe essere valido, ma sviluppando tutte le possibile ipotesi che ne derivano si può affermare che nemmeno questo è infallibile.
Infatti questo criterio fu proposto per la prima volta nel 1750 dal protestante Giovanni Davide Michaelis, il quale ritenne che il criterio d’ispirazione per l’A.T. è la testimonianza di Gesù e degli apostoli, ma per il N.T. è l’autorità apostolica dell’agiografo.
In forza del suo principio il Michaelis fu logicamente portato a negare l’ispirazione del secondo e del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli, i cui autori, S. Marco e S. Luca, non erano apostoli.
E’ un fatto storico che Marco e Luca non erano apostoli, eppure non ci fu mai nella Chiesa il minimo dubbio sul carattere ispirato dei loro scritti. 
I padri della Chiesa che dovettero stabilire il canone della Bibbia non ebbero alcun dubbio su quali libri e vangeli includere perché essi (i padri) si basavano sulla tradizione, quella stessa che Paolo raccomanda di conservare e osservare a Timoteo e agli altri suoi figli spirituali.
Nel I-II secolo non c’era certo Lutero a decidere quali libri fossero ispirati e quali no.
Che, in casi particolari, Dio sia intervenuto per illuminare direttamente i singoli fedeli a riguardo della S. Scrittura o di altra verità di fede si può ammettere; ma va negato senz’altro che questo sia il suo procedimento ordinario, cioè dell’eccezione non si può fare una regola, la regola deve essere una, precisa ed infallibile, oltre che accessibile a tutti (come già detto). 
Fu la Chiesa cattolica a stabilire il canone, ad esaminare le Scritture per valutarne l’effettiva  ispirazione, i protestanti hanno sputato sopra a tutto questo arrogandosi il diritto di reinterpretare le Scritture, come pure scagliandosi contro chi ha sempre avuto l’autorità di interpretarle. Si sono eretti contro la vera e sola Chiesa di Cristo; oggi si può tranquillamente dire che cristiani fuori di essa ne esistono, ma l’autorità ecclesiastica risiede solo dentro la Chiesa cattolica romana e questo si può dimostrare benissimo, in tal senso vi rimando a leggere il capitolo dedicato alla vera Chiesa.
I protestanti sono costretti a ricorrere a tali comunicazioni dirette di Dio, perché non vogliono ammettere un magistero ecclesiastico; la storia del protestantesimo dimostra che questa pretesa abbinata alla libera interpretazione conduce a innumerevoli illusioni.
Non mi stancherò mai di dire che la riprova della falsità di questo criterio è la discordia che esiste fra i protestanti sul problema dell’ispirazione di alcuni libri e sulla stessa dottrina cristiana. Stando al principio di Calvino dovremmo dire che lo Spirito Santo si contraddice, perché suggerisce opposti sentimenti ai diversi lettori biblici. Il criterio proposto da Calvino dunque, almeno come mezzo ordinario, è quanto mai soggettivo ed arbitrario. 
Il vero criterio per riconoscere i libri ispirati e distinguerli dagli altri è la sacra tradizione cattolica, senza di essa oggi la Bibbia non esisterebbe, perché i libri sacri sarebbero stati abbandonati nel caos di eretici, filosofi e sapientoni di ogni tempo, ognuno dei quali avrebbe stabilito i propri criteri e dettato la propria legge. Dobbiamo ringraziare lo Spirito Santo, i padri e i dottori della Chiesa se la Bibbia ci è pervenuta integra, almeno nei contenuti.
Per riconoscere l’ispirazione dei testi sacri si è ricorsi al parere dei Padri, che sicuramente non erano dei novellini o dei fanatici, anzi molti di loro furono a diretto contatto con gli apostoli, o con discepoli degli apostoli come Policarpo, ecc., quindi gente veramente cristiana di fede provata e provabile. Si è ricorsi alla maggioranza dei pareri; quando un buon numero di padri fra i più autorevoli, di diverse scuole ed epoche si trovano d’accordo su un dato punto di dottrina, senza che contraddicano altri Padri di numero ed autorità tali da rendere nulla o dubbia l’esistenza di una vera unanimità morale, allora si ha una certezza dottrinale.
Ma i padri che si pronunciavano su un punto dottrinale dovevano (esplicitamente o implicitamente) dire che quanto da loro affermato faceva parte della dottrina universale della Chiesa, perché indubbiamente non ogni cosa che essi dicessero (ad esempio nei loro discorsi privati) veniva presa per dottrina, ma quando essi si pronunciavano (dichiarandolo) in materia di fede, e la maggioranza degli altri padri erano concordi allora venivano presi in considerazione dalla Chiesa. La regola per riconoscere l’ispirazione dei libri sacri fu da loro stabilita, e furono loro (i Padri) assieme al magistero della Chiesa a riconoscere e fissare l’elenco dei libri sacri.
Ireneo (170 d.C.) come già detto afferma che solo la Chiesa possiede le vere Scritture, perché essa sola le ha ricevute dalla tradizione tramandata dagli apostoli (Adversus Haereses), Clemente alessandrino ripudia i vangeli apocrifi (protovangelo di Tommaso ecc.) perché non ricevuti dalla tradizione (Stromata 3,13). Non si capisce come mai molti fratelli separati danno credito ai padri e accettano il canone del N.T. (nonostante vi siano stati parecchi dubbi sulle lettere da includere) da loro stabilito, e rigettano il canone del V.T. stabilito sempre dagli stessi padri, (considerando valido l’elenco dei libri contenuti nella Bibbia dei LXX perché usato dagli apostoli in disaccordo con gli ebrei) quando in realtà per il V.T. ci furono meno dubbi. Non è di secondaria importanza il fatto che gli apostoli usassero la Bibbia dei Settanta che -come già detto- include i 7 libri deuterocanonici del V.T.. 
Intorno al 250 a.C. successe che gli Ebrei conquistati e dispersi dai loro nemici non scrissero più per un lungo periodo in ebraico; erano stati praticamente sparpagliati in tutto il mondo. C'era gente attorno agli Ebrei che voleva conoscere i libri ebraici, e non poteva perché non sapeva leggere l'ebraico. Allora che cosa si decise di fare? La prima decisione, che venne dal di fuori, fu quella di alcuni saggi ebraici che abitavano ad Alessandria d'Egitto, i quali furono persuasi dal Faraone Tolomeo di tradurre la Bibbia nella lingua universale di allora, il greco. Non il greco dei dotti, ma il greco del popolo, la koinè. Si dice che questi sapienti che si misero a tradurre la Bibbia fossero settantantadue (come tutti i popoli della terra, da qui il nome "Settanta" dato alla loro traduzione). Questa versione dell'Antico Testamento era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli; quasi tutte le citazioni dell'A. T. fatte dall'Apostolo Paolo nelle sue lettere sono tratte da tale versione.  Essa fu dunque usata ed adottata dalla chiesa cristiana primitiva come versione riconosciuta dell'Antica Alleanza, e per tale motivo fu rigettata dai Giudei (che nel 150 d.C. in seguito al concilio di Jamina del 90 d.C. fecero fare una nuova traduzione in greco).
           Oggi conosciamo la "Versione dei Settanta", ossia l'Antico Testamento tradotto in greco, attraverso quattro grandi manoscritti del IV e V secolo d.C.; essi sono: il Codice Sinaitico e il Codice Alessandrino (entrambi al British Museum di Londra), il Codice Vaticano (conservato nella Biblioteca Vaticana di Roma), e il Codice riscritto di Efrem (conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi), di cui parleremo diffusamente più avanti. Questi Codici non erano ancora stati scoperti quando il Diodati fece la traduzione della Bibbia in italiano, all'inizio del 1600. Egli poté attingere soltanto ai manoscritti ebraici, i più antichi dei quali risalgono soltanto al IX e X secolo d.C.  (queste precisazioni sono fornite dalla sorella Tea del sito Difendere la Vera Fede)
Da queste ultime righe si evince che il Diodati non potè fare una traduzione completa, perché non disponeva di alcuni codici.

Ecco cosa dice la società biblica di Ginevra sul suo sito, del quale riportiamo il collegamento qui sotto:
1) Questa versione dell'Antico Testamento era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli; quasi tutte le citazioni dell'Antico Testamento fatte dall'Apostolo Paolo nelle sue lettere sono tratte da tale versione.  Essa fu dunque usata ed adottata dalla chiesa cristiana primitiva come versione riconosciuta dell'Antico Testamento, e per tale motivo fu rigettata dai Giudei .
2) Questi Codici non erano ancora stati scoperti quando il Diodati fece la traduzione della Bibbia in italiano, all'inizio del 1600. Egli poté attingere soltanto ai manoscritti ebraici, i più antichi dei quali risalgono soltanto al IX e X secolo d.C.
a quanto pare la stessa Società Biblica di Ginevra usata dai Protestanti contraddice quanto sostengono gli evangelici...
Scorrendo le pagine inserite dalla Società Biblica di Ginevra ho rilevato un altro particolare discordante che vorrei far rilevare. al seguente link: http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_cat6.htm
ho trovato quanto segue :
 popolo ebraico come entità. (Osserviamo che Gerusalemme fu distrutta nel 70 d.C. mentre il Concilio di Jamnia è dell'anno 90 d.C.). In effetti però - e lo dice anche l'Apostolo Paolo - ad Israele erano state affidate "le rivelazioni di Dio" (Rm 3:2). Gesù a suo tempo aveva detto: "Gli Scribi e i Farisei siedono sulla cattedra di Mosè: fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno" (Mt 23:2,3). Dicendo questo, Gesù non intendeva certo approvare il comportamento dei Farisei (infatti subito dopo aggiunge: "ma non fate secondo le loro opere"). Però Gesù indubbiamente riconobbe la competenza dei Farisei nell'enunciare regole e princìpi. Ora dobbiamo osservare che il canone approvato a Jamnia fu proprio quello che riconoscevano i Farisei, e che era stato seguito dallo stesso Gesù e dagli Apostoli.
E quanto ai libri "apocrifi", sappiamo con certezza che a Jamnia gli Ebrei li avevano definitivamente esclusi dal canone. Questo dovrebbe farci riflettere sull'opportunità di pubblicarli annessi agli Scritti Sacri: per lo meno, bisognerebbe tenerli nettamente separati.
Però nella seguente sezione veniva detto che era la "settanta" ad essere letta e seguita dagli Apostoli anche per quanto riguarda le citazioni del VT. (ndr)
Ecco il brano in questione:  http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tat3.htm
La Versione greca dell'Antico Testamento detta dei "Settanta" Di questa traduzione in greco, fatta ad Alessandria d'Egitto nel III secolo a.C., abbiamo già fatto cenno in precedenza. Essa era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli, e fu adoperata moltissimo per le citazioni dell'Antico Testamento da tutti gli scrittori del Nuovo. I Vangeli di Marco e di Luca, le epistole di Pietro e quella agli Ebrei seguono tale regola in maniera assoluta, mentre Matteo, Giovanni e Paolo ricorrono anche al testo ebraico, sebbene in via eccezionale. (Paolo cita l'A.T. 82 volte secondo la Settanta, e soltanto due volte secondo il testo ebraico).
Il testo della Settanta era praticamente la "Scrittura" letta nelle prime chiese cristiane in tutta l'area di lingua greca (Corinto, Efeso, Filippi, Tessalonica, ecc.). Il fatto però che la Settanta, prima popolarissima nel mondo giudaico, venisse adottata dai Cristiani, ne provocò per reazione la proscrizione da parte dei Giudei. Ciò portò al sorgere di altre traduzioni greche, tra cui ne vanno ricordate tre: quella di Aquila (eccessivamente letterale), quella di Teodozione (praticamente un revisione della Settanta, per avvicinarla un po' di più al testo ebraico), e quella di Simmaco (traduzione in greco elegante, lodata da Girolamo). Purtroppo queste traduzioni non le conosciamo che per gli esigui frammenti rimastici e per le citazioni di scrittori contemporanei (Il secolo d.C.).
Ora la mia domanda è questa:
siccome la "settanta" riportava i libri deuterocanonici, ne consegue che Gesù e gli Apostoli li avevano tra le mani e non li contestarono mai, ma piuttosto quando essi si riferivano alla Scrittura, si riferivano a quella dei "settanta" che appunto conteneva i deuterocanonici.
Perché allora si dovrebbe seguire un canone fatto da Farisei che dopo oltre 70 anni vollero avversare in particolar modo proprio la "settanta"? 
Infatti il sito evangelico in questione ammetteIl fatto però che la Settanta, prima popolarissima nel mondo giudaico, venisse adottata dai Cristiani, ne provocò per reazione la proscrizione da parte dei Giudei
Mi pare contradditorio con quanto riportato sopra e che avevo evidenziato in rosso:

Ora dobbiamo osservare che il canone approvato a Jamnia fu proprio quello che riconoscevano i Farisei, e che era stato seguito dallo stesso Gesù e dagli Apostoli.” 
http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tgen2.htm

ad un tratto qui, spiegando la nascita della scrittura e dei FOGLI CHE VENIVANO USATI, il loro percorso, leggiamo quanto segue:

Verso il 100 a.C., infine, nella città di Pergamo, in Asia Minore, fu scoperto un metodo particolare di preparare le pelli, in modo da renderle particolarmente adatte alla scrittura: da allora in poi questo materiale fu chiamato "pergamena". I fogli però rimanevano alquanto rigidi, e pertanto non potevano essere più arrotolati. Nacquero così i cosiddetti "Codici", che sono raccolte di fogli di pergamena cuciti sul dorso, simili ai nostri libri di oggi. I più antichi manoscritti in pergamena che ci sono rimasti sono "soltanto" del IV e V secolo d.C.: si tratta dei Codici Sinaitico, Vaticano, Alessandrino, ecc., già ricordati e dei quali parleremo ancora in seguito. Dalla lettura di 2 Ti 4:13 ss deduciamo che forse Paolo possedeva dei volumi simili a questi; egli infatti chiede a Timoteo di portargli a Roma, dall'Asia Minore, i libri ("ta biblìa"), cioè i rotoli, e le pergamene ("membrànas"), cioè i codici 

Cosa ne deduciamo anche noi?

che se tali "codici" furono portati a Roma, la Chiesa in Roma li ha conservati e di certo tramandati, e se erano veramente "codici", non risulta che essi esistevano nelle Sinagoghe, non almeno in quel periodo, e poi consideriamo che a quei tempi la stampa non esisteva, i cristiani si curavano di trascrivere a mano la Bibbia, per diffonderla nelle diverse comunità, quei rotoli e quelle le pergamene di cui parla Paolo formerebbero la Bibbia dei LXX, quella che ritrascrivevano nelle pergamene dal momento che la stessa Società Biblica di Ginevra dice all'inizio:

“Questa versione dell'Antico Testamento era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli; quasi tutte le citazioni dell'Antico Testamento fatte dall'Apostolo Paolo nelle sue lettere sono tratte da tale versione.  Essa fu dunque usata ed adottata dalla chiesa cristiana primitiva come versione riconosciuta dell'Antico Testamento, e per tale motivo fu rigettata dai Giudei.”

(i commenti ai testi della società biblica di Ginevra, commenti sono della sorella Tea, tratti dal sito Difendere….”

Non solo....ma se leggiamo attentamente la Società Biblica dice due cose che sono importanti
leggiamole con attenzione:

1) I più antichi manoscritti in pergamena che ci sono rimasti sono "soltanto" del IV e V secolo d.C.: si tratta dei Codici Sinaitico, Vaticano, Alessandrino, ecc., .....

2) Questi Codici non erano ancora stati scoperti quando il Diodati fece la traduzione della Bibbia in italiano, all'inizio del 1600. Egli poté attingere soltanto ai manoscritti ebraici, i più antichi dei quali risalgono soltanto al IX e X secolo d.C.

ora, se la matematica non è una opinione, o si sono sbagliati a scrivere (quelli della Società Biblica) o qualcosa non quadra.

Al punto uno si legge che i manoscritti in pergamena più antichi sono quelli datati al IV e V secolo d.C. e fa riferimento al Codice Vaticano, mentre al punto due, si legge che il Diodati potè fare riferimento soltanto ai manoscritti ebraici i quali, i più antichi, risalirebbero soltanto al IX e X secolo d.C. Dunque risulta chiaramente che i testi più antichi li aveva la CHIESA, il che fa veramente riflettere.
E' inoltre interessante annotare cosa scrive ancora la Società Biblica di Ginevra quando parla della trascrizione, ossia, della copiatura a mano della Parola di Dio, qui si legge:
 http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tgen3.htm

Durante il periodo medievale, fino all'invenzione della stampa, le copie dei testi biblici vennero eseguite soprattutto dai monaci cristiani, ai quali siamo pure debitori della trasmissione di tutte le altre opere letterarie dell'antichità classica.

Questa affermazione è un riconoscimento alla CHIESA CATTOLICA per secoli accusata ingiustamente di aver manomesso la Scrittura.
Ed ora un altro spunto per continuare questo approccio in tutta serenità....sempre dalla Società Biblica di Ginevra qui leggiamo:
http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tat3.htm

La Versione greca dell'Antico Testamento detta dei "Settanta
         Di questa traduzione in greco, fatta ad Alessandria d'Egitto nel III secolo a.C., abbiamo già fatto cenno in precedenza. Essa era di uso corrente al tempo di Gesù e degli Apostoli, e fu adoperata moltissimo per le citazioni dell'Antico Testamento da tutti gli scrittori del Nuovo.
I Vangeli di Marco e di Luca, le epistole di Pietro e quella agli Ebrei seguono tale regola in maniera assoluta, mentre Matteo, Giovanni e Paolo ricorrono anche al testo ebraico, sebbene in via eccezionale. (Paolo cita l'A.T. 82 volte secondo la Settanta, e soltanto due volte secondo il testo ebraico).
    Il testo della Settanta era praticamente la "Scrittura" letta nelle prime chiese cristiane in tutta l'area di lingua greca (Corinto, Efeso, Filippi, Tessalonica, ecc.). Il fatto però che la Settanta, prima popolarissima nel mondo giudaico, venisse adottata dai Cristiani, ne provocò per reazione la proscrizione da parte dei Giudei. Ciò portò al sorgere di altre traduzioni greche, tra cui ne vanno ricordate tre: quella di Aquila (eccessivamente letterale), quella di Teodozione (praticamente un revisione della Settanta, per avvicinarla un po' di più al testo ebraico), e quella di Simmaco (traduzione in greco elegante, lodata da Girolamo). Purtroppo queste traduzioni non le conosciamo che per gli esigui frammenti rimastici e per le citazioni di scrittori contemporanei (Il secolo d.C.).
     E' facile comprendere l'importanza che potrebbe avere un paragone tra il testo ebraico e le varie traduzioni in greco, specialmente la Settanta, così frequentemente citata dagli Apostoli. Questa operazione fu fatta da un famoso studioso alessandrino, Orìgene, intorno al 240 dell'era cristiana. Nel corso di dodici anni egli allestì la cosiddetta Esapla (= sestuplice), 50 volumi per oltre 6000 pagine. Era questa una colossale edizione dell’Antico Testamento dove su sei colonne affiancate c’erano il testo ebraico, una traslitterazione del testo ebraico con lettere greche, e le traduzioni in greco di Aquila, Simmaco, i Settanta e quella di Teodozione. (v. TAV.  HYPERLINK "http://www.sbgi.it/sito/articoli/canone_tav10.htm" \t "_top" X).
          In questo lavoro Orìgene rivide con cura particolare il testo della Settanta, che in seguito fu pubblicato a parte. Girolamo, che tradusse la Bibbia in latino (Vulgata), alla fine del IV secolo, poté ancora consultare l'Esapla di Orìgene nella biblioteca di Cesarea. A noi però l'Esapla non è pervenuta, perché la biblioteca di Cesarea fu distrutta durante la conquista araba del 638. Possedere l'Esapla sarebbe un vantaggio enorme oggi per gli studiosi del testo biblico, ma purtroppo, data la mole, non ne erano state fatte copie, e l'esemplare originale andò bruciato. Ci è rimasto però il testo dei Settanta, che si trova, con qualche variante nei già citati grandi codici Alessandrino, Sinaitico, Vaticano, e Riscritto di Efrem.
              In conclusione: i “Settanta” ebbero certamente a disposizione un certo tipo di testo ebraico, quando fecero la traduzione in greco nel III secolo a.C. Ora, se riscontriamo differenze tra la versione dei Settanta ed il testo ebraico a noi noto (cioè il Testo Masoretico), si può ragionevolmente pensare che il testo usato dai Settanta non era quello Masoretico. 
              E' lecito allora porsi la domanda: Quale dei due testi dobbiamo considerare come "autentico"? Non è possibile avere una risposta globale. Con un paziente lavoro di analisi, gli studiosi cercano di fornire chiarimenti caso per caso. 
Perché però non si pensi che le differenze tra i due tipi di testo abbiano importanza "dottrinale", riportiamo alcuni esempi, che si commentano da soli.
1 Re 6:8 
Traduzioni secondo il Testo Masoretico
L'ingresso del piano di mezzo 
si trovava al lato destro della casa... 
                                          (Riveduta, N. Riveduta) 

Traduzioni secondo il Testo dei Settanta
La porta del piano più basso
era sul lato destro del tempio...      
                                                  (CEI)
 1 Re 6:22b
Traduzioni secondo il Testo Masoretico
...e ricoprì pur d'oro tutto l'altare
che apparteneva al santuario.       
                                     (Riveduta, Nuova Riveduta, CEI) -notare le tre Bibbie insieme-
 Nella Settanta invece questa frase è omessa.
            In alcuni casi la differenza tra la versione greca dei Settanta e il testo ebraico od aramaico è fortissima, come per il caso del libro di Daniele; evidentemente essa fu fatta su un testo abbastanza diverso, e quindi in tali casi è bene non prenderla in considerazione.
Nota. Molti studiosi ritengono che il testo primitivo dell'Antico Testamento abbia subito nel corso delle successive redazioni e copiature qualche trasposizione di brani. Ciò emergerebbe dai cosiddetti "passi ripetuti"; per esempio:
2 Samuele 22 e Salmo 18;  
Isaia 2:2,4  e Michea 4:1-3; 
Isaia cap 36-39 e 2 Re 18:13 - 20:19;  
Geremia cap 52 e  2 Re  24:18 - 25:30.
Dunque ciò che vuole concludere però la Società Biblica di Ginevra NON si comprende chiaramente, ricostruiamo i punti nodali:
1) Ammette e riconosce che la Settanta (LXX) è la versione conosciuta ai tempi di Gesù e citata dagli Apostoli tanto che Paolo fa ben 82 citazioni dalla LXX e solo due dal testo ebraico (Paolo cita l'A.T. 82 volte secondo la Settanta, e soltanto due volte secondo il testo ebraico)...
2) Ammette e riconosce il perchè i Giudei nel concilio di Jamnia esclusero la Settanta: Il testo della Settanta era praticamente la "Scrittura" letta nelle prime chiese cristiane in tutta l'area di lingua greca (Corinto, Efeso, Filippi, Tessalonica, ecc.). Il fatto però che la Settanta, prima popolarissima nel mondo giudaico, venisse adottata dai Cristiani, ne provocò per reazione la proscrizione da parte dei Giudei. ...
3) Ammette e riconosce che vi sono state altre traduzione che però, dice: Purtroppo queste traduzioni non le conosciamo ....
4) Ammette e riconosce che: E' facile comprendere l'importanza che potrebbe avere un paragone tra il testo ebraico e le varie traduzioni in greco, specialmente la Settanta, così frequentemente citata dagli Apostoli. Questa operazione fu fatta da un famoso studioso alessandrino, Orìgene, intorno al 240 dell'era cristiana. ...Ci è rimasto però il testo dei Settanta, che si trova, con qualche variante nei già citati grandi codici Alessandrino, Sinaitico, Vaticano, e Riscritto di Efrem
Di questa operazione se ne servì Girolamo per trarre la Vulgata, ma purtroppo l'opera di Origene è andata perduta, a noi interessa capire che siamo nell'anno 240 d.C. quando già il concilio di Jamnia aveva chiuso il canone, mentre a quanto pare per la Chiesa la questione era ancora aperta, perchè si affidò alla Tradizione Apostolica, ed alla successiva continuità dei vescovi della Chiesa che usavano le stesse Scritture......
5) Alla fine la Società Biblica dice: i “Settanta” ebbero certamente a disposizione un certo tipo di testo ebraico, quando fecero la traduzione in greco nel III secolo a.C. Ora, se riscontriamo differenze tra la versione dei Settanta ed il testo ebraico a noi noto (cioè il Testo Masoretico), si può ragionevolmente pensare che il testo usato dai Settanta non era quello Masoretico
E giustamente ci si pone una domanda:
E' lecito allora porsi la domanda: Quale dei due testi dobbiamo considerare come "autentico"? Non è possibile avere una risposta globale. Con un paziente lavoro di analisi, gli studiosi cercano di fornire chiarimenti caso per caso. .....
La Società Biblica molto più ragionevolmente ammette e ritiene che non è possibile avere una risposta globale,  e tuttavia molti protestanti Evangelici sostengono a chiare lettere che essi hanno la risposta. Io invece pensavo ai punti da uno a 4 riportati, dai quali si evince che la Settanta se fu citata da Paolo per 82 volte contro 2 prese dal testo masoretico, come non può considerarsi AUTENTICA? 

Leggo qui una contraddizione della Società biblica quando nella conclusione dice:
In alcuni casi la differenza tra la versione greca dei Settanta e il testo ebraico od aramaico è fortissima, come per il caso del libro di Daniele; evidentemente essa fu fatta su un testo abbastanza diverso, e quindi in tali casi è bene non prenderla in considerazione.
A quanto pare Paolo, l'Apostolo non la pensava come loro, egli prende in considerazione la LXX facendo ben 82 citazioni e 2 dal testo Masoretico, ed è questa l'unica motivazione che spinge la Società Biblica a mantenere il Canone Ebraico anzichè quello adottato dalla Chiesa? In verità non danno una risposta, questa è l'unica citazione "contro" la Settanta che però si contraddice dall'esempio riportato su Paolo.
Abbiamo forse un altra "Settanta" a noi sconosciuta? Abbiamo forse un altro testo Ebraico a noi sconosciuto?
Sul primo principio protestante. Ma è la verità/dottrina cristiana che definisce la Sacra Scrittura o la Sacra Scrittura che definisce cosa sia verità/dottrina cristiana?
Tutte le bibbie protestanti ed evangeliche infatti rifiutano solo i cosidetti deuterocanonici del Primo Testamento, ma che dire della diffusa trattazione sulla necessità delle opere della lettera di Giacomo, che dire della presenza di citazioni dei testi di Enoc e dell'Ascensione di Mosè (testi apocrifi/pseudoepigrafi ebraici) citati nella lettera di Giuda? Visto che esse contengono false dottrine e citano come fossero Sacra Scrittura testi apocrifi dovrebbero essere tolti dal canone, non sarebbe questo un procedimento corretto? Eppure non succede; l'esclusione riguarda solo gli apocrifi del Primo Testamento.

I libri deuterocanonici non vengono citati nel Nuovo Testamento. Anche questo è un errore. ho appena detto come la lettera di Giuda, oltre a citare testi deuterocanonici cita testi che anche i cattolici indicano come apocrifi e che i teologi protestanti generalmente chiamano pseudoepigrafi.
Quando l'autore della lettera agli Ebrei parla dei vari testimoni, fa anche riferimento alla madre e ai suoi sette figli uccisi, racconto presentato nel primo o secondo libro dei Maccabei (ora non ricordo), libri deuterocanonici.
La definizione del canone ebraico. Il mondo ebraico ha definito un canone stabile e preciso solo nel III secolo dopo Cristo. E ricordo tutti che la Bibbia dei Settanta è una traduzione ebraica fatta da studiosi della Legge di Alessandria, cioè da persone di spicco della più importante comunità ebraica della diaspora, ed essa contiene tutti i testi deuterocanonici. 
Se diamo uno sguardo ai concili dei primi secoli vediamo che l'elenco dei Libri Sacri cambia da zona a zona (a volte sono esclusi anche testi che noi oggi riteremmo fondamentali come la lettera agli Ebrei e l'Apocalisse). Le varie Chiese si consultarono a vicenda per secoli per giungere ad un canone comune; dunque, se guardiamo a tutta la chiesa dei primi secoli, non può proprio storicamente reggere l'affermazione che "i primi discepoli di Cristo non li riconobbero mai come canonici".
Lo Spirito di Dio attesta quali sono i veri Libri Sacri... Forse il silenzio sarebbe la cosa più opportuna ... e dunque lo Spirito dove era mentre l'Autore riferiva fatti dal libro dei maccabei? E mentre Giuda citava passi dall'Ascensione di Mosè? Si era appisolato un attimo? E durante i vari concili? E durante le celebrazioni liturgiche? E mentre i Settanta compivano la loro traduzione?
E mentre gli ebrei di Qumran studiavano Tobia e il Siracide? ...
Francamente è un po' presuntuoso ritenere che lo Spirito abbia parlato correttamente solo alle Chiese pentecostali mentre ha lasciato nell'Ignoranza il popolo della Prima alleanza e ha lasciato vagare nel buio la chiesa per quasi duemila anni (o, volendo parlare dell'epoca della Riforma come di un risveglio, dopo 1500 anni).

E ancora sul 4 punto scrive il fratello Massimo:
4) “Infine, ciò che più importa è che lo Spirito Santo, che Gesù defini lo Spirito della verità, non attesta per nulla in noi figliuoli di Dio che gli apocrifi sono Parola di Dio perché ci fa sentire in maniera inequivocabile che essi non devono essere accettati.”
Questa è la dimostrazione più evidente che molti gli evangelici non hanno il benchè minimo senso critico. Pensate un po' se noi cattolici dicessimo che il principio della "Sola Scrittura" non è valido perchè lo Spirito di Verità che è in noi ci fa sentire in maniera inequivocabile che non è un principio accettabile.
O se, rivoltando la frase, affermassimo che l' unica motivazione per la quale accettiamo il Purgatorio è perchè lo Spirito di Verità che è in noi ci attesta in maniera inequivocabile che esso è vero. Secondo voi cosa direbbero gli evangelici? Però loro pretendono che questo ragionamento, che loro non accetterebbero da noi, noi dovremmo accettarlo se lo fanno loro!
Il fatto che propongano un quarto principio come questo e, per di più, che venga tranquillamente accettato come prova,  dimostra che non hanno neppure il senso del ridicolo!”

ISPIRAZIONE O DETTATATURA?
E’ bene tenere sempre in mente (e ribadire) che ispirazione non vuol dire dettatura, perché da dati certissimi risulta che gli agiografi hanno portato il loro personale contributo alla stesura dei Libri Sacri; spesso parlano delle fonti di cui hanno fatto uso, come l’autore del libro di Esdra e Neemia, del secondo dei Maccabei, (riassunto costato grande fatica all’autore; 2 Mac 2,24-28), del terzo Vangelo (Lc 1,1-3) ecc., altre volte i fatti narrati sono desunti dalla personale esperienza dell’agiografo, come è il caso del Pentateuco per Mosè, del primo e del quarto vangelo per 
S. Matteo e S, Giovanni (apostoli, e quindi testi oculari di molti fatti narrati), degli Atti (dove Luca registra fatti ai quali egli stesso fu presente) ecc.. Dunque gli agiografi non furono strumenti passivi ma attivi.
E’ generalmente ammesso che chiunque dia un qualunque contributo intellettuale alla composizione del libro ispirato partecipa dell’ispirazione dell’agiografo, nella misura necessaria per la composizione del libro stesso. Poiché vi possono essere varie specie di collaboratori, occorre stabilire in quale misura ciascuno di essi partecipi dell’ispirazione.
L’estensore o redattore, ossia colui che, ricevuto a voce l’argomento dal maestro, lo mette in iscritto o lo svolge da sé. E’ il caso dell’epistola agli Ebrei, il cui autore, S. Paolo, sembra ne abbia affidato la redazione a un discepolo. In tali casi il redattore porta un notevole contributo intellettuale alla composizione del libro, e quindi gli occorre una partecipazione all’ispirazione del maestro, in misura proporzionata.
Prima di tutto l’illuminazione dell’intelligenza, perché con la sua mente deve concepire il lavoro; inoltre occorrerà la mozione della volontà, non essendo sufficiente l’ordine di scrivere datogli dal maestro, perché questo ordine non sarebbe una mozione immediata della sua volontà; avrà poi bisogno anche dell’assistenza alle facoltà esecutive, che non è necessario abbia il maestro.
Ci può essere pure un segretario o amanuense, ossia colui che scrive sotto dettatura del maestro. 
E’ il caso di Baruc, al quale Geremia detta le sue profezie, e di Terzo, al quale S. Paolo detta la sua lettera ai Romani. 
Al segretario non necessariamente serve la partecipazione all’ispirazione del maestro.
I documenti del magistero ecclesiastico dicono che i Libri Sacri sono stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, che in essi è stato scritto dagli agiografi tutto quello e solo quello che il medesimo Spirito Santo volle, che hanno Dio per autore, che come tali sono stati consegnati alla Chiesa. L’ispirazione, considerata nel libro ispirato non può ammettere gradazioni diverse. Quindi non c’è qualche libro che sia ispirato più o meno di un altro, e la Chiesa li accoglie e li tratta tutti “con uguale sentimento di pietà e di rispetto”. Perciò è da riprovare la graduatoria ammessa:

dagli Ebrei del Medio Evo, i quali ritenevano che la “Legge” fosse dovuta alla bocca di Dio, i “Profeti” allo Spirito profetico, e gli “Scritti” allo Spirito Santo, attribuendo alla prima categoria maggiore autorità che alla seconda e alla seconda più che alla terza;
da alcuni protestanti moderni, i quali identificando l’ispirazione con un certo entusiasmo religioso, distinguono un grado di ispirazione supremo (per es. in alcuni salmi), uno medio (per es. nell’Ecclesiaste), uno infimo (per es. nel libro di Ester);
da alcuni cattolici, i quali attribuirono minore autorità ai libri deuterocanonici, pur ritenendoli ispirati.

Nella Scrittura tutto è ugualmente ispirato, perché tutto è effetto della cooperazione di Dio con l’uomo, quindi ogni libro della Scrittura è ugualmente ispirato, e in ciascun libro sono ispirati tutti gli elementi che lo compongono.
Il prologo del terzo vangelo (Lc 1,1-4) e del 2 Mac (2,19-32), le finali del 2 Mac (15, 37 ss.) e dell’Eccle. (12,10-12) rivelano che il compito degli agiografi fu tutt’altro che puramente materiale, che essi non si possono immaginare come dei pensatori solitari al tavolo di lavoro, investiti del carisma divino nel momento preciso della composizione del libro e lasciati a se stessi, una volta terminata l’opera. Quando  un autore incomincia a scrivere ha già una dote di conoscenze e di esperienze alle quali la Provvidenza divina non fu assente: da esse infatti dipenderà la redazione del libro. Se Dio è autore della Scrittura (nel duplice senso di causa e di scrittore), dunque la S. Scrittura è Parola di Dio ed essendo Dio infallibile, anche la sua parola è immune, di diritto e di fatto, da ogni errore.
E’ tuttavia indispensabile rinunciare alla visione semplicista e pericolosa, in quanto espone ad errori, che vorrebbe vedere in ogni enunciazione biblica l’affermazione di verità divine.
L’agiografo non scrive di tutte le cose in modo assoluto, cioè come sono in sé, ma secondo la misura in cui interessano al suo scopo; il suo modo di vedere e di esporre le cose, il suo grado di affermazione è condizionato allo scopo concreto che intende assegnare alla propria opera.
E’ questa un’osservazione di capitale importanza per valutare le tracce divine nei libri ispirati e su di esse si ritornerà in seguito.
Ogni affermazione autentica contenuta nella Scrittura è sempre parola di Dio almeno estrinsecamente, poiché è ispirata, cioè scritta dall’agiografo sotto l’influsso carismatico, per il fatto solo che è contenuta nella Scrittura, che è ispirata in ogni sua parte. Invece le affermazioni (benché autentiche) della Scrittura non sono parola di Dio intrinsecamente (cioè nel loro contenuto) quando riportano parole altrui, non sempre considerate come vere. Per es. in Sal 14,1; 53,1 si legge: “L’empio dice in cuor suo: non esiste Dio”. L’affermazione Dio non esiste è parola di Dio solo estrinsecamente, in quanto mediante l’agiografo Dio attesta che l’empio pensa così; ma il suo contenuto è condannato nella Scrittura come degno dell’empio.
Le affermazioni contenute nella Scrittura sono parole di Dio estrinsecamente e intrinsecamente:

quando sono affermazioni dell’agiografo in quanto tale, ossia in quanto ispirato. – Tutto ciò che l’agiografo asserisce, enunzia, insinua, va ritenuto come asserito, enunziato, insinuato dallo Spirito Santo -;
quando sono messe in bocca a Dio stesso o a Cristo, persona divina, o a persone che rappresentano Dio (angeli, profeti, apostoli presentati come organi della rivelazione), o che da Dio sono mosse a parlare (Maria SS., Elisabetta, il vecchio Simeone, il pontefice Caifa, il profeta Balaam);
quando sono approvate dall’agiografo esplicitamente o in modo equivalente.
Pur degnando di abbassarsi, per così dire, al livello dell’uomo prendendone in conto proprio i pensieri, i lavori e il libro che ne risulta, Dio sorpassa però in modo infinito lo strumento umano: questa trascendenza dell’azione divina non manca di farsi sentire nei Libri Sacri.
Se, infatti, il senso primario delle parole è quello concepito e voluto dall’agiografo, Dio  – autore di tutta la Sacra Scrittura – ha potuto preparare alle parole dell’agiografo delle applicazioni e degli sviluppi che sfuggivano alla sua coscienza umana; Dio ha potuto fargli scegliere quelle determinate parole, fargli raccontare quei dati avvenimenti ai quali egli si riservava di dare risonanze nuove sotto la penna di altri agiografi per ulteriori tappe della rivelazione, ad esempio nelle sue lettere Paolo spesso spiega il significato di alcuni passi del V.T. alla luce del Nuovo.
I Padri insegnano che tutto nella Scrittura ha origine dallo Spirito Santo; ed in pratica ricavano significati profondi da qualunque particolare, anche a prima vista insignificante.
In ogni caso non bisogna esagerare nello studiare il significato di ogni singola parola, ma  è più importante capire il concetto delle frasi, cioè è più importante capire l’insegnamento
che Dio ci dà.
Se l’agiografo non avesse nessun ruolo attivo (cultura personale, esperienze ecc.) nella stesura del libro, allora tutti i libri sacri dovrebbero presentare uno stile unico; viceversa ogni libro rivela lo stile dell’autore umano. Inoltre è impensabile che le differenze e le imperfezioni di stile e di lingua dovrebbero attribuirsi a Dio.
Ci aspetteremmo un unico stile qualora l’ispirazione verbale consistesse nella rivelazione, in una dettatura di ciascuna parola da parte di Dio. Invece l’ispirazione verbale consiste in questo: l’agiografo sceglie liberamente la parola sotto l’influsso divino.
La varietà di stile propria di ciascun agiografo attesta che egli esercita liberamente la sua attività propria, benché sotto l’azione efficace dell’ispirazione.
Se ogni singola parola fosse ispirata non si spiegherebbero le divergenze nei passi paralleli, specialmente nei punti più importanti, come nelle parole della consacrazione e nel Pater nostro, che certo furono pronunziate dal Signore in un solo modo, oppure i diversi modi di raccontare ciò che c’era scritto nella parte superiore della croce nel momento della crocifissione.
Anche fra i cattolici vi furono alcuni che deviarono il giusto concetto di ispirazione, tra questi  ci fu Sisto da Siena (1529 d.C.) Leonardo Lessio (1623 d.C.)  Giacomo Bonfrère, suo discepolo (1642 d.C.) e anche il benedettino D. Haneberg, ma il magistero della Chiesa non diede seguito e credito alle loro tesi.
L’enciclica Providentissimus Deus così descrive l’ispirazione: “Lo Spirito Santo con un’azione soprannaturale eccitò e mosse gli agiografi a scrivere e li assistette mentre scrivevano in modo tale che essi concepissero rettamente con la loro intelligenza tutte le cose che Egli voleva, si proponessero di scriverle fedelmente e le esponessero in forma conveniente, secondo verità infallibile; altrimenti Egli non sarebbe più autore di tutta quanta la Scrittura”.  
Dunque l’ispirazione nell’agiografo è luce alla mente, mozione alla volontà, assistenza alle facoltà esecutive.
Di ogni libro della Scrittura è ispirato direttamente solo il testo originale, anzi a rigore solo l’autografo (cioè il manoscritto originale) dell’autore ispirato. Le copie sono ispirate equivalentemente cioè se ed in quanto trascrivono fedelmente l’autografo. Le traduzioni in altre lingue sono da considerarsi ispirate equivalentemente, se ed in quanto riproducono fedelmente i pensieri e, fin che è possibile anche la forma letteraria dell’originale.
L’enciclica Divino afflante Spiritu invita gli esegeti a indagare “le condizioni di vita” e “in qual tempo sia vissuto” l’agiografo; la stessa enciclica, facendo sue le parole di S. Atanasio, ed estendendole a tutti i libri della S. Scrittura avverte: “Qui, come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare, deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l’Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attentamente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo l’una o l’altra, di andare lontano dal vero pensiero dell’autore”.
Inoltre alcune volte lo scrittore descrive i fenomeni della natura con linguaggio figurato, specialmente nei libri e brani poetici. Perciò, quando dice, per es., che le stelle “si rallegrano e rispondono all’appello divino” (Sal 96,12-13), sarebbe errato concludere da questo e simili testi che la Scrittura concepisce la natura come animata: è solo un linguaggio poetico che, attraverso un’ardita ma bellissima metafora, vuole esprimere una realtà più elevata: l’onnipotenza divina, al cui comando gli astri sono perfettamente soggetti.
Ecco quindi che Giosuè dicendo: “fermati o sole, fermati o luna” non ha voluto dettare formule fisiche, matematiche e astronomiche, ma usando un linguaggio poetico ha voluto sottolineare l’onnipotenza di Dio che domina tutto l’universo e qualsiasi prodigio gli è possibile, infatti lo scorrere del tempo si fermò per un po’ ad opera di Dio. 
S. Agostino a chi voleva indagare che cosa la Scrittura insegnasse intorno alla configurazione del cielo, rispondeva che “lo Spirito Santo non volle insegnare agli uomini cose che non hanno alcuna utilità per la salvezza eterna… Il Signore non promise lo Spirito Santo per istruirci intorno al corso del sole e della luna: Egli voleva fare dei cristiani, non dei matematici”.
Anche ai nostri giorni gli stessi scienziati nella conversazione corrente usano lo stesso linguaggio e dicono: “il sole sorge, il sole tramonta” pur sapendo benissimo che la realtà è diversa. Tuttavia ai sensi sembra che sia il sole, e non la terra, a muoversi, e ciò basta a giustificare il linguaggio corrente, come anche il linguaggio biblico (Eccl 1,5 s.).
Galileo nella sua lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, partendo dal presupposto che la Scrittura non può mai mentire, sottolinea che la Scrittura non ha uno scopo scientifico ma religioso, e cita ripetutamente un detto del Baronio, cioè “che è intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci (nella Scrittura) come si va in cielo, non come va il cielo.

Nell’antichità (tanti secoli prima di Galileo) infatti il cielo era descritto come un’immensa volta solida, poggiata su colonne; esso divide le acque in due parti: quelle al di sopra e quelle al di sotto del cielo. Le acque superiori formano un gran serbatoio che Dio apre quando vuol mandare la pioggia; le acque inferiori formano l’oceano, nel quale si trovano le fondamenta della terra. Anche la neve e la grandine si trovano in grandi serbatoi collocati al di sopra della volta del cielo; i venti pure sono tenuti come in grandi serbatoi. Sulla volta del cielo sono infissi gli astri, dei quali i maggiori sono il sole e la luna; la terra poi è supposta immobile mentre il sole le gira intorno (Gen 1,6-8; 16; 7,1 ss. Giob. 26,11; 37,18; 38,22 ecc.). Questa descrizione, corrispondente alla concezione non solo degli Ebrei, ma di tutta l’antichità, non è scientifica, ma è fatta secondo ciò che appare ai sensi. Come anche in Isaia 40,22 si legge: “Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette”. Alcune traduzioni come la Diodati traducono “Egli siede sopra il globo del mondo…” oppure in Pr 8,22 leggiamo: “dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.”
In ogni caso bisogna sempre comprendere ed accettare il concetto del messaggio divino, le singole parole possono riferirsi a fatti o cose che i sensi umani percepiscono, ma non necessariamente debbono corrispondere alla realtà scientifica.
Bisogna stare sempre attenti nel valutare i contenuti biblici, altrimenti si va a cozzare contro alcune apparenti contraddizioni che troviamo nella Bibbia. In realtà la Bibbia non si contraddice mai, e in nessun versetto, basta solo saper riconoscere lo scopo dei messaggi divini.
Ad esempio nelle S. Scritture troviamo diverse imprecazioni, per imprecazioni s’intendono le espressioni che augurano del male. Le imprecazioni che si trovano nella Bibbia hanno per oggetto svariati mali e castighi temporali, e persino la morte; sono contenute soprattutto nei salmi così detti “imprecatori”.
Queste imprecazioni sembrano espressioni di odio personale contro il nemico e contrarie alla virtù della carità. Per risolvere tale difficoltà bisogna esaminare caso per caso, tenendo presenti i principi che seguono.
Nell’A.T. vigeva la legge del taglione legge dura ma in sé giusta, perché basata sul principio, moralmente onesto, che la colpa deve essere adeguatamente punita. Questa legge era largamente diffusa nel mondo semitico e Dio l’aveva approvata anche per il suo popolo.
Non va giudicata in base al precetto evangelico del perdono, anzi dell’amore verso i nemici
(Mt 5,43-48); rispetto ad esso è certamente imperfetta, ma in sé non si può dire disonesta.
Le imprecazioni si presentano generalmente non come sfoghi di odio personale, ma come invocazioni a Dio perché compia la giusta vendetta secondo la legge del taglione o portando ad esecuzione le sue minacce di maledizione contro i trasgressori della Legge (Lev 26, Dt 28).
Il motivo per cui l’imprecante è perseguitato è il suo attaccamento alla legge di Dio; così la causa personale diventa la causa stessa di Dio che ha promesso le sue benedizioni ai fedeli. 
Egli è mosso dunque dal sentimento della giustizia (caratteristica dell’A.T.), meno perfetto del sentimento della carità (caratteristica del N.T.). Che questi appelli alla giustizia di Dio, affinché vendichi il diritto violato, contengano anche una parte di risentimento personale degli autori umani, è comprensibile; “i cristiani che seguono (e che seguiamo) così male gli esempi e insegnamenti del Cristo, non hanno diritto di scandalizzarsi; farebbero meglio ad attingere da essi uno zelo più ardente per l’avvento del Regno di Dio che deve stabilire la giustizia definitiva.
Ecco perché nella dottrina cattolica troviamo che il V.T. contiene alcune cose caduche e imperfette, queste cose temporanee vengono adempite e completate nel Nuovo Testamento, in quest’ultimo non vige più ad esempio la legge del taglione, ma la frase “porgi l’altra guancia”, che deriva dalla carità predicata da Gesù.
Certe imprecazioni sono da considerarsi piuttosto profezie. Così S. Pietro ha applicato il Salmo 109,8 (contro un traditore) a Giuda, traditore di Gesù.
Anche quando nella Bibbia troviamo lodi verso qualcuno, sarebbe opportuno saper discernere correttamente, infatti la lode generica di un personaggio, non implica affatto l’approvazione di tutte le sue azioni. Così il lettore può facilmente notare il contrasto fra la poligamia di Lamec (Gen 4,19) e l’unità del matrimonio come fu inizialmente istituito da Dio stesso (Gen 2,23). “Se la Scrittura narra certi fatti non è perché li imitiamo ma perché ce ne guardiamo” (S. Agostino).
Così l’elogio delle due levatrici in Es 1,19 s. non implica l’approvazione della loro bugia, né l’elogio di Giuditta comporta l’approvazione del suo inganno (Giudit. 10,11 ss.).
Tenendo presenti i suddetti principi si può apprezzare rettamente ciò che la Scrittura dice intorno alla guerra. Vi sono però casi in cui Dio stesso dà ordine di distruggere città, di sterminare popoli (Num 21,2 s.; Dt 7,1-6; anzi la riprovazione di Saul ebbe inizio dalla trasgressione di un ordine simile: I Sam 15). 
Bisogna allora notare che tali ordini avevano lo scopo di prevenire il pericolo che gli Israeliti si lasciassero trascinare all’idolatria e alla corruzione dei costumi: nel conflitto tra il bene materiale altrui e il bene spirituale proprio, a quello fu preferito quest’ultimo. Inoltre Dio, padrone della vita e della morte, si servì del popolo eletto per punire le popolazioni cananee delle loro gravi perversioni morali (Gen 15,16; Dt 9,4 s.; 18,9-12; Sap 12,1-7)
Malgrado l’altezza dei principi morali che contiene, l’A.T. non è un codice morale: esso testimonia l’attività di un Dio condiscendente che volle adeguare la propria azione alla debolezza umana
(Mt 19,8). Questa è in ultima analisi la spiegazione delle imperfezioni morali che si riscontrano negli eroi biblici. La Bibbia testimonia una pedagogia divina e una pedagogia progressiva.
Presi gli uomini in uno stato morale e intellettuale inferiore, Dio li ha condotti fino al vangelo;
ma solo a poco a poco ha rivelato il loro ideale, e non fa meraviglia se alle prime tappe della storia sacra non si manifesta la conoscenza di quelle leggi divine che sono al livello del Discorso della montagna.
Ecco quindi ancora che non sono importanti le singole parole ma il concetto dell’insegnamento.
Tradurre la Bibbia in più lingue sicuramente aiuta a meglio capire, oggi ogni popolo può studiare la Bibbia tradotta nel proprio linguaggio.
Come abbiamo visto “La Bibbia ebraica fu tradotta in greco nel III secolo a.C. per poter essere capita dagli ebrei residenti fuori della Palestina, i quali non conoscevano l'ebraico, ma parlavano il greco, diffuso in tutti i paesi del Mediterraneo orientale. La versione fu compiuta ad Alessandria e fu detta dei Settanta, perché si credette compiuta da settanta dotti ebrei, e rappresenta il canone alessandrino.
Dopo la versione dei Settanta si ebbero quelle, pure greche, di Aquila, Simmaco e Teodozione, che  Origene nel III sec. riunì in una grande opera chiamata Esala (Sestupla), perché in sei colonne parallele dava il testo ebraico, lo stesso trascritto in lettere greche, poi le altre versioni greche citate. Di quest'opera esistono esigui frammenti.
Dell'Antico Testamento esistono anche versioni aramaiche, o targumim. Dell'intera Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) esistono antiche versioni in lingue orientali: in lingua siriaca (la più nota è la Peshitta [Pešitta', usuale, semplice]), in lingua copta, armena, etiopica, georgiana, araba.
Le antiche versioni in lingue occidentali sono: la gotica, la paleoslava e la latina.
In quest'ultima lingua esistettero dapprima due o tre versioni: l'africana e l'itala (II sec.) e, forse, l'europea (II-III sec.). Nel IV sec. san Girolamo tradusse l'intera Bibbia in gran parte dai testi originali; è questa la versione detta Vulgata che per la Chiesa cattolica è autentica, come ha definito il concilio di Trento, cioè fa testo in materia di fede e di costumi.” (cf, Enc. Rizzoli 2002).

LA FORMAZIONE DEL CANONE BIBLICO
Esamineremo ora, nelle linee generali, il lento processo di “canonizzazione”, o formazione del canone, dei libri ispirati, dopo aver premesse alcune necessarie nozioni.
Presso gli scrittori profani canone indicò primitivamente il fusto di una canna e per estensione ogni bastone diritto e lungo. Ora siccome gli antichi per misurare si servivano di una canna, questo termine assunse presto il senso derivato di misura, regolo, anche in senso metaforico, e quindi regola, norma, modello, con applicazioni persino alla grammatica e all’arte.
Presso gli scrittori ecclesiastici il termine canone conservò il significato di norma, regola, e venne usato in rapporto alla fede e ai costumi, alla disciplina (specialmente del clero), alla liturgia,
e soprattutto alla Sacra Scrittura, considerata come regola suprema di fede e di vita.
L’espressione “canone biblico” indica fin dal sec. III il catalogo ufficiale dei libri ispirati, i quali, per la loro divina origine, costituiscono la regola della fede e dei costumi.
La distinzione dei libri ispirati in proto- e deuterocanonici non intende introdurre una gradazione nella dignità e nell’autorità dei libri sacri, ma solo indica il tempo della loro accettazione ufficiale nel canone: i deuterocanonici furono riconosciuti dalla Chiesa universale come ispirati solo più tardi, per dubbi sorti intorno alla loro divina origine in alcune chiese particolari; mentre i protocanonici furono dalla Chiesa universale riconosciuti come ispirati fin dall’inizio, senza che vi sia mai stata alcuna incertezza.
I deuterocanonici sono sette nell’A.T., e altrettanti nel N.T. e cioè: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico (Siracide), Baruc, 1-2 Maccabei, nell’A.T.; l’epistola agli Ebrei, l’epistola di Giacomo, la seconda epistola di Pietro, la seconda e la terza epistola di Giovanni, l’epistola di Giuda, l’Apocalisse, nel N.T. A questi libri vanno aggiunti tre brani dell’A.T.: Est. 10,4 – 16,24 (Vg) e Dan 3,24-90; 13 -14.
Comunemente si aggiungono anche tre brani del N.T. (la finale del secondo vangelo: Mc 16,9-20; la descrizione del sudore di sangue di Gesù: Lc 22,43 ss; l’episodio della donnadultera: Gv 7,53 -8,11). Ma è da osservare che l’antichità generalmente non ebbe incertezze sull’ispirazione di questi brani. Solo ai nostri giorni i critici ne hanno dubitato, perché essi mancano in alcuni codici e versioni.
I protestanti chiamano come i cattolici i deuterocanonici del N.T., che nelle loro Bibbie stampate si trovano insieme con i protocanonici nell’ordine del canone; invece i deuterocanonici dell’A.T. li chiamano apocrifi, non li riconoscono come ispirati, e generalmente non si trovano nelle loro edizioni della Bibbia. Gli apocrifi dell’A.T. essi li chiamano comunemente pseudepigrafi (libri dal falso titolo), mentre denominano come i cattolici gli apocrifi del N.T. 
Il criterio delle canonicità è il medesimo che per l’ispirazione, con la sola differenza che, mentre il criterio per l’ispirazione è applicato a tutti i libri sacri in generale, il criterio per la canonicità è applicato a ciascun libro in particolare. Tale criterio è la tradizione apostolica della Chiesa.
Questa tradizione apostolica si manifestò fin dagli inizi della Chiesa, attraverso varie forme concrete: testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, citazioni di brani dell’A. e N.T. attribuiti a Dio, decisioni sinodali, lettura liturgica.
Dalla storia del canone risulterà che l’accettazione nel canone di un libro sacro da parte dell’autorità della Chiesa non è necessario sia fatta solennemente: basta anche l’accettazione pratica, per vie di fatto. Consta con certezza che non sono giunti fino a noi alcuni scritti dei quali, dalla Bibbia, conosciamo l’esistenza e talvolta anche il titolo. Così per l’A.T. il “libro del Giusto”, le profezie del profeta Gad, ecc., e per il N.T. almeno un’altra epistola di S. Paolo ai Corinzi e una ai Laodicesi (Col 4,16). Se fossimo sicuri che questi libri erano ispirati, dovremmo anche ammettere che di fatto alcuni libri ispirati sono andati perduti.
Per sapere se questi libri erano ispirati bisogna interrogare la tradizione cattolica, unico criterio d’ispirazione: ma essa tace assolutamente in proposito. Non basta il fatto che questi scritti erano dovuti a qualche profeta e apostolo, perché il criterio dell’apostolato non è sufficiente. Quindi ignoriamo se di fatto qualche scritto ispirato sia andato perduto.
Quanto poi alla questione astratta se sia possibile che qualche libro ispirato sia andato perduto, bisogna distinguere tra libro soltanto ispirato e libro ispirato e canonico. Ora non sembra possibile che sia andato perduto un libro ispirato e canonico, cioè già universalmente riconosciuto e dichiarato ispirato dalla Chiesa: ciò supporrebbe che la Chiesa non è stata fedele alla sua missione di custode delle fonti della rivelazione, il che non si può ammettere.
Di un intero libro ispirato del N.T. (vangelo di Matteo, scritto originariamente in aramaico) e di alcuni libri e brani deuterocanonici dell’A.T. è andato perduto il testo originale, ma ce ne sono rimaste traduzioni sostanzialmente conformi. 
Occorre innanzi tutto ricercare come si formò il canone dei protocanonici presso gli Ebrei e che cosa essi pensassero dei deuterocanonici. L’opinione dei giudei in proposito potrebbe anche essere trascurata, poiché i cristiani hanno ricevuto il canone dell’A.T. non da loro, ma da Gesù e dagli apostoli. Però tutto fa pensare che in questa materia il Signore e gli apostoli non hanno fatto che accettare e trasmettere il canone giudaico. Ora, mentre non c’è dubbio sul pensiero dei giudei in favore dei protocanonici, rimane invece incerto che cosa essi pensassero dei deuterocanonici.
Secondo il nostro modo di contare, i protocanonici dell’A.T. sono 34. Ma antichi documenti giudaici (l’apocrifo IV Esdra, il Talmud babilonese, con altri scritti rabbinici) e due scrittori ecclesiastici (S. Gerolamo, S. Ilario di Poitiers) ne contano solo 24: questa cifra è una riduzione ottenuta mediante raggruppamenti di libri simili tra loro e sostanzialmente corrisponde alla nostra cifra. 
A motivo della scarsità di documenti è impossibile tracciare una storia completa del canone dei protocanonici dell’A.T.: i pochi dati ci permetteranno di stabilirne soltanto le linee generali.
Nella Bibbia ebraica i protocanonici dell’A.T. sono distribuiti in tre classi: la Legge (Tòràh), i Profeti (Nebì’ìm), gli Scritti (Ketùbìm). Questa tripartizione è attestata da antichi documenti, i quali menzionano le prime due classi con i loro nomi ben determinati, la terza con termini fluttuanti.
La seconda e la terza classe abbracciarono a loro volta raccolte minori. Tutte queste ripartizioni bastano a dimostrare che il canone dell’A.T. non si formò di un solo getto, ma a poco a poco e in varie tappe, di cui le essenziali sono rappresentate dalle tre raccolte principali: Legge, Profeti, Scritti. 
La Legge o Pentateuco. Tre avvenimenti permettono di tracciare le linee maestre del processo di canonizzazione della prima raccolta.
Verso il 444 a.C., al tempo della restaurazione nazionale dopo il ritorno dell’esilio babilonese, Esdra capo spirituale della nazione, in varie adunanze pubbliche legge al popolo la “Legge di Mosè” (Neem 8-10): il popolo ascolta la lettura con viva attenzione; pentito, domanda al Signore perdono delle trasgressioni proprie e di quelle dei padri, e s’impegna ad osservarla in seguito. Di qui risulta che alla Legge viene riconosciuto un valore normativo per la vita religiosa e sociale, anche per il tempo precedente, poiché si deplora che anche gli antichi padri, a cominciare dall’epoca di Mosè non abbiano conformata la loro condotta alla Legge (Neem 9,16 ss.). Questo valore normativo è appunto quello che noi chiamiamo “canonicità”.
Qualcosa di simile era avvenuto al tempo di Gioisia, re di Giuda (639-609). Nel 621 fu ritrovato casualmente nel Tempio il “libro della Legge”: venne letto al re, il quale poi lo fece leggere solennemente al popolo; il re riconobbe che le prescrizioni della Legge non erano state osservate in passato e s’impegnò a farle osservare in avvenire; eseguì la riforma religiosa, conformandola pienamente alle norme della Legge. Dunque questo valore normativo della Legge si riconosceva già alla fine del sec. VII a.C. e si supponeva esistente anche in passato.
Infine, leggiamo che Mosè, quando ebbe finito di scrivere la “Legge”, la fece collocare accanto all’Arca dell’alleanza, dando ordine di leggerla pubblicamente ogni 7 anni (Dt 31,9-13. 24 ss.).
La canonizzazione della prima raccolta ha dunque una sua storia, che, sebbene sia nota solo in modo approssimativo, permette di ritenere come certo il riconoscimento del suo valore sacro e normativo; tale storia ebbe una fase decisiva, se non finale, nel sec. IV ad opere di Esdra. L’importanza di questa raccolta fu tale che con il termine “Legge” a volte si soleva designare tutto l’A.T.
I Profeti. Un dato abbastanza sicuro indica il termine del processo di canonizzazione della seconda raccolta.
Verso il 180 a.C. l’autore dell’Ecclesiastico, tessendo l’elogio degli antenati, enumera i vari personaggi esattamente secondo l’ordine dei corrispondenti libri della seconda raccolta 
(Eccl. 46,1 – 49,15). Mezzo secolo più darti (verso il 130) il nipote dell’autore dell’Ecclesiastico (nel prologo) tra la Legge e gli altri “Scritti” dei padri nomina anche i “Profeti” come una collezione ben distinta.
Possiamo dunque affermare che la canonizzazione della seconda raccolta era già terminata nei primi anni del sec. II a.C.? E’ verosimile, ma non certo.
Che essa fosse terminata prima della terza non si può arguire con certezza dalle espressioni dove la formula “Legge e Profeti” equivale a tutto l’A.T.: si tratta infatti della designazione delle parti principali per il tutto, cioè di una sineddoche.
Gli Scritti. Ezechia re Giuda (718-689) fece raccogliere un certo numero di proverbi di Salomone (Prov. 25,1) e istituì o regolamentò il canto liturgico dei salmi di Davide e Asaf (2 Cron 29,30): sono le prime collezione appartenenti alla terza raccolta.  
La canonizzazione degli “Scritti” dunque, iniziata con Ezechia, si andò sviluppando a poco a poco: non si può stabilire quando sia giunta a compimento.
Dal fatto che i Giudei aggiunsero alla Legge anche i Profeti e gli Scritti, possiamo concludere che essi riconoscevano alla seconda e alla terza raccolta lo stesso valore normativo attribuito alla Legge, cioè le consideravano raccolte di libri sacri.

Esdra autore del canone dei protocanonici?
Fu opinione di vari scrittori ecclesiastici che Esdra avesse formato e chiuso il canone. L’opinione si diffuse largamente fra protestanti e cattolici e dominò fino ai nostri giorni passando come tradizionale: secondo i protestanti Esdra avrebbe chiuso il canone in modo che non sarebbe più stato permesso aggiungervi altri libri, mentre i cattolici sostenevano che i Giudei di Alessandria vi avessero aggiunto più tardi i deuterocanonici.
Oggi questa opinione circa il ruolo di Esdra è universalmente abbandonata, perché i documenti su cui si fondava (IV Esdra, Flavio Giuseppe, Talmud) questo punto non sono degni di fede, perché se veramente Edra avesse chiuso il canone, ne resterebbero perciò esclusi i libri protocanonici delle Cronache, di Esdra-Neemia e dell’Ecclesiaste, che si ritengono posteriori a Esdra.
Almeno ad Alessandria il canone comprendeva anche i deuterocanonici. I codici della Bibbia greca alessandrina, detta “versione dei LXX”, (settanta) contengono i deuterocanonici, e non in appendice, come se fossero di altro genere, ma nel corpo, mescolati ai protocanonici: dunque gli Ebrei di Alessandria attribuivano loro lo stesso valore.
Probabilmente anche in Palestina il canone comprendeva i deuterocanonici, perché tra le due comunità giudaiche di Gerusalemme e di Alessandria corsero sempre buoni rapporti, particolarmente in materia di Libri Sacri. Questi buoni rapporti difficilmente sarebbero durati se gli alessandrini avessero considerati come sacri alcuni libri non ritenuti tali dai palestinesi.
All’epoca di Nostro Signore a Gerusalemme esisteva almeno una sinagoga per gli Ebrei alessandrini (Atti 6,9); ora una delle pratiche eseguite nella sinagoga era la lettura della Bibbia e, naturalmente, il testo usato nella sinagoga alessandrina di Gerusalemme era la versione greca dei LXX, che conteneva anche i deuterocanonici. Siccome non consta che i gerosolimitani abbiano protestato, è presumibile che essi non fossero ostili ai deuterocanonici.
Gli stessi apostoli usavano la Bibbia dei LXX, questo è un fattore determinante per assicurare l’effettiva ispirazione dei 7 libri del V.T., in quanto in nessuno degli scritti apostolici troviamo avvertimenti verso i 7 libri, oltretutto troviamo alcune loro citazioni nel N.T. 
Gli autori del Nuovo Testamento ebbero come fonte principale la versione dei LXX: su 350 citazioni dall'Antico Testamento, 300 circa sono dai LXX. Ciò è un chiaro indizio della propensione della Chiesa del I secolo per il canone lungo (questo dimostra l'errore protestante). 
“Tuttavia, il fatto che nel Nuovo Testamento e nei padri apostolici si trovino citazioni anche dai libri apocrifi, quali i «Salmi di Salomone» o l'«Assunzione di Mosè», sta a significare che per i cristiani il canone dell'Antico Testamento non era stato ancora definitivamente fissato. Per molto tempo ancora, dopo il II secolo, ci saranno nel mondo cristiano autori favorevoli al canone ristretto dei libri dell'Antico Testamento, come Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Gerolamo.
Quest'ultimo è il caso più evidente del tributo pagato alla «verità ebraica» del canone da parte dei cristiani, e con Gerolamo saranno d'accordo Ugo da San Vittore e il cardinale Caietano (sec. XVI). Tuttavia dopo varie dispute anche attraverso s.Agostino, anche Gerolamo propenderà per la versione lunga. Il canone si snodò comunque nell'arco di molti secoli, già dal III secolo si ha quello che possiamo definire l'integrità del canone dal momento che lo stesso Agostino lo userà abbondantemente nei suoi scritti e non risulta che alcun Padre della Chiesa lo abbia mai rinnegato.
Il magistero prenderà posizione sul canone nella sua prima forma ufficiale, nel concilio di Firenze (1441), dando l'elenco dei libri biblici secondo il canone lungo, confermando in tal modo lo stesso uso che anticamente i Padri ne avevano fatto; nel concilio di Trento (1546) che definirà, dopo qualche discussione, il canone di Firenze; nel concilio Vaticano 1(1870) che rimanda a Trento, e nel Vaticano II. 
L'ultimo concilio riconosce che gli scritti dell'Antico Testamento sono vera parola di Dio avente per noi valore perenne: afferma però che, benché gli scritti dell'Antico Testamento «contengano anche cose imperfette e temporanee» (Dei Verbum, n. 15), essi «trovano il loro completo significato nel Nuovo Testamento» (Dei Verbum, n. 16). 

Come ho accennato qualche pagina addietro anche la storia della formazione del canone neotestamentario registra incertezze. Se è vero che la 2°Pietro (3,16) attesta l'idea di una collezione di libri sacri mettendo alla pari le lettere di Pietro con «le altre scritture», bisognerà attendere il II secolo per veder affiorare l'idea di Nuovo Testamento con i suoi scritti canonici. Così, ad esempio, verso la metà del II secolo, Giustino attesta che i cristiani, radunati nel giorno del sole 
(= domenica), leggevano le «memorie degli apostoli»  (= vangeli) e gli scritti dei profeti. Probabilmente in reazione alla posizione di Marcione che non accettava l'Antico Testamento, ritenuto opera di un Dio malvagio, e operava una selezione all'interno dello stesso Nuovo Testamento conservando soltanto il vangelo di Luca e 10 lettere di Paolo, si consolidò, nella Chiesa del II secolo, l'idea che gli scritti cristiani del tempo apostolico formavano un complesso unitario da collocare accanto all'Antico Testamento.
La lista più antica di tali scritti ci e conservata dal Canone di Muratori, che attesta l'uso romano alla fine del II secolo, e non menziona la lettera agli Ebrei, quella di Giacomo e le due lettere di Pietro. 
Delle tre lettere di Giovanni sono riconosciute solo le prime due. In accordo con la tradizione della Chiesa occidentale è ricordata l'Apocalisse. Solo con gli elenchi della fine del IV secolo, da parte di Atanasio e di Agostino, si ha l'attestazione di quel canone completo che sarà proposto dai Concili di Firenze e di Trento. In Oriente è singolare il caso della Chiesa sira, che nel IV secolo usa un canone dal quale sono assenti le 7 Lettere cattoliche e l'Apocalisse. Anche ai nostri giorni le Chiese nestoriane costituiscono un caso unico, non riconoscendo come ispirate e canoniche la 2 di Pietro,
la 2 e la 3 di Giovanni, quella di Giacomo e l'Apocalisse. 

Le incertezze che si registrano nei primi cinque secoli hanno cause molteplici, fra le quali merita ricordare: il fatto che alcuni scritti del Nuovo Testamento erano in origine destinati a comunità locali travagliate da particolari problemi; le difficoltà di comunicazione fra le comunità; i dubbi sull'origine apostolica di alcuni scritti (Apocalisse, Ebrei, 2Pietro); il caso di abusi da parte di correnti eterodosse (ad esempio, l'uso millenaristico dell'Apocalisse presso i montanisti); le incertezze sulla conformità col pensiero apostolico di alcuni scritti ad esempio, la lettera di Giacomo, per la quale «la fede senza le opere è morta», pare essere in contrasto col pensiero di Paolo (a tal punto che Lutero fu sul punto di eliminarla); e la lettera di Giuda che cita il libro apocrifo di Enoch. 

Abbiamo già spiegato quali siano i criteri di definizione del canone, ma per maggior semplicità lo ripetiamo in termini più semplici, ponendo una domanda.
In base a che cosa la Chiesa pervenne a definire il canone dei libri sacri?
Una prima risposta, bisognosa di ulteriore riflessione, è data dall'ultimo Concilio, secondo il quale è «la stessa tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri» (Dei Verbum, n.8). La tradizione però ha bisogno a sua volta di criteri per accertarsi di quale tradizione si tratti:
ad esempio, se sia in gioco la tradizione apostolica, oppure semplicemente una qualche tradizione ecclesiastica. 

È la questione dei «criteri di canonicità» che fu oggetto di dispute soprattutto a partire dal secolo XVI con Erasmo e coi protestanti. Erasmo rispolverò i dubbi dei primi secoli sull'origine apostolica di Ebrei, Giacomo, Giuda e Apocalisse, e di alcune pericopi evangeliche, quali Marco 16,9-20; Luca 22,43s; Giovanni 7,57-8,11, la sua prima Traduzione fu un vero e proprio attentato alla Verità. Queste sezioni furono all'attenzione del concilio di Trento che, dopo aver esibito l'elenco definitivo dell'Antico e del Nuovo Testamento, dichiarò: «Se qualcuno poi non accetterà consapevolmente come libri sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, così come si è soliti leggerli nella Chiesa cattolica e si trovano nella edizione antica della Volgata latina, e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema» (DS, n. 1501). 
Lutero, dall'apparenza più conciliante, riteneva secondari, in rapporto alla testimonianza resa a Cristo, gli stessi scritti rifiutati da Erasmo e li collocava alla fine della sua traduzione in tedesco della Bibbia. Ma in realtà, mosso da un radicale evangelismo, Lutero riteneva che il criterio determinante per riconoscere uno scritto canonico fosse il suo urgere Christum (= proporre energicamente, far valere Cristo), il suo portare e comunicare Cristo (was Christum treibt). Scriveva Lutero: «Ciò che non insegna Cristo, non è apostolico, anche se lo insegnassero addirittura Pietro o Paolo. Viceversa, ciò che predica Cristo è apostolico, anche qualora lo facciano Giuda, Anna, Pilato o Erode». Insomma, per Lutero era determinante il criterio cristologico che gli faceva esclamare: «Qualora gli avversari facciano valere la Scrittura contro Cristo, noi facciamo valere Cristo (urgemus Christum)... contro la Scrittura». Ciò non è altro che un'espressione della dottrina luterana sulla giustificazione per mezzo della fede, che diventerà per lui criterio selettivo degli scritti biblici, anche a costo di sacrificare interi Libri Sacri.
La giustificazione per mezzo della fede afferma, in ultima analisi, che la salvezza dell'uomo è operata dal Cristo in cui si crede, e non dalle opere dell'uomo. In genere, nel mondo protestante,
si accentuerà l'importanza dei criteri interni coi quali lo Spirito Santo si renderebbe garante del carattere divino delle Scritture nel cuore dei credenti. Giustamente si ritiene che il nodo del problema sia la Chiesa (unica e vera nemica), e concretamente la sua mediazione, subordinata a quella unica di Cristo, di cui però, secondo i cattolici, la Chiesa partecipa; “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.” (Col 1,24)
In ogni caso pare non si possa non riconoscere che la fissazione del canone è un atto della Chiesa o, meglio, della tradizione operante nella Chiesa.
Il concilio di Trento adduce per la definizione del canone due argomenti: l'uso di leggere determinati libri nella Chiesa e la loro presenza nella Volgata latina. In realtà, come qualcuno ha fatto osservare, questi due argomenti equivalgono a dire che si riconoscono come canonici quei libri che la tradizione della Chiesa ha letto e dai quali questa tradizione si riconosce generata.
Per la verità, la tradizione dei primi secoli dovette articolare i propri criteri di canonicità.
Essi si possono ricondurre ai tre seguenti. 

1) L'autorità apostolica, in quanto libri scritti dagli apostoli o dai loro diretti collaboratori: questo primo criterio rivelerà le sue aporie allorché ci si troverà in presenza di scritti la cui paternità apostolica era discussa, come nel caso di Ebrei e di Apocalisse, senza dimenticare l'uso della LXX che essi facevano.

2) L'ortodossia degli scritti, in quanto conformi alla «regola della fede», cioè alla fede trasmessa dagli apostoli e professata nelle Chiese apostoliche. 

3) La cattolicità degli scritti, in quanto riconosciuti da tutte o dalla maggior parte delle Chiese. 

Un autore contemporaneo ha scritto con ragione: «Questi tre criteri sono... la conferma del fatto che la definizione del canone sia un atto di obbedienza alla Parola annunziata; il "caso limite" di tale obbedienza, in quanto si passa dalla considerazione dei singoli contenuti al contenente, da quanto è annunziato a chi annunzia. Alla radice di questi criteri, come condizione che spiega anche l'assunzione dell'Antico Testamento nei confini del Libro della comunità cristiana e il limite stesso del Nuovo Testamento al momento della generazione apostolica, vi è il riconoscimento di quegli scritti che avevano generato la propria confessione di fede in Gesù Signore e Messia.
Il Concilio di Trento non fece altro che riconfermare quanto la Chiesa per secoli aveva annunciato, proclamato, difeso, conservato.
Questo è un patrimonio che manca e che mancherà al mondo Protestante se continueranno a non riconoscere queste radici storiche.
L'autorità riconosciuta a questi scritti è dunque la piena obbedienza a quanto essi hanno proclamato». Riformuliamo ancora una volta la domanda: 

Donde attinse la Chiesa la certezza sui libri canonici? 

Non risulta che alla Chiesa sia stata concessa una rivelazione particolare al riguardo. Quindi la risposta può essere soltanto: la Chiesa, volendo esprimere fedelmente il messaggio di Cristo, riconobbe sempre più chiaramente l'insuperabile importanza di quei 27 scritti che le provenivano dall'età apostolica. Ha scritto K. Barth che «proprio questi stessi scritti hanno fatto sì che, in virtù del fatto che erano canonici, fossero in seguito anche riconosciuti e proclamati come canonici» Nel riconoscimento del canone da parte della Chiesa abbiamo un caso particolare di quanto sostengono alcune correnti dell'ermeneutica contemporanea, e in particolare H. G. Gadamer, sul nesso inscindibile fra interpretazione e tradizione. La comprensione adeguata di un testo, nel caso specifico, della Bibbia, è possibile solo all'interno della tradizione che esso ha messo in moto e in cui si sono visti i suoi effetti. 

Certo, sono possibili letture parziali anche da parte di chi si accosta al libro con interessi puramente storici ed eruditi. Tuttavia «la verità del libro... si dispiega a chi si pone nell'alveo della tradizione da esso creata... Il libro genera la tradizione in tutte le sue manifestazioni; la tradizione è la condizione di possibilità per la comprensione del libro» 
3. Si istituisce così un processo nel quale interagiscono parola, scrittura, tradizione: «La parola proclamata diventa scrittura, il testo scritto genera un popolo che lo interpreta e che a sua volta produce una nuova parola che ridiventa scrittura, in una concatenazione continua». Possiamo allora cercare di capire l'affermazione della Dei Verbum, n. 8, secondo la quale «è la stessa tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri». Questa affermazione non va interpretata semplicisticamente come avrebbe fatto qualche manuale di teologia dei tempi passati ragionando più o meno così: l'ultimo apostolo, prima di morire, rivelò quale fosse il canone della Scrittura. Questa tradizione orale, andata smarrita per qualche tempo, riaffiorò nuovamente nel secolo IV. Tale modo di ragionare, peraltro senza alcun appoggio documentaristico, ritiene che la Scrittura e la tradizione siano due fonti, materialmente distinte, della rivelazione, per cui alcune verità rivelate, e in primo luogo il canone dei libri ispirati, sarebbero veicolate unicamente dalla tradizione orale. La Dei Verbum presenta invece la tradizione e la Scrittura come «strettamente tra loro congiunte e comunicanti» (n. 9). La prospettiva ermeneutica sopra menzionata ci consente di interpretare i fatti non nel senso che la verità del canone biblico sia contenuta esclusivamente nella tradizione e in nessun modo, neppure indiretto, nella Scrittura stessa. 
Infatti il più grande errore Protestante è quello di insegnare ancora oggi ai propri fedeli questa falsa dissociazione fra la Scrittura e la Tradizione, confondendo i fedeli sulla verità storica dalla quale evitano perfino di avere le comuni radici.
Questo sarebbe un discorso assurdo eppure è la catechesi che oggi fanno; le loro radici partono sì dagli Apostoli, per arrestarsi dopo la loro morte e riaffiorare con P.Valdo (Valdesi) a partire dall'anno 1200 c.a.
Ciò diventa tanto più plausibile se si pone mente al fatto che nel processo di riconoscimento del canone è implicata l'azione dello Spirito Santo, colui che, al dire di Gesù, guiderà la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13), e che pertanto opera sia in tutta la Chiesa come soggetto trascendente della tradizione, sia nelle istituzioni volute dagli apostoli in vista della corretta trasmissione della parola apostolica. 

Lo stesso Spirito che ha guidato gli autori della Bibbia nello scrivere (= ispirazione) guida la Chiesa nel corso della storia affinché sia il luogo della fedele memoria del Cristo predicato dagli apostoli. Guidata dallo Spirito, la Chiesa ha riconosciuto nei libri del canone l'opera dello stesso Spirito e vi si è sottomessa. In questa azione di riconoscimento è lecito far intervenire anche quei carismi di insegnamento e di guida di cui la Chiesa è provveduta. Proprio su quest'ultimo punto si registra una profonda divergenza dottrinale fra cattolici e protestanti, rivelatrice del fatto che in ultima analisi il contenzioso non è il problema del canone, bensì quello della Chiesa. 

Lo ha fatto osservare in una lucidissima pagina lo studioso cattolico della Bibbia, Pierre Grelot, scrivendo: «L'insufficienza dei criteri oggettivi induce a vedere nel discernimento [dei libri canonici] il frutto dell'azione dello Spirito Santo. La teologia protestante ha ragione di affermarlo con forza. Resta da sapere quale sia il soggetto a cui perviene questa testimonianza dello Spirito Santo. Su questo punto la sua dogmatica ha una nozione della Chiesa troppo insufficiente perché il suo giudizio sia accettabile. Non è infatti ai singoli credenti che lo Spirito Santo infonde una persuasione relativa al canone. Non l'ha neppure data alla Chiesa (o meglio alle Chiese) di un determinato secolo, più esattamente del II secolo, perché esse possano restare sottomesse a una tradizione apostolica ormai tagliata fuori dalla tradizione vivente.
Lo Spirito Santo, che ispirò gli apostoli e gli autori sacri, continua ad agire nella Chiesa con gli stessi carismi funzionali di cui il Nuovo Testamento già parla esplicitamente, e in particolare con quelli che si ricollegano alle funzioni di insegnamento e di autorità». Conclude Grelot, dopo aver segnalato le ragioni alle quali si appellano i protestanti nell'escludere dal canone i deuterocanonici: «…Il canone ristretto dei riformatori protestanti... è un canone mutilo e questa mutilazione denuncia il pericolo di una teologia della Chiesa in cui la Scrittura non si trova più al suo giusto posto, nel suo rapporto reale con le altre strutture stabilite dagli apostoli».
In epoca recente il problema del canone si è ripresentato nel mondo protestante come problema del «canone nel canone», sul quale ci soffermeremo più avanti. 

L'ispirazione dei libri biblici

Il tema del canone rimanda necessariamente a quello dell'ispirazione. 
L'ispirazione della Scrittura, per essere correttamente intesa, va collocata all'interno di quella costellazione simbolica che indica la Bibbia come «parola di Dio», e parla di Dio come autore delle Scritture e dell'uomo come strumento del quale Iddio si serve per produrre un'opera che supera le capacità creaturali dell'uomo. Ispirazione, parola di Dio, l'uomo-strumento: ecco i tre simboli principali per indicare il peculiarissimo rapporto con Dio degli scritti biblici.
Il termine «ispirazione» segnala il fondamento in base al quale le Scritture sono canoniche e normative: esse godono di autorità divina avendo un rapporto assolutamente privilegiato con lo Spirito di Dio. In riferimento alle Scritture dell'Antico Testamento si cita solitamente un passo neotestamentario particolarmente eloquente: «Ogni Scrittura» dice 2Tm 3,16-17 «infatti è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia ben formato, perfettamente attrezzato per ogni opera buona». Un altro passo ci indirizza verso una comprensione ispirata dell'intero corpo biblico, Antico e Nuovo Testamento. 
Scrive infatti Pietro che nelle lettere del «fratello Paolo» «ci sono dei punti difficili da capire, che persone incompetenti e leggere stravolgono, al pari delle altre parti della Scrittura» (2Pt 3,16). Questo passo va letto in stretto collegamento con un altro della stessa lettera che afferma:
«A nessuna profezia della Scrittura compete un'interpretazione soggettiva. La profezia infatti non ci fu portata allora per iniziativa umana, ma degli uomini parlarono da parte di Dio, sospinti dallo Spirito Santo» (2Pt 1,20s). Lo Spirito che è all'origine delle Scritture profetiche è lo stesso Spirito che nella comunità cristiana è memoria di Gesù, anzi è lo stesso Spirito che ha una relazione singolarissima con quel Gesù che fu concepito per opera dello Spirito, venne unto di Spirito ed è il datore dello Spirito.
L'importanza decisiva dello Spirito Santo nella storia della salvezza, e in particolare nella vicenda di Gesù (di cui è memoria vivente: cfr. Gv 14,26; 15,26s; di cui tiene desta l'attesa nel tempo della Chiesa: cfr. Rm 8,11.23; Ap 22,17; che ci rende capaci di riconoscerlo come «Signore»: cfr. 1Cor 12,3), rende comprensibile il significato dell'ispirazione delle Scritture. «Non è dunque casuale né approssimativo il fatto che la speranza sostenuta dalle Scritture, avendo per contenuto Cristo, abbia lui, lo Spirito, per promotore, e che proprio il documento canonico al quale deve riferirsi in un modo o nell'altro ogni testimonianza resa a Gesù sia frutto di un suo singolarissimo intervento» Potremmo dire allora, per evidenziare la stretta correlazione fra ispirazione e canonicità,
che «la dottrina dell'ispirazione riguarda la Bibbia in sé, quella della canonicità la Bibbia in rapporto a noi». 
Con ogni probabilità, almeno per gli scritti del Nuovo Testamento, il dato primario fu l'autorità degli scritti e il loro uso nella Chiesa, cioè la loro normatività per la fede (= canonicità).
Su questo dato si innestò la riflessione sull'origine divina di tali scritti, diversi simboli, e non tutti egualmente felici, sono stati usati nel corso della storia per indicare il carattere divino o sacro del Libro, e di conseguenza il rapporto fra Dio e l'autore umano.
Ad esempio, il simbolo della «dettatura» che venne poi abbandonato perché rischiava di assegnare all'autore umano una funzione puramente passiva ed esecutrice, il che non si ritrovava nell'originario significato di dictare (= rafforzativo del verbo dire: dire intensamente).
Si usò pure il simbolo di Dio-autore, originariamente inteso a significare, contro l'eresia di Marcione, che lo stesso Dio è all'origine delle due alleanze, e poi passato nel secolo scorso a connotare l'autore letterario, e precisamente Dio come autore principale, e l'uomo come autore secondario del Libro.
Ancora, si è utilizzato il simbolo dello strumento che la teologia scolastica piegherà a indicare Dio come causa efficiente principale che si serve dell'uomo come causa efficiente strumentale per produrre un effetto che porta i segni di entrambi. È stato inoltre utilizzato il simbolo della parola che trova preziose analogie con Cristo, parola di Dio fattasi carne. Utilizzando quest'ultimo simbolo, la Dei Verbum scriverà: «Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile all'uomo» (n. 13). Tutti i simboli impiegati dalla tradizione per caratterizzare il valore sacro o ispirato del Libro rimandano a un evento originario, rispetto al quale il Libro ha un carattere derivato.
In questo senso il senso stesso della Sola Scriptura avvalorato dai Protestanti, denaturalizza la Parola stessa di Dio e che viene lasciata al soggettivismo interpretativo stante a bastare la presenza dello Spirito Santo; questa è una forzatura molto grave che non può far altro che generare migliaia di pensieri diversi della Bibbia stessa.
Questo evento è la rivelazione divina, da intendere come la comunicazione che Dio fa di sé agli uomini, e che in Gesù e nello Spirito trova compimento e definitività. La Scrittura non va pertanto confusa con la rivelazione, non va identificata tout court con la parola di Dio in senso vero e proprio. Parola di Dio infatti è innanzitutto Gesù Cristo.

È lui la rivelazione. La Scrittura ne è la testimonianza. 

E siccome ogni autentica testimonianza a Cristo è resa a lui nello Spirito, di conseguenza le Scritture sono scritte per opera dello Spirito. La teologia contemporanea, nella sua volontà di non confondere la Scrittura con la rivelazione, ravvisa nella Bibbia soprattutto l'espressione della fede testimoniale del popolo ebraico e della comunità cristiana primitiva che riflettono sulla rivelazione. Certo, come ricorda la Dei Verbum, n. 24, la Sacra Scrittura, in quanto contiene la parola di Dio, è essa stessa parola di Dio, ispirata affinché possa attestare con sicurezza la verità che salva. 

L'interpretazione della rivelazione offertaci dalle Scritture non è però affidata unicamente né principalmente alle forze naturali dell'uomo, alla sua intelligenza, sensibilità e fantasia, ma all'azione dello Spirito. Proprio ciò intende esprimere il concetto di «ispirazione» quale l'ha precisato il magistero della Chiesa al concilio Vaticano I (1870) dichiarando, a proposito dei libri dell'Antico e del Nuovo Testamento, che «la Chiesa li considera sacri e canonici non perché, composti per sola opera umana, siano poi stati approvati dalla propria autorità; e neppure solamente perché contengano la rivelazione senza errore; bensì perché, composti per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa» (DS, 3006). Questo insegnamento viene ripreso dal Vaticano II che alla tradizionale espressione di «Dio autore» dei libri sacri aggiunge quella secondo la quale la «Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio» (Dei Verbum, n. 9), e sottolinea, sulla scorta dell'insegnamento dei papi del nostro secolo, che anche gli scrittori umani sono «veri autori» (Dei Verbum, nn. il e 13). Gli studi recenti sulla Bibbia hanno mostrato che essa è il risultato di una storia complessa, che non è agevole ricostruire. 
Occorrerà pertanto non partire da una concezione astratta di ispirazione che prescinda dalle complesse vicende storiche dei testi. In ogni caso però il primato va accordato al documento scritto finale: «Esso è ispirato, e coloro che lo generarono furono ispirati nella misura in cui contribuirono alla sua costituzione. Il primato, a essere precisi, vuol essere riconosciuto alla Bibbia nella sua fisionomia definitiva, cioè all'intera compagine del canone composta di Antico Testamento e di Nuovo Testamento». In questa prospettiva va intesa la proposta di qualche studioso secondo il quale l'ultimo autore ispirato dell'Antico Testamento sarebbe stata la Chiesa apostolica che lo assunse nel proprio annuncio del mistero di Cristo quale profezia di Gesù (così, ad esempio, N. Lohfink). Questo è purtroppo un aspetto che i Protestanti più recidivi non vogliono accettare.
Vi è oggi una sorta di "guerra" silenziosa fra i Riformatori più vicini alla Chiesa e i Gruppi che se ne stanno ben alla larga, accusando i primi di aver tradito lo Spirito che avrebbe animato i primi Riformatori per chiudere un capitolo di corruzione effettuato dalla Chiesa immeritevole della presenza di Dio il quale, secondo una certa propaganda quotidiana, avrebbe tolto in un certo senso " quel Mandato" che forse la Chiesa in realtà non avrebbe mai ricevuto.
Qui si avverte tutta la difficoltà di certi Movimenti Pentecostali Evangelici nel voler procedere sostituendosi di fatto alla Chiesa Cattolica.
La questione del «canone nel canone» Il tema del canone che abbiamo affrontato all'inizio e quello dell'ispirazione ci obbligano ad accennare a un argomento, che non data da oggi, ma che nel nostro secolo è stato prospettato con accenti molto vigorosi nell'ambito della teologia protestante, dove è dibattuto come il problema del «canone nel canone». Già abbiamo fatto osservare che Lutero, in nome della purezza del vangelo, cioè della capacità delle Scritture di comunicare Cristo, attribuiva un ruolo secondario alle lettere di Giacomo, Giuda, Ebrei e all'Apocalisse.
Nel nostro secolo il teologo protestante liberale A. Harnack coniò l'espressione «Protocattolicesimo» (Frùhkathohvsmus) da lui riferita ad alcuni scritti cristiani del II secolo che presenterebbero tratti caratteristici del cattolicesimo nella concezione del ministero ordinato, del dogma e dei sacramenti. 

Per lo studioso tedesco la «degenerazione cattolica» comincerebbe nel II secolo, allorché il cristianesimo si alleò con l'ellenismo e la Chiesa, dovendo lottare contro lo gnosticismo, diede una forma piuttosto rigida alla sua dottrina, al culto, alla concezione del ministero e alla disciplina.
Per altri studiosi, in particolare per R. Bultmann, il «protocattolicesimo» comincerebbe già all'interno del Nuovo Testamento, specialmente con le lettere a Timoteo e a Tito. Per Bultmann il Nuovo Testamento rifletterebbe una molteplicità di concezioni difficilmente armonizzabili fra loro, per cui l'unità interna del canone biblico diventa problematica. Altri studiosi protestanti, in genere discepoli di Bultmann, individuarono altri elementi protocattolici nel Nuovo Testamento, quali l'attenuarsi della tensione escatologica negli scritti di Luca, l'esclusione di ogni interpretazione privata delle Scritture, chiaramente enunciata dalla seconda lettera di Pietro (1,20), un certo adattamento della morale al mondo, specialmente per quanto concerne il rapporto con le autorità politiche ecc. Ciò porterà a dire che il canone biblico non può più essere considerato come il fondamento dell'unità della Chiesa. Esso, al contrario, fonderebbe la diversità delle Chiese cristiane. Qualcuno, come E. Kàsemann e H. Conzelmann, sentirà il bisogno di individuare il centro del Nuovo Testamento onde stabilire una gerarchia all'interno dei libri biblici ovvero un canone all'interno del canone. Tale principio è per i teologi luterani la giustificazione del peccatore mediante la fede, ma esso rischia facilmente di diventare un principio selettivo che al limite potrebbe condurre a espungere alcuni libri dal canone comunemente recepito. 

Non sono mancate le reazioni a simili proposte nello stesso mondo protestante. 
Ad esempio, O. Cullmann ha fatto osservare che il problema non è nuovo, ma che ogni scelta all'interno del canone è necessariamente soggettiva e arbitraria. Egli pertanto propone di vedere come elemento unificante di tutta la Bibbia la storia della salvezza, la quale non sarebbe affatto un prodotto del protocattolicesimo, bensì l'essenza stessa della rivelazione. 

Più radicale è stata la posizione di H. Schlier, discepolo di Bultmann, che si è fatto cattolico motivando così la sua scelta: «Gradatamente mi sono convinto che la Chiesa che il Nuovo Testamento ha dinanzi agli occhi è la Chiesa cattolica romana. È stata dunque... una via autenticamente protestante quella per cui sono giunto alla Chiesa... Ciò che mi ha indirizzato alla Chiesa è stato il Nuovo Testamento quale si presentava, se veniva analizzato storicamente senza preconcetti». 

A nessuno può sfuggire la posta in gioco di tutto ciò. La Chiesa cattolica in particolare si sente interpellata da una precisa questione: se essa, nel difendere la definizione di Trento sull'integrità del canone, non abbia troppo lungamente insistito sull'identica autorità di tutti gli scritti biblici. Certamente, l'affermazione dell'identica canonicità di tutti i libri è valida nella misura in cui, come fece la teologia dopo Trento, si assume un concetto formale di canonicità: tutti gli scritti della Bibbia hanno per la Chiesa valore canonico e autorità. Nella misura, invece, in cui si presta attenzione alla portata contenutistica e non solo formale della Bibbia, allora va affrontato il problema dell'identico valore degli scritti canonici. 
Di fatto, nella predicazione e nella liturgia, la Chiesa si riferisce di preferenza a determinati testi biblici, come riconosce espressamente la Dei Verbum scrivendo: «A nessuno sfugge che, tra tutte le Scritture, anche del Nuovo Testamento, i vangeli meritatamente eccellono» (n. 18). Si tratta allora della canonicità materiale, la quale però non va affrontata come problema del «canone nel canone» perché allora si rischia di mettere in moto un principio selettivo materiale riaprendo, in forme nuove, il vecchio problema di Marcione, e di esporsi a ogni possibile soggettivismo. Bisognerà piuttosto riconoscere che talora noi non siamo oggi in grado di giudicare la validità e l'adeguatezza di scritti che si rivolgevano a cristiani in situazioni molto diverse dalla nostra. 

Solo un lavoro interpretativo, compiuto dagli esegeti, in comunione con tutta la Chiesa che legge le Scritture potrà far sì che la canonicità formale manifesti la sua interna dinamica, dando voce alla verità che Dio volle comunicare agli uomini in vista della loro salvezza in Cristo. 
E' quanto si sta proponendo di fare lo sforzo Ecumenico verso il quale ogni cristiano deve  e dovrà protendere se non vuole correre il rischio di ritrovarsi fuori dalla Chiesa.
La concezione estremistica Protestante continua a portare frutti rovinosi, divisioni, incomprensioni e inconclusioni. Tuttavia queste realtà odierne erano già presenti al tempo degli Apostoli, per questo l'esistenza di una gerarchia Ecclesiastica è semplicemente la garanzia di quella continuità Apostolica della quale nessun cristiano può fare a meno, a men che non si voglia fare a meno dell'Unicità stabilita da Dio.”
(Testo tratto da un forum della Comunità MSN Difendere la Vera Fede).

CANONE LUNGO E CANONE CORTO
Il canone lungo giudaico (comprendente i libri deuterocanonici) fu probabilmente accorciato dai farisei. Dopo la caduta di Gerusalemme (70 d.C.), distrutto il tempio e con esso cessato il sacerdozio, i farisei, che già godevano il favore popolare, conquistarono facilmente il primato spirituale. Essi vollero sottoporre a un esame scrupoloso tutti i libri sacri per assicurarsi se tutti “macchiassero le mani” (gli antichi ebrei usavano dire che i libri sacri macchiavano le mani, cioè lasciavano un impronta nella mani, era un modo di dire, che indicava la sacralità dei libri) o se non fosse il caso di escluderne qualcuno dalla lettura sinagogale.
I criteri su cui fu basato il nuovo esame furono tre: antichità del libro, composizione in lingua “sacra” (ebraica o aramaica), conformità alla Legge. Che i farisei abbiano sottoposto il canone a un nuovo esame, si può dedurre dalle discussioni sorte tra il I e il II secolo d.C. intorno al carattere sacro di cinque libri protocanonici, lo accennavo all’inizio, a proposito del concilio ebreo di Jamnia. Nessuna discussione è invece riferita intorno ai deuterocanonici. Ma proprio questo silenzio è significativo. I farisei che facevano questo esame dei libri sacri erano ostili ai discendenti di Simone Maccabeo (asmonei), che consideravano come usurpatori dell’antica dinastia davidica e perché avevano parteggiato per i sadducei. Così si spiega come senza discussione alcuna vennero esclusi dall’uso sinagogale i due libri dei Maccabei, e con essi i libri dell’epoca maccabaico-asmonea (o almeno creduti di quel tempo), col pretesto che erano troppo recenti, scritti talvolta in lingua non “sacra” e trovati forse contrastanti con la Legge.
Il fatto stesso che il canone dopo la rottura definitiva con i cristiani fu sottoposto a rianalisi la dice lunga sulla sincerità dei farisei, i quali non accettarono in tronco tutto il N.T. perché non scritto in lingua “sacra” (aramaico o ebraico) e soprattutto perché non riconobbero il Messia. La Bibbia che usano attualmente gli ebrei non comprende affatto il Nuovo Testamento.
Quale autorità gli si può quindi riconoscere dopo la nascita del cristianesimo?
Gli Ebrei ebbero il privilegio di avere affidata la Legge e gli oracoli del Signore, ma con la nascita del cristianesimo la loro autorità cessò, i loro occhi non riconobbero il Messia, quindi i libri sacri furono affidati alla Chiesa nascente, ella era la nuova autorità costituita da Cristo, ed ella fissò il canone del N.T. e riconfermò il canone del V.T. rifacendosi alla traduzione dei LXX (settanta), gli ebrei persero tutto quello che gli era stato dato, nessuna autorità  ebbero più, perché peccarono contro lo Spirito Santo rinnegando Gesù Cristo.
Quindi molti protestanti farebbero bene a rivedere le proprie posizioni, perché basate sul giudizio di un popolo che ormai da quasi 2000 anni ha perso ogni autorità biblica.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno continuare, ma per amore della precisione e della verità continuo a illustrare la storia del canone e dei libri deuterocanonici, per dipanare ogni dubbio in proposito.

Quando avvenne la chiusura del canone ebraico e da chi fu operata?

Verso l’anno 130 a.C. il nipote dell’Ecclesiastico parla di una traduzione “della Legge, dei Profeti e di altri libri”; verso lo stesso periodo il I Mac. parla di “libri sacri”, libri cioè che godono di una particolare venerazione presso il popolo di Israele, mentre vengono proscritti dai pagani Seleucidi.
Il 2 Mac. 2,13 riferisce che tra le attività riorganizzative di Neemia vi fu pure una biblioteca che, probabilmente, con i libri sacri ne comprendeva altri.
Vi furono dei dubbi su quali libri includere anche nei protocanonici perché in Ezechiele furono trovate alcune contraddizioni con la Legge, poi furono trovate contraddizioni interne anche in Ecclesiaste e i Proverbi, o anche il contenuto in apparenza profano per il Cantico, il pericolo di provocare dell’odio contro il popolo giudaico per Ester
Alcuni sostenevano che questi libri “macchiavano le mani”, altri che bisognava “nasconderli” (cioè escluderli dalla lettura sinagogale). Finì per prevalere l’opinione favorevole alla canonicità.
Alle soglie dell’era cristiana, tra gli Ebrei vi erano ancora esitazioni: il giudaismo palestinese rivela la tendenza a considerare sacri soltanto i libri antichi, scritti soprattutto in ebraico, e non quelli scritti in greco; ma questa è la tendenza dei farisei; ve n’erano pure altre. L’ambiente sadduceo considerava canonico solo il Pentateuco; mentre nella diaspora alessandrina e a Qumràn, forse, si riteneva che la parola di Dio non fosse terminata e si avesse il diritto di attendere ancora un messaggio ispirato. E’ così che nella diaspora si riconosce una vera autorità divina ai deuterocanonici.
Gli apostoli usavano e citavano la Bibbia dei LXX e con la nascita della Chiesa cristiana gli essi erano i custodi del deposito della fede, di cui un punto fondamentale è la divina origine delle Scritture. Se dunque essi non avessero ritenuti ispirati i deuterocanonici (che nei LXX erano mescolati ai protocanonici), avrebbero dovuto avvertire i fedeli. Ma in nessun documento appare la minima traccia di una tale riserva. Dunque, fino a prova contraria, dobbiamo concludere che gli apostoli ritenevano i libri deuterocanonici ispirati e canonici come i protocanonici. Su circa 350 citazioni del V.T.  contenute nel N.T., quasi 300 sono conformi ai LXX, quindi questa versione si può considerare praticamente approvata dagli apostoli. Questo è quanto appare pure dalle testimonianze della Chiesa primitiva.
I pareri sui deuterocanonici ebbero un periodo di unanimità nel I-II secolo durante i quali si ritenevano ispirati; un periodo d’incertezze (sec. III-V), seguito dal ritorno all’unanimità (dal sec. VI in poi).
Anche fra i cattolici vi furono dei dottori che ebbero dei dubbi tra essi ci sono in oriente Melitone di Sardi (seconda metà del sec. II) ed Origene (prima metà del sec. III); i dubbi si diffondono maggiormente durante il sec. IV, come attestano Cirillo di Gerusalemme, Atanasio, Epifanio, Gregorio nazianzeno.  Invece nel sec. V i dubbi diminuiscono: durante questo secolo ne troviamo solo qualche rara testimonianza. Dall’Oriente i dubbi si propagano in Occidente e sono rappresentati da Ilario di Poitiers, da Rufino e da Gerolamo.
Bisogna dire comunque che Gerolamo usava la Bibbia dei settanta, quindi implicitamente la considerava autorevole e corretta, ed in pratica (lasciando stare la teoria) nelle sue opere anche posteriori al 390, cita tutti i deuterocanonici, e alcuni di questi come Scrittura Sacra. Ciò significa che in pratica egli riconosceva ai deuterocanonici quell’autorità e forza probativa che in teoria loro negava.
Si noti inoltre che i Padri (apostoli compresi) prima di S. Gerolamo usavano la versione dei LXX, o versioni derivate da questa, la quale (come già detto) conteneva i deuterocanonici.
I Padri favorevoli ai deuterocanonici nei secoli III-V sono: Cipriano (258-60), Dionigi alessandrino (264-65), Luciano (312), Efrem (373), Basilio Magno (379), Gregorio nisseno (395), Ambrogio (396), Giovanni Crisostomo (407), Agostino (430), Teodoreto di Ciro (458).
Dei Padri solo Agostino dà il catalogo dei libri sacri in cui si trovano tutti i deuterocanonici.
Quanto agli altri per conoscere realmente il loro pensiero è meglio vagliare i loro scritti, perché se alcuni espressero qualche dubbio, ma poi nelle loro opere citano i libri deuterocanonici vuol dire che in definitiva essi li riconoscevano come ispirati, avendo chiarito i loro dubbi in merito.
Possiamo affermare che la maggioranza dei Padri non ha alcun dubbio intorno all’ispirazione dei deuterocanonici; solo una minoranza ne dubita in teoria, mentre in pratica se ne serve come dei protocanonici: nei loro dubbi essi riflettono il pensiero giudaico, da cui sono direttamente o indirettamente influenzati; nell’uso pratico attestano la fede della Chiesa.
Nei secoli successivi vi furono anche altri Padri che riportarono dei dubbi, basandosi sulla teoria di Gerolamo, anche l’autorevole Tommaso d’Aquino ebbe delle incertezze, ma se controlliamo le sue opere ci accorgiamo che fa un ampio uso dei deuterocanonici. Dopo il 1912 nessun dubbio è più ammissibile, perché fu scoperto un documento recante un suo discorso accademico del 1256, dove Tommaso dà la divisione dei libri della Bibbia, e, senza alcuna distinzione e frammisti ai protocanonici, elenca anche i deuterocanonici. 
Zwingli essendo egli stesso protestante, della traduzione fatta da Lutero diceva che essa “alterava e corrompeva la parola di  Dio”. 
Balgy, famoso teologo anglicano, diceva che i Protestanti ebbero il singolare talento di vedere tutto ciò che essi bramavano di vederci, cioè di far dire alla Bibbia ciò che ognuno voleva.
Tutti sappiamo che la Congregazione dei Testimoni di Geova, con sede centrale a Brooklyn
(New York) ha superato tutti, divenendo, in questo settore, i “falsari della Bibbia”.
Essi costituiscono una setta eccentrica e strana, ed è il prodotto più aberrante del protestantesimo americano.
La Bibbia dei fratelli separati non è uguale alla nostra, bisogna comunque distinguere tra le varie traduzioni bibliche che usano i protestanti. I testimoni di Geova ad esempio usano una loro traduzione (fatta dalla Società Torre di Guardia) che presenta pesanti, minuziose 
e furbesche alterazioni, infatti essi fanno dire alla Scrittura ciò che vogliono loro, come ad esempio che Gesù non è Dio bensì semplice creatura, e che lo Spirito Santo non è una Persona divina, ma sola la forza che emana Dio. Gli “evangelici” pentecostali invece hanno la Bibbia quasi uguale alla nostra (cattolica romana), tranne che in alcuni libri che il protestantesimo ha scartato, ritenendoli non ispirati chiamandoli pertanto “apocrifi”, e che traduce alcuni termini in maniera leggermente differente, ad esempio la Diodati, termini non errati ma scelti appositamente per avvalorare alcune tesi protestanti.
Seguendo gli ebrei dovrebbero rifiutare pure il Nuovo Testamento, perché non lo fanno?
Se si tenta di affrontare questi argomenti, il protestante medio risponde che questi sono temi per scienziati, ma la logica e la oggettività dove stanno?
Eppure non gli sto chiedendo di valutare l’autenticità di un reperto archeologici, ma semplicemente di spiegarmi perché e con quale logica hanno dato autorità canonica agli ebrei per escludere i 7 libri del V.T. e non tengono in considerazione il loro rifiuto netto verto tutto il N.T..
A questo punto si dovrebbero seriamente chiedere chi ha scelto e valutato tutti i libri del N.T., e con quale autorità. Ci sono stati degli uomini cristiani che lo hanno fatto, bene, chi sono?
Qui subentra il disinteresse del protestante medio, non sapendo o non volendo ammettere i nomi dei padri apostolici che guardacaso sono riconducibili alla chiesa cattolica romana, evitano di rispondere e passano ad altro argomento, magari incalzando con altre domande.
Il protestantesimo ha sempre avuto le idee confuse circa l’ispirazione di alcuni Libri Sacri, la Bibbia letta fuori dalla Chiesa e contro di Essa non può che indurre all’errore.

La Chiesa è il prolungamento di Cristo, la bocca di Cristo.

Dice frà Tommaso dei frati minori rinnovati di Palermo: “che se la Bibbia non ci avesse lasciato delle norme precise su questo punto fondamentale, non crederei né a Cristo, né ai Vangeli.”
In effetti frà Tommaso ha perfettamente ragione, perché un conto era credere “vedendo”, come al tempo degli Apostoli, nel quale il popolo vedeva e sentiva la loro viva voce e i loro prodigi, un altro conto è invece credere per fede, senza poter parlare direttamente con gli Apostoli e con Gesù.
Quindi è logico che Gesù e quindi la Sua Chiesa doveva stabilire delle norme, tramite le quali si poteva provare l’autenticità e l’autorità della Bibbia, in modo tale che se un eretico la mettesse in dubbio chiamandola romanzo fantasioso, o comune libro storico, la Chiesa potesse dimostrare inconfutabilmente l’autenticità della Bibbia, e la sua ispirazione divina.
D’altra parte prima di frà Tommaso, molti altri credenti hanno fatto lo stesso ragionamento.
S. Agostino, che conosceva molto meglio di noi la S. Scrittura, diceva: “Non crederei ai Vangeli se non me lo dicesse la Chiesa”. Un tale maestro ne sapeva certamente più di tanti altri che pretendono di conoscere la Bibbia solo perché vi fanno lunghe e meticolose ricerche, ma col preciso scopo di trovarvi frasi o parole con le quali presumono di confondere i cattolici e di legiferare contro la Chiesa di Cristo.
Innanzitutto vanno fatte le dovute distinzioni tra Antico e Nuovo Testamento, perché la stessa Bibbia le fa.
Facciamo solo un esempio: “Così Dio parla di un’Alleanza nuova, e perciò dichiara superata l’Alleanza precedente. E quando una cosa è antica e invecchiata, le manca poco a scomparire”
(Eb 8,13).
Alcuni fratelli non cattolici si servono di queste speciose ragioni di non distinzione tra l’A. e il N. Testamento, perché con tale metodo, riescono a “trovare” le conclusioni che fan comode, specie quando la dottrina da essi professata incontra gravi difficoltà a confrontarsi con la chiarezza di alcune affermazioni neotestamentarie.
Sappiamo poi che alcuni gruppi protestanti non tengono nel dovuto conto certe norme esegetiche, ormai accettate da tutti gli studiosi e dal Magistero Ecclesiastico. Non tengono sempre conto dei generi letterari, del contesto e, in casi molto importanti neppure del testo (vedi per es. i testimoni di Geova, la cui “Bibbia” offre, agli ingenui seguaci della setta, una traduzione falsata).
E’ facile comprendere che il tal modo la Parola di Dio diventa oggetto utile per sostenere qualsiasi opinione ed offre “ricette pronte” per tutte le risposte.
Per es., mentre Gesù dice: “Quanto a quel giorno e a quell’ora però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del Cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24,36), il geovismo trae dall’Apocalisse e dalle profezie di Daniele, la data della venuta di Cristo e dell’inizio del “paradiso terrestre” da loro inventato…: il tutto da verificarsi a breve scadenza, e questo solo perché tutte le diverse date ben “precise”, fissate dai precedenti presidenti della setta sono state regolarmente smentite dal tempo. L’attuale presidente di “Torre di Guardia”, “personale confidente di Geova”, dopo le esperienze acquisite…, diventato più prudente e meno “profeta”, indica come data (imminente… ma non più precisa) “intorno al duemila” la fine del mondo. 
Questo è solo un esempio di come seguendo la “legge del libero” arbitrio si travisi il significato delle Scritture, altri gruppi protestanti fanno delle distinzioni più sottili, non cambiando le Scritture, ma facendogli dire quello che vogliono loro.
Abbiamo vistro che la Bibbia della Chiesa cattolica offre un elenco più ricco di libri rispetto a quella dei protestanti, e cioè: 46 per l’A.T. e 27 per il N.T. Essi sono distribuiti in tre serie fina dal secolo XIII per l’A.T., cioè:
Libri storici. Comprendono il Pentateuco (5 libri: Genesi – Esodo – Levitico – Numeri – Deuteronomio) – Giosuè – Giudici – Rut – 1° e 2° Samuele – 1° e 2 ° Re – 1° e 2° Cronache (in greco Paralipomeni) – Esdra e Neemia (o 1° e 2° Esdra) – Tobia – Giuditta – Ester – 1° e 2° Maccabei. In tutto sono 21Libri didattici. A componimento poetico e sapienziale. Sono 7: Giobbe – Salmi – Proverbi – Qòelet – Cantico dei Cantici – Sapienza – Siracide. I libri Qòelet e Siracide sono rispettivamente, gli ex Ecclesiaste ed Ecclesiastico. Qòelet designa una funzione: indica colui che parla nell’assemblea (in ebraico qahal, in greco ekklesia, da cui il latino e italiano Ecclesiaste, ossia Salomone, il predicatore).   Siracide (ex Ecclesiastico), il libro si chiamava Sapienza di Gesù, figlio di Sira” Oggi lo si chiama Ben Sira o Siracide. Fu S. Cipriano per la prima volta a chiamarlo “Ecclesiastico”, forse dall’uso ufficiale che ne faceva la Chiesa.
Libri profetici. In tutto 18, e sono: Isaia – Geremia – Lamentazioni – Baruch (il cap. 6 è la lettera di Geremia) – Ezechiele – Daniele – e i dodici detti minori, per la minore ampiezza dei loro scritti: Osea – Amos – Gioele – Abdia – Giona – Michea – Naum – Abacuc – Sofonia – Aggeo – Zaccaria – Malachia.

La lista ufficiale dei libri della Bibbia è detta, fin dal 4° secolo d.C., Canone, in quanto i libri sacri sono norma della fede e della morale.
La differenza (come già detto) tra il canone ebraico dell’A.T. e quello della Chiesa cattolica sta nella mancanza, in quello ebraico, dei seguenti libri: Tobia, Giuditta, 1° e 2° Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc con la lettera di Geremia, alcune parti di Ester e Daniele.
La parola “deuterocanonici” fu introdotta (e accettata dai cattolici) da Sisto Senese nel 1566, dopo il concilio di Trento. Così i libri non contestati furono detti protocanonici, e quelli contestati deuterocanonici. 
Quindi come abbiamo detto tutti i libri dell’A.T. furono scritti tra il sec. XV e II sec. a.C.  in ebraico per la maggior parte, ma dei cosiddetti deuterocanonici il testo originale è ignorato o furono scritti in greco.
In sintesi ricordiamo che della gran parte di questi libri (46), sappiamo che erano accettati già dalla Sinagoga come ispirati, e li troviamo in tutte le Bibbie ebraiche. Altri invece li conosciamo soltanto nella versione greca detta dei “Settanta”, e sono quelli che chiamiamo appunto deuterocanonici. La loro canonicità, ossia il loro carattere ispirato, fu posta in discussione da alcuni Padri della Chiesa; tuttavia il fatto che gli Apostoli e la Chiesa primitiva li avessero accolti, fece sì che fossero ritenuti ispirati.
Per brevità e chiarezza, i libri comuni ai due canoni si chiamarono protocanonici e quelli esclusi dall’edizione ebraica deuterocanonici, ma il significato di questi termini, nell’accezione ecclesiastica, non va esteso ad una differenza di valore o di autenticità dei due gruppi.
Come già detto la parola greca "canon" significa "regola", "norma" ed è impiegata dal
sec. IV per designare la collezione dei libri sacri. Da allora si parla di libri "canonici" in contrapposizione ai "non canonici". I termini "protocanonici" e "deuterocanonici" sono invece stati inventati da Sisto Senese il quale volle distinguere quelli che concordarono sempre con l'A.T., da quelli sui quali alla fine del 1° secolo dopo Cristo, sorsero delle polemiche e dei dubbi che si protrassero per molti anni. Gli Ebrei e i Protestanti chiamano i libri deuterocanonici "apocrifi", escludendoli dal canone biblico. 
Non dovrebbe essere difficile - almeno per chi crede nella divina istituzione della Chiesa - comprendere che, trattandosi di questioni a carattere soprannaturale, la facoltà di dichiarare infallibilmente quale libro sia dotato del carattere dell'ispirazione, e sia perciò da inserirsi nel canone biblico, é soltanto della Chiesa, depositaria della dottrina di Gesù Cristo. Quindi il criterio sicuro e anche logico per conoscere se un libro debba far parte di questa collezione è la tradizione che risalga fino all'età apostolica. 
Quanto a Gesù e agli Apostoli, dalle loro allusioni conservate nel N.T. e dall'uso frequente della versione dei Settanta, risulta in pratica che ritenevano per ispirati anche i "deuterocanonici". Tale è la norma anche dei più antichi Padri, i quali citano o usano indifferentemente le due serie di libri (Clemente, Ippolito, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Cipriano). Di modo che, per i primi due secoli non risulta alcuna incertezza circa l'ispirazione e l'autorità dei libri in questione. Solo verso la fine del 2° secolo, le controversie frequenti con i Giudei, che ormai concordemente rigettavano i libri "deuterocanonici", condussero gli apologisti (=difensori della fede) a non desumere i loro argomenti da questi scritti non ammessi dagli avversari. Si trattava di una norma pratica da seguire, più che di un principio teorico.  
Come già detto ne riscontriamo i sintomi in Melitone di Sardi (+160 -180), in Origene, che tuttavia usa i deuterocanonici come libri ispirati. In tempi successivi tale opinione si diffuse più sensibilmente nella Chiesa greca; ad essa si attennero Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Gregorio di Nazianzio, e alcuni altri, sebbene anch'essi in pratica non si mantennero aderenti a quella opinione, giacché non è difficile ritrovare nelle loro opere citazioni di deuterocanonici come libri ispirati. 
Allora cominciò a circolare presso i Greci una triplice distinzione di libri della Bibbia: si parlò di libri certi od ammessi da tutti, di libri controversi e di libri spuri o apocrifi. 
Con il termine  "controversi" si intendevano i nostri "deuterocanonici". Ma quanto poco fosse radicato il rifiuto di tali libri è confermato dall'accettazione incondizionata di essi da parte di numerosi altri dottori della Chiesa e dalla decisione del Concilio di Costantinopoli del 692, detto Trullano, che sebbene in una forma non del tutto chiara riferì il canone integrale, mantenuto SEMPRE incontrastato nella Chiesa greca, almeno sino al Protestantesimo. 
Bisogna pure considerare che già nel 382 d.C. il sinodo di Roma stabilì il canone della Sacra Scrittura così come è oggi nella Chiesa cattolica romana, anche il sinodo di Cartagine nel 28 agosto 397 conferma il canone cattolico romano, molti altri autorevoli documenti si potrebbero citare per provare l’autenticità del canone cattolico romano, ma già questi due antichissimi sinodi bastano a far capire che il canone cattolico non è recente, ma risale ai primissimi anni della Chiesa, quando si presentarono dissensi che minacciavano seriamente l’integrità della Bibbia. La Chiesa prontamente mise nero su bianco l’elenco dei Libri Sacri, affinché qualsiasi dubbio potesse svanire.
Del resto voler affermare che solo dopo il Concilio tridentino i libri deuterocanonici furono inclusi nella Bibbia significa indirettamente ammettere ad esempio che la Trinità o la divinità di Cristo fu vera solo dopo il Concilio che ne sancì il dogma di fede, ma ogni cristiano ragionevole ammette che non c’era bisogno che il Concilio ratificasse il mistero della Trinità o della divinità di Cristo uguale nella sostanza al Padre e di uguale età, affinché i cristiani credessero pienamente, solo quando si presentò il pericolo di eresia inquinante causata da Ario e altri, la Chiesa decise di dichiarare dogmi di fede la SS. Trinità e la divinità di Cristo, ciò non vuol dire che fu la Chiesa a far diventare Cristo divino, ecc.. Le dichiarazioni dei dogmi di fede infatti servono solo per aiutare i fedeli confusi, affinché essi conoscano la reale posizione della Chiesa sui punti dottrinali importanti, o fondamentali.
La sede romana già con Innocenzo I (405) si pronunziò in modo deciso in favore di tali libri; alcuni anni più tardi il "Decreto", erroneamente detto "Gelasiano", segnò la norma costante di fede per i secoli successivi , finche i Concili ecumenici Fiorentino (1441~1446) e Tridentino (1546) lo sancirono solennemente. 
Ricordiamo che Lutero, pur rigettando la tradizione ecclesiastica, manifestò una certa esitazione nel ripudiare i "deuterocanonici" e si accontentò di relegarli in fondo alla sua traduzione. 
Dopo quanto ho detto, possiamo trarre una conclusione. Col sorgere del Cristianesimo l'Antico Testamento fu usato nella sua traduzione greca dei "Settanta", i cui inizi risalgono al 3° secolo avanti Cristo. 
I cristiani non escluso Cristo e gli Apostoli, traevano da questa versione le citazioni bibliche nelle loro polemiche contro i Giudei. 
QUESTA FU LA PRINCIPALE RAGIONE per cui, lungo il 2° sec. dopo Cristo, i 
Giudei ripudiarono come infedele la versione dei "Settanta", sebbene in precedenza l'avevano circondata di particolare venerazione, e la sostituirono con altre versioni greche, totali o parziali, fatte da Giudei e giunte fino a noi soltanto in modo frammentario. 
I veri libri apocrifi, cioè quelli non ispirati, furono ben presto smascherati dalla Chiesa Cattolica ed esclusi dall'ispirazione. 
Fratelli non cattolici accertatevi bene e sappiate intanto che non è vero che i "deuterocanonici" sono stati sempre chiamati "apocrifi"; che non è vero che la Chiesa Cattolica l'8 aprile 1546 al Concilio di Trento decise di metterli sullo stesso piano degli altri libri ispirati. In tale occasione la Chiesa volle semplicemten derimere qualunque dubbio e questione in merito, definitivamente. Non è vero che la Chiesa dei primi secoli non li riconosceva ispirati. E neppure è vero che S. Girolamo col suo prestigio ha messo in imbarazzo la Chiesa di Dio, ma solo alcuni studiosi. 
S. Agostino, tra i maggiori geni del Cristianesimo, credeva, con la Chiesa, alla "ispirazione" dei libri "controversi" (deuterocanonici). Essi sono letti nella Chiesa anche allo scopo di trarvi una 
dottrina, proprio perché ispirati. 
Vediamo nel dettaglio questi libri:

1- Tobia. E’ stato composto tra il III e il II secolo a.C. con lo scopo di mantenere nella fede tradizionale i Giudei rimasti fuori della Palestina anche dopo il ritorno di molti di loro dall’esilio. L’autore del racconto (a sfondo storico, sapienziali e poetico, un po’ come “I Promessi sposi del Manzoni) è esemplare: è un vero giudeo, osserva fedelmente la legge di Mosè e Dio lo ricompensa di questa fedeltà assoluta.  L’autore, con molta arte e da vero saggio, si preoccupa soprattutto di far rivivere agli occhi del lettore un uomo giusto. Egli vuol mostrare che la vera sapienza, il cammino che conduce alla felicità, consiste nell’amare Dio e nell’osservare i Suoi comandamenti, qualsiasi cosa succeda. Il libro è un gioiello letterario. Molto prima del Vangelo, celebra la nobiltà che caratterizza il matrimonio fin dalla sua origine. Dell’originale del libro, scritto in ebraico o aramaico, si sono trovati frammenti nei manoscritti del Mar Morto, a Qumran.

2- Giuditta. Anche il libro di Giuditta, come quello di Tobia, messo dopo i libri storici, va collocato tra i libri sapienziali. Dal punto di vista letterario è un’opera riuscita e non manca di fascino. L’autore racconta un dramma nazionale e vuol fissarne il ricordo ma soprattutto vuole attirare l’attenzione sul senso religioso del conflitto che oppone continuamente il popolo di Dio agli empi. Il libro se non parla molto di amore, è però, anche per il lettore di oggi, un libro di fede e di speranza.

3-Baruc. Il prestigio che dopo l’esilio si unisce al nome del profeta Geremia, si riflette sul suo servo fedele segretario Baruc. Perciò, secondo un procedimento dell’epoca, si fa di lui l’autore di un insieme di scritti, posteriori di più secoli, di cui la Bibbia ha conservato almeno un libretto. Si crede che il libro debba essere anteriore al II secolo a.C.. La cosiddetta lettera di Geremia, che è stata aggiunta, potrebbe essere dello stesso tempo, se non più recente. Il libro di Baruc ha il pregio di rilevare l’anima profondamente religiosa dei Giudei dispersi nel mondo e tuttavia rimasti, in modo soprendente, uniti al loro popolo. Un piccolo frammento del testo greco è stato scoperto in una delle grotte di Qumran. Sotto il nome di Baruc vengono messe due apocalissi scritte nel II secolo dopo Cristo.

4- Ecclesiastico, oggi detto Siracide. 
I due terzi circa di questo testo ebraico sono stati ritrovati nel 1896 nei frammenti di diversi manoscritti del medioevo provenienti da una vecchia sinagoga dal Cairo. 
Più recentemente, piccoli frammenti sono venuti alla luce in una grotta di Qumran, e nel 1964 è stato scoperto a Masada (fortezza su di una collina rocciosa del deserto di Giuda a ovest del Mar Morto) un lungo testo nel quale sono contenuti i capitoli 39,27-44,17 in una scrittura degli inizi del 1° sec. a.C. 
La Chiesa riconosce come canonico il testo greco. Il nipote dell'autore spiega che tradusse il libro quando si trovò in Egitto nel 38° anno del regno di Erergete, ossia il 132 a.C. 
Suo nonno scrisse verso il 190-180. 
Ben-Sira, o Siracide, è uno scriba che unisce l'amore della sapienza a quello della Legge. La sapienza annunziata da Ben Sira proviene dal Signore; suo principio è il timor di Dio; forma la gioventù e procura la felicità. 
Egli identifica la sapienza con la legge proclamata da Mosé (24,23-24), cosa che farà anche il poema sapienziale di Baruc (3,9-4,4). 
Ben Sira è l'ultimo testimone canonico della sapienza ebraica In Palestina. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici; nel N.T. la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni; il Vangelo di Matteo vi si riferisce più volte e ancora oggi la liturgia si fa portavoce 
di questa antica tradizione di sapienza. 

5- Sapienza. Verso la metà del 1° sec. a.C., la grande città di Alessandria di Egitto contava una importante comunità giudaica, fedele alle tradizioni religiose dei suoi padri. Il paganesimo, dai volti più diversi, si presentava talmente ovvio per il costume che minacciava costantemente d'infiltrarsi nel seno delle comunità giudaiche lontane dalla patria. 
Il libro della Sapienza ha voluto venire incontro a questa situazione, ma ci si intravede anche la preoccupazione di non urtare i pagani che fossero indotti a leggerlo. 
L'autore scrive in lingua greca, caso unico nell'A.T.; egli stesso è un giudeo d'Alessandria, formato alla cultura greca, ma non meno nutrito della S. Scrittura. E' un saggio che preferisce però far parlare Salomone, il sapiente per eccellenza. Egli ci porge una sapienza che viene da Dio e che ci dà la visione giusta delle cose, che spinge a cercare la vera felicità. Questa sapienza divina, di fatto, ha rivelato - guidando magistralmente la storia del popolo eletto - che la vera felicità appartiene agli amici di Dio. In altre parole, non scoprono il senso della vita se non coloro cui il Signore lo rivela.. 
L'autore ci dona un primo abbozzo di filosofia religiosa, che si unisce, d'altra parte, ad una bella meditazione di fede cui la liturgia si ispira volentieri. 
Il libro della Sapienza prepara Giudei e Greci alla venuta di Gesù Cristo. 
Le pagine, perciò finiscono con l'apparire più attraenti. 
Nella nostra cultura i Cristiani tentati di "allinearsi" a tutte le mode troveranno qui uno stimolo per riflettere sulla loro originalità, per accettare la rude tensione che esiste tra Vangelo e società. 

6- 1° MACCABEI. Questo libro é stato scritto in ebraico da un giudeo di Gerusalemme, probabilmente verso l'inizio del 1° sec. a.C. Ci resta solo qualche traduzione ed è il testo greco che fa fede per la Chiesa. L'autore tratta l'epopea di una resistenza e si riferisce quasi a mezzo secolo di storia ebraica (175-134 a.C.), dall'avvento cioè al trono di Siria di Antioco IV Epifane alla  morte di Simone Maccabeo. L'autore segue scrupolosamente l'ordine cronologico degli avvenimenti. Le sue tendenze politiche lo rendono parziale. Ciononostante, rimane uno storico serio, oggettivo, riporta ciò che ha visto, utilizza la testimonianza dei contemporanei e i documenti ufficiali. Questo storico è anche un credente, persuaso che la Provvidenza conduce e sostiene l'improvvisa rinascita del popolo. Come nel libro di Ester, Dio, per rispetto, non è mai nominato; lo si evoca dicendo "il Cielo". Ma è Lui che sostiene Giuda e i suoi fratelli e che dà la vittoria; è Lui che anima questa guerra santa. Ciò che caratterizza questi Giudei del 2° sec. a.C. sono lo zelo per la Legge, il culto del Tempio, l'orrore della impurità e delle bestemmie dei pagani. 

7- 2° MACCABEI Non é il seguito o il completamento del primo. Vi si riferiscono avvenimenti svoltisi tra il 175 e il 161 a.C. al tempo della grande persecuzione. 
Siamo all'inizio della resistenza giudaica di cui il 1° libro ci presenta tutta l'epoca. 
Scritto anteriormente a quest'ultimo da cui non dipende in alcun modo: se ne differenzia anzitutto per lo stile e per il sentimento religioso, ma anche per il racconto dei fatti. L'autore sembra un giudeo d'Alessandria che scrive poco dopo il 124 a.C. e direttamente in greco. Egli dice che riassume l'opera, molto più vasta, di un altro giudeo della Colonia di Cirene (Africa settentrionale), un certo Giasone di cui non sappiamo altro. Si tratta certo di un libro di storia ma anche di una sorta di "leggenda aurea" dei martiri, vittime della persecuzione di Antioco IV Epífane. 
In effetti, l'autore si trasforma in predicatore e vuole colpire l'immaginazione e la sensibilità del lettore. Esalta l'eroismo della fede giudaica, esagera l'empietà e la crudeltà dei nemici di cui aumenta le forze e le perdite, evoca con realismo i supplizi e si mette a descrivere le manifestazioni celesti che vengono a sconvolgere gli avvenimenti, ma c'è una cura reale di verità storica. L'autore però è più preoccupato di religione che di politica. E un credente appassionato, vede Dio all'opera per sanzionare la condotta degli uomini. I giusti soffrono il martirio, ma essi sono sicuri che un giorno 
risusciteranno e otterranno il premio. Finora la fede giudaica non era mai penetrata a tal punto nel mistero della retribuzione e dell'aldilà. Questi insegnamenti costituiscono un arricchimento considerevole per la teologia dell'A.T. Ripresi e sviluppati nel N.T., essi hanno assicurato il successo del 2° Maccabei negli ambienti cristiani. 

Estivano, come abbiano detto più volte, il primo canone, degli ebrei palestinesi, e perciò detto palestinese, ammetteva come ispirati solo i libri scritti in ebraico, e li ripartiva in tre gruppi: 1. la Legge (Torah) o Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio); 2. i Profeti (Nebi'im), anteriori (Giosuè, Giudici, Primo-Secondo libro di Samuele, Primo-Secondo libro dei Re) e posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia); 3. gli scritti (Ketubim) [Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, Primo-Secondo libro delle Cronache o Paralipomeni]. 

Il secondo canone, quello degli ebrei ellenizzati di Alessandria, o alessandrino, comprendeva sia i libri scritti originariamente in ebraico o aramaico e conservati solo nella traduzione greca, sia quelli scritti, forse, originariamente in greco (Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Primo-Secondo libro dei Maccabei, alcuni capitoli di Ester e alcune parti di Daniele: il Cantico dei tre fanciulli, Susanna, Bel e il Dragone). Il canone alessandrino era pertanto più lungo: comprendeva un maggior numero di libri e, per taluni libri comuni anche al canone palestinese, registrava capitoli nuovi.
Queste opinioni di scuola non prevalsero tra gli Ebrei dispersi fuori dalla Palestina, ma che avevano Sinagoghe dove si leggeva la Bibbia nella stessa Gerusalemme (cf At 6,9). Inoltre, tra i manoscritti recentemente scoperti (1947) della Comunità di Qùmran, dove ricordiamo abitavano gli Ebrei Esseni, di cui di dice abbiamo fatto parte Giovanni il Battista, si trovano anche i libri di Tobia e Siracide, esclusi dal canone ebraico. Le scoperte archeologiche hanno quindi dato ragione alla Chiesa cattolica e confermato la sua Autorità ecclesiastica, essa è la vera Chiesa di Cristo, essa in quanto tale non ha mai avuto dubbi sulla Bibbia e sui Libri che la compongono.
Molti pastori protestanti non menzionano minimamente ai loro fedeli tali scoperte, perché sarebbe  imbarazzante dare spiegazioni in merito.
A difesa della fede cristiana, non si riteneva di dover citare libri che non tutti gli Ebrei riconoscevano ispirati. Questo motivo di carattere pratico provocò in alcuni anche dubbi teorici sulla effettiva appartenenza al canone dei libri deuterocanonici, ma ogni esitazione fu tolta dal Concilio di Trento (1546), il quale poiché i protestanti avevano accettato il canone ridotto ebraico (39 libri), definì solennemente il canone tradizionale della Chiesa, vincolando la fede dei cattolici all’accettazione di esso.
La parola “apocrifo”, dal greco apokryptein= tenere segreto, si riferisce ad un libro di autore ignoto, il quale però, spesso si nasconde sotto un nome noto e apprezzato. Nei libri apocrifi ci sono anche delle verità storiche, mescolate a molta fantasia… La Chiesa, scopertili, li ha esclusi dall’ispirazione.
“Libri protocanonici” dal greco - protos=primo – sono quelli di cui non fu mai messa in dubbio l’autenticità canonica.
“Libri deuterocanonici” – dal greco deuteros=secondo – sono quelli che solo in un secondo momento furono dichiarati solennemente e definitivamente ispirati dal Concilio di Trento allo scopo di eliminare ulteriori dubbi e discussioni.
La tradizione ecclesiastica fin dai tempi di Gesù li aveva ritenuti ispirati.
Ripetiamo che la versione più antica della Bibbia è quella in greco dell’A.T. fatta in Egitto, sotto il re Tolomeo Filadelfio, (lo racconta S. Ireneo nel terzo libro della sua opera Contro le Eresie, pag. 323 ed. Cantagalli Siena – terza edizione) “quest’ultimo (Tolomeo) desiderando arricchire la biblioteca da lui costruita in Alessandria degli scritti importanti di tutti gli uomini, chiese a quelli di Gerusalemme di avere le loro Scritture tradotte in greco. Essi allora, che erano ancora sotto il dominio macedone, mandarono a Tolomeo circa settanta anziani, traduttori (72 per la precisione) scelti fra gli Ebrei più colti, cioè i più competenti nelle Scritture e nelle due lingue per eseguire il suo desiderio. Egli, volendo assicurarsi dal timore che stando in compagnia si accordassero per nascondere la verità della Scrittura nella versione, li fece separare uno dall’altro con l’ordine a ciascuno di fare la versione per proprio conto: e così fece per tutti i libri. Raccoltisi poi presso Tolomeo e confrontando ciascuno la propria versione, Dio fu glorificato e le Scritture furono riconosciute veramente divine, perché tutti dal principio alla fine avevano espresso le stesse cose con le stesse parole, cosicché anche i pagani presenti riconobbero che le Scritture erano state tradotte per ispirazione divina. I settanta anziani furono impegnati alla traduzione di tutti i libri realizzandola gradualmente tra il 250 e 100 a.C. Del resto, non fa meraviglia che Dio abbia agito in tal modo, quando si pensi che, distrutte le Scritture durante la schiavitù del popolo sotto Nabucondonosor, allorché i Giudei tornarono dopo settant’anni al loro paese al tempo di Artaserse, rei dei Persiani, Dio ispirò Esdra, sacerdote della tribù di Levi, facendogli ricomporre tutte le parole dei profeti passati per restituire al popolo la Legge quale era stata data mediante Mosè.”
Come già più volte detto fu detta dei “Settanta” (LXX). In essa sono distribuiti i libri deuterocanonici ognuno inserito nel proprio gruppo e nell’ordine conservato fino ad oggi dalla Chiesa Cattolica.
Sempre Ireneo nella sua opera fa notare agli gnostici che loro non erano autorizzati ad alterare il contenuto della Bibbia, come hanno fatto gli Ebrei e molti protestanti, togliendo alcuni libri da essa, gli gnostici oltre a togliere alcuni libri toglievano anche alcune parti del N.T. e ne riscrivevano altri, ecco cosa dice Ireneo, il che è molto valido anche per i protestanti che non accettano il canone cattolico: “Essendo le Scritture, con le quali Dio preparò e fondò la nostra fede nel Figlio suo, tradotte con tanta fedeltà per la grazia di Dio e conservate incorrotte in Egitto, dove si sviluppò la casa di Giacobbe dopo aver fuggito la fame in Canaan e dove fu portato in salvo il Signore nostro quando fuggì la persecuzione di Erode, ed essendo questa versione (dei LXX) stata fatta prima che il Signore scendesse in terra e prima che avessero origine i cristiani – nostro Signore è nato circa l’anno 41° di Cesare Augusto, mentre Tolomeo, sotto il quale furono tradotte (in greco) le Scritture, è molto anteriore – si rivelano veramente impudenti e temerari quelli (gli gnostici) che ora vogliono fare un’altra traduzione quando dalle stesse Scritture noi ricaviamo argomenti contro di essi e quando sono obbligati a concludere con la fede nella venuta del Figlio di Dio. Quindi solida, non forzata, unica vera è la nostra fede provata dalla Scrittura, la quale fu tradotta nel modo predetto, e non interpolata è la dottrina della Chiesa. Gli apostoli, infatti, che sono anteriori a costoro, convengono con la predetta versione (dei LXX) e la nostra versione concorda con quella degli apostoli. Pietro e Giovanni, Matteo e Paolo, gli altri ancora e i loro discepoli annunziarono tutte le cose profetate nel modo che è contenuto nella versione degli anziani (i “Settanta”).
Ora io mi chiedo se sia corretto il metodo usato da molti pastori protestanti con il quale citano solo alcune frasi dei padri, tralasciando di citarne altre, nascondendo così molte cose ai loro fedeli, come ad esempio questa prova importantissima che ci racconta Ireneo a proposito della Bibbia dei LXX, usata dagli stessi apostoli. Quanti sono i fedeli protestanti a conoscere questi particolari?
E’ corretto citare solo le parti che fanno comodo tralasciandone altre che farebbero cadere tutte le pretese protestanti, e le loro aspirazioni di essere nella verità?
Usano la Bibbia come una spada, ma non conoscono da chi è stata composta. Dicono di non essere influenzati nella comprensione biblica dai loro pastori, ma si fidano della versione che comprano nelle librerie protestanti. Forse quando vanno a comprare la loro Bibbia sono sotto guida divina, è per questo che non vanno mai alle librerie Paoline, per scegliere la loro Bibbia.
Perché nascondono queste cose ai loro fedeli?
Quanto al Nuovo Testamento — accettato solo dai cristiani — pare che alla fine del II sec. il canone fosse completo; è certo che dal III al V sec. sorsero in varie Chiese dubbi circa alcuni libri (la Lettera agli Ebrei, la maggior parte delle Lettere cattoliche [di Giacomo, Seconda lettera di Pietro, Seconda-Terza lettera di Giovanni, di Giuda] e l'Apocalisse), i quali nel VI sec. furono tuttavia compresi definitivamente nel canone; per questa loro accoglienza più tarda, anche questi libri furono chiamati deuterocanonici.
Nei primi tempi del cristianesimo, fino a un determinato periodo, nessuno si preoccupò di scrivere un catalogo dei libri che erano ritenuti ispirati; di qui la necessità di dedurlo dalla lettura dei Padri apostolici e da altri scritti dell’epoca. Ma i più antichi scrittori ecclesiastici raramente citano alla lettera gli scritti del N.T.; più che citazioni, le loro sono allusioni o reminescenze; questo suppone da parte loro un’assidua lettura fino all’assimilazione del frasario, che ritorna spontaneo sotto la loro penna, ma lascia delusi quanti da questi scritti si aspettassero citazioni esplicite e letterali.
Vero è che tale familiarità con gli scritti del N.T. induce naturalmente a pensare che quegli antichi scrittori vedevano nei libri neotestamentari la norma, della loro fede e della vita cristiana.
Quando si appellano a scritti del N.T. riconoscono ad essi una autorità suprema, non solo uguale a quella dell’A.T., ma anche superiore, in quanto in base agli scritti del Nuovo interpretano i libri dell’A.T.; sono però rari i testi nei quali il N.T. è citato con le formule solenni in uso per l’A.T.
Sappiamo infine che nelle adunanze liturgiche erano letti i libri sia dell’uno sia dell’altro Testamento, in particolare le “memorie degli apostoli” e gli “scritti dei profeti”, con prevalenza dei primi sui secondi.
Qualche razionalista (per es. A. von Harnack) ha preteso che Marcione sia stato il primo a redigere un canone del N.T., dando così alla Chiesa cattolica un esempio da seguire; l’affermazione è insostenibile. Scrive A. Puech “Il proclamare o l’insinuare, come ha fatto qualcuno, che Marcione è stato il vero curatore del canone del N.T. è dimostrare di aver imparato troppo bene da Marcione l’arte delle esagerazioni sistematiche. La stessa impresa di Marcione non sarebbe comprensibile se prima di lui non vi fossero stati dei libri circondati da una particolare venerazione, così grande da assicurarne la canonizzazione. Marcione con i suoi deliri ha tutt’al più accelerato la data di tale canonizzazione definitiva.
Egli infatti delirava partendo dall’idea che solo S. Paolo fu il vero interprete e annunziatore del pensiero di Gesù e fondandosi su alcuni principi che gli studiosi hanno cercato di ricostruire, ha preteso di raggiungere il testo originale del messaggio cristiano, rinnegando integralmente i libri dell’A.T., il cui Dio (un Essere giusto che nelle sue promesse guardava solo al bene temporale degli Ebrei) non può esser considerato padre di Gesù Cristo. Per il N.T. Marcione manifestò le sue idee sui libri sacri con due opere, non giunte fino a noi, cioè con l’Instrumentum o vangelo e con l’Apostolicon o epistole paoline, dove ha operato notevoli amputazioni e correzioni: dei vangeli ritenne solo quello di Luca e delle epistole paoline ne conservò soltanto dieci.
L’idea prima di una lista di libri aventi carattere normativo per la fede e i costumi Marcione l’ha presa dalla Chiesa, come appare dal canone dell’A.T., ed è chiaramente dimostrato da Ireneo (202) e da Tertulliano (220 ca.) che scrissero contro Marcione. Ireneo afferma che prima di Marcione esisteva un corpo delle Scritture del N.T. e che l’eretico ha mutilato largamente, scartando alcuni libri e decurtandone altri per comporre la sua raccolta; Tertulliano, dopo aver messo in chiaro che i Testamenti (Instrumenta) sono due, afferma che il N.T. è composto di due parti essenziali, il “Vangelo” e “l’Apostolo”; per il “Vangelo” cita i quattro canonici, per “l’Apostolo” cita tredici lettere di Paolo, l’epistola agli Ebrei che ritiene scritta da Barnaba e confermata dall’autorità di Paolo, la prima epistola di Giovanni, e gli Atti degli apostoli.
Tali assicurazioni, ed altre ancora, impediscono di attribuire a Marcione la parte decisiva nella costituzione del canone neotestamentario. E’ assicurato la parte decisiva nella costituzione del canone neotestamentario. E’ assicurato che prima di lui esistevano quattro vangeli e un Apostolicon, ritenuti dalla Chiesa come ispirati e nei quali essa cercava i principi della sua fede e della sua condotta.
Ci si può domandare se verso l’anno 150 la lista dei libri sacri del N.T., cioè il canone neotestamentario, era ancora aperto o era già chiuso. La Chiesa in quel periodo aveva già rifiutato molti libri apocrifi che si presentavano sotto nomi venerabili (Pietro, Tommaso, Maria ecc.)
Ma il canone restava aperto per via di alcuni dubbi su alcune lettere come quella agli Ebrei, quella di Giuda, l’Apocalisse, la II epistola Pietro ecc.. Quando verso la fine del sec. II, il vescovo di Antiochia Serapione, si pronuncia sul “vangelo apocrifo di Pietro”, esprime un principio generale per tutte le chiese: “Noi fratelli, accogliamo Pietro e gli altri apostoli, come Cristo in persona, ma siamo ben avveduti nel rigettare gli scritti che falsamente portano il loro nome, sapendo che non li abbiamo ricevuti come tali dai nostri maggiori”.
E’ stucchevole come molti pastori protestanti tengano all’oscuro i fedeli circa la storia del canone, sia dell’A.T. che del N.T., nonostante dedichino parecchie lezioni alla storia del cristianesimo, come fanno ad esempio i pentecostali, citando solo i meriti di Lutero e compagni, ma nascondendo i loro errori e soprattutto elencando i diversi errori che la Chiesa cattolica ha fatto nel corso dei secoli. In ogni caso mai si sente parlare di storia del canone e mai si sente spiegare dettagliatamente il metodo che la Chiesa adottò per saper discernere positivamente i libri ispirati da quelli apocrifi.
Questo loro fazioso modo di esporre i fatti mi ha fatto aprire gli occhi, mi ha spinto ad approfondire lo studio delle Sacre Scritture e del relativo canone, accorgendomi così della enorme faziosità di molti pastori pentecostali e protestanti vari, mi sono allontanato da loro, senza odio né rancore, perché in quelle comunità ho incontrato tante brave persone piene di entusiasmo e fermamente convinte di essere nella piena verità. Ma in realtà i fedeli pentecostali vengono tenuti all’oscuro di molti fatti e documenti che farebbero bene a conoscere, lasciando stare la cieca fiducia che ripongono nei loro pastori, e andando a verificare di persona, e non facendosi influenzare dalla frase “ci interessa la sola Bibbia”, perché in essa (la frase) sono contenuti tutti gli inganni che molti pastori protestanti fanno ai loro fedeli, convincendoli molto doviziosamente che è inutile perdere tempo dietro altri libri. Praticamente  così facendo tengono in pugno i loro fedeli, perché la Bibbia la possono tranquillamente spiegare come piace a loro, prova ne è il fatto che oggi esistono moltissimi gruppi protestanti ognuno dei quali differisce dal leggero al pesante, il modo di interpretare la Bibbia rispetto agli altri gruppi protestanti. Il fatto strano è che se si parla con i fratelli separati ognuno di loro assicura che il suo gruppo è nella verità, anzi sottolinea e fa capire che solo il suo gruppo è nella verità, e spesso invogliano il loro interlocutore a frequentare la loro comunità, proprio perché realmente convinti di essere nella piena verità.
Sarebbe utile convocare nello stesso momento un pastore pentecostale, un valdese, un luterano, un avventista, un pentecostale modalista, uno di quelli che battezzano solo nel nome di Gesù, un apostolico, uno della chiesa dei fratelli, uno della chiesa di base (e per ora mi fermo qui) per vedere le scintille che ne uscirebbero parlando dei loro diversi punti dottrinali, e per mettergli davanti agli occhi i loro errori e le loro divergenze, e poi dire loro: “COME FATE  AD AFFERMARE DI ESSERE TUTTI SINGOLARMENTE GUIDATI E ISPIRATI DALLO SPIRITO SANTO, E AD ASSERIRE DI ESSERE UNITI  TRA DI VOI?”
Ma la Chiesa cattolica romana insegna a essere pazienti e rispettosi verso i fratelli separati, quindi nell’attesa che molti fratelli separati si accorgano dei loro errori continuiamo a precisare la storia del canone del N.T. e a pregare per loro.

IL CANONE MURATORIANO
La più antica lista di libri sacri del N.T. che finora si conosce è quella scoperta nel 1740 da Lodivico Antonio Muratori nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, pubblicata nell’Antiquitates italicae Medii Aevi e denominata Canone (o frammento) del Muratori.
Il documento presenta una quadruplice serie di libri.
Libri che sono considerati sacri da tutti e si devono leggere in chiesa pubblicamente sono: i quattro Vangeli, gli Atti, 13 epistole di Paolo (manca l’epistola agli Ebrei), l’Apocalisse, l’Epistola di Giuda, due epistole di Giovanni e, molto verosimilmente, le due epistole di Pietro.
Libri che non sono considerati sacri da tutti e che quindi non tutti leggono pubblicamente in chiesa; di questa categoria fa parte l’Apocalisse di Pietro.
Libri che si possono leggere privatamente, ma che non è lecito leggere pubblicamente in chiesa: così il Pastore di Erma e il libro della Sapienza.
Libri che dalla Chiesa non possono essere ricevuti perché apocrifi e scritti da eretici; di questa categoria fanno parte l’epistola di Paolo ai Laodicesi, quella agli Alessandrini e tutti gli scritti ai quali il documento accenna nelle righe 65 s. e 81ss.
Il valore del canone del Muratori è notevole. L’autore è un tenace assertore dell’autorità apostolica e dell’autorità della Chiesa; il tono autoritario e il netto senso della cattolicità sono argomenti in favore dell’origine romana: l’autore scrive: “Noi accogliamo, noi riceviamo…La Chiesa cattolica non può accogliere…” Solo un capo ha il diritto di parlare così netto e autoritariamente.
Comunque terminando l’esame di questo periodo, che è il più importante dopo le dichiarazioni ufficiali della Chiesa, tutto sommato, constatiamo che il canone del N.T. era già praticamente e saldamente costituito, ad eccezione di qualche opera sulla quale si attendono ulteriori informazioni. I principi erano saldi e la Chiesa si dimostrava severa e intransigente di fronte alla letteratura più o meno devota ed ereticale che stava dilagando.
All’inizio del sec. III sorgono qua e là dubbi e incertezze, anche sui libri accolti precedentemente, che si prolungarono sino alla fine del V sec., e presso i Siri anche per tutto il sec. VI. Oggetto di questi dubbi, come ho già detto, sono: l’epistola agli Ebrei (specialmente in Occidente), l’Apocalisse (specialmente in Oriente) e la maggior parte delle epistole cattoliche, cioè l’epistola di Giacomo, la 2° e 3° epistola di Giovanni, la 2° epistola di Pietro e l’epistola di Giuda. Le cause che contribuirono a far sorgere tali dubbi erano generali alcune, altre invece particolari.
Cause generali:  1) la scarsità di comunicazioni impediva che lo scambio degli scritti del N.T. tra le varie comunità cristiane avvenisse celermente; quindi alcuni scritti non poterono giungere a conoscenza di tutte le chiese che con un certo ritardo; 2) il diffondersi dei libri apocrifi rese a volte i capi di alcune chiese diffidenti verso scritti di cui abusavano gli eretici (Lettera agli Ebrei e Apocalisse) o che non presentavano una dottrina propria  (epistole cattoliche minori); tra due pericoli (accogliere nel canone un libro non ispirato o lasciarne fuori uno ispirato) sembra che alcuni abbiano considerato meno grave il secondo; 3) la mancanza di una decisione ufficiale della Chiesa; esisteva, è vero, una prassi, ma questa forse non sembrò sufficiente in alcuni casi.
Tra le cause particolari vi erano, per l’epistola agli Ebrei e per l’Apocalisse, l’abuso che ne facevano gli eretici, infatti Ebrei veniva usata e abusata dai montanisti e dai novaziani (a motivo di Eb 6,4-6) anche gli ariani si appoggiavano su Eb 3,2. Dell’Apocalisse abusavano i millenaristi.
Per l’epistola di S. Giacomo il sospetto che l’autore fosse un falsario nascosto sotto il nome di un apostolo, come spesso facevano gli autori di libri apocrifi; per l’epistola di S. Giuda il fatto che sembrava accreditare il libro apocrifo di Enoch; per le altre epistole cattoliche minori (2 Pt e 2-3 Gv), la loro brevità e la mancanza di dottrine caratteristiche non dava occasione di citarle, e ciò poté ingenerare il dubbio che non fossero ispirate.
La voce di Padri come Origene, Gerolamo Agostino ecc., contribuì a dipanare i diversi dubbi sulla canonicità di queste lettere.
Alla fine del sec. VI i dubbi sono interamente scomparsi nelle chiese latine, mentre si protraggono in Oriente fino al Concilio Quinisesto o Trullano (anno 692), nel quale – a quanto pare – i Padri non compilano un nuovo catalogo, ma adottano quello che risulta dalla combinazione di altri cataloghi in uso nelle chiese, giungendo così a un canone completo.
Visto che ci furono parecchi (molti di più rispetto al V.T.) dubbi sulla canonicità di parecchie lettere del N.T. e che queste lettere sono chiamate anch’esse deuterocanoniche, come mai i fratelli separati non rigettano le 7 lettere deuterocanoniche? 
Lutero provò a rigettarle, poi in seguito a studi più accurati i protestanti le riammisero nel loro canone, dando (a malincuore) così ancora una volta ragione alla Chiesa cattolica romana, che con il suo magistero (tranne alcuni padri) non ha mai avuto dubbi sul canone, e nelle fasi di discussione (nei primi secoli) fu sempre la Chiesa cattolica a decidere la canonicità dei Libri Sacri, durante tutto il tempo della formazione del canone i protestanti dov’erano? Gli eretici come gli gnostici, nestoriani, novazioni, catari, manichei, albigesi ecc. identificano forse i protestanti? Nessuno dei gruppi eretici però ebbe parte nella stesura del canone.
Nelle chiese sire i dubbi proseguono probabilmente fino al tempo della versione siriana filosseiana (nel 508 ca.). Da questo tempo in poi non troviamo più che rarissime voci contrarie nelle chiese greche e in Occidente quella tardiva del Gaetano.
Si è accennato a quattro decisioni di concili particolari; ad esse si può aggiungere la lettera del Papa Innocenzo I (nell’anno 405) al vescovo di Tolosa che gli aveva chiesto il canone dei Libri Sacri: a lui il Papa invia il canone completo, come quello africano, con l’avvertimento che tutti gli apocrifi si debbano respingere e condannare.
Decisioni della Chiesa universale sono invece quelle dei Concili Fiorentino, Tridentino, Vaticano.
Il primo catalogo ufficiale della Chiesa universale è quello del Concilio Ecumenico di Firenze (4 febbraio 1441) sotto il Papa Eugenio IV. Nel decreto per l’unione dei giacobiti con la chiesa latina, il Concilio, dopo aver professato la sua fede nell’ispirazione dei libri della S. Scrittura, dà la lista dei libri stessi, nella quale sono riportati tutti i protocanonici e i deuterocanonici sia dell’A. che del N.T., confermando così il canone dei concili africani.
Il decreto fiorentino non è una definizione, ma una professione di fede, cioè un’esposizione della dottrina cattolica. Eccone il testo: “La Santa Chiesa… fermissimamente crede e professa che l’unico e medesimo Dio è autore dell’A. e del N.T… perché i sacri autori di ambedue i Testamenti hanno scritto sotto l’ispirazione del medesimo Spirito Santo; essa accetta e venera i loro libri, che sono indicati dai titoli che seguono” e ne fornisce l’elenco completo.
Il Concilio Tridentino, nella sua IV sessione (8 aprile 1546), dopo aver dichiarato di riconoscere e di venerare con uguali sentimenti di pietà e rispetto tutti i libri dell’A. e del N.T., essendone Dio l’unico autore, dà la lista di tutti i libri sacri compresi i deuterocanonici.
L’orgoglio intellettuale di Lutero e altri, li spinse ha verificare di persona, ma analizzando bene le vicende che portarono Lutero a definire lettera di paglia la lettera di Giacomo, e a rifiutarne altre perché ritenute apocrife, per poi rimangiarsi queste inutili eresie, non fa altro che confermare che fuori dalla Chiesa regna il caos, e che gli studiosi di turno non fanno altro che portare confusione nei fedeli. Considerato che questi protestanti affermavano di essere rigorosamente guidati e ispirati dallo Spirito Santo è lecito chiedersi quale spirito li ispirasse.
Non era per caso qualche spirito malvagio?
Ritornando al Concilio Tridentino bisogna dire che nel suo interno qualcuno proponeva di mettere una distinzione fra protocanonici e deuterocanonici, ma la maggior parte dei presenti furono d’accordo nello stabilire un canone senza distinzioni, così come oggi nella Chiesa odierna e così com’era nella Bibbia dei LXX (per l’A.T.) e com’era nella Volgata.
I precedenti decreti si erano limitati a esporre la dottrina comune della Chiesa intorno alla canonicità dei libri sacri. Il decreto tridentino invece è una vera definizione dogmatica, specialmente a motivo della scomunica intimata a chi osasse negare la canonicità dei libri elencati, con tutte le loro parti.
Quindi il Concilio di Trento non inventò il canone, ma lo ratificò e lo dichiarò dogmatico, in modo tale da difenderlo dagli attacchi degli eretici, rappresentati in quel periodo dai protestanti come Lutero, Calvino, Zwingli ecc..  Ma i fratelli che avranno verificato seriamente concorderanno che già nella traduzione dei settanta (LXX) e poi nei primi secoli del cristianesimo il canone era quello che la Chiesa cattolica ha sempre difeso, e che tutt’ora difende.
Il criterio di canonicità, secondo il Concilio Tridentino, è accennato nella duplice espressione: l’uso di leggere un dato libro (o una sua parte) nella Chiesa cattolica e la sua presenza nella Volgata.
Le due espressioni indicano la medesima cosa, cioè la prassi della Chiesa, l’uso che la Chiesa fa di un dato libro (o di una sua parte). Dunque il criterio tridentino di canonicità (cioè l’uso o prassi della Chiesa) coincide con quello già veduto della sacra tradizione cattolica, di conseguenza nulla inventò il Concilio di Trento, ma si attenne scrupolosamente alla prassi che la Chiesa aveva tenuto e mantenuto nel corso dei secoli.
La Chiesa cattolica dei primi secoli avendo chiarito definitivamente ogni dubbio, ammise le Lettere in questione nel canone, i protestanti che a quei tempi non esistevano, circa dieci secoli dopo rispolverarono tali questioni, e fecero vedere al mondo che anche loro avevano l’accortezza di verificare, infatti dopo diverse vicissitudini, analisi, confronti tra dotti protestanti, diedero ragione alla Chiesa cattolica reintegrando tali lettere nel loro elenco. Fatica inutile, tempo sprecato, ma vuoi mettere la soddisfazione contraddire ad ogni costo la Chiesa cattolica romana?
Nel campo protestante il primo a negare l’autenticità dei deuterocanonici dell’A.T. fu, nel 1520, Carlostadio (vero nome Andrea Bodenstein). Lutero abbracciò subito il suo errore e nella sua versione tedesca (1534) mise i deuterocanonici in appendice sotto il titolo di “apocrifi”; i luterani ne imitarono l’esempio, anzi, all’inizio del sec. XVIII, li eliminarono del tutto dalle loro Bibbie stampate. Anche Calvino nel 1540 respinse i deuterocanonici come apocrifi e, nel Sinodo di Dordrecht (Olanda, 1618), alcuni calvinisti proposero di togliere i deuterocanonici dalla Bibbia; ma il Sinodo decise che si stampassero in carattere più piccolo. Anche le Confessioni gallica (1559), anglica e belga (1562), elvetica (1564) respinsero i deuterocanonici dell’A.T.
Del N.T. Carlostadio, Calvino, e in seguito le Confessioni gallica (1559) e angelica (1562) ritennero il canone completo. Lutero invece non riconobbe Ebrei, Giacomo, Giuda, e l’Apocalisse; ma i luterani successivi, staccandosi dal loro maestro, conservarono l’antico canone completo.
Oggi tutti i protestanti conservatori respingono i deuterocanonici dell’A.T., che chiamano “apocrifi”, ma accolgono tutti i deuterocanonici del N.T. facendo, in parte almeno, delle riserve su alcune pericopi, per es. Mc 16,9-20; Gv 7,53 – 8,11.
Come già detto “apocrifo”, etimologicamente significa “nascosto”, “segreto”, e designa uno scritto falsamente attribuito a un autore, ma il cui vero autore rimane ignoto.  Nell’uso ecclesiastico si chiamano “apocrifi” i libri non ammessi per la pubblica lettura liturgica. Nella Chiesa si leggevano pubblicamente solo i libri canonici, per questo il termine “apocrifo” divenne e rimase sinonimo di non canonico. Talvolta “apocrifo” è usato anche nel senso di spurio (controllate anche nel vocabolario italiano).
In generale gli apocrifi si possono definire: libri di autori incerti che per titolo o l’argomento presentano qualche affinità con quelli della S. Scrittura, ma ai quali la Chiesa universale non riconobbe mai l’autorità canonica.
Come il canone biblico si divide in A. e N.T., così analogamente si hanno apocrifi dell’A. e N.T.; la denominazione si riferisce al contenuto, non alla data di composizione. Ciascuno dei due gruppi si può inoltre suddividere come i libri canonici ai quali rassomigliano, cioè quello dell’A.T. in storici, didattici, profetici, e quelli del N.T. in vangeli, atti, lettere, apocalissi.
Lo scopo degli apocrifi è assai vario. Quelli dell’A.T. cercano di dar credito a prescrizioni legali introdotte dai maestri ebrei, oppure contengono esortazioni morali, o intendono abbellire con racconti immaginari fatti e personaggi biblici; le apocalissi in genere fanno sperare prossima la liberazione del popolo giudaico dal giogo degli oppressori.
Degli apocrifi del N.T. alcuni sono dovuti ad eretici che li composero allo scopo di far passare le loro false dottrine sotto il patrocinio di qualche autorevole personaggio; altri si devono a pii fedeli che per colmare alcune lacune degli scritti canonici inventarono – o, qualche volta, tramandarono – vari aneddoti della vita del Signore, della Madonna, degli apostoli, ecc.; questi aneddoti sono molto spesso puerili e ridicoli.
Si comprende perciò come l’autorità ecclesiastica si sia sempre opposta alla diffusione degli apocrifi, e qualche volta ne abbia severamente proibita la lettura. Ciò causò la perdita di gran parte di essi; tuttavia ne rimane ancora un numero considerevole.
Il confronto degli apocrifi con i libri canonici mostrerà inoltre la superiorità di questi ultimi sui primi, sia per il contenuto religioso sia per le bellezze letterarie. Diamo ora un elenco degli apocrifi più noti, con l’indicazione del contenuto generico e di qualche caratteristica particolare.

Apocrifi dell’A.T. 
1) Apocrifi storici: Libro dei Giubilei, o “Piccola Genesi”, è un rifacimento della storia biblica dalla creazione del mondo fino all’esodo degli Ebrei dall’Egitto, disposta a periodi di giubilei (49 anni ciascuno). E’ detto pure “Apocalisse di Mosè”, poiché l’autore immagina che Dio riveli questa storia a Mosè mentre un angelo è incaricato di registrarla. L’autore intende dimostrare l’origine divina della legge mosaica, col presentarla già osservata dagli antichi patriarchi, e combattere certe correnti giudaiche ellenizzati. Fu composto in Palestina, forse nella seconda metà del sec. II a.C., in ebraico; i due testi che oggi rimangono (in etiopico e in latino) dipendono da una versione greca fatta sul testo ebraico. Alcuni manoscritti trovati a Qumràn hanno un testo ebraico identico a quello delle antiche versioni.
III di Esdra: narra la storia del Tempio di Gerusalemme dal tempo di Giosia fino ad Esdra e consta quasi esclusivamente di brani biblici; vi è di proprio 3,1 -5,6 che narra la disputa fra le guardie del re persiano sulla cosa più forte di tutte (se il vino, il re, la donna, o la verità). Sembra composto verso la fine del sec. II a.C. presso i LXX è inserito fra i libri canonici col titolo di Esdra A (primo), mentre i libri canonici di Esdra e Neemia sono uniti insieme col titolo di Esdra B (secondo). Diversi Padri lo ritengono ispirato o particolarmente venerabile.
III dei Maccabei: detto così unicamente perché in vari codici del LXX è collocato subito dopo i due libri canonici dei Maccabei e con essi ha qualche affinità di argomento. Narra infatti la liberazione miracolosa degli Ebrei di Alessandria da un martirio a cui li aveva condannati il re Tolomeo IV (221-204): gli elefanti che dovevano calpestarli non fecero loro alcun male. Fu composto in lingua greca, tra il sec I a.C. e il sec I d.C. in Egitto.


2) Apocrifi didattici: Testamenti dei 12 Patriarchi, riferiscono le ultime parole che i 12 figli di Giacobbe, ad imitazione del loro padre, avrebbero rivolte ai loro figli sul letto di morte. Fino a poco tempo addietro si riteneva che il libro fosse stato scritto nel sec II-I a.C. e giunto a noi in diverse forme, con interpolazioni cristiane; ma dopo la scoperta dei mss. di Qumràn pare che si debba rivedere sia la data sia la religione dell’autore.
Alcuni frammenti di Qumràn e altri, trovati nella ghenizà del Cairo (in ebraico) e in una biblioteca del monte Athos (in greco), pare che avallino l’ipotesi di una composizione nel sec. II d.C., ad opera di un giudeo-cristiano ispiratosi a composizioni ebraiche preesistenti. L’interesse maggiore dell’opera è nella seconda parte contenente riflessioni varie su vizi e virtù; interessante sul piano dottrinale è il tema dei “due Messia”, che l’autore sembra veder realizzarsi in un solo personaggio.
La preghiera di Manasse: è un bel carme penitenziale che un ebreo ellenista compose poco prima di Cristo, prendendo spunto dalla notizia registrata nella Bibbia che il re Manasse in esilio si convertì e pregò il Signore.
Il IV dei Maccabei, o “il Dominio della ragione”: esorta a dominare le passioni, mediante considerazioni filosofiche ed esempi biblici di epoca maccaibica (Eleazaro, i sette fratelli). Fu scritto da un giudeo ellenista poco prima o poco dopo Cristo.
Salmo di Salomone. Sono 18 canti, attribuiti per ragioni ignote a Salomone, ma molto simili ai salmi di Davide. Essi lodano i divini attributi ed animano alla speranza messianica. L’autore li scrisse a Gerusalemme poco dopo l’occupazione romana della Palestina (63 a.C.). L’opera è considerata come l’espressione più completa della pietà dei farisei: l’autore ha tendenza quietista; non vede giustizia se non nella propria setta; è pieno di fede e di ottimismo nel trionfo di Dio; attende il Messia, figlio di Davide, che farà trionfare la giustizia, espellerà dalla Palestina ogni straniero e purificherà Gerusalemme.

3) Apocrifi profetici: Libri di Enoch: esistono tre libri di Enoch, detti rispettivamente etiopico, slavo, ebraico a seconda della lingua che li ha tramandati.
Parleremo del più importante. L’Enoch etiopico si divide in cinque parti, più un prologo e un epilogo. Il prologo (cc 1.5) descrive il giudizio futuro. La prima parte (Libro degli angeli, 6-36) con le figlie degli uomini, da cui sarebbero nati “i giganti”, e poi narra il viaggio compiuto da Enoch attraverso il cielo e la terra sotto la guida di un angelo che gliene spiega i misteri. La seconda parte (Libro delle parabole, 37-71) descrive il giudizio che “l’Antico dei giorni” e il “Figlio dell’Uomo” faranno sugli uomini e sugli angeli.
La terza parte (Libro astronomico, 72-82) descrive le rivoluzioni degli astri e il corso dei venti.
La quarta parte (Libro delle visioni 83-90) attraverso due visioni descrive tutta la storia del mondo, da Adamo al Messia.
La quinta parte (Libro delle esortazioni 91-105) contiene benedizioni ai figli di Enoch e maledizioni agli empi. L’epilogo infine (106-108) contiene frammenti di un “libro di Noè”. Come si vede, questo libro è un conglomerato di scritti eterogenei uniti fra loro dal nome di Enoch, che è il tramite  della varie rivelazioni.
Tra gli apocrifi dell’A.T. questo è il più importante, perché è come un compendio delle dottrine religiose giudaiche al tempo del Signore. Si riteneva finora che l’opera fosse stata composta in Palestina nel sec II o I a.C. da autori diversi in lingua ebraica o aramaica, tradotto in greco e dal greco in etiopico verso il sec IV.V; si vedeva poi, da molti, un influsso o una redazione cristiana per la seconda parte. 
IV di Esdra o “Apocalisse di Esdra”: immagina che Esdra, trent’anni dopo che Nabucondonosor aveva distrutto Gerusalemme (nell’anno 557 a.C.), esule a Babilonia, riceva dall’angelo Uriel (mai nominato della Bibbia) sette rivelazioni, il cui punto culminante è la prossimità della vendetta divina, che sarà eseguita dal Messia.
Le prime tre visioni (cc. 3,4 – 9,25) riguardano la sorte d’Israele: se il popolo eletto è divenuto schiavo dei popoli pagani, l’ha permesso Dio per i suoi inscrutabili disegni; ma è vicina l’ora della divina giustizia. Ecco infatti apparire il Messia, “figlio di Dio” (7,28 s.) il quale, dopo aver regnato per 400 anni, morirà con tutti gli uomini, ma dopo sette giorni avverrà la risurrezione universale, seguita dal giudizio con la relativa retribuzione.
La quarta visione (9,27 – 10,60) descrive la gloria della futura Gerusalemme.
La quinta (11-12) presenta un’aquila che con le sue grandi ali abbraccia tutta la terra (= l’impero romano), ma essa viene giudicata dal Leone (cioè il Messia). 
La sesta (13) annunzia che il Messia, dopo aver sterminato i nemici col suo fiato, radunerà le disperse tribù d’Israele, in un’epoca ancora ignota.
La settima (14) racconta che Esdra per ordine di Dio e sotto divina ispirazione detta a cinque amanuensi i libri sacri che erano andati distrutti nell’eccidio della città santa: 94 libri, dei quali i primi 24 possono esser letti da tutti, mentre gli altri 70 sono destinati solo a pochi iniziati.
Questo libro è opera di un ebreo palestinese che lo scrisse sulla fine del sec I d.C.
Dalla versione greca perduta sono derivate quella latina e varie versioni orientali. Fu citato da vari Padri e qualche passo è entrato nella liturgia romana.
Oracoli sibillini: sono una raccolta di oltre 4.000 esametri greci, distribuiti in 15 libri. Molto eterogenei ne sono gli elementi, ed è difficile distinguerli: sopra un primitivo  fondo pagano si stende uno strato giudaico, composto a scopo di proselitismo in Egitto tra il 140 a.C. e il 70 d.C., con aggiunte del sec II d.C.; il resto è generalmente ritenuto cristiano e composto tra la metà del sec III e il IV. La parte giudaica descrive , per bocca della Sibilla, e in stile apocalittico, la storia del mondo a partire dal diluvio fino al glorioso avvento del Messia. La parte cristiana narra, sempre per bocca della Sibilla, la vita mortale di Cristo e la sua seconda venuta per il giudizio finale. I versi sono oscuri, scorretti, piatti.

Vangeli apocrifi 
Gli antichi scrittori ricordano di tanto in tanto numerosi vangeli apocrifi, alcuni ortodossi, scritti a scopo di edificazione, altri sorti in ambienti eretici allo scopo di diffondere le dottrine della propria setta. Raramente ce ne è giunto il testo completo; spesso ne rimane solo qualche frammento o appena il titolo. Ne vedremo alcuni fra i principali.

Vangelo dagli Ebrei e Vangelo dei nazarei: il primo fu scritto in aramaico sulla fine del sec. I ad uso dei giudeo-cristiani della Palestina e presto tradotto in greco. Pare avesse stretta affinità col vangelo canonico che S. Matteo scrisse originariamente in aramaico, se pure non era questo stesso vangelo manipolato in varie maniere con accorciamenti e con aggiunte di provenienza incerta.
Purtroppo non ne abbiamo più che qualche frammento. Il secondo sembra fosse un rifacimento del precedente. S. Gerolamo lo tradusse in greco e in latino.
Vangelo degli ebioniti o “ dei dodici apostoli”: fu in uso presso la setta giudeo-cristiana degli ebioniti. Fu compilato tra la fine del sec. II e l’inizio del III sulla base dei vangeli canonici di S. Luca e di S. Matteo, ma adattato alle teorie della setta.
Protovangelo di Giacomo o “Storia della natività di Maria: l’ignoto autore, per accreditare il suo scritto, si finge Giacomo, il “fratello” (cioè parente) del Signore.
L’opera consta di tre parti ben distinte:
I cc. 1-16: vita di Maria SS. Fino alla nascita di Gesù, con molti racconti che rimangono in parte tradizionali nella pietà cristiana;
II cc. 17-21: la nascita di Gesù e le meraviglie che l’accompagnarono;
III cc. 22-24: la strage degli Innocenti e il martirio di Zaccaria; segue infine un epilogo (c.25).
Come ci è giunto, il vangelo non è certo posteriore al sec. IV: così si deduce da antiche testimonianze; si tratta tuttavia di una compilazione che nella parte più antica, cioè nei cc.1-21, risale al sec. II. Si scorge facilmente il motivo della sua venerabilità. In questa prima parte, che rappresenta in un certo modo una vita di Maria SS., l’autore esalta la verginità della Madre di Dio e la sua straordinaria fanciullezza: i genitori, Gioacchino e Anna, erano sterili, un angelo annunzia loro la nascita di Maria; a tre anni la bambina è presentata al Tempio per esservi educata in un collegio di vergini; il sommo sacerdote ha di lei una speciale cura e nella scelta dello sposo avviene la miracolosa fioritura del bastone del vecchio Giuseppe, al quale viene quindi affidata la vergine; la concezione di Maria è soprannaturale e i “fratelli di Gesù” sono figli avuti da Giuseppe in un precedente matrimonio; Maria rimase sempre vergine. 
Vangelo di Tommaso (filosofo israelita): narra i prodigi compiuti nella sua infanzia da un Gesù che molto spesso è vendicativo e maligno. E’ lavoro di un eretico (verso la fine del sec II); il testo ci è giunto ritoccato da un cattolico del sec. III.
Vangelo di Nicodemo, detto anche “Atti di Pilato” dalla prima parte. Si compone di due parti che primitivamente formarono due scritti indipendenti: la prima (Atti di Pilato, 1-16) racconta il processo di Gesù davanti a Pilato, il suo supplizio e la risurrezione; la seconda (Discesa di Gesù Cristo agli Inferi, 17-27) riferisce il racconto di due risuscitati alla morte di Gesù che furono testimoni della sua discesa al Limbo.
Ambedue gli scritti risalgono al sec. IV-V, ma forse hanno un fondo molto antico. La versione latina riporta in fine una lettera (sec. XIII-XIV) di Lucio Lentuolo, preteso predecessore di Pilato, al Senato romano con la descrizione delle fattezze fisiche di Gesù.
Storia di Giuseppe il falegname: narra la vita di Giuseppe e specialmente la sua santa morte fra le braccia di Gesù e di Maria; il suo corpo rimarrà incorrotto fino al regno millenario del Signore. Fu scritta in Egitto nel sec. IV-V.

Atti apocrifi
Questi apocrifi riferiscono i fatti memorabili attribuiti a vari apostoli e non riferiti dal libro canonico degli Atti degli Apostoli.
Atti di Pietro. Constano di due parti: I) Gli Atti di Pietro con Simone, i quali raccontano come Simon Mago, mentre era a Roma, ingannava il popolo con le sue arti magiche; un giorno però sollevatosi in aria, alle preghiere di Pietro precipitò a terra e morì; 2) il Martirio di Pietro racconta che mentre Pietro fuggiva da Roma, dove infuriava la persecuzione, incontrò il Signore e gli chiese: “Signore, dove vai?” (cfr. Gv 13,36). Il Signore rispose: “Vado a Roma per essere di nuovo crocifisso”. Allora Pietro ritornò nella città. Segue il racconto del martirio di Pietro, crocifisso con la testa all’ingiù.
Il libro di tendenze ereticali, (ad esempio vi troviamo che per l’Eucaristia si adopera solo pane e acqua.) fu scritto in Asia Minore nel sec II o all’inizio del sec III.
Atti di Paolo. Contengono tre scritti I) gli Atti di Paolo e Tecla, i quali raccontano come Tecla, nobile fanciulla di Iconio, sentito S. Paolo parlare della verginità, abbandonò il suo futuro sposo e diventò fervente discepola di Paolo; II) Il Martirio di Paolo, che narra la morte violenta dell’apostolo, accompagnata da molti miracoli; III) vi è poi uno scambio di lettere tra S. Paolo e i Corinzi. Questo scritto sorse in Asia verso il 160-170; non contiene nulla di eretico, anzi il nucleo essenziale è probabilmente storico; ma Tertulliano fa sapere che l’autore fu deposto dal suo vescovo in punizione di questo falso.
Atti di Andrea. A carattere gnostico, ce ne sono pervenuto tre rifacimenti ortodossi: I) Atti di Andrea e di Mattia: S. Andrea libera S. Mattia, prigioniero di antropofagi; II) gli Atti di Pietro e di Andrea, col racconto delle loro predicazioni in mezzo ai barbari; III) il Martirio di S. Andrea, che crocifisso in Acaia, sopravvisse per due giorni e continuò a predicare a lungo dalla croce. Lo scritto primitivo sorse nel sec II; i rifacimenti non sono anteriori al sec V.

Epistole apocrife
Lettera di Gesù ad Abgar. Racconta Eusebio che Abgar, re di Emessa, avendo sentito parlare dei miracoli di Gesù, gli scrisse pregandolo di recarsi da lui per guarirlo da una malattia incurabile. Il Salvatore gli rispose che non gli era possibile andare, ma che dopo la sua Ascensione gli avrebbe mandato un discepolo. Difatti vi andò Taddeo, uno dei 72 discepoli, il quale curò il re e predicò il vangelo agli Edesseni.
Eusebio assicura di aver veduto l’originale siriaco delle due lettere e di averle tradotte in greco; ma sono spurie e composte tra la fine del sec II e l’inizio del III sotto Abgar IX (179-216), che abbracciò la fede cristiana.

Lettere di Paolo ai Corinzi e dei Corinzi a Paolo: l’autore immagina che i Corinzi abbiano scritto una lettera a Paolo per denunziargli due falsi dottori penetrati in mezzo a loro, e che l’Apostolo abbia risposo confutandone gli errori. Le due lettere fanno parte degli “Atti di Paolo” e sono quindi della stessa epoca.

Lettera di Paolo ai Laodicesi: un altro falsario, prendendo occasione dall’accenno che S. Paolo fa di una sua lettera ai Laodicesi, costruì tale lettera compilandola quasi interamente con parole e frasi autentiche di S. Paolo, desunte specialmente dalla lettera ai Filippesi. Composta in greco verso il sec IV, ce n’è giunta solo la traduzione latina.

Corrispondenza tra Paolo e Seneca: comprende otto lettere del filosofo L. Anneo Seneca a Paolo e sei brevi risposte di questo. Può averne offerta l’occasione l’incontro a Corinto dell’Apostolo col proconsole dell’Acaia M. Anneo Gallione, fratello di Seneca (Atti 18 12-17). Il filosofo ammira la dottrina di Paolo, ma ne deplora l’imperfezione stilistica. Queste lettere, scritte in latino, sono vuote di pensiero e prive di ogni pregio letterario. Si pensa comunemente che siano del sec IV: non se ne può quindi dedurre niente sulla conversione di Seneca al cristianesimo.

Apocalissi apocrife
Apocalisse di Pietro: sviluppa la scena del Signore che sul monte degli Ulivi parla ai discepoli della fine del mondo (Mt 24,3 ss.); in particolare annunzia la venuta di Enoch e di Elia per resistere all’Anticristo, descrive i tormenti dell’inferno e la gloria degli eletti, e si chiude col rapimento ci Cristo in cielo insieme con Mosè ed Elia. Fu scritta in greco nel secoli II.

Apocalisse di Paolo: amplifica la notizia del rapimento dell’Apostolo fino al terzo cielo (2 Cor 12,2 ss). Accompagnato da un angelo, S. Paolo visita la dimora dei buoni nell’altro mondo, vede la Madre del Signore, i patriarchi, i profeti; quindi esorta i peccatori a far penitenza, considerando il rigore del giudizio divino e l’atrocità dei futuri castighi. Fu composta alla fine del sec IV o all’inizio del V. Molto usata nel Medio Evo, fu una delle fonti della Divina Commedia.

Apocalissi della Beata Vergine Maria: 1) nella prima, scritta in greco, la Madonna dal monte degli Ulivi vede l’inferno e per intercessione sua e della corte celeste è concesso ai dannati di glorificare la Trinità nel giorno della Pentecoste; è una composizione del sec IX;
2) la seconda, in etiopico, immagina che la Madonna, pregando sul Golgota, veda i dannati dell’inferno, tra i quali vi sono sacerdoti e monaci; per essi ottiene una mitigazione della pena dai vespri del venerdì al mattutino del lunedì. Dipende in parte dall’Apocalisse di Paolo e non è anteriore al sec VII.

Agrafa
Sono chiamati “àgrapha” detti isolati attribuiti a Gesù da qualche tradizione, ma non registrati nei vangeli canonici. Si dicono anche “lòghia”.
Un grafo è riferito da S. Paolo in Atti 20,35 (E’ più bello dare che ricevere); molti si trovano nelle lezioni varianti dei manoscritti di tutti i libri del N.T. e nei papiri, negli scritti apocrifi, nella letteratura patristica, nelle antiche liturgie, ecc.

Storia del testo Greco del N.T.

Tutti i libri del N.T. ci sono giunti nella forma di greco diffusa in Oriente all’epoca ellenistica (per questo detta “comune” “ordinaria”, con frequenti risonanze semitiche.
Solo il primo vangelo fu originariamente scritto in aramaico, ma ben presto venne tradotto in greco; a noi è giunta una traduzione greca “sostanzialmente” identica all’originale.

Il materiale scrittorio

Nel primo secolo erano in uso il papiro e la pergamena; il papiro era usato più spesso perché più economico; ma era anche più fragile e meno durevole; perciò dal sec. IV divenne più comune la pergamena. I codici più antichi che possediamo (sec. IV) sono appunto pergamenacei. Tra le pergamene vanno specialmente menzionati i palinsesti, cioè “raschiati di nuovo”, ossia quelle pergamene i cui scritti  furono raschiati con pomice o lavati per sovrapporvi altro scritto. Si usò far così per economia, tra i secoli VIII-XII con manoscritti dei secoli IV-VI. Ai nostri giorni, prima con processi chimici, poi mediante la fotografia, si è recuperata la scrittura primitiva. In quest’arte si distinguono i benemeriti Benedettini di Beuron, tra i quali va ricordato Albano Dold. Nel campo biblico è celebre il Codex Ephraemi rescriputs.
A partire dal sec. III, per scritti di maggiore importanza si introdusse l’uso di tingere la pergamena in color porpora (“codici purpurei”) e scrivervi con inchiostro d’oro o d’argento; più tardi quest’uso si estese anche ai codici della Bibbia (abbiamo quattro codici purpurei del sec IV, tra cui il Petropolitanus e il Rossanesis), ma S. Gerolamo biasimava quest’uso perché generalmente questi codici così lussuosi non eccellevano per fedeltà di trascrizione. Dal sec. XII la pergamena fu sostituita dalla carta.

Scrittura

La scrittura era duplice: onciale (o maiuscole) e corsiva. La scrittura corsiva era ordinariamente usata dai tachigrafi, mentre i calligrafi adoperavano la scrittura onciale.
Da questa, e sotto l’influsso della scrittura corsiva, derivò la scrittura minuscola, usata per i codici biblici a partire dal sec. IX. La scrittura onciale era molto simile alla scrittura capitale (usata per i monumenti e le monete), ma ne differiva per una forma più arrotondata e meno lineare; si usò fino al sec IX, quando cominciò a esser sostituita dalla scrittura minuscola.
Alcune particolarità di lettura usate nei più antichi codici onciali diedero occasione a false lezioni. Di queste particolarità, le principali sono: la iscrizione continua, ossia la mancanza d’intervallo fra una parola e l’altra; la mancanza di accenti e spiriti; la mancanza di segni d’interpunzione; le abbreviazioni (sigle) dei nomi che ricorrevano più frequentemente. I trascrittori successivi alle volte lessero erroneamente. Per ovviare alla mancanza di segni d’interpunzione si sostituì all’antico sistema “sticometrico” il sistema “colometrico”. La sticometria (usata per le opere classiche fin dal sec II a.C.) era il sistema di scrivere per “stichi”: ogni linea del foglio doveva comprendere tante sillabe quante ve n’erano in un esametro di Omero (34-38 lettere, cioè 15-16 sillabe). In base agli stichi si calcolava la ricompensa dell’amanuense. La colometria (scrittura “per cola et commata”) invece teneva conto del senso, e in ogni linea metteva una sola frase avente senso compiuto. I due termini “colon” e “comma” sono quasi sinonimi; forse il secondo indica una frase più breve.

Formato

Per i papiri continuò generalmente a usarsi il rotolo; è però ben documentata anche la legatura a libro o “codice” (per le pergamene era più comune il sistema del codice), che si componeva di vari fascicoli sovrapposti. Il fascicolo a sua volta constava generalmente di quattro fogli (di qui l’appellativo “quaternio” da cui “quaderno”), ciascuno dei quali si piegava in due (diploma, “cosa raddoppiata”); ogni fascicolo aveva dunque quattro fogli, otto pagine (ciascuna delle quali aveva il recto e il verso) quindi sedici facciate (il nostro “sedicesimo”). Sovrapponendo un certo numero di questi fascicoli si formava il codice. Talvolta, specialmente a partire dal sec. IV, anche i fogli di papiro furono disposti a forma di codice. Quest’uso, però, esisteva già dal sec. II. Ciascuna facciata del codice era generalmente divisa in due colonne, ma alle volte anche in tre e perfino in quattro.

Vicende del testo greco

Prima dell’invenzione della stampa si fecero diversi tentativi di revisione del testo del N.T. per liberarlo dalle inevitabili alterazioni apportate dagli amanuensi: tali revisioni sono dette comunemente recensioni. Dopo l’invenzione della stampa si susseguirono le edizioni stampate, preparate con un metodo che andò sempre perfezionandosi col progredire della critica testuale.
Delle varie recensioni, che si vedranno appresso, ci sono giunti rappresentanti di vario genere, che furono e sono tuttora la base di lavoro per la critica testuale e le edizioni critiche.

Testimoni del testo greco
Tre specie di “testimoni” ci hanno trasmesso il testo del N.T.: le citazioni degli antichi scrittori ecclesiastici; le versioni antiche; i codici. Questi ultimi sono testimoni diretti; le versioni sono testimoni indiretti, perché non danno il testo originale, però lo suppongono e lo fanno intravedere attraverso la traduzione; le citazioni invece attestano solo in parte, cioè solo nelle parole citate.

Le citazioni. Le citazioni degli antichi scrittori ecclesiastici sono così frequenti che, unendole insieme, si potrebbe ricostruire con esse tutto il N.T. greco. In ciò gli scrittori vanno considerati non come esegeti, ma come testimoni del testo; conseguentemente i più antichi dovrebbero essere i più autorevoli. Tuttavia i Padri più antichi citano quasi sempre a memoria e a senso (raramente alla lettera); anche gli scrittori successivi qualche volta citano a memoria o a senso, oppure da fonte non sempre sicura. Perciò bisogna controllare i singoli casi.

Le versioni antiche. Qui consideriamo le versioni solo in quanto rappresentano una copia del testo originale di quella data epoca. Sotto tale aspetto le versioni antiche sono molto preziose per ricostruire il testo originale; alcune di esse poi sono anteriori ai codici più antichi, i quali non vanno oltre il sec. IV.
Affinché le versioni possano esercitare tale compito occorre che esse siano criticamente sicure, cioè riproducano possibilmente il testo quale uscì dalle mani del traduttore: solo in tal caso possono essere l’eco fedele del testo originale.

I codici. Costituiscono la categoria più importante dei testimoni del testo, essendo testimoni diretti, ed  anche la categoria più numerosa. Tra onciali (210), minuscoli (2.400), papiri (67), lezionari (1.610) assommano a circa 4.290 dei quali 53 contengono il N.T. per intero.

Designazione dei codici e papiri. I codici onciali (o maiuscoli) vengono comunemente designati con lettere maiuscole dell’alfabeto latino e greco, i minuscoli con numeri arabi progressivi. Però, siccome gli onciali sono 210 le lettere latine e greche non bastano a designarli tutti e la stessa lettera maiuscola può indicare più di un codice. Per ovviare a questi inconvenienti, superato il numero delle lettere disponibili, gli onciali vengono designati anche con cifre arabe precedute dallo zero.
I papiri sono designati con l’iniziale P seguita da un numero arabo progressivo in esponente.

I principali codici
B, Vaticanus. Contiene l’A.T. nella traduzione greca dei LXX e il N.T., ambedue però non completi. Fu copiato nel sec IV, probabilmente in Egitto. Si conserva nella Biblioteca Vaticana (di qui il nome). E’ universalmente riconosciuto come il migliore di tutti i codici del N.T. sotto l’aspetto sia paleografico che critico.

S, Sinaiticus. Contiene ambedue i Testamenti, ma l’A.T. è lacunoso. Copiato nel sec. IV-V, ha col Vaticano affinità di origine e d’indole. Fu scoperto nel 1844 nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (di qui il suo nome) da C. von Tischendorf, il quale ne portò parte a Lipsia e il resto, più tardi, a Pietroburgo, da dove, nel 1933, passò al British Museum per 100 mila sterline.

A, Alexandrinus. Contiene, con varie lacune, ambedue i Testamenti. Copiato in Egitto nel sec V, fu in passato ad Alessandria (donde il suo nome); oggi è al British Museum.

C, Ephraemi rescriptus, ossia palinsesto. Contiene frammenti dell’A.T. e quasi tutto il N.T. Copiato ne lsec. V in Egitto, fu cancellato nel sec. XII per scrivervi le opere di S. Efrem tradotte in greco. Si trova ora nella Biblioteca nazionale di Parigi.

Dea , Codex Bezae o Cantabrigiensis. Contiene vangeli e Atti, in greco (pagina a sinistra) e in latino (pagina destra). Copiato nel sec. VI in Occidente, nel sec. XVI venne in possesso di Teodoro Beza, il quale lo cedette all’accademia di Cambridge, dove tuttora si trova: di qui il doppio appellativo.

Dp, Claromontanus. Contiene le epistole di S. Paolo in greco e in latino; tra l’epistola a Filemone e quella agli Ebrei si legge la lista dei libri sacri scritta sticometricamente (Canone Claromontano, del sec. IV). Copiato nel sec. VI in Occidente, una volta si trovava nel monastero di Clermont (donde il nome); oggi è nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
W, Freer del sec V. Contiene i vangeli e si trova attualmente a Washington
Q, Koridethi, del sec VIII-IX. Contiene i vangeli e si trova a Tiflis.

Fra i codici minuscoli meritano di essere ricordati i quattro codici che prendono nome da W. H. Ferrar, filologo dublinese: sono i codd. 13, 69, 124, 346, di varie epoche contenti i vangeli e provenienti dall’Italia meridionale o dalla Sicilia.

I principali papiri.
Dei papiri ricorderemo i seguenti, di grande importanza: P45, 46m 47 del gruppo Chester Beatty; sono tutti e tre del sec. III. Il p 45 costa di 28 fogli (27 a Londra, 1 a Vienna) con buona parte dei vangeli e degli Atti. Il p46 consta di 86 fogli (56 a Londra, 30 ad Ann Arbor, Michigan U.S.A.) e contiene quasi per intero le epistole di S. Paolo. Il p47 consta di 10 fogli e contiene una metà dell’Apocalisse.
P52 è un piccolo frammento contenente Gv 18,31b-33°) (recto). 33-38 (verso). I paleografi lo hanno assegnato alla prima metà (o anche la primo quarto) del sec II: esso è quindi il più antico testo evangelico da noi posseduto.
P66 e P67 sono i due maggiori codici papiracei greci finora conosciuti e costituivano in origine un’unica opera in forma di codice. Il primo contiene circa due terzi dell’intero quarto  vangelo (Gv 1,1 – 14-26, meno 6,11b -35°, essendo andati smarriti i fogli corrispondenti); il secondo contiene i restanti capitoli del quarto vangelo, ma in uno stato alquanto frammentario. La forma del testo è assai simile a quella del codice S; i paleografi li assegnano al 200 ca. Ambedue sono stati pubblicati da V. Martin nel 1956-57 e si trovano nella biblioteca di Ginevra.

Possono dare un buon contributo alla critica testuale anche gli “ostraca” e i talismani. Gli ostraca sono cocci di terracotta su cui si estendevano brevi scritture: una ricevuta, una letterina, qualche versetto biblico. Sono designati dalla lettera O, seguita da una cifra araba come esponente; ve ne sono circa 25.
I talismani sono una specie di amuleti cristiani sui quali sono scritti brevi passi del N.T. (il “Pater” , testi relativi alla guarigione degli ammalati, come Mt 4,23s. ecc.). Vengono designati dalla lettera T, seguita da una cifra araba come esponente.

Le recensioni
Dai testimoni del testo diretti e indiretti si può risalire alle recensioni che essi rappresentano. Confrontando tra loro i numerosi rappresentanti del testo neotestamentario (codici, versioni, citazioni) e raggruppandoli, secondo le loro somiglianze, in gruppi o famiglie, gli studiosi riescono a scoprire le varie recensioni dalle essi dipendono; così ricostruiscono, almeno nelle linee generali, la storia primitiva del testo greco del N.T. e le revisioni alle quali esso fu sottoposto allo scopo di liberarlo dalle alterazioni recate dagli amanuensi.
Il testo risultante da tali revisioni viene chiamato recensione viene chiamato, tipo o forma di testo. Ciascuna di queste recensioni è designata ordinariamente con la sigla del suo testimonio più rappresentativo; noi tuttavia, al seguito del von Soden e del P.A. Merk adottiamo altre sigle.
E’ stata accertata l’esistenza delle quattro recensioni seguenti, almeno per il testo dei vangeli.

Recensione D. E’ rappresentata dal codice Dea e in parte da W, ma anche dalle antiche versioni latina e siriaca (sec. II) da citazioni di S. Ireneo (202) e di Clemente alessandrino (211-215), dunque risale al sec. II ed è la più antica di tutte. Proviene dall’Egitto. 

Recensione H (Hesichiana). Il suo principale rappresentante è il migliore fra i manoscritti biblici, il codice Vaticano, insieme con S, C e anche la Volgata, almeno in gran parte; ebbe per base un testo eccellente e assai vicino all’autografo originale. Anche questa è nata in Egitto, dove è attestata già dal sec. III da alcuni papiri e dalle versioni copte.
Sue caratteristiche sono: lingua popolare, stile conciso, rarità di accordi armonistici. Però presenta lacune. Così omette il racconto dell’adultera (Gv 7,53 – 8,11) la finale del secondo vangelo (Mc 16,9-20), il particolare del sudore di sangue (Lc 22,43 s.), le parole di perdono pronunciate da Gesù alla crocifissione (Lc 23,34).

Recensione C (Cesariense). E’ rappresentata specialmente da Q e da P45  (che è del sec. III), però è posteriore alla recensione H, dalla quale dipende. Forse ha avuto origine non a Cesarea (come alcuni hanno pensato e come direbbe il suo nome), ma in Egitto.
Sua principale caratteristica è la preoccupazione di fondere in una le due recensioni precedenti, o anche di correggere la prima per mezzo della seconda; inoltre si distingue per una certa eleganza. Questa recensione ibrida ebbe poco successo.

Recensione K (Koinè). E’ rappresentata dal cod. A, da un gran numero di manoscritti piuttosto recenti e, fra i Padri, dagli scrittori antiocheni: sorse probabilmente ad Antiochia all’inizio del sec. IV per opera del martire S. Luciano (312): è perciò detta “antiochena”
Sue caratteristiche sono: l’eleganza (prende come base la rec. H, ne migliora la forma letteraria avvicinandola alla forma classica ed eliminandone i semitismi); spesso armonizza, benché senza violenza; ama il testo pieno, cioè invece di scegliere qualcuna fra le diverse varianti, le combina insieme.
A motivo della sua eleganza, questa recensione ebbe pieno successo: da Antiochia passò a Costantinopoli, da dove si diffuse in tutto l’impero Bizantino. E’ per questa sua diffusione che è denominata Koinè.
Anche dopo l’invenzione della stampa (1445), per circa tre secoli continuò a dominare la quarta recensione (K) detta antiochena.
Le principali edizioni di questo tempo sono quelle della Poliglotta Complutense (Alcalà, Spagna, 1514) e di Erasmo da Rotterdam (1516-1535), ed. 5) . Quest’ultima sebbene inferiore alla Complutense, fu la base di tutte le edizioni successive fino al sec. XIX: Roberto Estienne, 1546-1551); Teodoro Beza, 1565 ss. i fratelli Elzevir 1624.
Nel sec. XVIII incominciarono le prime edizioni critiche, ma ancora per più di un secolo i critici editori si contentarono quasi solo di porre sotto il “textus receptus” un numero sempre maggiori di varianti.
Con C. Lachmann, insigne filologo berlinese, s’inizia il periodo aureo della critica testuale del N.T. Egli, lasciando da parte il “textus receptus”, ricostruì il testo in base ai codici più antichi (1831).
Seguendo gli stessi criteri, von Tischendorf pubblicò in 30 anni 24 edizioni del N.T. L’ultima (da lui detta octava maior, in due volumi, 1869-1872) si fonda principalmente sul codice S da lui stesso scoperto poco prima.
Invece i due inglesi B.F. Westcott e F.I.H. Hort seguirono il metodo genealogico, cioè distinsero i codici in quattro famiglie, rappresentanti altrettante recensioni, e basarono la loro edizione (1881) sulla recensione facente capo al codice B. 
Westcott, Brooke Foss (Birmingham 1825-Durham 1901) ecclesiastico e biblista inglese, studiò a Cambridge;
1851, è ordinato prete anglicano;
1870, dopo un primo insegnamento a Harrow, ha una cattedra di teologia a Cambridge;
1880, succede all'amico e discepolo J.B. Lightfoot come vescovo di Durham; con Lightfoot e F.J.A. Hort forma la "triade di Cambridge" che rappresenta uno dei momenti più fecondi della critica testuale e dell'esegesi del Nuovo Testamento;
Vangelo secondo Giovanni (1881,commento)
Lettere di Giovanni (commento)
Nuovo Testamento greco (1888, in 2 voll., edizione critica assieme a Hort, basata principalmente sul codice vaticano, mentre l'edizione di C. Tischendorf si basava su quello Sinaitico)
Lettera agli Ebrei (commento)
1892, fa da mediatore durante lo sciopero nelle miniere di carbone.
Ho fatto queste precisazioni su Westcott e Hort, perché mi è capitato di sentire qualche pastore pentecostale, accusare di satanicità W. e H.  in quanto membri di una associazione dedita allo spiritismo. L’accusa è falsa perché l’associazione non era satanica, ma comunque Westcott, appena saputo che ci potevano essere degli inquinamenti spiritistici se ne allontanò definitivamente. Oltre a questo, un pastore pentecostale, li indicava come atei, sono rimasto sorpreso nell’apprendere successivamente, che invece erano pastori protestanti. Le motivazioni che portava il pastore pentecostale, erano riconducibili al probabile utilizzo da parte cattolica del testo biblico-critico  prodotto da questi due pastori protestanti, cosa che non è vera perché oggi i cattolici usano altre versioni bibliche, a partire dai testi originali, dalla Vulgata e dalla traduzione del Merk.
Anche H. von Soden seguì il metodo genealogico, ma distribuì i numerosi codici da lui collezionati in sole tre famiglie; nella ricostruzione del testo poi egli sceglieva la lezione concordante di due famiglie, lasciando la lezione discordante delle terza (1902-1913). Oggi (l’autore si riferisce a circa 50 anni fa, a ritroso da oggi anno in cui scrivo 2002 d.C., ndr) una grande edizione critica internazionale di tutto il N.T. è in via di preparazione.
E. Nestle pubblicò un’edizione scolastica, basata sulle precedenti edizioni critiche, seguendo per ciascuna lezione il principio della maggioranza (1898).
I cattolici fecero vari lodevoli tentativi di un testo critico a cominciare dalla metà del secolo scorso fino agli inizi del nostro. All’edizione del Nestle seguirono le edizioni scolastiche cattoliche di E.G. Vogels (1920-1922, ed.2) di A. Merk (1933 ss.) e di G. Bover.

Autorità critica e dogmatica del testo greco.
Secondo calcoli fatti, le varianti offerte dall’immensa moltitudine dei testimoni del testo greco del N.T. ascendono a circa 200 mila (cifra di molto superiore a quella delle parole stesse del testo, che è di circa 150.000). Questa cifra farà meno impressione se si riflette che molto spesso per una sola parola o frase del testo vi sono parecchie varianti, che per lo più riguardano solo la forma esterna letteraria (inversione nell’ordine delle parole, omissione o aggiunta della congiunzione e, sostituzione del nome al pronome e viceversa, ecc.: minuzie che non toccano affatto il senso).
Le varianti che in qualche modo toccano il senso si riducono a circa 200 (una millesima parte), e fra queste hanno importanza dogmatica appena una quindicina (neanche un decimillesimo): per es. I Cor 15,61; I Tim 3,16. ecc. Però le medesime verità dogmatiche sono espresse chiaramente altrove, di modo che il patrimoni della fede non ne rimane minimamente intaccato.
Si può quindi affermare che il testo greco del N.T., senza dubbio per una assistenza tutta particolare della Provvidenza, ci è giunto integro non solo nella sostanza, ma in grandissima parte anche nella forma esterna letteraria, quasi come uscì dalle mani degli autori ispirati (quindi possiede somma autorità critica). 
Le poche varianti di una certa importanza dogmatica nulla aggiungono o tolgono al sacro deposito della rivelazione, di cui per conseguenza il testo del N.T. è fonte genuina (autorità dogmatica).


Versioni Italiane
Cattoliche. Omettendo le versioni parziali usate prima del sec XVIII, la prima veramente degna di particolare menzione è la traduzione di tutta la Bibbia eseguita sulla Volgata da Antonio Martini,  arcivescovo di Firenze pubblicata dal 1769 al 1781: traduzione eccellente, frequentemente ristampata e ritoccata, purtroppo non sempre in meglio. E’ questa la traduzione presa a base del commento iniziato dal P. Marco  Sales, O.P., nel 1911, ma rimasto interrotto alla morte sua (1936) e del suo continuatore P. Giuseppe Girotti, O.P. (1945), poi però ripreso dai professori dello Studio Domenicano di Torino.
Traduzioni che più o meno dipendono dalla Volgata si devono alle cure di E. Tintori, O.F. M. (1931), M. Sales, O.P. (1931) e G. Ricciotti (1939). A. Vaccai, S.I. (con altri collaboratori in qualche volume) ha ultimato nel 1958 la pubblicazione dell’intera Bibbia tradotta dalle lingue originali. Una nuova (1959 s.) traduzione italiana dai testi originali, diretta da S. Garofano – F. Vattioni – L. Algisi e con la collaborazione di molti studiosi italiani, soddisferà – forse più di ogni altra – le esigenze del pubblico italiano: l’opera è in tre maneggevoli voll. con note sostanziali, ma complete. Traduzioni dai testi originali contengono pure i singoli volumi della collezione La Sacra Bibbia, in corso di pubblicazione (all’epoca, ndr) sotto la direzione di S. Garofano e di G. Rinaldi, con ampio commento esegetico, a opera di vari specialisti (Torino-Roma 1948 ss.) Fra gli autori parziali dai testi originali vanno ricordati in modo speciale l’abate G. Ricciotti (Geremia, Giobbe, Cantica, Epistole di S. Paolo, Atti:1923-51), G. Re, S. I (vangeli ed epistole di S. Paolo: 1926-31), A. Boatti (tutte le epistole: 1931-33)
Protestanti. Il calvinista G. Diodati pubblicò nel 1607 una traduzione completa della Bibbia dagli originali (vi mancano però i deuterocanonici dell’A.T.) ancora oggi largamente diffusa dalla “Società Biblica Britannica e Forestiera”. Più recente, con ampio commento, è la traduzione dagli originali del pastore valdese G. Luzzi (10 voll., Firenze 1921-1930).

Dalla storia del testo originale e delle versioni antiche risulta che il testo sacro, quale lo possediamo, non solo nella sostanza ma in grandissima parte anche nella forma è quello che uscì dalle mani dell’autore ispirato.
Però dal confronto dei vari codici, contenenti o i testi originali o le versioni, risulta pure che nelle frequenti trascrizioni il testo sacro è stato alterato in vari punti.
La critica testuale (che è l’arte di ricostruire un testo primitivo alterato), esaminando le varie specie di queste alterazioni e ricercandone le cause, riesce a determinare le norme in base alle quali si può ristabilire il testo primitivo. Compito della critica testuale biblica è infatti di riconoscere, fra le numerose lezioni varianti presentate dai testimoni del sacro (codici, versioni, citazioni), quella lezioni che ha maggior probabilità di esser stata scritta dall’autore ispirato. Lavoro paziente e immenso, diretto alla ricostruzione di un testo unico che rappresenterà i migliori testimoni e sarà il più possibile somigliante al testo autografo. Tale testo, ricostruito in base ai criteri della critica testuale, è detto testo critico.
Esamineremo: 1) le varie specie di alterazioni del testo primitivo, 2) le cause di queste alterazioni, 3) le norme per ristabilire il testo primitivo.

Specie di alterazioni.
Le alterazioni del testo primitivo si possono ridurre a quattro specie: omissioni, aggiunte, scambi, inversioni. Su ciascuna vediamo qualche particolare.
L’omissione può avere per oggetto una lettera, una sillaba, una parola, un’intera proposizione o anche un intero periodo. Omissione di una sillaba: nel Sal 119,176 (vivifica, vl) per (quaere, Vg); omissione di una parola: 1 Cron 7,6 Beniamino, per figli di Beniamino); omissione di una proposizione: in Mt 10,37 alcuni codici omettono la proposizione “e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me”, saltando da un £ei.oz all’altro, ecc.
L’aggiunta può avere lo stesso oggetto, ma in senso inverso. Aggiunta di una lettera: Deut 11,15 eseb besadekà (erba del tuo campo), dove è aggiunto il beth iniziale della seconda parola; di una sillaba: Sal 119,28 (dormitavit, Vg) per (stillavit lacrymas, TM); di una proposizione: in Mt 5,44 alcuni codici aggiungono (per armonizzare col parallelo Lc 6,28): “benedite coloro che vi maledicono, beneficate coloro che vi odiano”; di un periodo: è il caso del “comma giovanneo” (1 Gv 5,7b-8a), primitivamente glossa marginale tendente a spiegare allegoricamente il v.8, ma che è poi scivolata nel testo stesso. Talvolta all’omissione o all’aggiunta può dare  può dare occasione la rassomiglianza di una lettera (o sillaba o parola ecc.) con un’altra. In tal caso l’omissione è detta aplografia e l’aggiunta dittografia: esse dunque consistono nello scrivere una volta sola quel che dovrebbe esser scritto due volte, o viceversa. Quando poi questa rassomiglianza è presentata da una sillaba all’inizio di due o più parole, da una parola all’inizio di una o più frasi, da una frase all’inizio di uno o più periodi, allora si ha la così detta omeoarctia; invece si ha la omeoteleutia se tale rassomiglianza si verifica alla fine di due o più parole (frasi, periodi).
Lo scambio di lettere si verifica sia nei codici del testo ebraico sia nei codici maiuscoli del testo greco, per la rassomiglianza di varie lettere fra loro. Nell’antica scrittura fenicia, usata per i primi libri dell’A.T., diverse lettere erano molto simili fra loro (come beth, daleth, resh, caph ecc; queste si rassomigliano anche nella scrittura quadrata). Se lo scriba era distratto, la confusione era molto facile. 
L’inversione  ha luogo quando vengono invertite lettere, parole, frasi, versetti. Inversione di lettere: Mc 14,62 viene invertita la seconda lettera della prima parola; di parole: in Mt 10,4 fu letto: “Simone e Giuda lo zelota”, invece di “Simone lo zelota e Giuda”; di versetti: nella parabola dei due figli (Mt 21,28-32) alcuni codici con la Volgata pongono prima il figlio ubbidiente (che si rifiuta, ma poi obbedisce) e dopo il figlio disubbidiente (che promette, ma non mantiene); invece agli altri codici invertono l’ordine.

Cause delle alterazioni.
Le alterazioni sono involontarie o intenzionali. Le alterazioni involontarie sono dovute: 
all’occhio, quando il copista, per debolezza visiva o per distrazione, di omeoarctia ed omeoteleutia, gli scambi di lettere e le inversioni e spesso anche gli errori di separazione delle parole nella “scriptio continua” o nella trascrione delle sigle;
all’orecchio, quando il copista, scrivendo sotto dettatura, fraintendeva. All’udito sono da attribuirsi gli errori prodotti dalla “isofonia” (o eguaglianza di suoni), come in greco la confusione fra i segni pronunciati “i”: i, ei, h, oi, u (“itacismo”), o anche fra ai ed  e, pronunciati “e”, o ed y; per esempio, in 1 Cor 15,54 fu letto “contesa” per “vittoria”; in Mt 11,16 bisogna leggere (Vg coaequalibus) o (“altri”)? In Rom 5,1 non solo i codici ma anche gli studiosi sono incerti fra (Vg habeamus) ed (“abbiamo”), all’indicativo;
alla memoria, quando il copista, sapendo il testo a memoria, armonizzava i passi paralleli, oppure quando, nelle citazioni dell’A.T., le continuava oltre il punto dove si era fermato l’autore sacro. E’ difficile distinguere quando ciò avvenisse involontariamente o intenzionalmente. Un esempio sicuro di errore involontario sembra il seguente: vari codici dei LXX e anche la Volgata nel Sal 14, tra i vv. 3-4 inseriscono Rm 3,13-18, che è una sfilza di testi dell’A.T., specialmente dei Salmi. Ora Rm 3,10-12 è la citazione del Sal 14,1-3. Il copista, che sapeva a memoria quel testo di S.Paolo, mentre trascriveva il Sal 14, arrivato al v.3, inconsciamente continuò fino a Rm 3,18. Come conferma, si confronti il Sal 14 col Sal 53 che ne è la ripetizione.

Le alterazioni intenzionali sono dovute a preoccupazioni:
Letterarie, quando il copista, per migliorare la forma letteraria, eseguiva correzioni ortografiche, grammaticali, stilistiche. Nel N.T. è specialmente la preoccupazione delle recensione antiochena (K). Per es., le desinenze ellenistiche dei verbi vengono sostituite con le desinenze classiche.
- Armonistiche, quando tra i passi paralleli discordanti (o tra le citazioni dell’A.T. un po’ divergenti) il copista rimetteva l’accordo. Nel N.T. è specialmente la preoccupazione delle recensioni D ed A es. cfr. Mt 5,44;
– Esegetiche e dogmatiche, cioè a scopo esplicativo o per sopprimere difficoltà, specialmente in affermazioni che sembravano compromettere qualche verità religiosa. Mc, 7,5 (“con mani comuni”)  è cambiato in (“con mani non lavate”) ; Mc 13,32: alcuni codici sopprimono le parole “né il Figlio” nella frase “Quanto a quel giorno o a quell’ora nessuno lo sa, né gli angeli in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”, ecc.

DAL CINQUECENTO AL SEICENTO: DALLE PRIME EDIZIONI A STAMPA AL "TEXTUS RECEPTUS" 

Con l’invenzione della stampa fu innanzitutto pubblicata da Gutenberg la Bibbia secondo la Vulgata di Gerolamo (Magonza, 1450-1457), e nel corso dei cinquant’anni successivi uscirono almeno un centinaio di edizioni della Vulgata. Uscirono anche edizioni della Bibbia in lingue moderne (tra cui l’italiano). Nel 1488 fu pubblicato l’AT in ebraico, mentre solo all’inizio del ‘500 si incominciò a pubblicare il NT in greco. Come mai? Sia perché era difficile e costoso l’uso dei caratteri greci, sia perché negli ambienti ecclesiastici alla Vulgata si attribuiva il massimo prestigio ed era temuta la possibilità di criticarla e correggerla sull’originale greco.
Fu il cardinale di Toledo, Francisco Ximenes de Cisneros a promuovere per primo, nel 1502, l’edizione a stampa del NT greco, all’interno di un’edizione in più volumi di tutta la Bibbia, che fu pubblicata nelle diverse lingue (ebraico, aramaico, greco e latino) ad Alcalà, vicino a Madrid, in latino Complutum, donde il nome di questa edizione della Bibbia: la Poliglotta Complutense. 
Il N.T., che costituiva il V volume dell’opera, venne pubblicato per primo, nel 1514, ma solo nel 1522 avvenne la diffusione dell’intera opera, e quindi la pubblicazione ufficiale, distribuita all'inizio gratuitamente nelle più grandi Diocesi ai vescovi responsabili e alle Parrocchie più importanti, successivamente veniva venduta agli ambienti più ricchi. Non si sa quali codici siano stati utilizzati, perché Ximenes, nella lettera di dedica a papa Leone X, si limita ad affermare che erano stati usati codici molto antichi provenienti dalla Biblioteca Vaticana.
Di fatto, la prima edizione che andò sul mercato fu un’altra, curata dal celebre umanista olandese Erasmo da Rotterdam, che ne aveva avuto l’idea, ma si decise all’impresa nel 1515 per sollecitazione dello stampatore J. Froben, che aveva fiutato l’affare di pubblicare per primo il N.T. greco. Erasmo procedette in gran fretta, voleva che la sua traduzione precedesse sul mercato quella cattolica, usando i mss che aveva a disposizione a Basilea, ossia una mezza dozzina di minuscoli, alcuni di qualità molto scadente. La stampa del testo, accompagnato dalla versione latina del medesimo Erasmo a fronte, avvenne tra l’ottobre del 1515 e il febbraio 1516 (1º marzo 1516 è la data ufficiale dell’edizione). Approntata in tutta fretta in un anno, per anticipare quella spagnola, l’opera contiene centinaia di refusi tipografici; come ebbe a dire lo stesso Erasmo, essa fu «precipitata più che edita». Erasmo non aveva trovato mss completi per tutto il N.T., ma ne aveva usati diversi per le diverse parti, mss alquanto scorretti, che aveva cercato di emendare alla meglio, ma in modo insufficiente. Addirittura, poiché per l’Apocalisse disponeva di un codice lacunoso, che mancava del foglio finale, con gli ultimi sei versetti del libro, e che in altri punti risultava confuso, fece lui stesso, per questi passi, una retroversione dal latino della Vulgata in greco, producendo un testo che non trova riscontro in alcun ms esistente.
L’edizione di Erasmo, comunque, fu apprezzata da molti e già nel 1519 ebbe una seconda edizione, ma suscitò anche critiche e rifiuti, sia per le novità della sua traduzione latina, che discordava dalla Vulgata, sia per le annotazioni apposte in fondo ai testi, in cui Erasmo non mancava di lanciare caustiche critiche al clero corrotto del suo tempo. (aggiungo io...come possiamo notare...Erasmo inserì le fatidiche "note" oggi tanto criticate dal Protestantesimo e Pentecostali Evangelici....) 
Nelle università di Cambridge e Oxford fu proibita. Ebbe più riedizioni, una terza nel 1522, in cui inserì nel testo greco di 1 Gv 5, tra i versetti 7 e 8, il passo: «il Padre, Il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno solo. E vi sono tre che rendono testimonianza sulla terra», passo che era presente nella Vulgata, ma mancava nei codici greci e fu proprio allora ritrovato in un ms greco, su cui lo stesso Erasmo aveva dei sospetti: il passo (sarà definito comma johanneum), di forte incidenza dogmatica, suscitò molte controversie dottrinali nei secoli successivi e ancora oggi è una questione, anche filologica, discussa. Nella quarta ediz. del 1527 Erasmo poté correggere il testo anche sulla base del confronto con la Bibbia Complutense, che forniva un testo migliore. Ci fu una quinta edizione, pressoché invariata, nel 1535, e in seguito molte ristampe, anche illegali, ovunque. L’edizione di Erasmo ebbe in definitiva maggior successo di quella di Ximenes, benché fosse meno valida criticamente, dal momento che fu la prima ad apparire sul mercato, ed in una veste più comoda ed economica, (faccio notare che nonostante qualcuno sostiene che la Bibbia Protestante venne diffusa gratuitamente, in realtà così NON avvenne...) e fu alla base del textus receptus, riprodotto per molti secoli (almeno fino all’800), insieme alle manchevolezze filologiche, anche gravi, che conteneva.
Tra le edizioni successive del NT che risultano debitrici dell’edizione erasmiana, si possono menzionare le quattro edizioni di Rober Estienne, detto anche Stephanus, avvenute a Parigi (1546, 1549, 1550) e a Ginevra (1551): nella terza per la prima volta compare un apparato critico; nella quarta per la prima volta compare la suddivisione del testo in versetti numerati. Venne fatta durante un viaggio a cavallo e si disse in seguito che fu per gli scossoni subiti e gli spostamenti conseguenti della penna che certe ripartizioni risultano improprie!
La definizione di «textus receptus» comparve, a scopo divulgativo, nella prefazione latina a un’edizione (molto maneggevole) del 1633 dei fratelli Elzevier, stampatori di Leida: «Così hai il testo attualmente accolto (textus receptus) da tutti, nel quale non diamo niente di cambiato o di corrotto». 
Non è possibile precisare quante edizioni furono fatte del NT dopo il 1514: certo oltre mille già prima del XX sec.

Anche se si continuava a ristampare il textus receptus, i primi tentativi di rinnovamento del metodo furono fatti quando si incominciò a prendere in considerazione, oltre ai mss, le antiche versioni e le citazioni dei Padri, quando si incominciò a raccogliere sistematicamente ed annotare in apparato le varianti, e questo avvenne a partire dalla seconda metà del ‘600. Nomi importanti furono quelli di John Fell, vescovo di Oxford (ed. 1675), e di Richard Simon, autore tra il 1689 e il 1693 di quattro monumentali volumi, che posero le basi della critica testuale scientifica del NT.
La prima edizione che cercò di allontanarsi, in alcuni punti, dal textus receptus accogliendo lezioni dai testimoni più antichi ma non propriamente ortodossi, fu quella di Edward Wells, tra il 1709 e il 1719, ma fu ignorata. Certi studiosi che intrapresero la strada della revisione critica furono per questo perseguitati.
Con Johann Albrecht Bengel, vissuto nella prima metà del ‘700, si elaborano criteri scientifici per la scelta delle varianti; per primo egli riconosce che non conta la quantità, ma la qualità dei testimoni della tradizione manoscritta e che per questo è utile classificarli in gruppi o famiglie. Per primo elabora regole per la scelta tra le varianti, tra cui quello della lectio difficilior (proclivi scriptioni praestat ardua). Egli espone tali princìpi in un saggio, Prodromus Novi Testamenti recte cauteque ordinandi, uscito nel 1725, e nella sua edizione del NT del 1734, a Tubinga. A margine dell’edizione egli segnalava con sigle il valore delle varianti. Ma la sua edizione fu a tal punto attaccata che dovette scrivere un libello apologetico.
Sorte anche più dura toccò a un altro grande critico, Johann Jakob Wettstein, che nel 1730 fu deposto dall’ufficio di pastore e mandato in esilio. Pubblicò ad Amsterdam nel 1751-1752 una magnifica edizione del NT, in cui, come Bengel, valutava le lezioni testuali ed esponeva criteri di scelta. A lui si deve l’uso di indicare in apparato i codici greci con lettere latine maiuscole e con numeri arabi.
Successivamente si procede in questa direzione, lavorando per definire le famiglie di mss, per classificare gli errori e per elaborare regole critiche. Si pubblicano edizioni in cui sempre più nettamente ci si distacca dal textus receptus.
Una svolta si ha alla fine del ‘700 con l’opera di Johann Jakob Griesbach, che pose le basi per qualsiasi lavoro successivo sul NT. Viaggiò instancabilmente per raccogliere mss, dedicò speciale attenzione alle citazioni patristiche e alle versioni antiche del NT, studiò la storia della trasmissione del testo del NT nell’antichità, approfondì la questione delle famiglie di mss e ne riconobbe tre, che denominò alessandrina, occidentale e bizantina. Fissò un canone di quindici regole da seguire nella scelta delle varianti. Per primo, in Germania, osò abbandonare il textus receptus in più punti. Pubblicò varie edizioni tra il 1775 e il 1807, che furono ristampate anche in molti altri paesi esercitando grande influenza e dando impulso allo sviluppo delle ricerche filologiche sul testo del NT. Il primo studioso che si svincola completamente dal textus receptus e dalle edizioni precedenti è il noto filologo classico Karl Lachmann, che pubblicò nel 1831 un’edizione del NT fondata integralmente sull’applicazione della critica testuale nella valutazione delle varianti e con l’uso esclusivo di mss antichi. Una seconda edizione si ebbe nel 1842-1850, in cui l’editore replicava alle polemiche suscitate dal suo lavoro.
Lo studioso a cui i critici testuali moderni del NT devono di più è L. F. Constantin von Tischendorf, che scoprì e pubblicò il maggior numero di mss e curò il maggior numero di edizioni. Scoprì 18 mss maiuscoli (tra cui il Sinaitico) e 6 minuscoli; pubblicò per la prima volta 25 maiuscoli e ne ripubblicò altri 11 (tra cui il Vaticano); curò ben otto edizioni del NT fra il 1841 e il 1872; il numero di saggi sul NT da lui composto ammonta a oltre 150. L’edizione sua più importante è l’ottava, in due volumi, usciti a Lipsia nel 1868-1872 (editio octava critica maior): è corredata da un ricco apparato critico che riporta tutte le varianti conosciute. Un terzo volume di Prolegomena fu poi pubblicato da C. R. Gregory tra il 1884 e il 1894.
A Caspar René Gregory, un americano che nel 1889 si trasferì in Germania diventando docente di NT, si deve il sistema moderno di classificazione dei testimoni della tradizione manoscritta, operata perfezionando il sistema già inventato da Wettstein.
Un’ottima edizione del NT fu pubblicata nel 1881 da Brooke Foss Westcott e Fenton John Antony Hort, a Cambridge e Londra, dopo una trentina di anni di lavoro. L’edizione era in due volumi, uno conteneva il testo, l’altro un’introduzione e un’appendice, con i principi critici seguiti e la discussione di passi controversi. Il loro merito è stato quello di perfezionare la metodologia critica dei predecessori (Griesbach, Lachmann, ecc.). A loro si deve il riconoscimento che il testo bizantino (da loro chiamato siriaco) è il più tardo e anche il meno affidabile, donde l’inaffidabilità anche del textus receptus che ne deriva e che ancora a quel tempo era quello accettato ufficialmente dalle chiese cristiane. Successivamente si avranno aggiustamenti dovuti al reperimento di nuovi testimoni della tradizione manoscritta, e alcuni correttivi alla teoria elaborata dai due studiosi in merito alla scelta delle varianti; ma l’opera di Westcott e Hort rimane tuttora valida.
L’edizione più monumentale del XX sec. fu quella di Hermann Freiherr von Soden, in 4 volumi, usciti a Berlino e Gottinga tra il 1902 e il 1913, il quale attraverso suoi allievi poté consultare un gran numero di testimoni mai prima esaminati ed approntare un apparato critico imponente, ma assai complicato e difficile da consultare a causa dell’uso di sigle per i mss che non furono accolte dagli studiosi e risultano ostiche. I risultati critici di tanto lavoro furono però limitati, anche perché von Soden attribuì un’importanza eccessiva al testo bizantino.
Fondandosi sull’ed. Westcott-Hort, Nel 1935 e 1940 Stanley Charles Edmund Legg ha pubblicato a Oxford due volumi dedicati rispettivamente ai testi di Mc e Mt, con apparati molto vasti, i più completi che possediamo per questi due Vangeli.
Intorno al 1940 è sorto l’Institut für neutestamentliche Textforschung (Istituto per la ricerca testuale
neotestamentaria), a Münster, che sta lavorando al progetto della pubblicazione di «un NT su papiro», cioè del testo del NT quale è possibile ricostruire attraverso i papiri scoperti.
Un’altra iniziativa è stata assunta da un gruppo di studiosi inglesi e americani (American and British Committees of the International Greek New Testament Projet) per preparare edizioni dei libri del NT con un apparato critico ampio e documentato. È uscito per ora il Vangelo di Lc, in due volumi (Oxford 1984-1987), e si sta ora lavorando al Vangelo di Gv. Le edizioni manuali:

Le principali usate in Italia sono quelle del Nestle-Aland e del Merk.
L’edizione Nestle-Aland, oggi la più diffusa nel mondo e continuamente aggiornata, ha una lunga storia. Iniziò Eberhard Nestle con la sua ed. del 1898, comparsa a Stoccarda, presso la Württembergische Bibelanstalt. Si fondava sulle grandi edizioni allora esistenti, ossia l’8ª del Tischendorf e quelle di Westcott-Hort e di R. F. Weymouth (1886), quest’ultima sostituita con l’ed. B. Weiss (1894-1900) a partire dalla 3ª ed. del 1901. Le edizioni di riferimento venivano messe a confronto e si sceglieva la lezione adottata da due edizioni su tre. Il lavoro editoriale passò al figlio, Erwin Nestle, a partire dalla 13ª ed. (1927). Dal 1952 fu associato all’impresa Kurt Aland, e si incominciò a collezionare direttamente mss e papiri. Una nuova edizione, ormai Nestle-Aland, si ebbe con la 25ª del 1963, più volte ristampata e diventata una sorta di nuovo textus receptus. 
La fortuna di questa edizione era dovuta al fatto che rendeva accessibili, in un volume molto maneggevole ed economico, le più importanti acquisizioni critiche sul testo del NT e, con un sistema essenziale di segni grafici, consentiva di fornire in apparato, in uno spazio concentrato, una ricchezza straordinaria di informazioni. A partire dalla 25ª ed., l’ed. Nestle-Aland diventa una vera edizione critica e la più aggiornata sul mercato.
Nel 1979 si ha una 26ª ed., a cura di una équipe costituita, oltre che da Kurt Aland, da Matthew Black, Carlo M. Martini, Bruce M. Metzger, Allen Wikgren. In essa vengono apportati numerosi cambiamenti in apparato, perché si tiene conto del progresso degli studi, e cambiamenti si hanno anche nelle scelte delle varianti del testo rispetto all’ed. precedente. Di questa ed. del 1979, curata dalla Deutsche Bibelgesellschaft, a Stoccarda, si sono avute anche edizioni bilingui, in greco-inglese (1981), greco-tedesco (1986) e greco-latino (con la Neovulgata: 1983).
Una 27ª ed. ha avuto luogo nel 1993, ma ha riguardato in questo caso soltanto la sistemazione dell’apparato; ora siamo giunti all’edizione 27ª rivista (Novum Testamentum graece, Stuttgart, 1999).
Un’edizione semplificata per traduttori e studenti, dal titolo The Greek New Testament, è stata curata dalla medesima équipe di filologi (K. Aland, M. Black, B. M. Metzger, A. Wikgren, e poi anche C. M. Martini, B. Aland), per iniziativa di cinque società bibliche di varie nazioni (United Bible Societies). E’ uscita nel 1966, ha avuto una seconda ed. nel 1968, una terza nel 1975, con profonde modifiche (il testo coincide con quello della 26ª ed. Nestle-Aland). È stata ripubblicata una terza edizione corretta nel 1983 e una quarta nel 1993. Il Metzger ha elaborato un commento filologico alla terza ed. nel 1971, 19752.
Il gesuita Augustin Merk pubblicò la sua edizione, che riporta testo greco e Vulgata latina a fronte, per la prima volta nel 1933, a Roma, per i tipi del Pontificio Istituto Biblico. Si basava sull’apparato del von Soden, integrato con nuove testimonianze manoscritte e modificato nel sistema di sigle, che è quello del Gregory. Merk curò altre quattro edizioni del suo lavoro; dopo la sua morte, avvenuta nel 1945, altri gesuiti curarono le edizioni successive: la 7ª, Stanislav Lyonnet; l’8ª, J. P. Smith; la 9ª, Carlo M. Martini. La nona edizione è uscita nel 1964 e riporta in appendice alcune varianti contenute nei papiri di recente scoperta.
Il testo bilingue del Merk è stato ristampato da Gianfranco Nolli, a Roma nel 1955, e poi ancora nel 1981, con l’aggiunta della Nova Vulgata. Una nuova edizione si è avuta nel 1990 (2ª ed. 1991), a Bologna, presso il Centro Dehoniano, a cura di Giuseppe Barbaglio (Nuovo Testamento greco e italiano): accanto al testo greco del Merk, fornisce la traduzione italiana della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), e in calce alla traduzione pone note che dànno conto delle varianti dei papiri e delle differenze tra l’ed. Merk e l’ed. Nestle-Aland (la 26ª). L’ultima edizione (l’11a) del Merk è del 1992, sempre a cura del Pontificio Istituto Biblico (Novum Testamentum graece et latine, apparatu critico instructum).
Alcune di queste edizioni hanno a fronte del testo greco la traduzione latina (Vulgata Xisto-Clementina (15923) o Neovulgata (1979, 19862). 
Ci sono poi progetti di edizioni elettroniche del Nuovo Testamento; se ne veda una (in costruzione) a cura di Davi Harley, studente della University of Queensland in Australia, che permette di visionare per ogni passo la fotografia di alcuni manoscritti. " http://www.tyndale.cam.ac.uk/biblon/biblon2000.html 
Per una trattazione di queste ed altre edizioni critiche, cfr.  http://www.skypoint.com/~waltzmn/CriticalEds.html di Rich Elliott, della Simon Greenleaf University.

L’antichità conosce già un interesse per la critica testuale biblica e numerosi sono gli apporti che ci vengono dai Padri della Chiesa, gli unici e veri divulgatori dei Testi Biblici.
Già Ireneo di Lione, alla fine del II sec., nel suo Adversus Haereses, ha occasione di soffermarsi su problemi testuali: significativa è la discussione che dedica, in Adv. Haer. V,30,1, alle divergenze con cui nei mss (manoscritti) era riportato il numero della bestia del cap. 13 dell’Apocalisse: accanto a 666, in alcune copie egli aveva anche trovato 601 e porta argomenti per preferire il numero 666.
Da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica V,28,13-19) apprendiamo che sempre alla fine del II sec., all’interno di un gruppo di dotti seguaci di Teodoto di Bisanzio, si incominciò a praticare la critica testuale biblica, ma questo tentativo fu osteggiato e condannato da altri cristiani conservatori, che ritenevano arbitrari e temerari i cambiamenti apportati ai testi.
Con Origene (prima metà del III sec.), ci troviamo di fronte a un’imponente opera di tipo schiettamente filologico su tutta la Bibbia, dove l’autore mette a frutto la competenza acquisita in un ambiente tradizionalmente impregnato di studi filologici e critici qual era quello alessandrino fin dall’età ellenistica. Dell’AT curò un’edizione monumentale, l’Hexapla, dove, in sei colonne, veniva presentato testo ebraico, traslitterazione greca dell’ebraico, e le diverse versioni greche esistenti (Settanta, Simmaco, Aquila e Teodozione), con segni diacritici per segnalare problemi testuali. Questa edizione fu consultata nella biblioteca di Cesarea per molti secoli, finché andò perduta (VII sec.). È incerto, ma improbabile, che Origene abbia curato anche un’edizione del NT, ma nei suoi commenti esegetici (a Mt, a Gv) egli dimostra comunque interessi testuali: si preoccupa di segnalare varianti da lui reperite nei mss e le discute.
Anche Eusebio di Cesarea (fine del III-inizio del IV sec.), seguace e continuatore in questo di Origene, si distinse per gli studi biblici di tipo erudito. Fu lui ad elaborare un sistema, i cosiddetti Canoni, per segnalare i passi dei Vangeli che presentano dei paralleli. Tale sistema è tuttora registrato nelle edizioni moderne con numeri a margine del testo dei Vangeli.
Gerolamo (347 ca.-420) è il famoso autore della Vulgata, la revisione delle traduzioni latine precedenti che diventerà la versione ufficiale della Chiesa fino, si può dire, a oggi. Anch’egli si dimostra filologo sagace con numerose annotazioni critico-testuali nelle sue opere. Egli dimostra di conoscere esattamente un buon numero di errori di trascrizione, discute varianti a certi passi; in particolare, afferma di conoscere (in Adversus Pelagianos 2,15), attraverso mss greci, un’ampia aggiunta alla finale di Mc, che solo nel XX sec. è stata scoperta in un ms (= W) acquistato da Ch. L. Freer nel 1906 ed edito nel 1908 come Freer-Logion. (Vorrei che non si sottovalutasse tale ispirazione di Gerolamo...)
Agostino (354-430) non è da meno come filologo e biblista. Egli è autore di un trattato De consensu evangelistarum, in cui fece il punto sull’annosa questione delle discordanze tra i Vangeli e sul rapporto tra i Vangeli; in un interessante carteggio con Gerolamo sollevò numerosi rilievi critici alla sua traduzione mostrando perplessità per il fatto che le innovazioni apportate alla forma testuale comunemente diffusa potevano creare scandalo tra i fedeli. Ma anche nella discussione di varianti su punti specifici si dimostra acuto, come a proposito di Mt 27,9 (in De cons. evang. III,7,29) dove una citazione di Zaccaria viene presentata dalla maggioranza dei mss con la formula «per bocca del profeta Geremia», mentre pochi mss omettono il nome di Geremia. Agostino percepisce e formula il criterio della lectio difficilior, per cui è preferibile mantenere il nome di Geremia, in quanto è più facile che sia stato omesso che non il contrario. Alla fine lo stesso Girolamo si troverà d'accordo con Agostino, e Agostino si troverà d'accordo su molti punti, anzi tutti, con Girolamo.
Successivamente, per tutto il Medioevo e l’Umanesimo, quando non era diffusa la conoscenza del greco in Occidente, gli sforzi critici, quando ci furono, furono diretti a correggere la Vulgata sulla base di altre traduzioni latine, alcune delle quali sorte fra le varie correnti eretiche dentro la Chiesa stessa, provocando colossali fenomeni di contaminazione nei mss della Vulgata. Solo in età rinascimentale si incominciò a utilizzare mss greci. 
“Ora, ciò che mi preme far notare, sono "queste radici"...e i nomi che vengono fatti, essi appartenevano, in qualità di vescovi alla Chiesa Cattolica, mi farebbe piacere che qualcuno constatasse dove erano all'epoca i Protestanti, gli Evangelici ed altri che oggi RIFIUTANO a priori queste radici storiche.  Valutando la questione SACRALE della successione Apostolica, sancita nello stesso Credo che tutti formuliamo, e non sottovalutando gli altri testi di questi vescovi, in cui parlano della Chiesa Cattolica quale unica e vera proveniente dagli Apostoli, e del vescovado di Roma, quale punto di riferimento di autorità evangelica (??)” (ndr, Caterina su Difendere la vera fede- MSN)

La prima versione greca della Bibbia (sec. III-II a.C.) sorse ad Alessandria d’Egitto, destinata ai Giudei ellenisti ivi residenti, i quali generalmente, non capivano più l’ebraico. Incominciava verso la metà del sec. III a.C., terminò sulla fine del sec. II a.C. La versione è detta Alessandrina dal luogo, ma più comunemente dei Settanta (che si suole abbreviare con LXX) dal numero tradizionale dei traduttori.
Gli estremi del tempo dentro i quali la traduzione fu eseguita sono indicati da due documenti. Nel prologo dell’Ecclesiastico, scritto verso il 130 a.C., il nipote dell’autore fa sapere che allora erano già stati tradotti in greco la “Legge” e i “Profeti”, e anche gli “Scritti”, almeno in gran parte.
Dalla lettera di Aristea, che viene comunemente assegnata all’inizio del sec. I a.C., ricaviamo il limite iniziale della versione ed anche altre leggendarie notizie sulla sua origine. L’autore di questo documento è un giudeo che, occultandosi sotto il nome di Aristea, pagano, narra a suo fratello Filocrate come ebbe origine la versione greca della “Legge”, cioè del Pentateuco.

Caratteristiche delle versione dei LXX.
Dall’esame interno si arriva alla conclusione che essa fu eseguita da più persone di ben diversa capacità. Il Pentateuco è tradotto bene, con fedeltà non servile, buona intelligenza del testo originale, e in una lingua greca corrente, ma non sciatta. 
Si avvicinano di più alla traduzione del Pentateuco i “Libri storici”, almeno in generale, senza però raggiungere la stessa fedeltà ed eleganza. Se ne allontanano invece i “Profeti”, per la loro servilità; servili e oscure sono anche le traduzioni della Cantica, dell’Ecclesiaste e specialmente del Salmi.

Sua importanza storica, dogmatica, critica.
La versione dei LXX, diffusa tra tutti i giudei del mondo greco-romano, fu in mano dei predicatori del vangelo un efficace strumento di conquista, prima fra i giudei stessi, poi anche fra i pagani. Con essa ai primi provavano la messianità di Gesù Nazareno, ai secondi la superiorità del monoteismo giudeo-cristiano su tutte le forme di politeismo.
Tra questi primi predicatori del vangelo vi sono anche gli scrittori del N.T. i quali ricorrono generalmente alla versione del LXX: così praticamente la riconoscono come fonte genuina di rivelazione, nonostante le sue deficienze di traduzione in alcuni libri come accennato sopra.
Inoltre varie versioni antiche sono derivate direttamente da quella dei LXX, di cui la più importante è l’antica pregeronimiana. La sua importanza per la critica è inoltre di riportare il testo ebraico dei deuterocanonici o di supplirlo, e specialmente il testo ebraico quando questo si trovava ancora in uno stato fluido: essa offre talora lezioni preferibili a quelle dell’attuale testo masoretico.

La versione dei LXX è ispirata?
Ai nostri tempi (parliamo di circa 50 anni fa, 1950 d.C., ndr) tende a ritornare l’opinione dell’ispirazione dei LXX in base specialmente alle considerazioni che seguono.
Come si dà il caso i libri ispirati che , dopo la loro composizione da parte dell’agiografo hanno subito aggiunte, sviluppi, correzioni da parte di autori secondari (anch’essi ispirati), così non sembra ci sia difficoltà che ciò sia avvenuto nel momento stesso in cui qualche libro biblico veniva tradotto in altra lingua, se la traduzione è anteriore all’epoca apostolica.
Ora è un fatto che in numerosi punti la versione dei LXX presenta notevoli divergenze rispetto al testo originale, masoretico e premasoretico; divergenze che toccano la sostanza della dottrina  religiosa, anche se non la alterano, e talvolta con un netto progresso della rivelazione. Si aggiunga che in qualche caso autori del N.T. citano passi dell’A.T. non nella forma del testo ebraico, ma nella forma data loro dai LXX, ossia nella sola forma che poteva appoggiare la loro argomentazione. 
Ciò fa pensare che gli autori del N.T. ritenessero ispirati almeno quei passi nella forma propria dei LXX. Sembra dunque che costituiscono un reale progresso rispetto ai corrispondenti passi dell’originale ebraico.
Se poi si riflette che gli autori del N.T. ricorrono alla versione dei LXX in misura press’a poco uguale che all’originale ebraico, e soprattutto che la Chiesa dei primi secoli considerava questa versione  come il suo testo ufficiale della S. Scrittura, sembra che la traduzione dei LXX possa essere considerata, nel suo insieme, parola divina al pari della Bibbia ebraica. Le stesse considerazioni non possono valere per la Volgata latina, perché il tempo della rivelazione pubblica si è chiuso con la fine dell’età apostolica.

Altre versioni greche.
Durante il sec. II d.C. sorsero altre due versioni greche fatte da giudei: tre erano totali e tre parziali. Le prime hanno per autori, Aquila, Teodozione e Simmaco; le altre sono anonime e vengono indicate con il nome di quinta, sesta e settima (si intende dopo quella dei LXX).
Aquila nativo del Ponto, era un pagano convertito al giudaismo (“proselito”). La sua traduzione (eseguita tra il 130 e il 150 d.C.) seguiva servilmente il testo ebraico: perciò era preferita dai Giudei.
Teodozione, proselito di Efeso, tradusse verso il 180 d.C.; la sua versione in genere segue da vicino i LXX, così da sembrare una revisione di questa, piuttosto che una nuova traduzione.
Simmaco, ebionita, tradusse verso il 200 d.C. mirando alla fedeltà concettuale, più che alla verbale, con una certa eleganza di forma. Di queste sei versioni non giunsero a noi che scarsi frammenti nei pochi resti delle Esaple di Origene.

Recensione origeniana.
Per eliminare questo inconveniente Origene ideò ed eseguì una colossale opera, che fu condotta a termine in una cinquantina di volumi, fra il 240 e il 245. Egli dispose in sei colonne il testo ebraico e la varie traduzioni greche, così che se ne potessero facilmente notare le differenze. Nella prima colonna pose il testo ebraico in lettere ebraiche, nella seconda il medesimo testo trascritto in lettere greche, nella terza fino alla sesta pose rispettivamente le versioni di Aquila, Simmaco, LXX, Teodozione. Nella quinta colonna della sua Esala Origene pose dunque il testo dei LXX, però da lui criticamente riveduto (recensione origeniana, o testo esaplare). Egli prese per base un testo molto affine a quello del cod. B e per mezzo di segni convenzionali (obeli e asterischi) notò le differenze tra i LXX e il testo ebraico.

Recensioni di Esichio e di Luciano.
Esichio sarebbe, secondo alcuni, l’omonimo vescovo egizio morto martire verso il 300, e ben poco sappiamo della recensione del testo dei LXX fatta da lui. S. Luciano (martire nel 312) la sua recensione appare negli scritti dei Padri antiocheni. Queste due recensioni hanno, come  quella di Origene, per base comune un testo affine a quello del codice B, il quale presenta un testo anteriore al lavoro dei recensori.

Codici ed edizioni stampate.
I codici che possediamo della versione dei LXX ascendono a 1534 e vengono designati come quelli del N.T.; i più importanti sono B, S, A.

Dopo l’invenzione della stampa vennero riprodotte più o meno le te recensioni suddette fino alle edizioni critiche, che ebbero inizio negli ultimi anni del sec. XVIII. Attualmente (parliamo di circa 50 anni fa, cioè quando scrive l’autore di queste parte presa dal libro ed. Marietti,ndr) le edizioni critiche sono quattro, due complete e due incomplete. Sono complete le edizioni manuali: una, The Old Testament in Greek, Cambridge 1887-1894, curata da H.B. Swete, l’altra Septuaginta, Stuttgart 1935, curata da A. Rahlfs e altri (Gottingen 1935 ss.)
Le due opere edite in Inghilterra danno il testo di un cod- in generale del cod. B che sostituiscono con un altro (i cod A) quando è lacunoso -; mentre le due opere edite in Germania si propongono la ricostruzione di un testo il più vicino possibile all’originale basandosi sul maggior numero disponibile di testimoni.

Versioni aramaiche (Targùmin).
Nell’esilio gli Ebrei si abituarono a parlare la lingua aramaico, dimenticando la propria; quest’abitudine fu continuata dopo il ritorno in patria fino al punto che, a poco a poco già qualche tempo prima di Cristo, la lingua ebraica cessò interamente e l’aramaico divenne le lingua popolare, con vari dialetti. Di qui la necessità di tradurre la Bibbia, quando si leggeva nella funzione liturgica sinagogale.
Tale traduzione, detta Targùm, da principio era soltanto orale, ma in seguito fu messa in iscritto. Il più antico e celebre di  questi Targùmin scritti è quello sul Pentateuco attribuito ad un certo Onkelos del sec. I-II d.C. Ve ne sono anche latri sui Profeti, come il Targùm di Jonathan, e sugli Scritti, redatti tra il sec V e il IX, dovuti a vari traduttori.

Regola di S. Agostino per il canone biblico.
Sarà certo uno dei più diligenti studiosi di S. Scrittura prima di tutto colui che l’avrà letta per intero e l’avrà conosciuta, se non ancora con penetrazione intellettuale, almeno attraverso la lettura, sia pure soltanto di quei libri così detti canonici; giacché gli altri li leggerà con più sicuro metodo, quando, in fatto di dottrina, si sarà ferrato di fede vera, perché essi non creino dei preconcetti nella sua ancor debole mente, e col gioco di pericolosi generi letterari fittizi e fantastici non abbiano a creare qualche pregiudizio in opposizione alla sana intelligenza del testo. Nei libri canonici della S. Scrittura segua il più possibile l’autorità di quelle chiese, nel cui numero si trovano quelle che hanno meritato di essere sedi di Apostoli e ne hanno ricevuto epistole.
Nei libri canonici si atterrà dunque alle seguenti regole: quei libri che sono accettati da tutte le chiese cattoliche  li preferisca a quelli accettati soltanto da alcune; tra quei che non sono da tutte accettati, preferisca quelli che la maggior parte e le più autorevoli chiese accettano, a quelli che altre meno numerose e di minore autorità ritengono; se  poi scoprirà che alcuni libri si trovano presso un più grande numero di chiese, e altri, diversi, presso alcune più autorevoli, sebbene non sia facile trovare una simile coincidenza, penso che l’autorità di quei libri debba ritenersi su d’un piano di eguaglianza.

CONSIDERAZIONI PERSONALI
Molti fratelli separati pur divisi tra di loro da tante diversità dottrinali, amano attaccare la Chiesa cattolica, e dipingerla come la “Bestia”, “Babilonia la grande” ecc., infatti dalla legge del caos 
(leggasi libera interpretazione) ne esce fuori ad esempio che: La SS: Trinità, così chiaramente rivelata da Gesù e da tutti gli Scritti del N.T., diventa una credenza pagana (cf, tdG, pentecostali antitrinitari e altri); la realtà di Gesù Eucaristico diventa soltanto un simbolo: il romano pontefice, successore di Pietro e rappresentante visibile donatoci da Cristo, diventa o la “Bestia” (Ap 9,3-10; 12,9; 20,2…) oppure un usurpatore.
La Roma Pagana, chiamata Babilonia, di cui nell’Apocalisse è annunziata la fine, diventa la Chiesa cattolica, che sarà annientata; la Vittoria dell’Agnello e della sua Chiesa, che è il tema predominante di tutta l’Apocalisse, diventa la vittoria dei protestanti e la sconfitta della Chiesa cattolica identificata con “Babilonia” e che invece, è il prolungamento” di Cristo, destinata alla Gerusalemme Celeste.
Queste accuse oltre a leggerle in alcuni libri protestanti, le ho sentite, di persona, durante diversi studi fatti da un pastore pentecostale della mia zona.
In quelle occasioni sentendolo dipingere la Chiesa cattolica in tal modo, gli ho domandato chiarimenti riguardo al vero significato dei termini “Bestia” e “Babilonia” usati per insegnare ai suoi fedeli che la Chiesa cattolica in definitiva sarebbe una “Chiesa satanica”.
Ebbene, mi ha confermato che in effetti (secondo lui) quei versetti dell’Apocalisse si riferiscono alla Chiesa cattolica, e che essa perirà alla fine dei tempi per mano di Gesù.
Io a quei tempi (anno 2000) non ero preparato come lo sono ora (pur conscio dei miei limiti attuali) e ho dovuto tacere di fronte alla sua eloquenza; mi ricordo benissimo i suoi sorrisini denigratori (verso la Chiesa cattolica), e mi ricordo benissimo le sue battutine sarcastiche, battutine che provocavano il sorriso, se non le risate, degli altri fratelli presenti, come a dirmi: “apri gli occhi, non ti accorgi che la Chiesa cattolica ti porta alla perdizione!?”; ora alla luce dei miei approfondimenti e dei miei studi, non mi sento un professore, ma almeno ho veramente aperto gli occhi, e ho visto che il pastore non conosce la Bibbia in modo profondo, o meglio la conosce a modo suo, ed essendo carico di pregiudizi anti-cattolici ha gli occhi ricoperti da una coltre di fumo nero che gli impedisce di vedere tutta le verità. Se non esisterebbe una regola di interpretazione, la Bibbia non farebbe altro che riempirci di dubbi, senza possibilità di risolverli.
Dio però ha voluto dare al suo popolo un guida autorevole assistita dallo Spirito Santo, in modo tale che tutte le eresie che si sono manifestate (e che ancora di manifesteranno) fossero fugate dal magistero ecclesiastico, che ha sempre vegliato (e veglia) sulla integrità della Sacre Scritture, impedendone ogni manipolazione. Alcuni vorrebbero vedere una  chiesa composta da uomini perfetti e ineccepibili, ma sappiamo che nemmeno gli apostoli lo furono, molti di loro abbandonarono Gesù nel Getsemani, per paura.
Leggiamo infatti: “…E’ così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio” (2 Pt 1,19-21)
Continuando a leggere la seconda lettera di Pietro vi troviamo: “ci sono stati anche i falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che ci ha riscattati e attirandosi una pronta rovina” (2 Pt2,1).
S. Pietro come fa a volte S. Paolo nei suoi scritti, ha previsto questi falsi maestri e perciò ha creduto opportuno avvisare che nessuno osi spiegare da se (con la sua testa) quanto ci viene recato dall’Alto, per mezzo dei Santi Profeti.
Orbene la Chiesa è la depositaria di tutte le verità della fede (cf 1 Tm 6,20-21), ed è lautrice diretta di tutto il N.T. nei suoi scrittori Sacri, è anche, come già sappiamo “colonna e sostegno della verità” (1 Tm 3,14-15). Tutte queste prerogative ci lasciano chiaramente comprendere che solo la Chiesa, ma solo quella fondata e voluta da Cristo, ci può dare l’autentica interpretazione della
S. Scrittura.
Gesù, vero Dio e vero Uomo, ha conferito alla “Sua” Chiesa il compito infallibile della giusta comprensione della Bibbia. Ascoltiamolo nei suoi momenti più solenni.

Ricordiamo che il N.T. fu scritto tutto in greco, eccetto Matteo, il cui originale in aramaico è andato smarrito, l’antico protestantesimo, contestò la Lettera agli Ebrei, 2° Lettera di Pietro, 2° e 3° Lettera di Giovanni, le Lettere di Giacomo e Giuda e l’Apocalisse, includendoli tra i libri deuterocanonici. Era forse la guida dello Spirito, da loro tanto decantata ad avergli suggerito di scartare tali lettere?
Oppure questa è una dimostrazione che la legge della libera interpretazione conduce all’errore?
Infatti dopo queste iniziali incertezze, tutti o Cristiani, di qualunque estrazione, hanno accettato il Canone della Chiesa Cattolica. E’ ovvio che l’Ebraismo non riconosce il N. Testamento.
Anche per il libri del N.T. furono stabiliti dei gruppi, e cioè:
Libri storici. Sono i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli.
Libri didattici. Le 13 (o14) Lettere di S. Paolo: ai Romani, 1° e 2° Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1° e 2° Tessalonicesi, 1° e 2° Timoteo, Tito, Filemone.
Lettera agli Ebrei (probabile autore è Apollo o qualunque altro discepolo di Paolo).
Le 7 Lettere dette cattoliche a motivo di una più generale destinazione: di Giacomo – 1° e 2° Pietro – 1° e 2° Giovanni – Giuda Taddeo.
Libro profetico: Apocalisse= Rivelazione.

La storia ci fa sapere che Gesù nacque in un tempo di pace. L’impero romano si era abbastanza consolidato, Cesare Augusto si voleva rendere conto della consistenza dei popoli a lui soggetti. Perciò ordinò che si facesse il censimento di tutta la sua terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino (Lc 2,1-2).
San Luca ci racconta la storia della nascita e dell’infanzia di Gesù. Dalla storia apprendiamo pure che, col tempo, la grande pace romana va divenendo sempre più fragile e che il governo romano pensa di consolidarla imponendo ai popoli soggetti l’obbedienza ed il culto dell’Imperatore che deve essere riguardato come un essere divino.
In base ad uno statuto speciale, i Giudei soltanto erano esonerati da tali ossequi e potevano rimanere fedeli alla loro religione. Tutte le altre religioni, anche se tollerate nelle loro espressioni private, erano obbligate (pena la morte) a dare il culto pubblico al Divino Augusto. E’ così che, già verso la fine del governo di Nerone (incendio di Roma, 64 d.C.) si arriva alla persecuzione dei dissidenti. Ma i veri dissidenti sono esclusivamente i Cristiani, che, per la loro fede in Cristo-Dio, si rifiutano decisamente di prestare un culto da essi ritenuto, giustamente, idolatrico.
Alla persecuzione neroniana segue quella più violenta di Domiziano (81-96). I cristiani però, anche di fronte alla morte, affrontano coraggiosamente il martirio.
Tra i sudditi dell’imperatore, i cristiani erano i più leali ed i più ligi al proprio dovere, ma come seguaci di Cristo, rifiutavano il culto imperiale, essi diventavano i traditori della patria, ribelli all’autorità e, quindi, degni di morte. Passato dunque, il tempo delle attestazioni di lealtà alla Stato, è necessario seguire Cristo fino alla morte.
Di fronte a questa situazione angosciosa, ecco che la coscienza cristiana, ispirata dall’Alto, dà libero sfogo alla protesta, impugna la penna ed in uno scenario grandioso grida a tutti i cristiani un messaggio di incoraggiamento. Nasce così l’Apocalisse, contenuta in simboli e numeri, allo scopo di celarsi al persecutore ma di raggiungere e rincuorare i perseguitati. Così concepita e intesa, l’Apocalisse è un modo speciale di profezia.
C’è chi si trova in grandi difficoltà per strappare un qualsiasi messaggio a questo scritto straripante di fantasia. Altri si accaniscono su certi particolari e vorrebbero stabilire le epoche future.
Questi sono sforzi inutili, perché l’autore con i suoi simboli e allusioni, si riferisce ad un’epoca ben precisa e vuol rivolgersi a persone che lo capiscono.
In conclusione, quello che all’esegesi moderna sembra chiaro è che l’Apocalisse vuol segnare il cammino difficile e doloroso della Chiesa di Cristo peregrinante sulla terra, ma nell’attesa certa della vittoria finale, della gloria della nuova Gerusalemme, il compimento dell’Alleanza nuova,
la Venuta di Cristo.
Non è un messaggio di vendetta, ma di speranza, di resistenza e di fedeltà fino al martirio. L’Apocalisse impedisce calcoli precisi, assoluti in un’epoca della storia, stimola al rifiuto dell’idolatria qualunque possa essere la forma del potere che la impone, addita il premio, insegna a cantare la grandezza e la vicinanza del Signore Gesù.
La vittoria dell’Agnello è la vittoria dei suoi seguaci, ossia la Vittoria di Cristo e della “Sua” Chiesa. All’inizio abbiamo spiegato come ha fatto la Chiesa a stabilire l’autenticità dei Libri Sacri.
Analizzandone la provenienza, il genere letterario, confrontando tra loro i vari testi, studiando gli scritti dei primi padri della Chiesa, per trovarne citazioni bibliche, gli scrittori dell’era apostolica citano complessivamente, 122 S.Matteo, Marco, e Luca; la “Didachè”,  75 volte; San Clemente Romano, 18; Barnaba, 7; S. Ignazio, 13; Erma, 9; Dunque questo dimostra che essi conoscevano i Vangeli.
Gli scrittori del 2° e 3° secolo citano il Nuovo Testamento 30.783 volte, e cioè:
1819 S. Ireneo;
2406 volte Clemente Alessandrino;
7258 Tertulliano;
1378 volte S. Ippolito Romano;
17.922 volte Origene.

Tutti questi sono ingegni di prima grandezza. Non bisogna dimenticare che questi ingegni scrivevano in tempi di persistenti e feroci persecuzioni.
Le citazioni dei Padri dei primi quattro secoli innumerevoli.
Anche gli eretici Basilide, (contemporaneo di S. Giovanni), Valentino e Marcione, tutti e tre del primo secolo, i due pagani Celso e Porfirio, citano i Vangeli, quindi anch’essi li conoscevano,
ne davano una spiegazione eretica ma resta il fatto che ne conoscevano l’esistenza e li citavano.
Tutta questa raccolta di prove ci attesta che i Vangeli non furono scritti nell’età medievale,
o nell’età moderna, ma furono redatti proprio nel primo secolo del cristianesimo, tutti questi controlli incrociati lo confermano. 
Gli studiosi letterari sanno che “I Codici” sono trascrizioni a mano degli “autografi”, ossia degli scritti messi su papiro, pergamena o carta, dagli stessi autori.
Questa pagina di testo (digitale) che voi leggete non è uscita direttamente dalla mia mano.
Spesso scrivo a mano, e spesso, dopo avere scritto, sono costretto a correggere ed a precisare qualche parola o pensiero. Quel che voi leggete ora è sì il mio pensiero, ma non è il mio autografo, che spesso arrotolo e butto nel cestino, perché una volta trascritto al computer non mi serve più.
Se pensiamo che nelle epoche passate la carta non era stata ancora inventata e che si scriveva su sottili strati di papiro, soltanto più tardi sostituito dalla più consistente pergamena, comprenderemo facilmente come nessuno autografo antico, né profano ne sacro, è giunto fino a noi
Il materiale moderno su cui si scrive è molto più resistente ed è possibile conservarlo in buone condizioni per lunghi secoli. Ciò premesso è molto istruttivo un raffronto tra i codici profani e quelli sacri.
Codici profani. Quanti?
Di Orazio (165-68 a.C.), il più fortunato, ne abbiamo 250;
Di Omero (del 1000 a.C.) ne abbiamo 110;
Di Virgilio – il massimo poeta della latinità – nato nel 70 a.C. ne abbiamo circa 100;
Di Sofocle, grande poeta tragico greco (497-406 a.C.), ne abbiamo circa 100;
Di Platone, grande filosofo greco (429-348 a.C.) ne abbiamo 11;
Di Euripide, uno dei più grandi tragici della Grecia, nato a Salamina nel 480 e morto nel 406 circa a.C., ne abbiamo appena 2;
Di Eschilio, sommo poeta tragico, nato ad Atene nel 525 e morto in Sicilia, a Gela, nel 456 a.C. ne abbiamo 50;
Della maggior parte degli annali del grande storico latino Tacito, vissuto tra il primo e secondo secolo d.C., ne abbiamo uno solo.

I codici antichi sono in tutto 624.

Come quantità di codici andiamo da 1 a 250; come distanza di tempo tra autografo e codice, da 400 a 2000 anni. Eppure nessuno ragionevolmente dubita della loro autenticità.

Codici sacri del Nuovo Testamento
Siamo in condizioni immensamente migliori dei codici profani. Possediamo la bellezza di 4270 codici, dei quali 53 contengono tutto il N.T. e gli altri una parte più o meno considerevole senza contare le traduzioni e i codici o copie delle traduzioni che il De Brugne calcola a quasi 30.000.

Abbiamo:
210 codici maiuscoli o “unciali”, in lettere maiuscole, come si usò fino al 900. Di essi i due più celebri sono del 400; 14 del 500 e gli altri dal 600 al 1000.
2400 codici minuscoli, scritti in lettere greche minuscole, come si usò dal 900 in poi (scritti tra il 900 e il 1500).
30.000 circa tra traduzioni e loro codici. Varie sono del 2° secolo altre traduzioni vanno dal 300 al 600.
50 frammenti di papiri. Ve ne sono 3 importantissimi: quello di Cester-Beatty (del 300); quello di Egerton (del 130-150) scoperto nel 1934; quello di Ryland (del 120-130), scoperto nel 1920 e pubblicato nel 1935.
Gli ultimi due provano in modo sicuro che al principio del 2° secolo già esisteva il Vangelo di
S. Giovanni come lo leggiamo noi.
Questi papiri provengono dall’Alto e Medio Egitto, mentre S. Giovanni scrisse ad Efeso nell’Asia Minore.
Quindi il suo Vangelo era già stato trascritto ed era giunto a quelle cristianità appena una ventina di anni dopo che era uscito dalle mani dell’Evangelista.
Ora, ciò che è provato da questi papiri per il Vangelo di S. Giovanni, vale anche per gli altri tre Vangeli.
Da tutto l’immenso materiale segnalato sopra, balza fuori una constatazione che ha del miracoloso, e cioè la perfetta concordanza.
Infatti, tra le tante migliaia di codici, traduzioni e relative copie, distanti tra loro in ordine di tempo e di luogo, “le variazioni riguardanti il senso, si riducono appena a 200; quelle di una qualche importanza dogmatica sono solo una dozzina; nessuna è tale da compromettere uno solo dei dogmi cattolici”.
Queste affermazioni sono dei migliori e più importanti studiosi, anche recenti. Non credo che per essere certi della verità storica biblica si possa pretendere di più.
In conclusione non vi è libro antico documentato come i Vangeli. Fra l’autografo dei Vangeli e le primissime copie, praticamente non ci fu distanza di tempo, come dimostrano i papiri di Egerton (del 130-150)  e del Ryland (del 120-130), benché i primi codici completi giunti a noi distino da 250 a 300 anni dal tempo in cui furono scritti i Vangeli.
Tuttavia è facile comprendere che gli autografi non siano periti immediatamente dopo che furono scritti; perciò la distanza tra autografi e codici attuali si riduce assai, o scompare del tutto, mentre per gli autografi profani la distanza minima è di 400 anni e la massima di circa 2000 anni.
Noi siamo certi dunque, (anche storicamente) che i Vangeli ora posseduti sono quelli usciti dalle mani dei quattro Evangelisti. Chi non vuol credere, agisce senza veri e seri motivi.
E non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Nella vita si fanno tante esperienze e la nostra intelligenza ci aiuta a discernere quelle giuste da quelle sbagliate, un uomo in certe situazioni deve saper contare su Dio e su se stesso, per poter discerne ciò che è giusto da quello che non lo è.
Il pastore pentecostale dicendomi che nel canone ebreo non c’erano i libri deuterocanonici, di sicuro non è stato preciso nelle indicazioni che mi ha dato, perché solo dopo la nascita del cristianesimo gli Ebrei decisero di riesaminare il canone e di estrometterne i libri deuterocanonici.
Se un pastore sbaglia è grave, se sbaglio io che non guido nessuna comunità sono responsabile solo della mia persona o al massimo anche dei miei familiari se questi credono a quello che dico, ma se sbaglia un pastore la cosa è molto differente, perché induce moltissime persone all’errore, e l’errore quando si parla delle Sacre Scritture non è cosa di poco conto.
Il detto pentecostale “a me basta quello che mi è dato conoscere fino ad ora” è giusto, ma se da ora in poi qualcuno afferma delle cose diverse, la logica ci suggerisce di verificare di persona. Invece quella frase nasconde in se stessa una senso di appagamento, per cui vanno bene solo le spiegazioni che dà il pastore, ogni altra va scartata a priori. Ecco come il pastore diventa “infallibile” pur non ammettendolo mai. 
Perché davanti a te si è presentata l’occasione di andare oltre quel “fino ad ora”,  questo termine non deve significare che ti devi fermare, non devi fermare la tua sete di conoscenza, non devi mettere la testa sotto il cuscino per non sentire chi ti parla, non devi metterti i tappi alle orecchie, ma da cristiano hai il preciso dovere di indagare, di confrontare le tue idee con quelle dei tuoi interlocutori, non limitandoti a far finta di capire solo per farli contenti, ma devi verificare se ciò che ti dicono risponde al vero, non devi essere “pastore dipendente”, devi camminare con i tuoi piedi, aprendo il tuo cuore, aprendo le tue orecchie, aprendo i tuoi occhi. Verifica i documenti della Chiesa nel corso di tutti i  secoli della cristianità vedrai che la realtà non è come la raccontano molti pastori protestanti.
Come si può verificare? 
Nella stessa maniera di come lo possono verificare tutte le persone che sanno leggere, studiare e analizzare le prove storico-cristiane scritte da fonti autorevoli, serie e veritiere.
Se il pastore afferma che nel canone ebreo i 7 libri non erano inclusi, da qualche parte lo avrà letto, oppure qualcuno lo avrà istruito, ma questo qualcuno lo avrà a sua volta letto in qualche libro autorevole (o presunto tale); perché allora a me deve bastare quello che mi dice il pastore?
Interessa conoscere la verità o solo quello che ci dice il pastore?
E se il pastore si sbagliasse in perfetta buona fede?
Abbiamo visto che nel canone ebreo i 7 libri deuterocanonici erano inclusi, infatti nella traduzione dei settanta i 7 libri c’erano, e questa traduzione dell’Antico Testamento fu fatta prima della venuta di Cristo, oltretutto questa traduzione era usata dagli apostoli, come abbiamo visto.
E’ giusto verificare se queste affermazioni appena fatte siano reali?
Si lo è, e chiunque verificherà si accorgerà che quello da me scritto corrisponde al vero, e quindi il pastore si sbaglia.
Molti pastori protestanti dovrebbero andare a studiare a cosa serve l’ermeneutica, che è in genere quella disciplina che insegna le regole per interpretare un libro e il modo di ben applicarle, allo scopo di intenderne il vero senso, che è quello inteso dall’autore. Nell’ermeneutica biblica questo libro è la Bibbia.
Il trattato dell’ermeneutica biblica si divide in tre parti: noematica, che analizza i vari sensi della 
S. Scrittura; euristica, che insegna le regole per trovare questi sensi; proforistica, che insegna la maniera di esporre il senso così trovato.
Credo che alcuni fratelli separati avendo letto questa breve introduzione sull’ermeneutica già cominciano a storcere il naso, pensando o dicendo che loro non hanno bisogno di studi complicati per capire le Sacre Scritture, perché loro sono guidati dallo Spirito Santo nelle loro interpretazioni e, ci si potrebbe pure credere se non fosse per le prove che smentiscono questa loro tesi.
Se i fratelli separati (come più volte detto) sarebbero veramente guidati dallo Spirito di Dio dovrebbero essere compatti e uniti e, soprattutto dovrebbero tutti avere la stessa dottrina, invece nella miriade di denominazioni protestanti hanno dottrine molto differenti tra loro, di conseguenza essendo che lo Spirito Santo non è uno spirito di confusione, e considerato che lo Spirito di Dio è UNO solo è chiaro che nessun gruppo protestante può essere credibile quando afferma di essere guidato dallo Spirito Santo nelle interpretazioni bibliche. Ma ogni gruppo garantisce di essere nella verità, ma quante verità esistono?
E poi perché i pastori protestanti organizzano continuamente studi biblici se la Bibbia è così semplice da capire come vorrebbero far credere loro?
La S. Scrittura non è un libro come tutti gli altri, ma un libro divino-umano, vi si troveranno sensi (e quindi regole d’interpretazione) strettamente suoi particolari, oltre a quelli comuni agli altri libri.

Sensi della S. Scrittura.
Per senso intendiamo quel determinato concetto che l’autore intende esprimere con le sue parole. Differisce dal significato che è il concetto inerente alle singole parole oggettivamente, ossia indipendentemente dall’intenzione soggettiva dell’autore, ed è registrato nei vocabolari.
Senso biblico è quel determinato concetto che l’autore sacro intende esprimere con le sue parole o con l’oggetto espresso dalle stesse parole.
Il senso biblico è dunque duplice: letterale e tipico. Il senso letterale è quello espresso direttamente dalla parola; esso è comune a tutti i libri umani e perciò deve trovarsi anche nella Scrittura, che è scritta da uomini e indirizzata a uomini; inoltre, poiché Dio è l’autore principale della S. Scrittura, il senso letterale è inteso principalmente da Dio, oltre che dall’uomo.
L’esegesi è invece l’applicazione pratica delle regole insegnate dall’ermeneutica, cioè l’interpretazione stessa. Tra i vari significati di una parola l’autore ne sceglie uno ad esprimere quel determinato concetto della sua mente. Quindi, mentre il significato di una parola può essere molteplice, il senso inteso dall’autore è uno solo, a meno che egli intenda parlare ambiguamente.
Il senso letterale è chiamato anche verbale, immediato, perché risulta immediatamente dalla parola (verbum); storico, perché ordinariamente usato nei brani narrativi e storici; grammaticale, perché ricavato secondo le regole della grammatica; logico, perché dedotto dal contesto secondo le leggi della logica, ecc..
Il senso tipico è quello espresso direttamente non dalla parola, ma da una cosa o persona indicata a sua volta dalla parola. Per esempio, se la parola “manna” indica direttamente (senso letterale) quel determinato cibo col quale Dio sostentò miracolosamente il suo popolo nel deserto, questo cibo, a sua volta, indica un altro cibo, l’Eucaristia. Il senso tipico (o figurativo) è inteso esclusivamente da Dio e l’agiografo stesso non può conoscerlo senza rivelazione.
A seconda del significato dei termini usati, il senso letterale si suddivide in proprio e metaforico; a seconda dell’intenzione dell’autore, in esplicito, implicito e conseguente, pieno ed eminente.
Si dice proprio quel senso in cui le parole vengono usate nel loro significato ovvio e originale: per es. “Iddio creò il cielo e la terra”. Improprio (metaforico, figurato traslato) si dice quel senso in cui le parole vengono usate secondo un significato derivato e figurato il quale presenta una certa affinità col significato ovvio e originale della parola: per es. Gesù è detto “l’agnello di Dio”.
Paragone e metafora, parabola e allegoria, favola e simbolo. Il paragone consiste in un confronto fra due termini uniti tra loro mediante qualche particella similitudinaria (“come”, “simile a” ecc.); nel paragone le parole sono usate in senso proprio. Per es. condotto al macello come una pecora non aprì bocca, come un agnello davanti a chi lo tosa. 
La metafora è anch’essa un confronto fra due termini, però non più uniti da una particella similitudinaria, ma identificati tra loro mediante il verbo “essere”. Nella metafora le parole sono usate in senso figurato. Per es. Gesù è detto “l’agnello di Dio” perché in lui si trovano caratteristiche simili a quelle dell’agnello.
La parabola è lo sviluppo di un paragone in un racconto, che ordinariamente è fittizio e immaginario, però sempre verosimile. Come nel paragone, così anche nella parabola i termini vanno presi in senso proprio, però, diversamente dal paragone, nella parabola il confronto non è più tra due termini, ma fra due situazioni: da questo confronto soltanto deve ricavarsi l’insegnamento, che è lo scopo principale delle parabola.
L’allegoria invece è lo sviluppo di una metafora, e quindi le parole vanno prese in senso traslato, per ragione di somiglianza. Nella Scrittura si trovano allegorie bellissime, per es. quella del Buon Pastore.
La favola, o apologo, è un racconto sempre fittizio e anche inverosimile nel quale, a scopo didattico, sono presentati con attributi umani (ragione e parola) esseri inanimati o irragionevoli. Nella Scrittura se ne trovano solo due esempi: quella degli alberi che cercano un re e quella del cardo del Libano che chiede la figlia del cedro del Libano in sposa per il suo figliolo (Giuditta 9,8-15; 2Re 14,9). Simbolo in genere è il rappresentativo di un’idea, di un personaggio, di un’istituzione: così la croce è il simbolo della redenzione, il pastore è il simbolo di Gesù, le chiavi del potere spirituale, ecc.. I simboli abbondano nella S. Scrittura, specialmente nei Profeti, e il simbolo biblico si può definire “un segno con il quale il profeta indica, per ordine divino, un avvenimento, un’istituzione, una persona. Così i nomi di Isaia e dei suoi due figli sono presagio di castighi temporanei e di salvezza definitiva (simbolo personale); il profeta Ahia di Silo divide il suo mantello nuovo in dodici parti e ne dà dieci a Geroboamo (azione simbolica o parabola in atto).
Come la parabola, anche il simbolo consiste in un confronto fra due situazioni, ma ne differisce in questo che, mentre la parabola si svolge attraverso un racconto, ordinariamente fittizio, il simbolo invece si svolge attraverso un segno o un’azione (o una visione) reale. Differisce anche dal tipo, perché sebbene reale come il tipo, il simbolo ha l’unica sua ragione di essere nel significare qualcos’altro, mentre il tipo ha una ragione di essere anche in se stesso.
Cioè con un esempio, mentre l’azione di Ahia aveva il solo scopo di significare la scissione delle dodici tribù, invece la manna, oltre a significare l’Eucaristia futura, era anche il cibo miracoloso che storicamente nutrì gli Ebrei nel deserto. Nel tipo abbiamo quindi due sensi sovrapposti (senso letterale e senso tipico), nel simbolo invece ne abbiamo uno solo (che è letteralmente improprio).
Senso esplicito, implicito e conseguente. Il senso esplicito è quello che risulta a prima vista dalle parole considerare nel loro contesto immediato. Il implicito, invece, è quello che in qualche modo è nascosto nelle parole, sia del testo stesso, come del contesto immediato. Per es. la proposizione il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14) esplicitamente afferma l’unione del Verbo di Dio con la natura umana, e implicitamente afferma che nel Verbo incarnato vi è l’anima, l’intelligenza e la volontà, il corpo reale, ecc., perché di tutto ciò si compone la natura umana; la donna dalle dodici stelle (Ap 12,1) esplicitamente è la Chiesa, ma implicitamente è Maria SS., perché il contesto immediato descrive quella donna simbolica con le caratteristiche della madre di Cristo.
Poiché il senso implicito è contenuto nelle parole stesse del testo sacro (tenendo conto anche del contesto), è chiaro che esso è inteso dal suo duplice autore, umano e divino, e quindi è vero senso biblico come l’esplicito e come questo ha tutta la forza probativa. Senso conseguente è detto impropriamente quello che si deduce dal sacro testo mediante un mezzo termine di ordine razionale.
Per es. Erode Agrippa I uccise Giacomo, fratello di Giovanni (Atti 12,1 s.: maggiore di ordine rivelato, perché contenuta nella Scrittura); ora dalla storia sappiamo che Agrippa regnò negli anni 41-44 (minore di ordine razionale); dunque S. Giacomo fu ucciso in quegli anni. Questa conclusione (detta appunto “senso conseguente”), essendo fondata, benché in parte, sulla ragione, non è di ordine rivelato e non oltrepassa l’ordine razionale.
Senso pieno ed eminente. Il senso pieno è quello che, senza sorpassare i limiti del senso letterale, è però inteso ordinariamente solo da Dio, e quindi sfugge all’agiografo; noi lo conosciamo alla luce della rivelazione che si trova nel N.T. o nella successiva tradizione. Ad esempio, “l’immagine e somiglianza” divina, secondo la quale Dio creò l’uomo, nell’integrazione dell’agiografo è l’anima spirituale (intelligente e libera), come si rileva dal contesto; ma alla luce del N.T. ne scopriamo il senso profondo, pieno: essa è anche la grazia santificante, partecipazione della stessa natura divina, quindi somiglianza con Dio nell’ordine soprannaturale.
Il senso eminente è quello che riferisce in modo eminente al più nobile individuo di una collettività ciò che si dice di tutta la collettività in generale. Quindi è un senso contenuto implicitamente ne senso esplicito che si riferisce alla collettività e perciò, come il senso implicito, anch’esso è senso biblico inteso da Dio. Per es. la discendenza della donna è, in senso esplicito, tutta la parte buona del genere umano, ma implicitamente e principalmente è il Salvatore dell’umanità.
Vi è poi il senso tipico che è un senso reale inteso solo da Dio. La cosa significante “tipo” ha già in sé la sua piena ragione di essere, ma insieme significa anche un’altra realtà, (antitipo) ordinariamente sconosciuta all’agiografo. Per esempio, Adamo è tipo di Gesù Cristo, la manna è tipo dell’Eucaristia.
Le prove per dimostrare l’esistenza del senso tipico si desumono dalle fonti della rivelazione.
Il N.T.  Nostro Signore considera il serpente di bronzo come tipo (figura) della sua crocifissione, la permanenza di Giona nel ventre del pesce come tipo della sua crocifissione, la manna dell’Eucaristia, Elia di S. Giovanni Battista (Gv 3,14; Mt 12,40; Gv 6,31. 49; Mt 17,10-13). Non sempre le fonti usano il termine tecnico di “tipo” o di “senso tipico”, ma le espressioni che usano sono equivalenti. Fra gli apostoli S. Matteo considera il ritorno del popolo di Israele dall’Egitto come tipo del ritorno di Gesù dall’Egitto (Mt 2,15); secondo S. Giovanni l’agnello pasquale è tipo di Gesù immolato per l’umanità (Gv 19,36); secondo     S. Paolo Adamo è figura di Cristo (Rom 5,15 – però in senso antitetico: Adamo causa la rovina dell’umanità per la sua disubbidienza, Cristo causa di salvezza per la sua ubbidienza), Melchisedec tipo di Cristo sacerdote eterno, Agar tipo dell’A.T. e Sara del N.T., i molteplici sacrifici dell’A.T. tipi dell’unico sacrificio di Cristo; secondo S. Pietro le acque del diluvio (che salvarono le persone presenti nell’arca di Noè portandola a galla) sono tipo delle salvatrici acque del Battesimo (Eb 7,1 ss.; Gal 10,1 ss.; 1 Pt 3,20 ss.) ecc. Che queste non siano sempre semplici accomodazioni si ricava dal fatto che nostro Signore e gli apostoli spesso rilevano espressamente la divina intenzione di annettere a una data cosa o persona dell’A.T. una significazione tipologica, e quando manca il rilievo esplicito esso viene suggerito dal contesto.
I Padri non soltanto l’ammettono, ma considerano il senso tipico come la parte migliore della Scrittura: se il senso letterale è una lucerna, il senso tipico è la luce stessa; se il primo è d’argento il secondo è d’oro, ecc.. In pratica poi essi l’usano spesso: Eva è tipo di Maria SS.; Noè, Isacco, Mosè Davide, ecc. sono tipi di Cristo.
L’insegnamento della Chiesa. I più recenti documenti pontifici raccomandano di aver ogni cura anche nel senso tipico, quando “risulti realmente che Dio ve l’ha posto”. In pratica poi la Chiesa fa uso del senso tipico, specialmente nella Liturgia. Dunque esiste nella S. Scrittura (almeno nell’A.T.) il senso tipico; e poiché è anch’esso, come il senso letterale, parola di Dio rivelata, è oggetto di fede divina quando risulta con sufficiente certezza.
Vi sono sensi tipici anche nel N.T.? Sono da escludere i tipi dogmatici prefiguranti il Messia, essendo il Messia già venuto. Per gli altri tipi (dogmatici, ossia prefiguranti la Chiesa, topologici o anagogici), alcuni ne ammettono almeno la possibilità, ma non possono determinare quali siano di fatto. Infatti è vero per es. che Gesù fonde insieme le due predizioni della distruzione di Gerusalemme e della fine del mondo, ma non si può dimostrare con certezza che stabilisca un nesso tipologico fra i due avvenimenti.
S. Paolo considera il Battesimo come figura  della morte e risurrezione del Signore (Rm 6,3-9) e il Matrimonio come figura dell’unione di Cristo con la Chiesa (Ef 5,32), ma la tipologia riguarda cose future, mentre quei sacramenti si riferiscono a cose passate; sarà forse meglio parlare di simbolismi, invece che di tipologie.
Il testo. Accertata, per mezzo della critica testuale, l’autenticità del testo da interpretare, si cerca diligentemente il senso letterale, per mezzo delle lingue, sia la lingua originale di quel testo (ebraica, aramaica o greca) sia le affini lingue semitiche, e per mezzo degli usi letterali dell’Antico Oriente.
Le lingue. L’interpretazione va fatta di preferenza direttamente sul testo originale, che ha sempre maggiore autorità di qualunque versione, anche ottima; o almeno, usando una versione, si tenga sempre presente il testo originale.
Di qui la necessità di conoscere le lingue bibliche (ebraico, aramaico, greco). Ad acquistare una conoscenza più perfetta dell’ebraico e dell’aramaico servono molto le altre lingue semitiche, come il siriaco, l’arabo, l’accadico (assiro-babilonese), ecc.. Assolutamente indispensabile è la conoscenza almeno delle caratteristiche essenziali della sintassi ebraica, che si riscontrano non solo nell’A.T. ma anche nel N.T., i cui autori erano ebrei, o almeno dipendevano da fonti ebraiche o aramaiche. Per esempio è indispensabile sapere almeno che il verbo ebraico ha solo due principali forme temporali, perfetto e imperfetto, le quali indicano direttamente (non il tempo dell’azione, ma) se l’azione è compiuta (perfetto) o se è incompiuta (imperfetto). Per questo, secondo i casi, può trattarsi di azione passata, presente, futura. Inoltre, la costruzione delle proposizioni nel periodo ordinariamente non è subordinata (come in greco o in latino: “sintassi”), ma è coordinata (“paratassi”): le proposizioni sono collegate da una semplice congiunzione “e”, la quale può quindi avere un senso molto vario (finale, consecutivo, temporale, modale, ecc.). Vedi per es. Gen 28,10 s. secondo l’ebraico.
Le letterature orientali, in grande parte poetiche, adoperano un linguaggio ricco di immagini spesso ardite o meno conformi alla nostra tradizione e alle nostre abitudini. Figure di questo genere si trovano anche nella S. Scrittura. Così ad esempio la natura è personificata nelle espressioni: i fiumi battono le mani, i monti saltano come capretti e le colline come agnelli (Sal 98,8; 114,4 ecc.).
La forza di Dio che finalmente sorge per difendere il suo popolo è rassomigliata a quella del forte inebriato che si sveglia dopo aver smaltita la sua ubriachezza; qui si noti che il punto di confronto non è nell’ubriacatura, ma nella forza (Sal 78,65). La voce di Dio che minaccia il castigo contro Gerusalemme è paragonata al ruggito del leone (Am 1,2) ecc..
Tra le metafore usate dalla Scrittura quando parla di Dio vanno ricordati specialmente gli antropomorfismi, ai quali si riducono gli antropopatismi.
L’antropomorfismo è una metafora che attribuisce a Dio membra e azioni umane: occhi, orecchi, bocca, mani, lato destro; Dio plasma il corpo dell’uomo, scende per vedere la città e la torre di Babele, percuote con la sua mano, ecc. (Gen 2,7; 11,5 Giob 19,21).
L’antropopatismo è una metafora che attribuisce a Dio sentimenti umani, come pentirsi, adirarsi, dimenticarsi (Gen 6,6; Es 32,10 ss.).
Se è vero che lo scrittore sacro, secondo il gusto orientale, abbonda nell’uso del linguaggio metaforico, non ne segue che si debbano vedere metafore in ogni parola.
L’orientale inoltre, nel suo linguaggio popolare e primitivo, talvolta attribuisce un effetto direttamente alla causa prima, a Dio, prescindendo da tutte le cause intermedie. Similmente egli non distingue le diverse sfumature della casualità (volere, comandare, desiderare, permettere, non impedire, tollerare, ecc.). Così si spiegano benissimo alcuni testi, che, presi come suonano, direbbero un senso inaccettabile.
Per es. Iddio indurisce il cuore del Faraone significa: Dio permette che il Faraone si ostini a non lasciar partire il popolo (Es 4,21 ecc.); del resto questa frase è alternata con l’altra: Il Faraone indurisce il suo cuore (Es 8,11). Similmente sembra che Iddio spinga Davide a fare il censimento, reputato poi colpa; invece egli solamente permette che lo spirito del male spinga Davide a fare il censimento (cf 2 Sam 24,1 con Cron 21,1).
Se si leggono questi versetti in 2 Sam 24 e ss., sembrerebbe che Dio prima spinga Davide a fare il censimento, poi al versetto 16 leggiamo che il Signore si pentì di aver fatto morire di peste settantamila persone, ecco che qui troviamo l’antropopatismo, sembra che Dio si pente di quello che ha fatto, proprio come fa un uomo. Ma è ovvio e scontato che Dio non può sbagliare, si pente solo chi sbaglia, ma Dio non sbaglia mai, quindi il suo pentimento è solo metaforico, e sta ad indicare il suo infinito amore paterno per il suo popolo, bisogna quindi stare attenti a interpretare nel giusto modo le Scritture, bisogna saper distingue il senso poetico e metaforico dagli altri sensi scritturali.
Tutte queste precisazioni e delucidazioni forse faranno storcere il naso a qualche fratello protestante convinto che questi studi non servano, perché il Signore parla ai semplici, e suggerisce il giusto significato delle Scritture nei cuori dei semplici. Certo è vero che il Signore parla ai semplici, ma chi sono questi semplici? Quanta purezza di cuore serve affinché Dio si degni di parlare al cuore degli uomini che si autodefiniscono semplici?
Nella semplicità intesa da Gesù era implicitamente inclusa una elevatissima spiritualità, una elevatissima carità, e una elevatissima purezza di cuore, ma chi tra di noi può attribuirsi tutto questo?
Dio indubbiamente può rivelare la sua dottrina a chiunque egli voglia, ma è anche certo che ha dato le chiavi interpretative alla Sua Chiesa, alla Chiesa del Suo Figlio.
Sono sotto gli occhi di tutti le forti divergenze dottrinali tra i vari gruppi protestanti, che variano da un punto all’altro degli estremismi, con vari punti intermedi, ecco il frutto delle presuna semplicità e umiltò, che ogni gruppo protestante assicura di avere, osservando le loro divergenze verrebbe da pensare come più volte detto che lo Spirito Santo non abbia le idee chiare circa la dottrina cristiana, ma il risultato invece è che proprio queste divergenze sono la prova che il protestantesimo è solo un vano tentativo di inventare nuove dottrine, spesso in buona fede, magari portando qualche innovazione come ad esempio i cantici che rallegrano la liturgia cristiana, oppure rafforzando lo spirito comunitario e di fratellanza, ma togliendo questi aspetti indubbiamente positivi restano gli errori dottrinali che provano le errate dottrine dei protestanti.
Ed ecco che le spiegazioni date in questo capitolo circa la storia del canone, il metodo per riconoscere l’ispirazione dei Libri Sacri, le varie forme letterarie antiche,  e le varie distinzioni tra i  differenti stili scritturali servono e dimostrano l’estrema serietà che ha sempre avuto la Chiesa cattolica romana nel verificare, dimostrare e garantire l’affidabilità delle Sacre Scritture e la loro ispirazione divina.
A primo approccio sembrerebbe che la Chiesa cattolica romana ami rendere più difficile il metodo i apprendimento delle Sacre Scritture, ma basta riflettere un tantino per accorgersi che la Chiesa di Roma fornisce i metodi chiari (magari lunghi da studiare) e sicuri per interpretare correttamente le Sacre Scritture, le chiese protestanti invece nonostante predichino che chiunque può capire la Bibbia poi finiscono col spiegarla ognuno a modo proprio. 
Ecco che gli avventurieri, i fantasiosi, i fanatici, gli illusi, e qualcuno anche in buona fede si avventurano in interpretazioni bibliche arbitrarie, o perché credono di capire correttamente la Bibbia, oppure a causa di qualche corso che hanno seguito in precedenza dove hanno imparato il “giusto” metodo interpretativo, in ogni caso il frutto di queste “giuste” interpretazioni sono le circa 33.000 (fino al 2001), denominazioni protestanti diverse, molte delle quali presentano pesanti differenze dottrinali.
Ritornando alle metafore scritturali troviamo ad esempio che Iddio assegni (così almeno sembrerebbe) ad Isaia la missione di pervertire il popolo (Is 6,9 s.), mentre in realtà soltanto prevede che il popolo prenderà occasione dalla predicazione del profeta per divenire sempre più malvagio: nello stile orientale la perversione, certissima, sembra intesa da Dio.

Plurale di categoria e senso precisivo. 
Per plurale di categoria s’intende un uso letterario, non infrequente presso antichi scrittori (biblici, profani e cristiani), per cui si adopera il plurale invece del singolare, attribuendo a tutta una categoria ciò che si dovrebbe dire solo di un individuo.
Per es. Sono morti coloro che volevano uccidere il bambino, mentre era morto il solo Erode (Mt 2,20) l’angelo parla al plurale, ed usa un plurale di categoria per dire che Erode era morto, attribuendo quindi ad una categoria ciò che era successo ad un solo individuo; ma questo è un modo di scrivere degli antichi orientali, e chi non conosce bene i vari modi di scrivere e di intendere in uso presso gli antichi ebrei finisce col confondersi, oppure correre superficialmente sui versetti biblici senza riflettere più di tanto su quello che legge, facendo cieco affidamento al pastore, ritenuto uno specialista biblico, che in virtù della sua “preparazione” biblica spiega e chiarisce correttamente ogni eventuale dubbio. Ecco così come la maggior parte dei fedeli protestanti non vanno ad addentrarsi nello studio dei linguaggi, non vanno a confrontare seriamente le varie interpretazioni, non vanno a controllare le prove storiche, perché dai loro pastori hanno sempre sentito che la storia non serve, la storia fa perdere solo tempo, quello che è importante è solo la Bibbia, e come ho più volte detto nessun cristiano cattolico (degno di tale nome) ha mai asserito che la Bibbia non è importante o non è autorevole, ma per non farsi sballottare da un versetto all’altro dal pastore di turno, è giusto che il fedele controlli di persona, indaghi di persona, perché ogni cristiano ha il dovere di ricercare la verità, non abbandonandosi nella mani dei pastori, ma usando le proprie capacità intellettive.
Di contro è pure vero che anche tra i cattolici si riscontra molta ignoranza biblica, anche tra i cattolici è difficile trovare chi si addentra in lunghi studi, chi indaga e confronta, ma mentre il cattolico medio ammette la propria ignoranza biblica, il protestante medio si illude di conoscere perfettamente la Bibbia, quindi affronta il dialogo con una certa spregiudicatezza biblica, sentendosi un pò maestro di fronte al cattolico. 
Ritornando ai modi di scrivere degli antichi scrittori ebrei, ci accorgiamo che usavano anche un senso precisivo cioè un uso letterario degli antichi orientali per cui di un tutto si esprime solo una parte, prescindendo dal resto. Per es., il Signore, quando dice che lo Spirito Santo procede dal Padre, prescinde dal fatto che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio (come insinua con le altre parole ve lo manderò), però non l’esclude: il senso è dunque precisivo e non esclusivo.
Tenendo presenti questi usi letterari si possono risolvere non poche contraddizioni apparenti della Bibbia. Per es. le cifre che, confrontate con testi paralleli, risultano inferiori possono intendersi in senso precisivo. Così i ciechi guariti a Gerico non erano uno solo (Mc 10,46), ma due (Mt 20,30), come anche gli angeli apparsi al sepolcro di Gesù (Mt 28,2.5; Lc 24,4); la promessa che Gesù risorto si sarebbe manifestato ai discepoli in Galilea non esclude, ma solo astrae dalle altre apparizione in Gerusalemme (cf Mt 26,32; 28,7-9 e paralleli).
Altri esempi servono a far meglio capire che la Bibbia non contraddice mai il suo contenuto, cioè il suo messaggio salvifico non viene mai smentito in nessuna pagina, ma c’è un filo conduttore che parte dall’antico testamento e arriva al nuovo dove viene svelato da Cristo. Se nella Bibbia ci sono delle contraddizioni di carattere letterario non vuol dire che il significato del messaggio salvifico cambia.
Ai fini della salvezza non cambia nulla sapere se sia stato Pietro ad essere scelto per primo o Andrea suo fratello, questa è una semplice contraddizione letteraria che sta ad indicare che “ispirato” non significa dettato da Dio parola per parola.
Ripeto ispirato significa che il proposito di Dio è in essa contenuto; in tutta la Sacra Scrittura vi è contenuto il proposito salvifico di Dio per l’uomo.
In capitoli successivi comunque si capisce chiaramente che Pietro ha un primato rispetto agli altri Apostoli; infatti è sempre lui a parlare per primo, è lui che risponde per opera dello Spirito Santo e dice a Gesù “tu sei il Figlio di Dio”, e in tanti altri capitoli Pietro è sempre il primo, anche Giovanni che era arrivato per primo al sepolcro non entra, ma aspetta che arrivi Pietro, ed è Pietro ad entrare per primo, non perché lui l’avesse chiesto ma perché Giovanni come segno di rispetto gli concede che entri per primo a verificare.
Più avanti dettaglierò i singoli versetti dove si capisce che Pietro ha ricevuto una sorta di primato da Gesù, non hanno fatto nessun contratto, non bisognava, ma lo si capisce molto esplicitamente.

Mt 4,18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
19E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono

Giov 1,40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» 42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».

Se lo Spirito Santo avrebbe dettato parola per parola perché Matteo scrive diversamente da Giovanni ?
E’ possibile che lo Spirito Santo si sia sbagliato?
Questa è un contraddizione letteraria accaduta perché Matteo e Giovanni non erano assieme seduti a tavolino quando scrissero il loro Vangelo, e indubbiamente l’ordine con cui Gesù scelse i dodici gli era stato raccontato, e visto che non era di fondamentale importanza non hanno indagato a fondo per saperlo, ma lo scopo pricincipale dei due racconti è quello della chiamata di Gesù, a cui gli apostolo risposero positivamente per fede, si fidarono di Gesù.
Il messaggio salvifico dei due vangeli è ugualmente efficace, non viene compromesso da un’imprecisione letteraria di poco conto.

Mc 1,16
16Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini»

Lc 5,10 Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Questo che significa che la Bibbia si contraddice?
No, la buona novella non si contraddice, la Parola di Dio non si contraddice, ma si deve capire che non è stata dettata parola per parola dallo Spirito Santo.
Capire il messaggio salvifico, significa capire tutto il contesto, il modo di scrivere proprio di ciascuno degli autori sacri, la cultura di quei tempi, e soprattutto lo scopo ultimo
della Parola di Dio che non è quello chiarire se Gesù incontrò per primo Pietro, o se Maria ebbe altri figli (non ne ebbe comunque),  ma lo scopo è quello di indicare agli uomini che Gesù è il Cristo, il Messia e quindi la nostra via di salvezza. 

E ancora:

Mt 27,37 
Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: « Questi è Gesù, il re dei Giudei». 

Mc 15,26
E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.

Lc 23,38 C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

Gv 19,19
19Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei»

Come mai i quattro evangelisti dovendo riportare una semplice scritta, affissa sopra la croce di Gesù scrivono quattro frasi differenti?
Attenzione loro in questo caso non devono fare il riassunto di un romanzo, per cui sintetizzano, ma dovevano riportate una semplice e breve frase.
Se sarebbe stato lo Spirito Santo a dettare sicuramente avrebbe dettato una singola e precisa frase, invece si possono leggere quattro frasi simili fra loro ma non identiche. Questo denota che tranne Giovanni (che si trovava ai piedi della croce) gli altri hanno scritto per sentito dire,
il che non significa che hanno stravolto il significato della scritta, ma indubbiamente fa capire che non stavano attaccati alle singole parole, bensì  al loro significato globale.
Un cristiano che legge la Bibbia non si sofferma su queste sottigliezze, perché il cristiano legge la Parola di Dio per trarne profitto di salvezza, non per cercare contrasti su ogni singola parola.
Abbiamo visto che ognuno degli evangelisti ad esempio racconta a modo suo l’incontro di Gesù con i primi discepoli, questo non significa che raccontino falsità, ma ognuno di loro cita episodi non attribuendo ad essi data e ora, come se fossero la data e l’ora a essere importanti; l’importante è il contenuto del messaggio.
Senza adeguata istruzione questi passi apparentemente contraddittori metterebbero in difficoltà il lettore, ma la Chiesa ha sempre studiato le lingue antiche, ricorrendo alla preziosa tradizione cattolica per controllare come i Padri capivano e interpretavano alcune espressioni più difficili, ecco quindi che anche tramite la tradizione cattolica, si riesce a capire il corretto modo interpretativo e i vari modi di scrivere degli antichi ebrei.
Quando l’applicazione delle regole relative al testo lascia incerto il senso di un passo, per determinarlo esattamente è indispensabile consultare il contesto. E’ raro che il pensiero di un autore si esaurisca in un breve passo; normalmente si completa nei vari elementi contestuali. Molte false interpretazioni hanno la loro origine nell’aver trascurata questa norma tanto ovvia.
Il contesto è il nesso reciproco dei vari elementi di un discorso, sia vicini (contesto prossimo o immediato), sia lontani (contesto remoto o mediato). Si distinguono quattro specie di contesto: grammaticale e logico, psicologico e ottico (o profetico).
Contesto grammaticale e logico. Contesto grammaticale è il nesso delle parole e delle proposizioni rispetto ad altre parole della stessa proposizione o ad altre proposizioni dello stesso periodo. Contesto logico è il nesso delle idee di un dato passo rispetto alle idee dello stesso libro o anche di altri libri dello stesso autore. Queste due specie di contesto sono rette dalle regole rispettivamente della grammatica e della sintassi e da quelle della logica: di qui il loro nome. Fino a positiva prova contraria bisogna supporre che un autore rispetti le regole della grammatica e della sintassi, e soprattutto quelle della logica, cioè sia coerente con se stesso e non si contraddica. Lo stesso bisogna “a priori” supporre anche degli agiografi. Ad esempio nel prologo del vangelo di Giovanni chi sia il Verbo è determinato dal contesto, specialmente nel versetto 14, dove è identificato con Colui che, essendo l’Unigenito del Padre prese la natura umana e visse fra gli uomini, maestro di verità e fonte di grazia. Nella frase del versetto 1, secondo le leggi della sintassi, il soggetto è quello preceduto dall’articolo mentre senza articolo è predicato; quindi bisogna tradurre “il Verbo era Dio e non “Dio era il Verbo”. Ancora nel medesimo prologo, la parola “mondo” a brevissima distanza cambia più volte di significato, come appare dal contesto prossimo: terra in quanto abitazione dell’uomo (vv.9c e 10a), universo creato da Dio (v. 10b), umanità aliena da Dio (v.10c).
Contesto psicologico e ottico. Il contesto psicologico è il rapporto reciproco di idee oggettivamente disparate, ma collegate nella mente dell’autore da nessi soggettivi. 
E’ importante penetrare nell’animo dell’autore per scoprire tali connessioni, spesso dovute a particolari circostanze di luogo o di tempo, oppure a somiglianze o dissomiglianze rispetto all’idea espressa prima, ecc.. Il contesto psicologico si trova specialmente nella poesia lirica (come in alcuni salmi), nei discorsi accalorati e concitati (come spesso presso i profeti), nei dialoghi, ecc.. L’acqua materiale del pozzo di Giacobbe porge al Salvatore l’occasione (diremmo quasi gli suggerisce l’idea) di parlare dell’acqua di vita spirituale che zampilla per vita eterna (Gv 4,7-11), come il cibo materiale gli offre occasione di parlare del cibo spirituale della volontà di Dio (Gv 4,31-34) e la mietitura di parlare della messe delle anime (Gv 4,35-38). Similmente la improvvisa esclamazione del Signore nella festa dei Tabernacoli: Chi ha sete venga a me e beva (Gv 7,37) è ispirata probabilmente alla cerimonia, in uso in quella ricorrenza, di attingere acqua alla fontana di Siloe e spargerla in libazione. Molto simile al contesto psicologico è il contesto ottico, detto anche “profetico” perché è frequente negli scritti dei profeti. Questi, specialmente nei vaticini messianici, mentre descrivono la situazione storica contemporanea la presentano spesso su di uno sfondo lontanissimo nel tempo, dove la situazione contemporanea quasi si perde del tutto: è la cosiddetta prospettiva profetica. Alle volte la prospettiva manca, perché le due descrizioni (della situazione contemporanea e di quella futura) sembrano poste sullo stesso piano, in modo che l’avvenimento sembra debba verificarsi immediatamente. Altre volte la felicità dell’epoca messianica è descritta con la promessa di beni materiali e terrestri: bisogna usare molta cautela per non confondere un immagine simbolica con la realtà, come ad esempio fanno gli ebrei che attendono l’epoca messianica in senso materiale, credendo di dover regnare con Lui sulla terra materialmente, avendo rifiutato così Gesù Cristo quando 2000 anni fa camminava in mezzo a loro, non riconoscendo i messaggi di riscatto spirituale per l’eternità, e continuando ad aspettare un Messia che li dovrebbe riscattare e ricompensare qui sulla terra. In Isaia 7 la minaccia proveniente dai due Regni del Nord fa da cornice storica alla profezia della nascita dell’Emmanuele (che è il Messia): quindi anche la nascita dell’Emmanuele sembra imminente; eppure vi è un intervallo di circa otto secoli. Un’altra minaccia, quella assira, offre l’occasione di presentare l’Emmanuele come già nato e come liberatore del suo popolo dal gioco straniero (Is 8,5 ss.). La radiosa visione della nuova Gerusalemme all’epoca della restaurazione dopo l’esilio è congiunta presso Isaia (cap. 60) alla descrizione del futuro messianico; anche per Geremia (cc.30-33) la stessa visione raffigura una nuova era, nella quale Iddio farà un’alleanza nuova col suo popolo e fonderà un nuovo regno sotto lo scettro del Messia.

I passi paralleli. Sono quei passi che presentano fra loro rassomiglianza di parole (paralleli verbali) o di contenuto (paralleli reali). Questi ultimi a loro volta possono essere narrativi o dottrinali, secondoché hanno per oggetto un racconto o un insegnamento. I passi paralleli sono, dopo il contesto, di somma utilità per illustrare i testi oscuri; quelli verbali gioveranno a chiarire il senso delle parole, quelli reali il senso di un testo. E’ ovvio che sono da preferirsi i paralleli del medesimo autore; tuttavia riescono utilissimi anche quelli di altri autori biblici che trattano argomenti simili, specialmente se sono contemporanei.
Se non avremmo altro che il vangelo di Luca (24,50 s.) saremmo tentati di dire che l’Ascensione del Signore avvenne il giorno stesso della sua Risurrezione, alla sera, dopo il ritorno dei discepoli da Emmaus; però lo stesso Luca (Atti 1,3) fa sapere che l’Ascensione avvenne quaranta giorni dopo la Risurrezione: il primo testo, oscuro perché presenta il fatto come in scorcio, va chiarito col secondo.
Il Signore (in Mt 11,18) dice che Giovanni Battista non mangiava né beveva; lo stesso Matteo (3,4) però dice che egli si nutriva di locuste e di miele selvatico, e Luca precisa che non mangiava pane né bevevo vino (Lc 7,33).
Le parole Cristo si è sacrificato una sola volta per prendere su di sé i peccati di molti (Eb 9,28) vanno confrontate col parallelo della stessa epistola affinché morisse per ogni uomo (2,9) e con paralleli di altre epistole di Paolo, da cui evidentemente risulta che la parola “molti” non limita l’universalità della redenzione, ma mette in rilievo il grande numero della totalità (sono  “moltitudini immense”).
Il parallelismo poetico rientra nel contesto logico e consiste nella corrispondenza di idee fra due o più membri (stichi) del verso ebraico. Tale corrispondenza può avvenire per mezzo di termini equivalenti (parallelo sinonimico), od opposti (parallelo antitetico) o anche per mezzo di termini che sviluppano e completano il primo membro (parallelo sintetico).
Un esempio di ciascuna delle tre specie:
Lavami completamente dalla mia colpa, mondami dal mio peccato (Sal 51,4).
Un figlio saggio è la gioia del padre; un figlio stolto contrista la madre (Prov 10,1).
Con la mia voce invoco il Signore, ed egli mi esaudisce dal suo santo monte (Sal 3,5).
Circostanze della composizione. La conoscenza delle circostanze in cui un libro è sorto può giovare non poco alla retta interpretazione di quel libro o di un suo determinato passo. Talvolta sarà anzi necessaria. Queste circostanze si possono raggruppare in due categorie: quelle relative all’autore e quelle relative ai destinatari dello scritto. Quanto alle prime, si esamina chi fu l’autore, in che tempo e luogo visse e scrisse, quale la sua cultura e psicologia, l’occasione che l’indusse a scrivere, lo scopo che si prefisse, il piano adottato, ecc.. Analoga ricerca deve compiersi nei riguardi dei destinatari.
Queste notizie, che sono oggetto dell’introduzione speciale ai singoli libri, si ricavano anzitutto da libro stesso; alle volte anche altri libri biblici danno utili informazioni; per gli scritti neotestamentari bisogna tener presenti anche le testimonianze della primitiva tradizione cristiana.
Per l’interpretazione giovano pure le notizie fornite dalle altre scienze bibliche ausiliarie (archeologia, geografia, storia e cronologia, letteratura e religioni dell’Antico Oriente, ecc.).
La Sacra Scrittura, libro non solo umano ma anche, e principalmente, divino, va inoltre interpretato secondo regole sue proprie ed esclusive. I documenti ecclesiastici insegnano che nell’interpretare la S. Scrittura si deve adottare il senso  eventualmente determinato dalla Chiesa e dai Padri e tener conto dell’analogia della fede.
Interpretazione della Chiesa. 1) Legittimità della regola. Dal vangelo, dalla tradizione, dai documenti ecclesiastici e dalla ragione, si ricava che la Chiesa ed essa soltanto ha il diritto d’interpretare la S. Scrittura. Questi medesimi testi del vangelo che conferiscono alla Chiesa il magistero infallibile, e quindi il diritto d’insegnare le verità da Dio rivelate (Mt 16,18 s.; 28,19 s.; Gv 14,16 s. 25 s.;15,26 s.) implicitamente le riconoscono il diritto d’interpretare la S. Scrittura, che è una delle fonti della rivelazione.
I Padri, fin dal sec. II, contro gli eretici che tentavano di giustificare i loro errori con testi della Sacra Scrittura  interpretati a loro modo, hanno sempre affermato il diritto esclusivo delle Chiesa a spiegare autenticamente i libri ispirati. Così, tra la fine del sec. II e l’inizio del III, S.Ireneo, Tertulliano, Clemente alessandrino, e in seguito gli altri, senza eccezione. In pratica poi i Padri si sono sempre conformati alle interpretazioni date dalla Chiesa.
I Concili (Tridentino e Vaticano in modo particolare) rivendicano alla Chiesa il diritto di interpretare la S. Scrittura e di determinarne il vero senso, che quindi dev’essere come tale accettato dai fedeli. I documenti successivi confermano questo insegnamento.
La ragione è che l’interpretazione autentica di qualsiasi documento compete di diritto esclusivo al suo autore. Ora autore della Scrittura è lo Spirito Santo, il quale per divina promessa (Gv 16,13) insegna nella Chiesa. Dunque alla Chiesa compete il diritto esclusivo d’interpretare la S. Scrittura.
Da quanto dimostrato deriva come conseguenza il dovere da parte dei fedeli di accettare anche con adesione interna del giudizio l’interpretazione data dalla Chiesa come la sola vera: chi non accettasse un’interpretazione data dalla Chiesa, verrebbe praticamente a negarle una prerogativa che è intimamente legata al suo infallibile magistero.
Organi dell’interpretazione ecclesiastica. La Chiesa interpreta la S. Scrittura mediante il suo magistero ordinario o straordinario. Il magistero straordinario si esercita attraverso le solenni definizioni dei Sommi Pontefici e dei concili ecumenici; quello ordinario mediante le decisioni della Sacre Congregazioni (specialmente del S. Ufficio) e della Pontificia Commissione Biblica, mediante la tradizione ecclesiastica (costituita dalle testimonianze moralmente unanimi dei Padri e Dottori della Chiesa e dei Teologi), e mediante l’insegnamento concorde dei vescovi uniti al Sommo Pontefice.
Fin dai primissimi tempi nella Chiesa è stata sempre affermata la necessità d’interpretare la Scrittura conformemente all’interpretazione che risale agli apostoli e che si trasmette attraverso gli antichi, gli illustri uomini della Chiesa, i Padri. Così è stato fatto anche in pratica.
I documenti ecclesiastici già citati, accanto alla regola dell’interpretazione della Chiesa pongono, subito dopo, quella dell’interpretazione patristica. La ragione di questa regola sta nel fatto che i Padri sono testimoni dell’interpretazione della Chiesa. Ora abbiamo visto che l’interpretazione della Chiesa è la principale norma da seguire nell’interpretare la S. Scrittura.
L’unanimità morale tra i Padri (necessaria perché la loro interpretazione abbia autorità) richiede almeno che un buon numero di Padri fra i più autorevoli, di diverse scuole e di varie epoche, si trovino d’accordo nel dare la stessa interpretazione senza che altri Padri contraddicano: allora si potrà dire che essi non esprimono un’opinione personale, ma proprio la dottrina della Chiesa. Questa interpretazione dev’essere inoltre dai Padri stessi connessa in qualche modo con la dottrina rivelata e con la fede della Chiesa. In fatto di materie estranee alla fede o quando essi intendessero esprimere solo un’opinione personale, la loro autorità non sarebbe sufficiente.
I Padri, considerati come testimoni della dottrina e in particolare dell’esegesi della Chiesa, hanno tutti uguale autorità. Ma considerando le loro qualità personali, e quindi la loro autorità umana, bisogna riconoscere che gli Orientali in genere e i Greci in particolare sono superiori ai Latini in fatto di ermeneutica biblica.
Gli Orientali per l’A.T. avevano le traduzioni direttamente eseguite sul testo originale; per il N.T. i Greci leggevano l’originale stesso, invece i Latini avevano una traduzione dell’A.T. che era piuttosto deficiente, eseguita su di un’altra traduzione (dei LXX), e del N.T. una traduzione non molto migliore. Inoltre gli Orientali erano forniti di un corredo di cognizioni geografiche e storiche molto utili per l’interpretazione della S. Scrittura, che i Latini invece avevano di seconda mano, bisogna però eccettuare S. Gerolamo, che leggeva direttamente gli originali stessi, sia dell’A. che del N.T., e che anche nelle scienze sussidiarie giunse a superare gli stessi Orientali.
Per analogia della fede s’intende la mutua armonia fra le verità rivelate in virtù della quale una non può contraddire l’altra, anzi s’illustrano a vicenda. Essa è duplice, biblica e cattolica, secondochè si prendono come termini di confronto le verità contenute nella Bibbia oppure fuori dimessa, nel rimanente complesso delle verità di fede.
Questa regola fu sempre praticata nella Chiesa; i Padri rimproverarono sempre agli eretici di spiegare la Scrittura in contrasto con la dottrina della Chiesa. S. Agostino fu il primo a formularla teoricamente, raccomandando che “nei passi ambigui della Scrittura si consulti la regola della fede, la quale si desume dai passi più chiari della stessa Scrittura o dall’autorità della Chiesa”.
Il primo documento ecclesiastico che nomina l’analogia della fede è l’enciclica Providentissimus Deus (18 nov 1893): nei passi biblici non determinati dalla Chiesa “bisogna seguire come norma suprema l’analogia della fede”.
La ragione è che l’autore della S. Scrittura, come della dottrina della Chiesa, è il solo e medesimo Dio. Siccome Dio non può essere in contraddizione con se stesso, non vi può essere contraddizione tra la Scrittura e la dottrina della Chiesa.
Quindi non sarà lecito spiegare le parole: Il Padre è maggiore di me (Gv 14,28) in contrasto con le altre: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30); dunque nel primo testo si vuol dire che il Figlio è inferiore al Padre solo in quanto uomo. Similmente, se prendessimo le espressioni fratelli di Gesù e Giuseppe, padre di Gesù secondo il loro senso letterale stretto, come suonano nelle lingue moderne e occidentali, andremmo contro il dogma cattolico della perpetua verginità di Maria; dunque “padre” va preso nel senso che l’opinione pubblica pensava che Giuseppe fosse padre di Gesù e “fratello” nel senso largo delle lingue semitiche, come sinonimo di “cugino” o anche di “parente”.
Quindi attenendosi a queste precise e chiare regole l’esegeta non può sbagliare interpretazione.
Ma purtroppo il liberalismo protestante ha calpestato queste regole, inventandone delle altre, ignorando così la millenaria tradizione della Chiesa, e con l’alibi della guida divina asseriscono che solo loro sono gli autentici interpreti delle Sacre Scritture, peccato però che non si possono mettere d’accordo tra loro su quale dottrina sia la più giusta.
Negli esempi fatti dalla chiesa protestante vi sono sempre episodi di cattolici convertiti al protestantesimo, ma anche i cattolici possono elencare moltissimi casi di protestanti convertitisi al cristianesimo cosi come insegnato dalla chiesa cattolica romana.
Newmann ad esempio era un pastore anglicano convertitosi al cattolicesimo, Henrich Schlier famoso teologo protestante anch’egli convertitosi al cattolicesimo, e tanti altri esempi si possono fare e provare, ma non è con i numeri che si arriva alla verità, ma con la pazienza, e la perseveranza di chi ha e vuole avere gli occhi aperti.
Sette lettere del nuovo testamento tra cui la lettera di Giacomo, e la seconda lettera di Pietro furono accettate dai protestanti solo dopo il 1900, la lettera di Giacomo addirittura è stata definita la Lutero “lettera di paglia”.

PRESUNTE MANIPOLAZIONI BIBLICHE
IL PRESUNTO COMANDAMENTO TOLTO

Gli evangelici accusano la Chiesa cattolica di aver tolto dai Dieci Comandamenti quello che proibisce l' uso delle immagini. Anzi, ad essere più precisi, dicono che è stata la Chiesa Cattolica a togliere questo comandamento.

Allora diventa spontaneo chiedere: da dove è stato tolto? Eh sì, perchè nella Bibbia è rimasto, nel CCC è rimasto e viene spiegato, nelle letture domenicali viene citato. Allora, in definitiva, come si fa a dire che è stato tolto?

Le risposte sono due:

1) La Chiesa Cattolica lo ha cancellato dai suoi insegnamenti  perchè non è citato in un libretto che usano i catechisti per fare lezione ai bimbi di seconda o terza elementare 
2) La Chiesa Cattolica lo ha cancellato dai suoi insegnamenti  perchè non è citato in un libro di religione adottato da alcune scuole medie.

Vi sembrano motivazioni valide? Eppure continuano ad accusare la Chiesa Cattolica di aver tolto n comandamento. Il problema è che invece, a forza di sentirne parlare, molti evangelici sono veramente convinti che la Chiesa Cattolica abbia manipolato la Bibbia cancellando quei versetti che parlano degli idoli e restano stupiti quando gli fai notare che, invece, non è vero.

Dimostreremo qui di seguito come in realtà non è stato tolto nessun comandamento, ma sia stata presa la versione deuteronomica del decalogo e sia stata usata la divisione e distinzione fatta da
S. Agostino e da altri padri.
La parola decalogo fu usata per la prima volta da S. Ireneo e corrisponde all’espressione biblica
le dieci parole (Es 34,28; Deut 4,10; 10,4), che indica il testo dell’alleanza promulgato al Sinai e scritto su due tavole di pietra. Il decalogo è conservato in due redazioni: Es 20,2-17 e Deut 5,6-21. 
Le differenze principali tra le due redazioni riguardano la motivazione del comandamento sul sabato (Es 20,8-11; Deut 5,12-15) e il modo di dividere i comandamenti che proibiscono i desideri illeciti (Es 20,17; Dt 5,21).
Quest’ultima differenza causò una famosa polemica tra cattolici e i riformati.
Seguendo infatti la redazione del Deuteronomio, che distingue il desiderio della donna altrui da quello della casa e delle proprietà, e seguendo la logica interna, che fa corrispondere alle due proibizioni dell’adulterio e del furto la proibizione dei due desideri relativi, di natura ben diversa, i cattolici latini e i luterani, al seguito di S. Agostino, riuniscono in un solo primo comandamento la proibizione di avere altri dèi e la proibizione di fare delle immagini (Es 20,3; Dt 5,7 s.).
Invece i riformati, riprendendo la numerazione dei Padri greci e della Chiesa orientale, distinguono le prime due proibizioni in due comandamenti (di qui l’accusa mossa dai controversisti alla Chiesa cattolica, quasi avesse abolito un comandamento di Dio per favorire il culto delle immagini!)
e uniscono in una sola le proibizioni dei desideri illeciti. Questa numerazione è seguita anche da qualche recente esegeta cattolico, come conforme ad una concezione più antica e tale da dividere i comandamenti in due gruppi di cinque, i primi riguardanti i doveri verso Dio e i genitori, gli altri riguardanti i doveri verso il prossimo.
I due gruppi di cinque comandamenti si distribuivano in modo analogo sulle due tavole, se si suppone che in origine vi fosse solo l’essenziale delle formule imperative o negative, senza le motivazioni.
Il testo biblico che parla dei comandamenti in ambedue le redazioni si mostra nettamente distinto in due parti, a causa delle sanzioni, espresse in Es 20,5b-6; Dt 5,9b-10, e a causa del fatto che solo in questa prima parte Dio si esprime in prima persona. Questa divisione fa sì che la parte antecedente le sanzioni sia un solo e medesimo comandamento, il primo comandamento, che, nel confronto con la formula dei trattati di alleanza, corrisponde all’obbligo fondamentale di fedeltà che il vassallo giura al suo sovrano.
Es 20,1-17: Dio allora pronunciò tutte queste parole dicendo: “Io sono Jahve, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, da una casa di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che vi è nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 5Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. (ecco la punizione, ndr) Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6 (ecco i favori, ndr) ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
7Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.
8Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: 9sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; 10ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
12Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio.
13Non uccidere.
14Non commettere adulterio.
15Non rubare.”
16Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
17Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo»

La prima parte del decalogo è composta di tre elementi: comincia con la presentazione del sovrano, ossia di Dio, e con un abbozzo di prologo storico (v.2); segue il comandamento fondamentale sviluppato in tre membri (vv.3 s. 5a); quindi la sanzione: punizione per i trasgressori e favori per chi osserva i comandamenti (vv.5b 6).
Il prologo storico. Come in Es 19,4, c’è connessione tra la grazia dell’esodo, la liberazione dall’Egitto e la proposta dell’alleanza. In più vi è la presentazione: Io sono Jahve, che esprime la personalità di colui che propone l’alleanza. Anche nel formulario dei trattati di alleanza di carattere politico vengono in primo luogo il nome e i titoli del sovrano quale espressione della sua autorità. In questo i formulari di alleanza coincidono con le antiche raccolte legislative, come i codici di Lipit-Istar e di Hammurabi. Ma qui il contesto di alleanza, più che di sola imposizione di una legge è messo in evidenza dall’espressione Dio tuo, che puntualizza già il rapporto particolare stabilito tra Dio e il popolo, come in Dt 29,9-12: Oggi voi state tutti quanti al cospetto di Jahve… per entrare nell’Alleanza di Jahve, tuo Dio, e nel giuramento imprecatorio, che Jahve, tuo Dio, sancisce oggi con te, al fine di costituirsi oggi come suo popolo, e per essere lui il tuo Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri, ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe. Questo Dio ha delle benemerenze verso il popolo diventato suo, che si compendiano nei fatti meravigliosi dell’esodo, per i quali Israele è diventato un popolo libero. Appunto tutti questi benefici richiama in modo brevissimo il prologo del decalogo con le parole: Che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, da una casa di schiavitù (v.2).
La prima  espressione ricorrerà poi tante volte, come la ripetizione di un articolo del “credo” israelitico. Ma qui è il suo contesto storico immediato.
Il comandamento primo. La formulazione del comandamento primo si traduce letteralmente: Non esisteranno per te altri dèi di fronte a me. L’espressione qui tradotta di fronte a me (‘al pànay) può avere diverse sfumature di senso. Il senso dato dal catechismo all’infuori di me è certo possibile.
In una frase negativa la proposizione presso, che pure può essere indicata da ‘al pànay, diventa sinonimo di all’infuori: se nessuno deve essere presso di me, vuol dire che in quel luogo io sono solo e che nessuno vi si trova all’infuori di me. 
Una seconda formulazione del comandamento primo (v.4) riguarda la proibizione degli idoli (pèsel:scultura) e di ogni rappresentazione (temùnà) che potesse significare un essere nel quale la divinità si pensava abitare o incorporasi. Così restano esclusi non solo gli idoli delle divinità dell’Egitto o del Canaan e i loro simboli sacri, ma anche le immagini che pretendessero di rappresentare o di incorporare Jahve. L’enumerazione delle immagini di ciò che vi è nel cielo in alto,…di ciò che vi sulla terra in basso,…di ciò che vi è nelle acque al di sotto della terra allude al fatto che spesso gli idoli o i simboli in cui si pensava risiedesse un forza divina non erano solo figure umane. Il commento a questa formulazione di trova in Dt 4,15-19. “…Poiché dunque non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, 16perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina, 17la figura di qualunque animale, la figura di un uccello che vola nei cieli, 18la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; 19perché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo, tu non sia trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che il Signore tuo Dio ha abbandonato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli.

Una terza formulazione (v.5) riguarda gli atti di culto agli dèi stranieri. E’ stato notato che il binomio prostrarsi davanti e servire (cioè farsi schiavo, prendere l’atteggiamento di schiavo) appare sempre in connessione con divinità straniere e con culti proibiti, ma non con la menzione di immagini. Da ciò di deduce che il v.4, contrariamente alle apparenze, si riferisce agli altri dèi del v.3 più che agli idoli del v.4, e ciò conferma che siamo sempre nell’argomento di un unico comandamento, variamente specificato.
Specialmente il comandamento primo è commentato in Dt 5,6-10 e arricchito di nuove formulazioni, che rispondono a situazioni speciali e si contrappongono a pericoli diversi di peccare contro il dovere fondamentale dell’alleanza.

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. 7Non avere altri dei di fronte a me. 8Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 9Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, 10ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Un’altra formulazione è quella che si esprime nella parole : Temi Jahve tuo Dio, che è il tema dominante di tutta l’esposizione di Dt 5 s.: al tema del timore è legata l’osservanza degli altri comandamenti (dt 6,2,24).
Contro la tentazione del benessere, in seguito alla conquista della terra promessa, e alla tentazione di attribuire questa prosperità alla propria forza, appare la formulazione: Non dimenticare Jahve, tuo Dio, che viene sviluppata in Dt 8 (spec. vv.11. 14.19)
Vi è poi una tentazione più sottile: l’osservanza dei comandamenti unita alla persuasione della propria giustizia di fronte a Dio. E’ la giustizia dei farisei contro cui mette in guardia il Vangelo. E’ l’impossibile giustificazione per le opere delle legge contro cui polemizza S. Paolo in Galati e in Romani. Contro questa tentazione il Deut. 9 sviluppa il concetto della gratuità del dono divino dell’alleanza e della patria promessa.
Non c’è una formula netta, ma è ancora il comandamento primo che è oggetto dell’argomentazione del Deut. 9: Non dire in cuor tuo: Jahve mi ha condotto al possesso di questo paese per la mia giustizia…Tu non entri in possesso del loro paese per la tua giustizia né per la rettitudine del tuo cuore; ma Jahve, Dio tuo, scaccia quelle genti davanti a te per la loro malvagità e per mantenere la parola giurata ai tuoi padri. (Dt 9,4 s.)
Il grande peccato d’Israele, secondo la storiografia del deuteronomista e la predicazione dei grandi profeti, sarà appunto la rottura di questo rapporto con Jahve.
La presunta superiore cultura biblica di molti protestanti che amano interpretare alla lettera molti passi della Bibbia ci fa chiedere come mai alcuni passi invece li interpretano in modo simile o uguale alla Chiesa cattolica romana, ma senza spiegarne il perché. Il protestante medio non sa spiegare il perché, e sono convinto che rimanga protestante solo per una sorta di pregiudizio anticattolico che permea tutta la sua persona.
Ad esempio saprebbero spiegare i molti fedeli protestanti il significato di ogni animale menzionato nei precetti per le carni proibite?
Ne dubito, l’ho chiesto a diversi fratelli pentecostali e non mi hanno dato molte spiegazioni, alcuni hanno dato qualche spiegazione superficiale, ma nessuno di loro è sceso nel dettaglio. Se insisto nel voler una spiegazione mi sento rispondere con la classica frase “a me basta conoscere quel che so fino ad oggi…”, molto comodo, sembra una frase studiata per mantenere intatta la corteccia di ignoranza biblica, pastore dipendente. Come dire, “io apprendo solo dalla bocca del mio pastore, ogni altra tesi, anche se potenzialmente veritiera non mi interessa.” Ecco perché molti rimangono protestanti, più per testardaggine che perché conoscano bene la verità.
Visto che il protestante medio non sa dare spiegazioni circa il significato delle carni proibite la diamo noi. 
Nella antica lettera di Barnaba troviamo ad esempio una spiegazione sui versetti che parlano delle carni proibite di Lv 11,1-29:

Le carni proibite
“Mosè nel dire: «Non mangiate né maiale, né aquila, né sparviero, né corvo, né pesci che non abbiano squame» aveva in mente  tre  precetti. Infine dice loro nel Deuteronomio: «Comunicherò al mio popolo le mie decisioni». Dunque, non è precetto divino il non mangiare, e Mosè parlava nello spirito. Quanto alla carne di maiale è da intendere: non unirti agli uomini che sono tali da rassomigliare ai porci. Quando gozzovigliano si dimenticano del Signore, quando, invece, hanno bisogno si ricordano di lui. Proprio come il maiale che quando mangia non conosce il padrone, quando poi ha fame grugnisce, e smette se riceve . «Non mangerai  l'aquila, né lo sparviero, né il nibbio, né il corvo» significa: non unirti, né essere simile a uomini tali che non sanno procurarsi il cibo con la fatica e il sudore, ma rubano iniquamente la roba d'altri e stanno spiando mentre sembrano camminare con aria innocente e osservano chi spogliare per cupidigia. Sono come questi uccelli, i soli che non si procurano il nutrimento, ma oziosi, appollaiati, cercano di divorare la carne altrui, pestiferi per la loro malvagità. Inoltre: «Non mangerai né murena, né polipo, né seppia». Significa: non sarai simile, né ti unirai agli uomini che sino alla fine sono empi e vengono giudicati per la morte, come questi pesci, i soli che nuotano nelle profondità e non emergono come gli altri, ma vivono nei fondali giù nell’abisso. Ma anche: «Non mangerai la lepre». Come mai? Vuol dire di non farti corruttore, né simile ad essi, perché la lepre ogni anno cambia sesso. Quanti anni vive, tanti fori ha. «Non mangiare la iena»: significa non diventare adultero né seduttore né simile ad essi. Perché? Questo animale cambia natura e diventa ora maschio ora femmina. Ha detestato a ragione anche la faina. E significa che non devi essere di quelli che sappiamo commettere impurità con la bocca, né unirti alle donne perverse che commettono tali impurità. Questo animale, invero, concepisce con la bocca. Mosè, avendo ricevuto tre precetti sui cibi, parlò in senso spirituale. Quelli, invece, li ricevettero secondo la passione della carne, nel senso materiale di alimento. David comprese il senso dei tre comandamenti e dice similmente: «Beato l'uomo che non ha camminato nel consiglio degli empi», come i pesci che camminano nell'oscurità degli abissi, e non si ferma nella via dei peccatori, come coloro che mostrano di temere il Signore e poi peccano come il maiale, e non si è seduto sulla cattedra delle pestilenze, come i volatili appollaiati per la rapina. Avete il significato pieno sul nutrimento. Mosè dice pure: «Nutritevi di ogni animale che ha il piede diviso e che rumina». Perché lo dice?: (è l'animale) che quando prende il cibo conosce chi lo nutre e quando riposa sembra che gioisca in lui. Disse bene guardando al precetto. Cosa dice dunque? Siate uniti a quelli che temono il Signore, a quelli che meditano nel cuore il senso esatto della parola che hanno appreso, che parlano dei comandamenti del Signore e li osservano, che sanno che la meditazione è di letizia e che ruminano la parola del Signore. Quale il senso del piede diviso? Che il giusto cammina in questo mondo e aspetta la beata eternità. Considerate come ebbe a legiferare saggiamente Mosè. Ma come è possibile per loro cogliere e penetrare tutto ciò? Noi, avendo capito esattamente i precetti, li esprimiamo come ha inteso il Signore. Per questo ha circonciso i nostri orecchi e i nostri cuori, perché comprendessimo queste cose.”

Da quanto mi risulta molti fratelli separati mangiano la carne di maiale, come anche pesci che non hanno squame, come polipi, seppie e frutti di mare vari, come mai visto che la Bibbia apparentemente proibisce tali cibi? Gli Avventisti del Settimo Giorno, non mangiano questo tipo di cibi, attenendosi semplicemente ad una interpretazione letteralistica.
I fratelli separati sanno spiegare perché molti di loro non seguono alla lettera tali prescrizioni?
Perché nel comandamento che proibisce le immagini e le sculture, non ammettono alcuna interpretazione, mentre nella prescrizione dei cibi immondi e in altri passi biblici interpretano e spiegano? Ma, se non sbaglio, vanno ripetendo che la Bibbia non si interpreta.
La lettera di Barnaba fa parte della Tradizione ecclesiastica, essa spiega molto bene il significato simbolico degli animali proibiti.
I fratelli separati (quando gli torna comodo) non attingono forse anche loro dalla Tradizione, per spiegare molti versetti difficili da capire a primo approccio?
Come mai allora denigrano continuamente la Tradizione cattolica, quando anche loro vi attingono in molti casi? Mangiando la carne degli animali “proibiti”  attingono alla Tradizione, non sapendo di farlo, perché molti pastori non glielo spiegheranno mai. Solo gli Avventisti rifiutando la Tradizione, e preferendo intepretare alla lettera, non mangiano tali carni. Peccato però che anche questi ultimi mancano di coerenza, quando si avventurano in intepretazioni fantasiose circa la fine del mondo, attribuendo agli scritti di Daniele significati arbitrari ed eretici.
Come mai per rispondere a queste domande molti fratelli separati vanno a citare la frase che disse Gesù: “Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!”  e invece non danno il giusto peso alla frase di Gesù che circa il più grande comandamento?
Gesù disse: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 39E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Se un cristiano ama il nostro Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutta la sua mente, è normale che non ama altri dèi, e anche se usa sculture o immagini raffiguranti Cristo o alcuni santi della Chiesa la sua mente è sempre rivolta a Dio. Il cristiano sa che i santi portano a Dio, se andiamo a leggere gli insegnamenti dei molti santi cristiani, ci accorgiamo che insegnano ad amare Dio, non sono paragonabili agli insegnamenti buddisti, induisti, newage ecc., che portano all’idolatria e all’esaltazione delle capacità umane. I fratelli separati sono proprio sicuri che i cattolici amano i santi più di Dio? Gli atteggiamenti devozionali verso i santi sono idolatria?
Dato che Gesù disse “i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità” come mai S. Paolo non cacciava i discepoli che gli si avvicinavano per essere guariti? Perché quando Pietro passava  e guariva con la sua ombra, non esortava i discepoli ad adorare Dio in spirito e verità, piuttosto che cercare lui (Pietro), per essere guariti? Rimandiamo il lettore al capitolo relativo “all’intercessione dei santi” che spiega in maniera più ampia il significato della frase “adorare in spirito e verità”.
Gli uomini hanno sempre avuto un linguaggio e un modo di ragionare diverso da quello di Dio, agli uomini servono segni per credere meglio. Ecco perché la Bibbia è ricca di segni rivolti all’uomo, a cominciare dalla sua creazione dal fango (o polvere), proprio perché il fango o la polvere rappresentano il più inutile elemento della materia. Certamente Dio non aveva bisogno della materia per creare l’uomo, eppure nella Bibbia leggiamo che si servì della polvere per plasmare l’uomo. Sta a significare che anche il più inutile degli elementi nelle mani di Dio prende vita e assume un suo significato. Agli uomini serve sapere che chiunque crede nella potenza di Dio e segue i suoi insegnamenti può operare miracoli nel suo nome, i santi operano miracoli nel nome di Dio, questo insegnano nei loro scritti, come questo insegna la Chiesa cattolica.
Lo Spirito guida chi con cuore puro cerca la verità, cercare la verità però non significa avere dettate tutte le spiegazioni utili, dallo Spirito di Dio, ma adoperarsi a capire tramite lo studio e il confronto, avere l’umiltà di confrontarsi, anche questo fa parte del disegno di Dio per l’uomo. Se la verità mi venisse dettata in un sogno siamo sicuri che l’indomani mattina ci crederei ciecamente o non comincerei a pensare che ciò potrebbe essere frutto della mia fantasia?
Dio, ha dotato l’uomo di intelligenza, per poter discernere il bene dal male, il corretto dall’errato, l’aiuto divino sta proprio nel rendere la mente acuta per meglio capire i suoi insegnamenti, ma l’appagamento e la convinzione di essere nella verità ci viene dall’averla sperimentata, dallo studio, dall’indagine e dal confronto. Ecco perché tutte le chiese cattoliche o protestanti organizzano dei corsi biblici, nonostante molte confessioni protestanti amano far credere ai propri fedeli che in realtà loro non hanno bisogno di studi biblici perché lo Spirito Santo li guida. Diverse volte ho fatto notare questo strano modo di insegnare, dicono che chiunque può capire da se stesso la Bibbia, e poi si premurano di spiegare i vari versetti; non sarebbe il caso di dirla tutta la verità invece di una parte solamente? Chiunque può capire da se stesso la Bibbia, è vero, ma questo chiunque deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare, non gli si deve sconsigliare di leggere i libri dei padri e fare confronti con la dottrina cattolica, portando come motivazione che l’unico libro importante e autorevole è la sola Bibbia, perché così si impedisce ai fedeli di verificare e trovare da se stessi la verità.  Ma certi passi biblici hanno bisogno di spiegazioni perché non sono di facile comprensione eccone un esempio:
Gb 1,6-12 "Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. 7Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa». 8Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male». 9Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? 10Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. 11Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!». 12Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore.”

S. Agostino risponde ai manichei che confondevano i fedeli dicendo che in questo passo di Giobbe leggiamo che satana ha visto Dio nonostante nella Bibbia vi è scritto che “solo i puri di cuore vedranno Dio”, i testimoni di Geova odierni asseriscono che da questi versetti si deduce che satana in quel tempo poteva accedere presso Dio e vederlo, deducendone altre eresie che mirano a dimostrare che Gesù è una creatura (un angelo) e non Dio come il Padre,
ma Agostino dice: “Sta scritto che il diavolo si presentò al cospetto di Dio; non è scritto che abbia visto Dio”
e ancora: “Se dunque non è scritto che il diavolo ha visto Dio, ma solo che è pervenuto insieme agli angeli alla presenza del Signore e che ha udito la sua voce , perché questi disgraziati si danno tanto da fare per attribuire alle Scritture che il diavolo ha visto Dio, adescando gli inesperti? Questa loro difficoltà si risolve con una brevissima risposta. Per quanta sia la prolissità con cui si sforzano di cercare in che modo il diavolo abbia potuto vedere Dio, noi risponderemo: "Il diavolo non ha visto Dio". Riprenderanno: "Come dunque ha parlato con lui?". Qui veramente non noi, ma i ciechi debbono confutare la cecità del loro cuore. Coloro infatti che sono ciechi negli occhi del corpo, sempre possono parlare con coloro che essi non possono vedere. "Come allora - soggiungono - il diavolo è giunto alla sua presenza?". Alla stessa maniera con cui il cieco è alla presenza di chi vede, anche se non lo può vedere. Questi esempi, fratelli carissimi, sono stati portati per smascherare la malizia degli uomini carnali affinché, se possibile, confutati in questo modo, pieghino i loro cuori, divenuti onesti, ad istruirsi con docilità. Che forse Dio è circoscritto da un luogo, lui al quale è presente ogni coscienza angelica e umana, non solo buona, ma anche cattiva? Veramente è importante questa distinzione: che mentre alle buone coscienze è presente come Padre, alle cattive è presente come giudice. Sta scritto infatti: Dio giudica il giusto e l'empio. Come anche sta scritto: Saranno esaminati i pensieri dell'empio. Il Signore non si fa sentire alle orecchie del corpo in maniera più forte che nel segreto del pensiero, dove lui solo ascolta, dove lui solo è udito. Non succede forse che anche gli empi, quando dicono il vero e non si crede loro, giurano dicendo (e lo dicono con perfetta verità): "Mi è testimone Dio"? Dove, per favore, è testimone? Nella lingua o nel cuore? Nel rumore della voce o nel silenzio della coscienza? Perché la maggior parte degli uomini si spazientisce se non gli si crede, mentre sa di aver detto il vero, se non perché non possono aprirci il loro cuore, dove Dio è testimone?.”
“Senza motivo pertanto [i manichei] cercano di indagare come il diavolo poté arrivare a Dio tramite Cristo. Il diavolo infatti non può arrivare alla beatitudine della contemplazione, alla quale la fede in Cristo conduce quanti sono puri di cuore. Non per questo però il diavolo non poté udire la voce di Dio che parlava, come molti uomini, anche coloro che non credettero in Cristo, poterono udire dal cielo la voce di Dio che diceva: L'ho glorificato e lo glorificherò ancora, quando il Signore pregò: Padre, glorifica il Figlio tuo.”
“La frase che troviamo scritta: che cioè il diavolo venne alla presenza di Dio, non è stata scritta nel senso che taluno possa qualche volta fuggire dalla presenza di Dio, al cui sguardo ogni cosa soggiace e al quale sono manifesti i reconditi di ogni cuore, ma nel senso che quanto la Scrittura ha narrato avvenne nell'ignoranza da parte della creatura; per questo è scritto: Un giorno gli angeli andarono a presentarsi davanti a Dio, benché mai si ritraggano dalla presenza di Dio. In qualunque parte vengano inviati, c'è sempre la presenza di Dio. Ma è chiamato propriamente presenza di Dio ciò che lo sguardo umano non può penetrare, come sono i segreti della coscienza. Pertanto, quando rimproveriamo un tale che ha mentito, diciamo che non ha parlato alla presenza di Dio, poiché non ha detto quanto nel suo animo vede solo Dio, in cui invece l'uomo non può penetrare con lo sguardo. Poiché quegli avvenimenti sono accaduti tanto occultamente che non potevano essere manifestati agli uomini se non per rivelazione dello Spirito Santo, attraverso le sacre Scritture viene narrato che si venne alla presenza di Dio e che lì accaddero.”
“Il fatto poi che il diavolo era in mezzo agli angeli, se intendi gli angeli buoni, intendi anche il diavolo in mezzo a loro come il reo sta in mezzo agli uscieri per essere ascoltato dal giudice. La Scrittura non specifica quali fossero quegli angeli. Se invece si trovava in mezzo agli angeli cattivi, che meraviglia fa che il principe e il comandante fosse contornato dalla turba dei suoi ministri? Se invece la frase "al cospetto di Dio" la prendi nel senso che gli angeli sono venuti alla presenza di Dio e che non solo sono da lui visti, ma che anch'essi vedono lui, l'affermazione che il diavolo era in mezzo ad essi devi intenderla nel senso che egli non vedeva Dio che invece gli stessi angeli vedevano e anche che Dio parlò al diavolo tramite qualcuno dei santi angeli. Nel libro sacro c'è scritto soltanto: Dio disse. Anche nei processi giudiziari, benché il giudice parli per lo più tramite il pubblico ufficiale, quando si scrivono gli atti viene riportato il nome del giudice, non anche quello del pubblico ufficiale. Come un uomo, indegno della visione profetica, può tuttavia stare in mezzo a profeti e udire soltanto quanto tramite essi rivela il Signore, senza vedere quanto essi vedono, così anche il diavolo poté stare in mezzo agli angeli santi che vedevano Dio, tramite i quali poteva udire la voce di Dio, mentre non poteva vederlo.”
“Vedete dunque che, per quanto riguarda questo argomento, le astuzie dei manichei sono state smascherate in molti modi. Non dovete pertanto credere, carissimi fratelli, che il diavolo abbia veramente parlato a Dio in maniera che abbia potuto anche vedere il volto della Verità, che solo i puri di cuore vedono; o che abbia potuto arrivare a quella visione della beatitudine, alla quale a nessuno è permesso di arrivare se non tramite il Signore Gesù Cristo. Ma tuttavia mi stupisco grandemente per la spudoratezza di questi uomini, i quali vogliono criticarci con malevolenza su quanto riguarda la visione della sostanza divina e attribuiscono falsamente alle nostre Scritture cose che non vi sono scritte, cioè che il diavolo abbia veduto Dio. Per questo fatto cercano di far nascere tanto sdegno che chi, inorridendo, giudica inammissibile che il diavolo abbia potuto vedere Dio, non comprendendo pienamente, nella sua diffidente ignoranza, il significato di quanto vi è scritto, non riconosce più l'autorità delle divine Scritture; mentre essi stessi non negano che il Signore nostro Gesù Cristo sia Dio, pur inventandosi che sia apparso in mezzo agli uomini senza aver assunto un corpo umano.”
Senza queste chiari spiegazioni che ci da S. Agostino avremmo facilmente capito il corretto significato di quei versetti?
I manichei erano degli eretici, i catari, gli albigesi, e alcuni altri ripresero la loro dottrina, ma il bello è che alcuni pentecostali quando gli si chiede dove erano nei primi secoli del cristianesimo, tendono ad identificarsi con catari, albigesi, ecc. la loro ignoranza li porta ad accostarsi agli eretici, pur di dimostrare la loro antichità!
Sperando di essere stato chiaro, e utile alla conoscenza della verità, nel mio piccolo, concludo questo lungo capitolo esortandovi a rileggerlo di tanto in tanto per tenere bene impresse nella memoria tutte le vincende e i metodi che hanno contribuito alla scelta dei Libri Sacri, che oggi compongono la nostra Bibbia.
Molte citazioni del presente capitolo sono state prese dal libro “Introduzione alla Bibbia” ed.  Marietti.


Per chiarire le posizioni della Chiesa Cattolica riportiamo alcuni punti tratti dal Catechismo Maggiore di San Pio X (1905). Tali posizioni  possono essere criticate o condivise, possono essere considerate opportune o inopportune, oscurantiste o illuminate, prudenti o severe, attuali o superate. Vanno comunque conosciute e rispettate come di solito si  rispettano le scelte educative di una buona madre nei confronti dei propri figli.
883 D. È necessaria a tutti i cristiani la lettura della Bibbia?
R. La lettura della Bibbia non è necessaria a tutti i cristiani, ammaestrati come sono dalla Chiesa, ma però è molto utile e raccomandata a tutti.
884 D. Si può leggere qualunque traduzione volgare della Bibbia?
R. Si possono leggere quelle traduzioni volgari della Bibbia, che sono riconosciute fedeli dalla Chiesa cattolica, e sono accompagnate da spiegazioni approvate dalla Chiesa medesima. 
885 D. Perché si possono leggere le sole traduzioni della Bibbia, che sono approvate dalla Chiesa?
R. Si possono leggere le sole traduzioni della Bibbia che sono approvate dalla Chiesa, perché essa sola è legittima custode della Bibbia. 
886 D. Per mezzo di chi possiamo noi conoscere il vero senso delle Sacre Scritture?
R. Il vero senso delle Sacre Scritture noi possiamo conoscerlo solo per mezzo della Chiesa, perché solo la Chiesa non può errare nell'interpretarle.
887 D. Che dovrebbe fare il cristiano se gli venisse offerta la Bibbia da un protestante o da qualche emissario dei protestanti?
R. Se ad un cristiano venisse offerta la Bibbia da un protestante, o da qualche emissario dei protestanti, egli dovrebbe rigettarla con orrore, perché proibita dalla Chiesa; che se l'avesse ricevuta senza badarvi, dovrebbe tosto gettarla alle fiamme, o consegnarla al proprio parroco. 
888 D. Perché la Chiesa proibisce le Bibbie protestanti?
R. La Chiesa proibisce la Bibbie protestanti perché o sono alterate e contengono errori, oppure, mancando della sua approvazione e delle note dichiarative dei sensi oscuri, possono nuocere alla Fede. Per questo la Chiesa proibisce eziandio le traduzioni della Sacra Scrittura già approvate da essa, ma ristampate senza le spiegazioni dalla medesima approvate.