29 marzo 2017

Isaia 49,14-15

"Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato". 
Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.


18 marzo 2017

Romani 5,8

".... Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi."

17 marzo 2017

"Il “buon confessore” è, innanzitutto, un vero amico di Gesù Buon Pastore. Senza questa amicizia, sarà ben difficile maturare quella paternità, così necessaria nel ministero della Riconciliazione."


Cari fratelli,

sono lieto di incontrarvi, in questa prima udienza con voi dopo il Giubileo della Misericordia, in occasione dell’annuale Corso sul Foro Interno. Rivolgo un cordiale saluto al Cardinale Penitenziere Maggiore, e lo ringrazio per le sue cortesi espressioni. Saluto il Reggente, i Prelati, gli Officiali e il Personale della Penitenzieria, i Collegi dei penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali in Urbe, e tutti voi partecipanti a questo corso.

In realtà, ve lo confesso, questo della Penitenzieria è il tipo di Tribunale che mi piace davvero! Perché è un “tribunale della misericordia”, al quale ci si rivolge per ottenere quell’indispensabile medicina per la nostra anima che è la Misericordia divina!

Il vostro corso sul foro interno, che contribuisce alla formazione di buoni confessori, è quanto mai utile e direi perfino necessario ai nostri giorni. Certo, non si diventa buoni confessori grazie ad un corso, no: quella del confessionale è una “lunga scuola”, che dura tutta la vita. Ma chi è il “buon confessore”? Come si diventa buon confessore?

Vorrei indicare, al riguardo, tre aspetti.

1. Il “buon confessore” è, innanzitutto, un vero amico di Gesù Buon Pastore. Senza questa amicizia, sarà ben difficile maturare quella paternità, così necessaria nel ministero della Riconciliazione. Essere amici di Gesù significa innanzitutto coltivare la preghiera. Sia una preghiera personale con il Signore, chiedendo incessantemente il dono della carità pastorale; sia una preghiera specifica per l’esercizio del compito di confessori e per i fedeli, fratelli e sorelle che si avvicinano a noi alla ricerca della misericordia di Dio.

Un ministero della Riconciliazione “fasciato di preghiera” sarà riflesso credibile della misericordia di Dio ed eviterà quelle asprezze e incomprensioni che, talvolta, si potrebbero generare anche nell’incontro sacramentale. Un confessore che prega sa bene di essere lui stesso il primo peccatore e il primo perdonato. Non si può perdonare nel Sacramento senza la consapevolezza di essere stato perdonato prima. E dunque la preghiera è la prima garanzia per evitare ogni atteggiamento di durezza, che inutilmente giudica il peccatore e non il peccato.

Nella preghiera è necessario implorare il dono di un cuore ferito, capace di comprendere le ferite altrui e di sanarle con l’olio della misericordia, quello che il buon samaritano versò sulle piaghe di quel malcapitato, per il quale nessuno aveva avuto pietà (cfr Lc 10,34).

Nella preghiera dobbiamo domandare il prezioso dono dell’umiltà, perché appaia sempre chiaramente che il perdono è dono gratuito e soprannaturale di Dio, del quale noi siamo semplici, seppur necessari, amministratori, per volontà stessa di Gesù; ed Egli si compiacerà certamente se faremo largo uso della sua misericordia.

Nella preghiera, poi, invochiamo sempre lo Spirito Santo, che è Spirito di discernimento e di compassione. Lo Spirito permette di immedesimarci con le sofferenze delle sorelle e dei fratelli che si avvicinano al confessionale e di accompagnarli con prudente e maturo discernimento e con vera compassione delle loro sofferenze, causate dalla povertà del peccato.

2. Il buon confessore è, in secondo luogo, un uomo dello Spirito, un uomo del discernimento. Quanto male viene alla Chiesa dalla mancanza di discernimento! Quanto male viene alle anime da un agire che non affonda le proprie radici nell’ascolto umile dello Spirito Santo e della volontà di Dio. Il confessore non fa la propria volontà e non insegna una dottrina propria. Egli è chiamato a fare sempre e solo la volontà di Dio, in piena comunione con la Chiesa, della quale è ministro, cioè servo.

Il discernimento permette di distinguere sempre, per non confondere, e per non fare mai “di tutta l’erba un fascio”. Il discernimento educa lo sguardo e il cuore, permettendo quella delicatezza d’animo tanto necessaria di fronte a chi ci apre il sacrario della propria coscienza per riceverne luce, pace e misericordia.

Il discernimento è necessario anche perché, chi si avvicina al confessionale, può provenire dalle più disparate situazioni; potrebbe avere anche disturbi spirituali, la cui natura deve essere sottoposta ad attento discernimento, tenendo conto di tutte le circostanze esistenziali, ecclesiali, naturali e soprannaturali. Laddove il confessore si rendesse conto della presenza di veri e propri disturbi spirituali – che possono anche essere in larga parte psichici, e ciò deve essere verificato attraverso una sana collaborazione con le scienze umane –, non dovrà esitare a fare riferimento a coloro che, nella diocesi, sono incaricati di questo delicato e necessario ministero, vale a dire gli esorcisti. Ma questi devono essere scelti con molta cura e molta prudenza.

3. Infine, il confessionale è anche un vero e proprio luogo di evangelizzazione. Non c’è, infatti, evangelizzazione più autentica che l’incontro con il Dio della misericordia, con il Dio che è Misericordia. Incontrare la misericordia significa incontrare il vero volto di Dio, così come il Signore Gesù ce lo ha rivelato.

Il confessionale è allora luogo di evangelizzazione e quindi di formazione. Nel pur breve dialogo che intesse con il penitente, il confessore è chiamato a discernere che cosa sia più utile e che cosa sia addirittura necessario al cammino spirituale di quel fratello o di quella sorella; talvolta si renderà necessario ri-annunciare le più elementari verità di fede, il nucleo incandescente, il kerigma, senza il quale la stessa esperienza dell’amore di Dio e della sua misericordia rimarrebbe come muta; talvolta si tratterà di indicare i fondamenti della vita morale, sempre in rapporto alla verità, al bene e alla volontà del Signore. Si tratta di un’opera di pronto e intelligente discernimento, che può fare molto bene ai fedeli.

Il confessore, infatti, è chiamato quotidianamente e recarsi nelle “periferie del male e del peccato” - questa è una brutta periferia! - e la sua opera rappresenta un’autentica priorità pastorale. Confessare è priorità pastorale. Per favore, che non ci siano quei cartelli: “Si confessa soltanto lunedì, mercoledì dalla tal ora alla tal ora”. Si confessa ogni volta che te lo chiedono. E se tu stai lì [nel confessionale] pregando, stai con il confessionale aperto, che è il cuore di Dio aperto.

Cari fratelli, vi benedico e vi auguro di essere buoni confessori: immersi nel rapporto con Cristo, capaci di discernimento nello Spirito Santo e pronti a cogliere l’occasione di evangelizzare.

Pregate sempre per i fratelli e le sorelle che si accostano al Sacramento del perdono. E, per favore, pregate anche per me.

E non vorrei finire senza una cosa che mi è venuta in mente quando il Cardinale Prefetto ha parlato. Lui ha parlato delle chiavi e della Madonna, e mi è piaciuto, e dirò una cosa… due cose. A me ha fatto tanto bene quando, da giovane, leggevo il libro di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori sulla Madonna: Le glorie di Maria. Sempre, alla fine di ogni capitolo, c’era un miracolo della Madonna, con cui lei entrava nel mezzo della vita e sistemava le cose. E la seconda cosa. Sulla Madonna c’è una leggenda, una tradizione che mi hanno raccontato esiste nel Sud d’Italia: la Madonna dei mandarini. E’ una terra dove ci sono tanti mandarini, non è vero? E dicono che sia la patrona dei ladri. [ride, ridono] Dicono che i ladri vanno a pregare là. E la leggenda – così raccontano – è che i ladri che pregano la Madonna dei mandarini, quando muoiono, c’è la fila davanti a Pietro che ha le chiavi, e apre e lascia passare uno, poi apre e lascia passare un altro; e la Madonna, quando vede uno di questi, gli fa segno di nascondersi; e poi, quando sono passati tutti, Pietro chiude e viene la notte e la Madonna dalla finestra lo chiama e lo fa entrare dalla finestra. E’ un racconto popolare, ma è tanto bello: perdonare con la Mamma accanto; perdonare con la Madre. Perché questa donna, quest’uomo che viene al confessionale, ha una Madre in Cielo che gli aprirà la porta e lo aiuterà al momento di entrare in Cielo. Sempre la Madonna, perché la Madonna aiuta anche noi nell’esercizio della misericordia. Ringrazio il Cardinale di questi due segni: le chiavi e la Madonna. Grazie tante.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/march/documents/papa-francesco_20170317_corso-foro-interno.html

16 marzo 2017

ll mistero della Sindone: le corrispondenze con i Vangeli



Emanuela Marinelli, insieme a Marco Fasol, ha da poco mandato in libreria un nuovo volume intitolato «Luce dal sepolcro. Indagine sull’autenticità della Sindone e dei Vangeli» (Fede & Cultura), un'inchiesta sul telo ora esposto a Torino ma anche sulla storicità dei racconti evangelici, che in quel lino si rispecchiano. Il libro ha la prefazione del cardinale Vicario di Roma, Agostino Vallini. Vatican Insider ha intervistato l'autrice.

Nel vostro libro fate un confronto serrato tra la Sindone di Torino e il racconto dei Vangeli della passione. Che cosa emerge?

«L’Uomo della Sindone ha subito una terribile flagellazione che non era il normale preludio alla crocifissione. Una flagellazione così abbondante, inflitta come punizione a se stante, trova spiegazione solo nella doppia condanna decisa da Pilato, che in un primo tempo sperava di salvare la vita a Gesù con un solo castigo non mortale. È seguita una dolorosa coronazione con un casco di spine, fatto unico nella storia e inventato dai soldati per dileggiare il Re dei Giudei. Poi il faticoso trasporto del patibulum (la trave orizzontale della croce), le tragiche cadute lungo la strada, lo strazio dei chiodi della crocifissione conficcati nei polsi e nei piedi senza alcun sostegno, lo sfregio del colpo di lancia post-mortale. Tutto coincide perfettamente con la narrazione evangelica, anche l’avvolgimento per poche ore in una Sindone pregiata invece della sepoltura in una fossa comune, destino di tutti i crocifissi. Ne consegue che l’Uomo della Sindone può essere identificato: è Gesù di Nazareth. 

Quali sono, in sintesi, le ultime acquisizioni scientifiche in merito alla Sindone di Torino e alla formazione dell'immagine impressa sul telo?

«Per verificare l'antichità della Sindone, nel 2013 presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova sono state condotte tre nuove analisi che datano la reliquia all’epoca di Cristo. La datazione tramite analisi spettroscopica vibrazionale Ft-Ir (dall’inglese Trasformata di Fourier all’InfraRosso) è risultata del 300 a.C. ±400 anni al livello di confidenza del 95%. L’analisi vibrazionale Raman ha fornito come datazione del Telo il valore di 200 a.C. ±500 anni, sempre al livello di confidenza del 95%. Il terzo metodo di datazione è meccanico e per applicarlo è stata appositamente progettata e costruita una macchina di trazione per fibre tessili vegetali. Cinque proprietà meccaniche delle fibre variano in modo biunivoco con il tempo. La datazione meccanica multiparametrica ottenuta su questi cinque parametri significativi, combinati tra loro, ha portato a un’età della Sindone del 400 d.C. ±400 anni al livello di confidenza del 95%. La media dei valori risultanti dalle due datazioni chimiche e da quella meccanica fornisce la data più probabile della Sindone del 33 a.C. ±250 anni al livello di confidenza del 95%. Il mistero più difficile da risolvere, però, è quello dell’origine dell’immagine umana. È certo che il lenzuolo ha avvolto un cadavere, ma è altrettanto certo che quel cadavere non è rimasto a putrefarsi nel lenzuolo. Inoltre – fatto unico e inspiegabile - ci ha lasciata impressa una specie di fotografia di se stesso. L’immagine è una disidratazione e ossidazione della stoffa, senza sostanze di apporto. La colorazione, estremamente superficiale, penetra solo per 200 nanometri nelle fibrille. Nel corso degli ultimi decenni si sono tentate molte strade per spiegare l’immagine sindonica con le sue particolari caratteristiche. In modo particolare, la superficialità dell’immagine e la sua assenza sotto le macchie di sangue hanno privilegiato l’ipotesi che una esplosione di luce potesse essere alla sua origine. Molte prove sperimentali sono state fatte a questo scopo con vari tipi di laser, ma solo ultimamente l’utilizzo di laser a eccimeri potenti e con impulsi di breve durata hanno dato risultati interessanti. Infatti, con laser a eccimeri che emettono nell’ultravioletto si è ottenuta una colorazione giallina, compatibile con le immagini sindoniche e le loro caratteristiche. Ma penso che non sapremo mai come un cadavere abbia potuto formare un’immagine che si può spiegare solo con un’esplosione di luce…».

Mentre è evidente l'importanza del legame tra l'immagine sindonica e il racconto evangelico, non le sembra rischioso affermare che la Sindone «conferma» i Vangeli?

«Non è rischioso, è doveroso, perché troppo spesso è stata messa in dubbio l’attendibilità dei racconti evangelici tentando di farli passare per allegorie, per narrazioni simboliche. Un esempio per tutti: il “sangue e acqua” che Giovanni vede uscire dalla ferita del costato. La Sindone conferma che da quello squarcio uscì sangue già parzialmente raggrumato e siero separato. Giovanni dunque ha davvero visto quello che descrive».

Come spiega la datazione medioevale emersa dall'esame al carbonio 14?

«In base all’analisi con il metodo del radiocarbonio, la Sindone risalirebbe al medioevo, a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Numerose obiezioni sono state però mosse al risultato di questo test da parte di vari scienziati, che ritengono insoddisfacenti le modalità dell'operazione di prelievo e l'attendibilità del metodo per tessuti che hanno subito vicissitudini come quelle della Sindone. In particolare, nell’angolo da cui fu fatto il prelievo è presente cotone, prova di un rammendo da parte della suore clarisse di Chambéry dopo il terribile incendio che aveva danneggiato gravemente il lenzuolo nel 1532. Su questo argomento mi permetto di suggerire la lettura di un mio specifico articolo: http://www.sindone.info/VALENC-1.PDF».

Perché secondo lei la Sindone continua ad affascinare e attirare milioni di persone?

«Perché la Sindone è un Vangelo scritto con il sangue stesso di Cristo e contemplare le sue piaghe, meditare sul suo amore per noi, non può lasciare indifferenti. È l’amore più grande, lo ricorda il motto stesso dell’Ostensione di quest’anno. Tutte le nostre sofferenze, tutti i nostri dolori sono spiegati e sublimati nelle sofferenze e nei dolori di Gesù, liberamente e volontariamente accettati per la nostra salvezza. È il mistero del nostro destino, che è un destino di amore. È questo che dà senso alla nostra vita».

http://www.documentazione.info/ll-mistero-della-sindone-le-corrispondenze-con-i-vangeli

14 marzo 2017

...e gli scribi e farisei dei giorni nostri che vogliono imporre pesanti fardelli chi sono?

"Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato"

12 marzo 2017

Come si fa ad incontrare Dio. "Ma che cos'è questa presenza che scatta solamente quando io amo?

Omelia di P. Emidio A.
Innanzi tutto guardando gli eventi, ma gli eventi, di per se, possono dire tutto e possono dire niente; se uno ha avuto la grazia di conoscere un pochino la Bibbia, un pochino l'Antico Testamento, quei momenti in cui Dio si manifesta ad Abramo, si manifesta a Giacobbe, si manifesta a Giuseppe, a Mosè, al popolo ebraico e poi riflette sui fatti significativi della sua vita, comincia a cogliere come dei punti di incontro, come se fossero delle maglie la tua vita e altre maglie la Parola di Dio. Tu le metti insieme, rifletti, per esempio sulla tua vita alla luce della Parola di Dio e, viceversa, leggi la Bibbia e dici:" Ma c'è qualche fatto nella mia vita che assomiglia a questo?" e, certe volte, queste maglie si intersecano e tu scopri che certe cose corrispondono.
Vi faccio un esempio personale: io ero andato in India, quando avevo 20 anni, per cercare un'esperienza forte di Dio dopo le tante esperienze deludenti della parrocchia, ma non trovavo niente; la spiritualità mi sembrava tutta astratta, molto alienante. Ero andato con tante belle speranze, avevo letto Siddharta ecc. poi là ho incontrato tutta gente strampalata, gente che spacciava l'essere fusi con l'essere mistici, gente che non si nutriva per tanto tempo, gente che diceva sempre le stesse parole, che non dormiva, poi andava fuori di testa e diceva: "Ho avuto il nirvana, ho incontrato il nirvana". Ma non mi convinceva.
Poi, un'altra cosa che non mi convinceva era che lì c'era tanta gente che soffriva e, non solo non la si aiutava, ma si diceva: " E' giusto, perchè nella vita precedente si è goduto la vita "; poi c'era quel poveraccio che a Katmandu aveva una gamba con le mosche, grossa così e " nell'altra vita, quello, chissà che cavolo ha fatto, gli sta bene", a me questa cosa sembrava un po' strampalata; poi c'era quello che aveva gli occhi persi e diceva: "Io ho Dio dentro, io lo sento, comunichiamo così", io pensavo: "Bho, sarà".
Invece avevo scoperto che tutte le volte che regalavo le mie cose, che mi occupavo degli altri, che amavo, mi accadevano un sacco di fattarelli, proprio fatti provvidenziali, incontri, il centuplo, tantissime volte; in un modo che superava molto la statistica.
Tornai in Italia con questi interrogativi: "Ma che cos'è questa presenza che scatta solamente quando io amo?" ; non era solamente la gioia, erano fatti, eventi, circostanze.
Tornai, sempre molto diffidente con la Chiesa, però con l'interrogativo: "Che cos'è questa X che si interseca con la mia vita" e quando, durante una catechesi sentii parlare di questi personaggi che conoscevo fino alla nausea, Abramo esci dalla tua terra, Mosè salva il mio popolo, ecc., guarda caso, dopo aver avuto quegli incontri provvidenziali, mi accorsi che quei fatti successi tremila anni fa, assomigliavano tantissimo alle cose che erano successe a me.
E questo è quello che mi ha fatto accendere un pochino la lucetta, perchè io le cose le sapevo, avevo fatto catechismo in parrocchia, ero impegnato, avevo tante idee in testa, l'impegno, i poveri, la vita come responsabilità, però era tutto rimasto volontarismo; io, quando feci questo incontro tra la Parola di Dio e la mia vita, ebbi una rivelazione.
Vi assicuro che io ancora vivo di questa logica; io ho 37 anni, da 15 anni sono frate e da 8 sacerdote e se dovessi dire perchè io sto qua, perchè ho donato la mia vita al Signore, è perchè io continuamente vedo che qualcuno mi parla con gli eventi.
E la cosa strana, che mi fa capire che io non sono tanto matto è che tanta gente, quando la introduco in questa logica, la gente ritorna e dice: "Ma lo sai che è vero. Lo sai che entrando in quella frequenza, su quel binario, le cose che tu m'hai detto, succedono".
E' come dicessi." Per andare a Firenze vai sulla E7, al bivio vai verso Perugia, poi prendi l'autostrada, ecc. ". E quello dice: "Ma lo sai che hai ragione?"
E ho ragione sì, ci sono stato, lo so sì. Solo che, siccome il mondo dello spirito è sempre visto come qualcosa di molto fumoso, qualcosa di molto aleatorio, quando una cosa funzione, uno si meraviglia; è talmente abituato alle fregature che quando una cosa va dice che i conti tornano. E' come se dicesse: "Ma lo sai che il fegato sta a destra? Ho fatto la lastra e sta a destra, come dicevi tu".
E così è come quando uno incontra il Signore.
Questo è il primo punto importante: se uno non ha fatto qualche esperienza reale, oggettiva, esterna a se, non legata solamente al sentimento e all'impegno, ma a un fatto esterno, non ha ancora Fede.
Faccio un esempio: quando Giacobbe stava scappando perchè il fratello lo voleva uccidere, ha un sogno e dice: "E' un sogno o è vero? Ma Dio c'è veramente o no?" E ci mette un segnalino, una pietra alta così, una stele e dice: "Caro Dio, se è vero che tu non mi dai una fregatura, quando ritorno ti faccio un sacco di sacrifici, ti offro una mucca, un agnello, una pecora:"
E, dopo un po', quando vede che Dio c'è veramente, comincia ad entrare in questa logica.
E questa logica si può trasmettere ai figli, agli amici, a quelli che tu conosci.
Questo è il primo punto: se uno non ha mai incontrato il Signore negli eventi, in un modo esterno a se, corre un grave rischio; cioè è uno che costruisce sul nulla, costruisce sugli ormoni, sulle emozioni.
C'è gente che ci crede da morire e poi non ci crede da morire contemporaneamente. Perchè? Perchè il mondo emotivo è estremamente fluttuante, basta uno stato depressivo che manda a far friggere tutta la presunte fede che tu credevi di avere.
Quindi se uno ha avuto questo incontro con Dio, esterno a sè e se questo incontro è trasmissibile agli altri e se gli altri ci si ritrovano, probabilmente tu sei entrato nella Fede, altrimenti, per quanto tu abbia l'amore nel cuore, la gioia, la felicità e le sensazioni, stai molto in campana, vai calmino perchè potrebbe finire tutto; basta un incidente, basta una delusione, basta una fregatura perchè tutta quella fede diventa che cosa? Rabbia, ateismo, frustrazione, odio ecc.
Questo è il primo punto, ora veniamo al clou, alla cosa importante: il perdono.
Quando uno comincia a percepire questo Dio, comincia a percepire questa presenza, questa realtà che ti parla, anche se non è proprio una cosa chiara, è una intuizione, ad un certo momento, nel corrispondere a questa presenza ( perchè è logico che se è una presenza tu vuoi corrispondere) tu non ce la fai.
Tu hai capito che la cosa è così, ma non ce la fai; hai capito dov'è il bene, lo vorresti fare, ma non ce la fai.
Hai capito che devi amare, che questa presenza ti ama e devi corrispondere, ma non ce la fai, l'altro proprio t'è antipatico, non lo reggi, tu, basta che quello apre bocca a te viene da vomitare, ecco, basta che uno parla ti viene sonno.
A me, certa gente mi fa venire sonno, basta che apre bocca io mi addormento; che devo fare?
Oppure quell'altro tu sai già dove va a parare, basta che dice A, tu sai già che dice E, ed è vero.
Cioè senti con gli altri, una specie di fastidio, una specie di sospetto, una specie di qualcosa che non và.
Eppure tu tu impegni, ti spremi, dici: " No, io devo dare il buon esempio", eppure non lo sopporti quello e cerchi di farti violenza e ti ripeti che devi dare la testimonianza però tu non ci riesci.
Oppure l'ira: c'è gente che è tanto santa però quando qualcuno la va a toccare entra nell'ira; oppure, a volte, c'è una pigrizia fortissima che ti prende, un senso di impotenza di fronte a un problema, chi più ne ha, più ne metta.
Quindi potremmo dire che, ad un certo momento, per quanto il tuo io, la tua volontà abbia capito certe cose e tu le spieghi benissimo agli altri anche (potrebbe darsi che tu sia una grande guida spirituale per gli altri), però, quando si tratta di metterle in pratica, tu sei paralizzato.
San Francesco fece questa esperienza quando già aveva incontrato il Signore, aveva già fatto una esperienza forte di Lui, aveva visto che interveniva nella storia, un giorno, però, incontra un lebbroso, prova tanto di quello schifo nel vederlo che capisce che in lui c'è un mondo misterioso, quello che poi si chiama comunemente il mondo dell'inconscio,che va da un'altra parte.
Francesco dice: "Quando io ero nei peccati, infatti mi sembrava molto amaro vedere i lebbrosi."
Cioè Francesco capisce dal fatto che lui prova un fastidio enorme di fronte a quella creatura, che lui naviga nei peccati, cioè che c'è in lui un mondo profondo ostile a Dio.
Qui non è tanto il peccato di mutua coscienza: c'è quella persona con cui non ti parli, hai quella colpa di tipo sessuale, hai un atteggiamento un po' arrogante; questi qua sono vizietti, ma c'è un peccato in cui tu nuoti, qualcosa di storto, di sballato, di rotto di cui tu, spesso, non hai neanche coscienza, se non riflessa, se non perchè te lo dice un altro, quando tu glielo permetti, poi.
Questo è un altro problema del peccato, del male che è in noi: quando uno è intelligente, l'altro ha paura anche di dirtelo.
A volte, tua moglie che ti conosce ha paura di dirtelo, magari ti fa una faccia un po' così; una volta c'era una coppia che conoscevo, sapete quelle coppie modello della santità: andavano a tutti gli incontri sulla famiglia, facevano dei sorrisi che sembrava non avessero mai litigato, spiegavano alle coppie giovani come si faceva quando si litigava, erano perfetti; e un sacco di volte mi è successo che, mangiando insieme, uno andava al bagno e l'altro: "Che pizza, quello". Perchè? Perchè si doveva sfogare, al figlio non glielo puoi dire, alla gente non glielo puoi dire per non dare il cattivo esempio, ma al frate con cui hai confidenza dici:"Non ne posso più. E' una pizza, quello" e viceversa, quando poi si fa il cambio. Perchè? Perchè c'è questo non so che non va; ecco si può partire da tanti punti di vista per capire che c'è in noi questo qualcosa di pesante, che poi è il peccato.
Che poi sapete che cos'è, in fondo? E' la nostra creaturalità che si oppone a Dio.
Il dramma dell'uomo è che c'è in noi questo mondo biologico, questo mondo psichico, che di per sé dovrebbe essere terreno in cui Dio può germogliare, che vuole essere autonomo.
Dio è il seme, questo è il terreno, solo che questo terreno si è reso autonomo; ecco il peccato.
Provate a pensare che c'è un vaso di terra, io ci metto un semino, il semino rimbalza, scappa fuori una capoccia di terra e dice: "Io voglio essere me stessa, sai?" "Ma tu sei la terra." "No, io sono me stessa, che è questo seme in più? Io del seme scelgo ciò che mi piace.".
Questo è il peccato originale; cioè questo mondo che di per sè è nulla, è aria, è terra, è vanità, attraverso l'intelligenza e la coscienza, vuole essere se stesso.
In questo voler essere se stesso, la Parola di Dio, cioè questa proposta di divinità che ci viene offerta, noi la rifiutiamo; in nome della verità, in nome dell'impegno, perchè vogliamo essere noi stessi.
Questo è il peccato, cioè il peccato è non riconoscere la nostra fondamentale creaturalità.
Uno, a livello teorico, lo riconosce; se tu dicessi di essere Dio ti ricoverano, però tu, di fatto, vuoi che Dio ti aiuti ad essere te stesso.
Invece tu sei te stesso, veramente, quando diventi figlio suo.
Quindi il peccato è tutto ciò che in noi non riconosce veramente di essere creatura, per cui i santi, che a noi sembrano chissà chi, sono persone normali, sono persone che hanno capito la vita.
Ora passo al secondo punto: di fronte a questo Dio che è così buono, che si manifesta, c'è in noi una profondissima resistenza, quello che Paolo chiama la "carne", per esempio, a rispondere al suo intervento.
E il dramma è che noi facciamo questo, spesso, in nome di Dio.
Io ricordo, quando studiavo teologia, c'era un laico impegnato, che siccome stava in pensione, aveva un sacco di tempo per studiare, andava in biblioteca, comprava un sacco di libri; io mi ricordo che una della cose che più mi colpiva era che questo qui stava sempre ad intervenire sulla fede con consigli, ma io percepivo un qualcosa, pensavo: "Questo qui, per me, appiccica tutto", era pesante questa persona. E un giorno questo si confida che aveva il figlio e la figlia che erano atei proprio, la moglie pure non lo seguiva molto in questa cosa qua; che era successo? Parlando, vedendo ecc. questo qui aveva usato la fede, la teologia, per opporsi all'amore e alla responsabilità; aveva fatto una miscela esplosiva per cui lui, non solo non si era convertito, ma allontanava gli altri.
Questo nella parrocchia avviene un sacco di volte, io lo chiamo il "gruppo tappo", cioè la gente che si autoelegge salvatrice e salvatore degli altri, perchè fa tante cose, però, di fatto, Dio non entra. 
Quindi quando l'altro vede te, dice: "Ma io non voglio essere come quello".
Quando i conquistadores andarono in America Latina dicevano:" Il Paradiso, il Paradiso", ma un indios disse: "Guarda, se in Paradiso ci sta la gente come te, voglio andare all'inferno".
Questo è un gravissimo problema delle parrocchie, gente che si autoelegge perchè si impegna, perchè è sensibile, perchè ha dei doni anche, però molto spesso usa le cose di Dio, per essere se stessa; si fa questa bella corazza e, di fronte agli altri, che non ti sopportano perchè sei impossibile, tu ti fai anche martire; dici: "Ecco, la verità non è accolta, venne tra la sua gente e i suoi non l'accolsero", ma è che tu rompi proprio, non ti accolgono perchè tu non sei cristiano.
Allora se uno, ad un certo punto della sua vita perlomeno ha una intuizione di questa presenza, lì inizia la conversione; fin quando uno non ha assaggiato questa cosa che non va, soprattutto in se stesso.
Negli altri non ci vuol niente; a capire gli altri siamo tutti psicanalisti e parapsicologi, a guardare gli altri e a guardar noi!
Perchè noi siamo quello che siamo; è come uno che cerca gli occhiali e non li trova perchè ce l'ha; noi non riusciamo a vedere i nostri peccati, perchè sono tutt'uno con noi.
Tu puoi capire che qualcosa non va, solamente per analogia con gli altri, per Fede, perchè qualche fratello, con tanta umiltà te lo dice e per qualche situazione conflittuale inspiegabile in cui ti ritrovi a vivere.
Ecco, attraverso questi piccoli tasselli tu puoi avere una mezza intuizione di quello che è il peccato, cioè di questa realtà opposta a Dio, che non ti fa amare Lui, non ti fa amare gli altri, non ti fa amare te stesso.
Quando uno comincia ad assaggiare, però a livello esperienziale, queste realtà, lì può iniziare quello che si chiama il perdono, cioè, là, uno può iniziare a vivere.
Cominciamo un pochino.
Primo perdono: bisogna saper perdonare Dio.
E' logico che non è un perdono oggettivo, Dio t'ha creato che ti vuoi perdonare, però nella nostra mente, nel più profondo del nostro cuore, noi ce l'abbiamo con Dio. Tutti quanti.
Normalmente, fin quando uno è ragazzetto, coccolato, ha molti doni, è caruccio, intelligente, bravo, tutti gli vogliono bene, grosso modo si convive con Dio, grosso modo.
Qualcosa non mi va, ma il grosso mi va; però quando io comincio a sentire che la mia volontà viene contrastata un pochino, mi comincio ad arrabbiare.
Non è che poi uno bestemmia in modo esplicito, però, ad esempio, a livello fisico la ragazza tredicenne appena si accorge, guardando una rivista o guardandola telenovela, che non assomiglia a quella là o a quello là, comincia ad arrabbiarsi; comincia a piantare un muso che non finisce più. 
Mentre il muso che hai piantato con tuo padre o con tua madre, perchè non ti vogliono comprare quelle scarpe o la giacchetta, dura fin quando poi non te la comprano, siccome non è che tu puoi cambiare faccia o cambiare corpo, 'sto muso una volta che comincia, non finisce più. C'è gente che proprio s'arrabbia con Dio, è una specie di rabbia diffusa, non è a volte chiaro, però c'è una tristezza di fondo; il fatto che tu non assomigli o al premio nobel, o all'attore, o all'attrice, o al cantante tu sei arrabbiato di quello.
E, se ci fate caso, spesso è gente che ha molti doni che è arrabbiata, perchè è un fatto profondo. Cioè noi, in qualche modo, siamo arrabbiati con Dio perchè non siamo tutti dei geni, perchè non siamo tutti quanti personaggi da film. Se poi, Dio non voglia, c'è successo un fattaccio, ti è morta una persona cara, ti è morto un parente, ti è morto un amico, là apriti cielo; la rottura è completa. C'è gente che, perchè ha perso una persona cara, si è talmente arrabbiata con Dio che non penetra niente, è una specie di alibi per odiare Lui, per odiare la vita, per odiare se stessi.
Questo è il primo punto: bisogna perdonare Dio.
E' logico che è Lui che deve perdonare noi, però a livello profondo noi siamo come quei ragazzini che mettono il broncio; il broncio è, sapete, un meccanismo diffusissimo, è un meccanismo automatico, autodistruttivo e distruttivo verso gli altri che scatta automatico quando tu ti vedi frustrato in qualche modo.
Questo è un qualcosa di talmente radicato che a volte uno non se ne accorge, ma gli altri se ne accorgono, ma tu non te ne accorgi, allora tu cosa devi fare?
Devi in qualche modo chiedere a Dio: "Signore aiutami a perdonarti"
Tu, in fondo devi capire che Lui è Dio e tu sei la creatura, che Lui è il vasaio e tu sei il vaso, che Lui è il seminatore che dà il seme e tu sei il terreno.
Uno, se capisce questo, almeno a livello teorico è già tantissimo.
A me, una cosa che mi sorprende è incontrare persone che hanno sofferto tantissimo e che sono meravigliose.
Tra le persone più care, più belle spiritualmente che conosco, c'è gente che ha sofferto un sacco: che ha avuto il papà alcolizzato, che ha avuto una situazione di povertà in famiglia; molti, da queste realtà escono induriti, però, alcune persone che hanno la grazia di essere docili, da queste realtà vengono fuori trasformate.
Io conosco una suora che veniva continuamente picchiata da suo padre che era alcolizzato e la mamma spesso con lei scappava perchè questo le inseguiva, ne era terrorizzata; ad un certo punto si è riconciliata con Dio ed è una persona di una dolcezza, di una capacità di accoglienza che manco ve l'immaginate.
E' come se la Pietà di Michelangelo un giorno scoprisse che tutti quei colpi che ha subito l'hanno trasformata in un capolavoro.
E la controprova sapete qual'é? Che la gente che ha avuto tutto, che è bella, che è ricca, che è intelligente e tutto quanto, spesso è la gente più fallita che esista. Cioè la gente che dovrebbe ringraziare Dio, e statisticamente c'è qualcuno che ha tutto, quella è la gente più triste, più arrabbiata e più egoista. Io ho capito questo.
Una volta, durante uno dei corsi vocazionali che noi facciamo, dopo un po' la gente viene a parlare, io mi ricordo c'erano in fila un ragazzo veramente bellissimo e una ragazza, vi assicuro, mostruosa, che aveva il volto sfigurato, non so che malattia aveva, gli occhi erano due fessure, la pelle brutta ecc; entra questo dentro, che poi era un professore, ricco e dice: "Io sono ateo, perchè io di fronte a queste cose che fa Dio io non le sopporto, la sofferenza ecc." e se ne va.
Entra questa ragazza bruttissima che spingeva l'altro ad essere ateo e dice: "Quanto sono felice! Quanto ringrazio Dio! Io sono brutta, lo so, ma io insegno e i bambini mi vogliono un sacco bene, mi accettano benissimo; tempo fa mio padre stava male e Dio me l'ha guarito, pure questo, non solo la gente mi ama, ma pure Dio. Quanto ringrazio Dio!"
Queste cose le vedo continuamente, ma questa contrapposizione mi colpì molto, perchè il motivo che spingeva uno ad essere ateo era il motivo per cui quest'altro ringraziava il Signore.
C'è gente che si scandalizza perchè c'è quella ingiustizia, perchè c'è quella sofferenza, ma mi ricordo di una signora che era 35 anni che stava paralizzata a letto, 35 anni, neanche la testa muoveva e le chiesi: "Ma da quanto tempo è che stai a soffrire?", "Da oggi"; questa era una persona piena di luce, piena d'amore, piena di bontà.
Ho visto gente col tumore, con le metastasi che ringraziava Dio; gente che si era convertita proprio grazie alle sofferenze.
C'era uno che era un pezzo grosso del partito comunista che era un santo, un santo; era pieno di metastasi diceva: "Io veramente ho capito Dio, adesso che ho visto la realtà, mi è caduta l'illusione, ho capito Dio:"
Questo per dirvi che il dolore può essere a volte fonte di disperazione, non voglio essere semplicione, però una persona quando comincia a piantarla di giudicare Dio, quando lo perdona, quando lo accoglie, là la persona comincia a capire.
Quindi un modo perchè questo bubbone, questa realtà che ci ostruisce l'animo, questa realtà che ci deforma possa essere combattuta è il perdonare Dio, cioè accettare la nostra condizione di creature, accettare che Lui sia il progettista e noi i progetti.
Poi, legato a questo c'è il perdono verso gli altri.
Normalmente uno ce l'ha con gli altri; i primi sono i genitori.
Non c'è persona al modo che, dopo cinque minuti che sta parlando dei suoi problemi, facendo la psicanalisi da pizzicarolo, dice che è così perchè la madre non lo ha amata, perchè il padre l'ha amata, perchè il nonno non l'ha amata come doveva amarla.
E' un discorso di una banalità infinita; è una pseudo-spiegazione, ti pare che spieghi, ma non ti spiega niente: t'ha amato, non t'ha amato, t'ha amato troppo, t'ha amato troppo poco, t'ha amato male, ma alla fine l'altro è come è, i tuoi genitori sono così.
Se dallo psicanalista, invece che andarci tu, che ti dice che la colpa è di tua madre, ci va tua madre, la colpa è di tua nonna; insomma lo psicanalista dà la colpa alla persona che non paga. Cioè uno ha i genitori che ha.
Ad esempio mio padre era un tipo piuttosto apprensivo, una persona a volte molto pesante, depresso e io pensavo: "Ma perchè deve essere così, mannaggia la miseria", lo odiavo ecc. poi sapete quando sono cambiato con lui? Un giorno, vedendo le foto, ho visto una foto sua di quando aveva sedici anni: aveva una giacca tutta piena di pieghe e gli chiesi il perchè: era appena morto mio nonno e lui a sedici anni si dovette occupare di mia nonna che era malata, di due fratelli più piccoli, doveva lavorare e doveva studiare. Doveva fare tutto lui, non era capace a stirare ecco perchè aveva quella giacca piena di pieghe. Oggi i ragazzi a sedici anni non sanno allacciarsi neanche le scarpe!
E mia madre a cinque anni doveva andare in campagna a dar da mangiare agli animali, a sette anni doveva salire su un seggiolino e fare la pasta.
Quando io ho capito queste cose ho cominciato a pensare: "Ma chi sono io da pretendere che siano squisiti nel dirmi le cose, che siano sempre perfetti a livello psicologico, ma ringrazio Dio che, con tutto quello che hanno sofferto, mi hanno amato, mi hanno sopportato". Questo lo dico soprattutto ai giovani e anche agli adulti che hanno magari qualcosa con i genitori loro. Quante volte noi accusiamo i genitori nostri per colpe che non hanno!
Una volta, mi ricordo che stavo in una missioncina e una ragazza mi parlava del padre che non credeva, che era qui, che era lì, ma, mi raccontava che aveva sofferto tantissimo: da bambino aveva perso i genitori, era andato in guerra, aveva visto la gente morire, alla fine di questo racconto mi sono messo a piangere e ho pensato: "Ma quest'uomo è un santo, con quello che ha sofferto ha avuto ancora voglia di lavorare, di farsi una famiglia, di sopportare i figli."
Qualche tempo fa, mi ricordo, facevo dell'ironia su un ragazzo che mentre parlava diceva qualche stupidaggine, si scordava le cose ecc., ma, parlando un po' con lui mi disse che era rimasto attaccato alla corrente per alcuni minuti, era stato in coma per tre mesi, era rimasto paralizzato per sei mesi; si era scordato tutto il suo passato e a diciannove anni ha dovuto ricominciare ad imparare. Ed io che stavo a fare dell'ironia su qualche cavolata che diceva! Perchè non sapevo. Ed ecco, allora quando qualcuno sembra che ci abbia fatto qualcosa, stiamo attenti, perchè chissà quanto dolore c'è dietro quella persona! Che ne sappiamo noi! Dietro quella arroganza, dietro quella durezza, dietro quella maleducazione, a volte, che ne sappiamo noi cosa c'è. Parlo dei genitori perchè, normalmente è l'esperienza con cui noi facciamo i conti, ma anche quel professore, quell'amico; che ne sappiamo noi!
Io ricordo che una volta c'era un frate che io consideravo molto rozzo, molto duro; io lo sfottevo; un giorno si venne a confessare da me e ad un certo punto mi raccontò le sue sofferenze: "Io non ce la faccio ad essere buono, io provo un'invidia per lei, io non ho avuto mai niente dalla vita, io mi sento complessato, non valgo niente, io capisco che dovrei essere diverso, mi sforzo, ma non ci riesco, mi scappano le durezze, che devo fare?"
Questo è un altro filone: quando qualcuno ci urta, quando qualcuno sembra ci abbia fatto del male, stiamo attenti prima di giudicarlo, perchè potrebbe essere una persona che ha sofferto nonché sai quanto e in quel momento, magari sta dando il meglio di sè. Quella cosa che ti urta, magari è il meglio che lui può dare; cominciare a ragionare così ti aiuta tantissimo a capire l'altro.
A me colpì molto quando, sentendo le efferatezze che aveva compito Lenin, lessi che quando era giovane gli uccisero un fratello che gli era carissimo e quel giorno " il cuore di Lenin diventò di ferro". Certe volte noi che ne sappiamo degli altri, quindi perdonare gli altri, perchè noi non sappiamo quanto possano aver sofferto.
Poi c'è il punto dei punti: perdonare se stessi.
Questo è un problema molto delicato, sapete, perchè noi non abbiamo una idea chiara su questo punto, perchè? Perchè noi a livello pratico ci giustifichiamo continuamente, sembra che noi siamo molto indulgente con noi stessi.
Se uno ha un po' di dimestichezza con Dio, sa che Dio è amore, che Dio è bontà, che Dio è perdono, e quindi il perdono dovrebbe essere una cosa semplice, ma spesso c'è un giudizio inconscio su noi stessi che è spaventoso.
Francesco, ad un certo punto della sua vita si convertì; era una persona che pregava, che faceva penitenza, che evangelizzava, dava tutto al Signore; meglio di questo non si poteva, eppure, dopo tanto tempo, un giorno mentre stava qui alla Porziuncola si sentì che era stato perdonato; cioè si era perdonato. Dio aveva fatto talmente "violenza" su di lui che lo aveva spinto a perdonarsi e Francesco provò una gioia così grande che chiese al Papa di concedergli l'indulgenza della Porziuncola; cioè Francesco chiese al Papa che questa esperienza che lui aveva fatto, di sentire veramente il perdono, potesse essere comunicata a tutti, diceva: "Voglio mandarvi tutti in Paradiso". Che cos'era? Era la possibilità di ricominciare tutto da capo.
Per capire quello che vi dico, provate a pensare a qualche fratellino, figlio, cuginetto che ha sette-otto anni; guardate quel volto, quel volto che non ha ancora commesso peccati grossi, che è ancora buono, che è benevolo, che magari dà un calcio al cugino e tutto finisce lì, che magari dice una parolaccia e poi si pente.
Che cosa c'è a quel punto? C'è una confidenza con Dio.
Anche se non capisce tante cose, però c'è un rapporto di freschezza, di fiducia; ad un certo momento comincia qualche cosa, comincia che vede un film in un certo modo, o che si masturba, o che dice una bestemmia, o che magari ruba qualcosa in casa, ecc. e ti accorgi che non è più lui. Si va a confessare, però non è più lui. Sul volto ha una pieghetta, appare un ghigno, che è successo?
Quella persona si sta giudicando; c'è una presenza dentro, l'accusatore, che dice: "Guarda che tu ormai sei di serie B, ormai la cosa è finita."
Siccome l'uomo non è capace di perdonare veramente, entra in questa logica: una volta che una cosa è fatta, una volta che un vaso cinese l'hai rotto, è rotto, si vede che l'hai incollato, non suonerà più; in noi c'è questa esperienza che una volta che la frittata è stata fatta le uova non si possono più rifare. Una volta che tu hai deluso te stesso, c'è una impossibilità a ricominciare da capo.
Invece è possibile perdonare se stessi.
Spesso noi cristiani vediamo Cristo nei poveri, nei malati ecc., ma non riusciamo a vedere Cristo in noi stessi; non riusciamo ad accettarci veramente, non riusciamo ad amarci, a perdonare noi stessi.
Perchè non vuoi avere piètà di te, della tua debolezza, delle tue incongruenze?
Perchè non vuoi avere pietà?
Io vi vorrei dare un metodo che vi può un pochino aiutare su questo: provate, una volta nella vita a fare una bella confessione generale. Questo è un grandissimo aiuto a perdonare se stessi.
Dio non sta lì con il foglietto a segnarsi tutto, però sei tu che ti segni tutto.
In qualche esperienza di pre-morte, la gente racconta che mentre sta in coma vede tutta la sua vita come in un film, proprio perchè la gente memorizza tutto; se provi a pensare alle cose che ti hanno fatto gli altri, ti ricordi tutto, non ti sfugge niente; tanto più le cose che hai fatto tu.
Per esempio se tu non ti stimi, non ti accetti, non vai avanti, ti paralizzi.
Come cosa pratica, se uno vuol perdonare se stesso, una volta si prenda dei fogli e cominci a segnarsi le cose storte che si porta dentro, sia i peccati che ha fatto, sia i momenti brutti che ha vissuto, sia tutto quello che ha subito, cioè tutto quello che non funziona dentro; io vi dico che se una volta uno fa una confessione fatta "col raschietto", è una esperienza bellissima.
Se uno dice: " Per una volta voglio fare verità; per una volta nella mia vita voglio andare in cantina con la luce a 2000 Watt e voglio vedere quello che sta dentro a tutti i buchetti." è una esperienza bellissima.
Io mi sono confessato diverse volte in questo modo, e, dopo 13 anni che ero frate, tre anni fa, mi ricordo che la notte di Natale andai a dire Messa in una comunità di ex-drogati e, guardando quelle facce, per sintonia mi tornarono in mente alcune cose che avevo dimenticato. Finita la Messa andavamo a mangiare il panettone, ma, prima, mi sono voluto confessare di quello che avevo fatto da ragazzetto.
La mattina ho rivisto il cielo veramente azzurro, cioè mi sono accorto che l'aver detto quella cosa mi aveva rimesso in armonia con me stesso.
Di peccati ce n'ho sempre tantissimi, ma quell'esperienza vi auguro che ognuno di voi la passa fare: tornare in pace con te stesso, consapevole che, una volta che tu sei sincero tutte le cose riprendono.
In sintesi.
Dio si manifesta con gli avvenimenti, però in te c'è una incapacità di rispondere a Lui.
In tè c'è una capacità di percepire negli altri un male e questo male, uno dei metodi per affrontarlo qual'è? E' il perdono.
Perdonare Dio, quindi accettare che tu sei creatura, senza darGli consigli.
Perdonare gli altri, sapendo che molte volte tu le cose degli altri non le sai.
Perdonare te stesso perchè tu sei uno dei tanti, ama il prossimo come te stesso, questo si può fare con una confessione fatta veramente per bene.
Tutto questo si fa come?
In una comunità, in cammino, in un contesto, in carovana, tutti quanti insieme, perchè proprio stando insieme ci si accorge delle varie spigolosità, ci si accorge dei vari problemi e ci si accorge delle varie conquiste; cioè basterebbe che qualcuno veramente facesse questo, perdonare Dio, gli altri e se stesso, che gli altri se ne accorgono subito.
E quando uno si accorge che qualcun'altro è cambiato, allora veramente la conversione può avere inizio.

8 marzo 2017

Ma chi lo dice che Papa Francesco non si inginocchia dinanzi al Santissimo?

La foto è di ieri, durante gli esercizi spirituali del Papa

Tra l'altro Papa Francesco l'ho visto inginocchiato dinanzi al Santissimo anche io con i miei occhi il giorno del Corpus Domini a Santa Maria Maggiore a Roma. Nonostante ciò i soliti hanno negato che il Papa si sia inginocchiato


28 MAGGIO 2016 - Papa Francesco inginocchiato dinanzi al Santissimo il giorno del Corpus Domini - Roma - Basilica di Santa Maria Maggiore.

7 marzo 2017

Le false profezie di Malachia e della Emmerich sui “due papi”

Immancabile in tante persone la smania di correre dietro alle “profezie”, tanto più gettonate
quanto più possono far pensare a una prossima fine del mondo. Come se il 21 dicembre 2012 non avesse insegnato niente!
Gruppi estremisti tradizionalisti o ai margini della Chiesa cattolica (come la setta della “veggente” Maria Divina Misericordia e la setta di Gallinaro), e altri seguaci di false o non approvate rivelazioni private cattoliche, fanno un gran polverone con la presunta “profezia dei due papi“. Un’altra molto gettonata è la “profezia dell’ultimo papa o profezia sui Sovrani Pontefici” falsamente attribuita a San Malachia.

PROFEZIA “DEI DUE PAPI”
La “profezia dei due papi” è tratta dagli scritti della beata Anna Caterina Emmerich. Molti tradizionalisti (ed anche la stessa falsa veggente Maria Divina Misericordia, MDM), sostengono che tale “profezia” riguarda la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II e, in particolare, il rapporto tra Papa Francesco e Benedetto XVI. Il testo dimostra chiaramente che questo è del tutto falso: innanzitutto, le parole trascritte della Emmerick non sono una profezia, ma una visione. Sappiamo inoltre che dal 1819 fino al giorno del suo trapasso, nel 1824, la Emmerick dettò le sue visioni al poeta romanticista Clemens Brentano, che trascrisse quanto diceva seduto al capezzale della beata: ciò mette ulteriormente in guardia dall’interpretare a piacimento tali rivelazioni private. Occorre cautela nel fare parallelismi pericolosi nell’ambito di un discernimento che spetta soltanto al Magistero della Chiesa!
La visione della Emmerick riguarda la situazione della Chiesa nel 19° secolo, e sono identificati i due papi: Bonifacio IV, che regnò nel 608-615 e Pio VII, regnante nel 1800-1823. I passaggi rilevanti sono questi: «Poi ho avuto una visione meravigliosa. Roma mi è apparsa improvvisamente nei primi tempi … ho visto un Papa e un imperatore il cui nome non conoscevo. Non riuscivo a trovare la mia strada nella città, anche le cerimonie sacre; eppure le ho riconosciute come cattoliche […]. Quando avevo assistito a questa visione, anche nei più piccoli dettagli, ho visto ancora una volta l’attuale Papa(Pio VII) e la chiesa buia del tempo a Roma. Sembrava essere una grande, vecchia casa come un municipio con colonne di fronte… [questa descrizione si adatta ad un tempio massonico di quel tempo, nda]. Poi ho visto la connessione tra i due papi e i due templi […]. Il quadro era favorevole ai primi tempi, perché in loro l’idolatria era in calo, mentre a nostri giorni è proprio il contrario» (da “La vita e le rivelazioni di Anna Caterina Emmerick completi”, p. 277 e segg.).
Il card José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, ha ritenuto non autentici gli scritti attribuiti alla Emmerick: «La beata (Anna Katharina Emmerick, 1774-1824) ci ha lasciato di sicuro solo tre lettere. Gli altri scritti, che le vengono erroneamente attribuiti, hanno diversa origine: le “visioni” della Passione di Cristo furono annotate, rielaborate con grande libertà e senza alcun controllo, dallo scrittore tedesco Clemens Brentano (1778-1842) e vennero pubblicate nel 1833 con il titolo: “L’acerba passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo”. Pertanto, le opere in discussione non possono considerarsi né scritte né dettate dalla Emmerick e neppure autentiche trascrizioni delle sue affermazioni edelle sue narrazioni, ma un’opera letteraria del Brentano e con tali ampliamenti e manipolazioni che è impossibile stabilire quale sia il nucleo vero e proprio da potersi attribuire alla beata. Ne consegue che gli scritti in questione non sono lo specchio verace del pensiero e delle esperienze mistiche della monaca agostiniana. Le singole affermazioni, sia quelle che esprimono una sana religiosità, sia quelle che presentano stranezze e sentimenti antisemiti, sono scaturite dalla creatività e dalla fantasia artistica del Brentano» (J.S. Martins, in L’Osservatore Romano, 7/10/2004).

PROFEZIA DI MALACHIA
Passiamo a considerare la profezia di Malachia, citando dal libro 2012. Catastrofismo e fine dei tempi (Piemme 2010). Si tratta di un elenco di 111 papi apparso 450 anni dopo la sua morte di Malachia in un’opera in lingua latina del monaco benedettino Arnoldo Wion, Lignum Vitae (1595), il quale lo ha introdotto così: «San Malachia morì il 2 novembre 1148. Noi possediamo tre lettere di San Bernardo a lui indirizzate, le epistole CCCXIII, CCCXVI e CCCXVII. Si crede che egli abbia scritto pure qualche opuscolo. Ma di lui non conosco che una certa profezia sui Sovrani Pontefici. Siccome questo scritto è breve e a quanto pare non è stato ancora stampato, lo riproduco qui per rispondere al desiderio di parecchi». L’elenco parte da Celestino II (1143-1144) e ognuno dei papi è definito da un breve motto in latino che dovrebbe metterne in evidenza il nome, il simbolo, il luogo di provenienza o comunque un elemento che lo contraddistingue. Dopo l’elenco dei 111 papi, nel manoscritto si trova questa frase: «Nella persecuzione estrema, il trono della Santa Romana Chiesa verrà occupato da Pietro il Romano, che pascerà il suo gregge fra molte sofferenze, finite le quali la città dei sette colli verrà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il proprio popolo. Fine (o Amen)».
La “profezia” era già tornata di grande attualità dopo la morte di Giovanni Paolo II, che era il 110mo nell’elenco e ovviamente lo è ancora di più da quando Benedetto XVI ha rinunciato al ministero di vescovo di Roma. L’autenticità della “profezia” è stata però ripetutamente smentita da una seria ricerca storica. San Malachia è stato una figura molto importante della Chiesa irlandese e del monachesimo cistercense, San Bernardo ne ha scritto la biografia citando tutti gli aspetti possibili, personali e di governo della Chiesa, senza mai menzionare presunte profezie o rivelazioni personali riguardo al succedersi dei Papi. Il che sarebbe davvero strano se ci fosse stato un manoscritto del genere. In secondo luogo, il riferimento ai Papi precedenti il 1590 è abbastanza preciso, con motti che richiamano lo stemma o il casato, mentre per i Papi successivi il riferimento è molto più vago e diventa possibile solo andando alla ricerca di elementi eterogenei cosa che, tra l’altro, renderebbe possibile la compatibilità con qualsiasi personaggio. Ad esempio, il primo papa della lista, Celestino II, è definito Ex castro Tiberi, con allusione al luogo di origine del Papa, che nacque a Città di Castello, sul fiume Tevere. Eugenio III (1145-1153) è definito Ex magnitudo montis, e anche qui il riferimento è al luogo di nascita: Montemagno, in provincia di Pisa.
Se invece guardiamo ai papi della nostra epoca, le interpretazioni date ai rispettivi motti sono a dir poco forzate. Giovanni XXIII sarebbe Pastor et Nauta (pastore e marinaio) con riferimento al suo mandato di Patriarca di Venezia (antica repubblica marinara) o al ruolo di “traghettatore della Chiesa nel mare della modernità” attraverso il Concilio Vaticano II. Paolo VI è indicato dal motto Flos Forum, fiore dei fiori, definizione che alcuni attribuiscono al giglio: nello stemma di Paolo VI compaiono tre gigli. Giovanni Paolo I è De Medietate lunae, che molti hanno riferito al fatto che il suo pontificato – 33 giorni – è durato “il tempo di una luna” con riferimento al mese lunare; in realtà il mese lunare è di 28 giorni e mezzo mese lunare, come indica il motto, è quindi di 14 giorni. Giovanni Paolo II sarebbe De labore solis, che alcuni vedono come riferimento alla provenienza da un Paese dell’Est (dove sorge il sole). Benedetto XVI sarebbe poi De gloria olivae, motto che fa faticare non poco gli esegeti di Malachia: l’interpretazione che va per la maggiore fa riferimento al nome Benedetto sostenendo che i benedettini sono chiamati anche olivetani, il che però non è vero in quanto gli Olivetani sono soltanto un ramo riformato del monachesimo benedettino; più recentemente ci si è riferiti al fatto che Benedetto XVI ha canonizzato il fondatore degli Olivetani, san Bernardo Tolomei, ma si vede che per poter rendere credibile la profezia bisogna fare un notevole sforzo di fantasia. Del resto come non notare che un motto del genere è così vago da potersi adattare a chiunque? Ad un papa italiano (terra degli ulivi) come ad un papa mediorientale o nordafricano (di carnagione olivastra) o anche ad un papa impegnato per la pace (l’ulivo è simbolo di pace). Qualcuno prima del conclave che ha poi portato all’elezione del cardinal Ratzinger, aveva visto nella profezia di Malachia un rafforzamento della candidatura al papato del cardinal Martini: era sicuramente qualcuno esperto di cocktail visto che aveva associato l’oliva al Martini.
Un altro elemento sottolineato dai critici è il fatto che nell’interpretazione classica, nell’elenco dei Papi sono considerati anche dieci anti-papa, il che è quantomeno curioso. Per la Chiesa gli anti-papa non possono essere certo inclusi nella successione di Pietro (tanto è vero che l’esistenza di un anti-papa Giovanni XXIII all’inizio del XV secolo non ha impedito che papa Roncalli assumesse quel nome nel 1958) né nella profezia si fa menzione di eventuali anti-papa, come ci si aspetterebbe. Se dovessimo perciò togliere gli anti-papa dall’elenco troveremmo che Benedetto XVI non sarebbe più il 111esimo Papa della lista ma soltanto il 101mo, con tanti auguri agli esegeti per trovare un nuovo aggancio tra persona e motto.
Un ultimo problema riguarda il 112esimo della lista, Petrus Romanus. Secondo alcuni storici si tratterebbe di un’aggiunta al testo inserita nel XIX secolo, ma a parte questo, la profezia non parla di un 112esimo papa. La cosa ha dato adito a due interpretazioni. La prima è che ci possano essere altri papi dopo il numero 111 e prima di Petrus Romanus, che poi nella tradizione è diventato Pietro II: in questo caso la fine della Chiesa e del mondo sarebbe rimandata a data da destinarsi. La seconda è che dopo Benedetto XVI non ci sia un altro Papa, ma un “reggente” che guidi la Chiesa senza che ci siano tempo e condizioni per la convocazione o la conclusione di un conclave. In questo caso la fine sarebbe davvero prossima: al venir meno di un papa (per morte o, come in questo caso, per rinuncia) la reggenza della Chiesa spetta infatti, fino all’elezione del papa successivo, al cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa. Quindi, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, ci sarebbe dovuto essere come reggente il Camerlengo, che in quel momento era il cardinale Tarcisio Bertone, che era anche segretario di Stato vaticano. Ebbene, il nome completo del cardinale Bertone è Tarcisio Pietro Evasio, nato a Romano Canavese: ed ecco fatto Petrus Romanus, a patto di non farsi domande sul perché Malachia avrebbe indicato il secondo nome e non il primo, e usato come aggettivo (Romanus) il nome della città che in questo caso è sostantivo.
Ma, del resto, quando si è fermamente intenzionati a credere al catastrofismo apocalittico, si prende per buono tutto ed il contrario di tutto…

POST-SCRIPTUM
Nel libro-intervista Ultime conversazioni (Garzanti 2016), il Papa emerito Benedetto XVI ha risposto ironico ad una domanda sulla “profezia” di Malachia, secondo la quale il papato terminerebbe con il suo pontificato: «Probabilmente questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!» (p. 205).

5 marzo 2017

"La Parola di Dio: quella ha la forza per sconfiggere Satana. Per questo bisogna prendere confidenza con la Bibbia: leggerla spesso, meditarla, assimilarla. La Bibbia contiene la Parola di Dio, che è sempre attuale ed efficace."


PAPA FRANCESCO
ANGELUS

Piazza San Pietro
I Domenica di Quaresima, 5 marzo 2017



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa prima domenica di Quaresima, il Vangelo ci introduce nel cammino verso la Pasqua, mostrando Gesù che rimane per quaranta giorni nel deserto, sottoposto alle tentazioni del diavolo (cfr Mt 4,1-11). Questo episodio si colloca in un momento preciso della vita di Gesù: subito dopo il battesimo nel fiume Giordano e prima del ministero pubblico. Egli ha appena ricevuto la solenne investitura: lo Spirito di Dio è sceso su di Lui, il Padre dal cielo lo ha dichiarato «Figlio mio, l’amato» (Mt 3,17). Gesù è ormai pronto per iniziare la sua missione; e poiché essa ha un nemico dichiarato, cioè Satana, Lui lo affronta subito, “corpo a corpo”. Il diavolo fa leva proprio sul titolo di “Figlio di Dio” per allontanare Gesù dall’adempimento della sua missione: «Se tu sei Figlio di Dio…», gli ripete (vv. 3.6), e gli propone di fare gesti miracolosi - di fare il “mago” - come trasformare le pietre in pane per saziare la sua fame, e buttarsi giù dalle mura del tempio facendosi salvare dagli angeli. A queste due tentazioni, segue la terza: adorare lui, il diavolo, per avere il dominio sul mondo (cfr v. 9). 

Mediante questa triplice tentazione, Satana vuole distogliere Gesù dalla via dell’obbedienza e dell’umiliazione – perché sa che così, per questa via, il male sarà sconfitto – e portarlo sulla falsa scorciatoia del successo e della gloria. Ma le frecce velenose del diavolo vengono tutte “parate” da Gesù con lo scudo della Parola di Dio (vv. 4.7.10) che esprime la volontà del Padre. Gesù non dice alcuna parola propria: risponde soltanto con la Parola di Dio. E così il Figlio, pieno della forza dello Spirito Santo, esce vittorioso dal deserto.

Durante i quaranta giorni della Quaresima, come cristiani siamo invitati a seguire le orme di Gesù e affrontare il combattimento spirituale contro il Maligno con la forza della Parola di Dio. Non con la nostra parola, non serve. La Parola di Dio: quella ha la forza per sconfiggere Satana. Per questo bisogna prendere confidenza con la Bibbia: leggerla spesso, meditarla, assimilarla. La Bibbia contiene la Parola di Dio, che è sempre attuale ed efficace. Qualcuno ha detto: cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattiamo il nostro telefono cellulare? Se la portassimo sempre con noi, o almeno il piccolo Vangelo tascabile, cosa succederebbe?; se tornassimo indietro quando la dimentichiamo: tu ti dimentichi il telefono cellulare - oh!, non ce l’ho, torno indietro a cercarlo; se la aprissimo diverse volte al giorno; se leggessimo i messaggi di Dio contenuti nella Bibbia come leggiamo i messaggi del telefonino, cosa succederebbe? Chiaramente il paragone è paradossale, ma fa riflettere. In effetti, se avessimo la Parola di Dio sempre nel cuore, nessuna tentazione potrebbe allontanarci da Dio e nessun ostacolo ci potrebbe far deviare dalla strada del bene; sapremmo vincere le quotidiane suggestioni del male che è in noi e fuori di noi; ci troveremmo più capaci di vivere una vita risuscitata secondo lo Spirito, accogliendo e amando i nostri fratelli, specialmente quelli più deboli e bisognosi, e anche i nostri nemici.


La Vergine Maria, icona perfetta dell’obbedienza a Dio e della fiducia incondizionata al suo volere, ci sostenga nel cammino quaresimale, affinché ci poniamo in docile ascolto della Parola di Dio per realizzare una vera conversione del cuore.

vatican.va

#nonsiateridicoli

Fin troppe volte ho sentito dire, e l'ultima volta ieri nel corso di esercizi spirituali, che tutti i battezzati devono trasmettere la fede, non è che la fede là si può trasmettere con un'ora di catechismo a settimana con il tutto da demandare al prete e al catechista di turno. I primi a dover trasmettere la fede devono essere i genitori che se si dicono cristiani, questo è il più grande dono che possono fare ai propri figli: trasmettergli la fede. Ed è giusto che sia così. D'accordo al 100%. Tutti i battezzati sono tenuti a dare testimonianza e quindi come conseguenza di ciò si può incontrare anche chi ti chiede, e quindi delle risposte si devono pur dare. Ma se testimoniando la fede ci sta chi ti chiede riguardo apparizioni, che sono pur sempre un argomento che riguardano la fede, come ci si deve comportare? 
La prudenza in questi casi è d'obbligo e credo la cosa più saggia da fare sia quella di attenersi a quanto decide la Chiesa, attenersi ai documenti ufficiali pubblicati in proposito. Ma ciò evidentemente non basta perché poi ti ritrovi con eminentissimi don che ti dicono che se non credi a certe apparizioni, tra l'altro ancora non riconosciute, neanche ti puoi dire cristiano. Come anche altri, che si, puoi affrontare tutti i temi che vuoi riguardanti la fede, ma se si tratta di certe presunte apparizioni non devi fare altro che tacere.  #nonsiateridicoli

4 marzo 2017

Quanti sono oggi gli scribi e farisei che mormorano?


"Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano»."