12 marzo 2017

Come si fa ad incontrare Dio. "Ma che cos'è questa presenza che scatta solamente quando io amo?

Omelia di P. Emidio A.
Innanzi tutto guardando gli eventi, ma gli eventi, di per se, possono dire tutto e possono dire niente; se uno ha avuto la grazia di conoscere un pochino la Bibbia, un pochino l'Antico Testamento, quei momenti in cui Dio si manifesta ad Abramo, si manifesta a Giacobbe, si manifesta a Giuseppe, a Mosè, al popolo ebraico e poi riflette sui fatti significativi della sua vita, comincia a cogliere come dei punti di incontro, come se fossero delle maglie la tua vita e altre maglie la Parola di Dio. Tu le metti insieme, rifletti, per esempio sulla tua vita alla luce della Parola di Dio e, viceversa, leggi la Bibbia e dici:" Ma c'è qualche fatto nella mia vita che assomiglia a questo?" e, certe volte, queste maglie si intersecano e tu scopri che certe cose corrispondono.
Vi faccio un esempio personale: io ero andato in India, quando avevo 20 anni, per cercare un'esperienza forte di Dio dopo le tante esperienze deludenti della parrocchia, ma non trovavo niente; la spiritualità mi sembrava tutta astratta, molto alienante. Ero andato con tante belle speranze, avevo letto Siddharta ecc. poi là ho incontrato tutta gente strampalata, gente che spacciava l'essere fusi con l'essere mistici, gente che non si nutriva per tanto tempo, gente che diceva sempre le stesse parole, che non dormiva, poi andava fuori di testa e diceva: "Ho avuto il nirvana, ho incontrato il nirvana". Ma non mi convinceva.
Poi, un'altra cosa che non mi convinceva era che lì c'era tanta gente che soffriva e, non solo non la si aiutava, ma si diceva: " E' giusto, perchè nella vita precedente si è goduto la vita "; poi c'era quel poveraccio che a Katmandu aveva una gamba con le mosche, grossa così e " nell'altra vita, quello, chissà che cavolo ha fatto, gli sta bene", a me questa cosa sembrava un po' strampalata; poi c'era quello che aveva gli occhi persi e diceva: "Io ho Dio dentro, io lo sento, comunichiamo così", io pensavo: "Bho, sarà".
Invece avevo scoperto che tutte le volte che regalavo le mie cose, che mi occupavo degli altri, che amavo, mi accadevano un sacco di fattarelli, proprio fatti provvidenziali, incontri, il centuplo, tantissime volte; in un modo che superava molto la statistica.
Tornai in Italia con questi interrogativi: "Ma che cos'è questa presenza che scatta solamente quando io amo?" ; non era solamente la gioia, erano fatti, eventi, circostanze.
Tornai, sempre molto diffidente con la Chiesa, però con l'interrogativo: "Che cos'è questa X che si interseca con la mia vita" e quando, durante una catechesi sentii parlare di questi personaggi che conoscevo fino alla nausea, Abramo esci dalla tua terra, Mosè salva il mio popolo, ecc., guarda caso, dopo aver avuto quegli incontri provvidenziali, mi accorsi che quei fatti successi tremila anni fa, assomigliavano tantissimo alle cose che erano successe a me.
E questo è quello che mi ha fatto accendere un pochino la lucetta, perchè io le cose le sapevo, avevo fatto catechismo in parrocchia, ero impegnato, avevo tante idee in testa, l'impegno, i poveri, la vita come responsabilità, però era tutto rimasto volontarismo; io, quando feci questo incontro tra la Parola di Dio e la mia vita, ebbi una rivelazione.
Vi assicuro che io ancora vivo di questa logica; io ho 37 anni, da 15 anni sono frate e da 8 sacerdote e se dovessi dire perchè io sto qua, perchè ho donato la mia vita al Signore, è perchè io continuamente vedo che qualcuno mi parla con gli eventi.
E la cosa strana, che mi fa capire che io non sono tanto matto è che tanta gente, quando la introduco in questa logica, la gente ritorna e dice: "Ma lo sai che è vero. Lo sai che entrando in quella frequenza, su quel binario, le cose che tu m'hai detto, succedono".
E' come dicessi." Per andare a Firenze vai sulla E7, al bivio vai verso Perugia, poi prendi l'autostrada, ecc. ". E quello dice: "Ma lo sai che hai ragione?"
E ho ragione sì, ci sono stato, lo so sì. Solo che, siccome il mondo dello spirito è sempre visto come qualcosa di molto fumoso, qualcosa di molto aleatorio, quando una cosa funzione, uno si meraviglia; è talmente abituato alle fregature che quando una cosa va dice che i conti tornano. E' come se dicesse: "Ma lo sai che il fegato sta a destra? Ho fatto la lastra e sta a destra, come dicevi tu".
E così è come quando uno incontra il Signore.
Questo è il primo punto importante: se uno non ha fatto qualche esperienza reale, oggettiva, esterna a se, non legata solamente al sentimento e all'impegno, ma a un fatto esterno, non ha ancora Fede.
Faccio un esempio: quando Giacobbe stava scappando perchè il fratello lo voleva uccidere, ha un sogno e dice: "E' un sogno o è vero? Ma Dio c'è veramente o no?" E ci mette un segnalino, una pietra alta così, una stele e dice: "Caro Dio, se è vero che tu non mi dai una fregatura, quando ritorno ti faccio un sacco di sacrifici, ti offro una mucca, un agnello, una pecora:"
E, dopo un po', quando vede che Dio c'è veramente, comincia ad entrare in questa logica.
E questa logica si può trasmettere ai figli, agli amici, a quelli che tu conosci.
Questo è il primo punto: se uno non ha mai incontrato il Signore negli eventi, in un modo esterno a se, corre un grave rischio; cioè è uno che costruisce sul nulla, costruisce sugli ormoni, sulle emozioni.
C'è gente che ci crede da morire e poi non ci crede da morire contemporaneamente. Perchè? Perchè il mondo emotivo è estremamente fluttuante, basta uno stato depressivo che manda a far friggere tutta la presunte fede che tu credevi di avere.
Quindi se uno ha avuto questo incontro con Dio, esterno a sè e se questo incontro è trasmissibile agli altri e se gli altri ci si ritrovano, probabilmente tu sei entrato nella Fede, altrimenti, per quanto tu abbia l'amore nel cuore, la gioia, la felicità e le sensazioni, stai molto in campana, vai calmino perchè potrebbe finire tutto; basta un incidente, basta una delusione, basta una fregatura perchè tutta quella fede diventa che cosa? Rabbia, ateismo, frustrazione, odio ecc.
Questo è il primo punto, ora veniamo al clou, alla cosa importante: il perdono.
Quando uno comincia a percepire questo Dio, comincia a percepire questa presenza, questa realtà che ti parla, anche se non è proprio una cosa chiara, è una intuizione, ad un certo momento, nel corrispondere a questa presenza ( perchè è logico che se è una presenza tu vuoi corrispondere) tu non ce la fai.
Tu hai capito che la cosa è così, ma non ce la fai; hai capito dov'è il bene, lo vorresti fare, ma non ce la fai.
Hai capito che devi amare, che questa presenza ti ama e devi corrispondere, ma non ce la fai, l'altro proprio t'è antipatico, non lo reggi, tu, basta che quello apre bocca a te viene da vomitare, ecco, basta che uno parla ti viene sonno.
A me, certa gente mi fa venire sonno, basta che apre bocca io mi addormento; che devo fare?
Oppure quell'altro tu sai già dove va a parare, basta che dice A, tu sai già che dice E, ed è vero.
Cioè senti con gli altri, una specie di fastidio, una specie di sospetto, una specie di qualcosa che non và.
Eppure tu tu impegni, ti spremi, dici: " No, io devo dare il buon esempio", eppure non lo sopporti quello e cerchi di farti violenza e ti ripeti che devi dare la testimonianza però tu non ci riesci.
Oppure l'ira: c'è gente che è tanto santa però quando qualcuno la va a toccare entra nell'ira; oppure, a volte, c'è una pigrizia fortissima che ti prende, un senso di impotenza di fronte a un problema, chi più ne ha, più ne metta.
Quindi potremmo dire che, ad un certo momento, per quanto il tuo io, la tua volontà abbia capito certe cose e tu le spieghi benissimo agli altri anche (potrebbe darsi che tu sia una grande guida spirituale per gli altri), però, quando si tratta di metterle in pratica, tu sei paralizzato.
San Francesco fece questa esperienza quando già aveva incontrato il Signore, aveva già fatto una esperienza forte di Lui, aveva visto che interveniva nella storia, un giorno, però, incontra un lebbroso, prova tanto di quello schifo nel vederlo che capisce che in lui c'è un mondo misterioso, quello che poi si chiama comunemente il mondo dell'inconscio,che va da un'altra parte.
Francesco dice: "Quando io ero nei peccati, infatti mi sembrava molto amaro vedere i lebbrosi."
Cioè Francesco capisce dal fatto che lui prova un fastidio enorme di fronte a quella creatura, che lui naviga nei peccati, cioè che c'è in lui un mondo profondo ostile a Dio.
Qui non è tanto il peccato di mutua coscienza: c'è quella persona con cui non ti parli, hai quella colpa di tipo sessuale, hai un atteggiamento un po' arrogante; questi qua sono vizietti, ma c'è un peccato in cui tu nuoti, qualcosa di storto, di sballato, di rotto di cui tu, spesso, non hai neanche coscienza, se non riflessa, se non perchè te lo dice un altro, quando tu glielo permetti, poi.
Questo è un altro problema del peccato, del male che è in noi: quando uno è intelligente, l'altro ha paura anche di dirtelo.
A volte, tua moglie che ti conosce ha paura di dirtelo, magari ti fa una faccia un po' così; una volta c'era una coppia che conoscevo, sapete quelle coppie modello della santità: andavano a tutti gli incontri sulla famiglia, facevano dei sorrisi che sembrava non avessero mai litigato, spiegavano alle coppie giovani come si faceva quando si litigava, erano perfetti; e un sacco di volte mi è successo che, mangiando insieme, uno andava al bagno e l'altro: "Che pizza, quello". Perchè? Perchè si doveva sfogare, al figlio non glielo puoi dire, alla gente non glielo puoi dire per non dare il cattivo esempio, ma al frate con cui hai confidenza dici:"Non ne posso più. E' una pizza, quello" e viceversa, quando poi si fa il cambio. Perchè? Perchè c'è questo non so che non va; ecco si può partire da tanti punti di vista per capire che c'è in noi questo qualcosa di pesante, che poi è il peccato.
Che poi sapete che cos'è, in fondo? E' la nostra creaturalità che si oppone a Dio.
Il dramma dell'uomo è che c'è in noi questo mondo biologico, questo mondo psichico, che di per sé dovrebbe essere terreno in cui Dio può germogliare, che vuole essere autonomo.
Dio è il seme, questo è il terreno, solo che questo terreno si è reso autonomo; ecco il peccato.
Provate a pensare che c'è un vaso di terra, io ci metto un semino, il semino rimbalza, scappa fuori una capoccia di terra e dice: "Io voglio essere me stessa, sai?" "Ma tu sei la terra." "No, io sono me stessa, che è questo seme in più? Io del seme scelgo ciò che mi piace.".
Questo è il peccato originale; cioè questo mondo che di per sè è nulla, è aria, è terra, è vanità, attraverso l'intelligenza e la coscienza, vuole essere se stesso.
In questo voler essere se stesso, la Parola di Dio, cioè questa proposta di divinità che ci viene offerta, noi la rifiutiamo; in nome della verità, in nome dell'impegno, perchè vogliamo essere noi stessi.
Questo è il peccato, cioè il peccato è non riconoscere la nostra fondamentale creaturalità.
Uno, a livello teorico, lo riconosce; se tu dicessi di essere Dio ti ricoverano, però tu, di fatto, vuoi che Dio ti aiuti ad essere te stesso.
Invece tu sei te stesso, veramente, quando diventi figlio suo.
Quindi il peccato è tutto ciò che in noi non riconosce veramente di essere creatura, per cui i santi, che a noi sembrano chissà chi, sono persone normali, sono persone che hanno capito la vita.
Ora passo al secondo punto: di fronte a questo Dio che è così buono, che si manifesta, c'è in noi una profondissima resistenza, quello che Paolo chiama la "carne", per esempio, a rispondere al suo intervento.
E il dramma è che noi facciamo questo, spesso, in nome di Dio.
Io ricordo, quando studiavo teologia, c'era un laico impegnato, che siccome stava in pensione, aveva un sacco di tempo per studiare, andava in biblioteca, comprava un sacco di libri; io mi ricordo che una della cose che più mi colpiva era che questo qui stava sempre ad intervenire sulla fede con consigli, ma io percepivo un qualcosa, pensavo: "Questo qui, per me, appiccica tutto", era pesante questa persona. E un giorno questo si confida che aveva il figlio e la figlia che erano atei proprio, la moglie pure non lo seguiva molto in questa cosa qua; che era successo? Parlando, vedendo ecc. questo qui aveva usato la fede, la teologia, per opporsi all'amore e alla responsabilità; aveva fatto una miscela esplosiva per cui lui, non solo non si era convertito, ma allontanava gli altri.
Questo nella parrocchia avviene un sacco di volte, io lo chiamo il "gruppo tappo", cioè la gente che si autoelegge salvatrice e salvatore degli altri, perchè fa tante cose, però, di fatto, Dio non entra. 
Quindi quando l'altro vede te, dice: "Ma io non voglio essere come quello".
Quando i conquistadores andarono in America Latina dicevano:" Il Paradiso, il Paradiso", ma un indios disse: "Guarda, se in Paradiso ci sta la gente come te, voglio andare all'inferno".
Questo è un gravissimo problema delle parrocchie, gente che si autoelegge perchè si impegna, perchè è sensibile, perchè ha dei doni anche, però molto spesso usa le cose di Dio, per essere se stessa; si fa questa bella corazza e, di fronte agli altri, che non ti sopportano perchè sei impossibile, tu ti fai anche martire; dici: "Ecco, la verità non è accolta, venne tra la sua gente e i suoi non l'accolsero", ma è che tu rompi proprio, non ti accolgono perchè tu non sei cristiano.
Allora se uno, ad un certo punto della sua vita perlomeno ha una intuizione di questa presenza, lì inizia la conversione; fin quando uno non ha assaggiato questa cosa che non va, soprattutto in se stesso.
Negli altri non ci vuol niente; a capire gli altri siamo tutti psicanalisti e parapsicologi, a guardare gli altri e a guardar noi!
Perchè noi siamo quello che siamo; è come uno che cerca gli occhiali e non li trova perchè ce l'ha; noi non riusciamo a vedere i nostri peccati, perchè sono tutt'uno con noi.
Tu puoi capire che qualcosa non va, solamente per analogia con gli altri, per Fede, perchè qualche fratello, con tanta umiltà te lo dice e per qualche situazione conflittuale inspiegabile in cui ti ritrovi a vivere.
Ecco, attraverso questi piccoli tasselli tu puoi avere una mezza intuizione di quello che è il peccato, cioè di questa realtà opposta a Dio, che non ti fa amare Lui, non ti fa amare gli altri, non ti fa amare te stesso.
Quando uno comincia ad assaggiare, però a livello esperienziale, queste realtà, lì può iniziare quello che si chiama il perdono, cioè, là, uno può iniziare a vivere.
Cominciamo un pochino.
Primo perdono: bisogna saper perdonare Dio.
E' logico che non è un perdono oggettivo, Dio t'ha creato che ti vuoi perdonare, però nella nostra mente, nel più profondo del nostro cuore, noi ce l'abbiamo con Dio. Tutti quanti.
Normalmente, fin quando uno è ragazzetto, coccolato, ha molti doni, è caruccio, intelligente, bravo, tutti gli vogliono bene, grosso modo si convive con Dio, grosso modo.
Qualcosa non mi va, ma il grosso mi va; però quando io comincio a sentire che la mia volontà viene contrastata un pochino, mi comincio ad arrabbiare.
Non è che poi uno bestemmia in modo esplicito, però, ad esempio, a livello fisico la ragazza tredicenne appena si accorge, guardando una rivista o guardandola telenovela, che non assomiglia a quella là o a quello là, comincia ad arrabbiarsi; comincia a piantare un muso che non finisce più. 
Mentre il muso che hai piantato con tuo padre o con tua madre, perchè non ti vogliono comprare quelle scarpe o la giacchetta, dura fin quando poi non te la comprano, siccome non è che tu puoi cambiare faccia o cambiare corpo, 'sto muso una volta che comincia, non finisce più. C'è gente che proprio s'arrabbia con Dio, è una specie di rabbia diffusa, non è a volte chiaro, però c'è una tristezza di fondo; il fatto che tu non assomigli o al premio nobel, o all'attore, o all'attrice, o al cantante tu sei arrabbiato di quello.
E, se ci fate caso, spesso è gente che ha molti doni che è arrabbiata, perchè è un fatto profondo. Cioè noi, in qualche modo, siamo arrabbiati con Dio perchè non siamo tutti dei geni, perchè non siamo tutti quanti personaggi da film. Se poi, Dio non voglia, c'è successo un fattaccio, ti è morta una persona cara, ti è morto un parente, ti è morto un amico, là apriti cielo; la rottura è completa. C'è gente che, perchè ha perso una persona cara, si è talmente arrabbiata con Dio che non penetra niente, è una specie di alibi per odiare Lui, per odiare la vita, per odiare se stessi.
Questo è il primo punto: bisogna perdonare Dio.
E' logico che è Lui che deve perdonare noi, però a livello profondo noi siamo come quei ragazzini che mettono il broncio; il broncio è, sapete, un meccanismo diffusissimo, è un meccanismo automatico, autodistruttivo e distruttivo verso gli altri che scatta automatico quando tu ti vedi frustrato in qualche modo.
Questo è un qualcosa di talmente radicato che a volte uno non se ne accorge, ma gli altri se ne accorgono, ma tu non te ne accorgi, allora tu cosa devi fare?
Devi in qualche modo chiedere a Dio: "Signore aiutami a perdonarti"
Tu, in fondo devi capire che Lui è Dio e tu sei la creatura, che Lui è il vasaio e tu sei il vaso, che Lui è il seminatore che dà il seme e tu sei il terreno.
Uno, se capisce questo, almeno a livello teorico è già tantissimo.
A me, una cosa che mi sorprende è incontrare persone che hanno sofferto tantissimo e che sono meravigliose.
Tra le persone più care, più belle spiritualmente che conosco, c'è gente che ha sofferto un sacco: che ha avuto il papà alcolizzato, che ha avuto una situazione di povertà in famiglia; molti, da queste realtà escono induriti, però, alcune persone che hanno la grazia di essere docili, da queste realtà vengono fuori trasformate.
Io conosco una suora che veniva continuamente picchiata da suo padre che era alcolizzato e la mamma spesso con lei scappava perchè questo le inseguiva, ne era terrorizzata; ad un certo punto si è riconciliata con Dio ed è una persona di una dolcezza, di una capacità di accoglienza che manco ve l'immaginate.
E' come se la Pietà di Michelangelo un giorno scoprisse che tutti quei colpi che ha subito l'hanno trasformata in un capolavoro.
E la controprova sapete qual'é? Che la gente che ha avuto tutto, che è bella, che è ricca, che è intelligente e tutto quanto, spesso è la gente più fallita che esista. Cioè la gente che dovrebbe ringraziare Dio, e statisticamente c'è qualcuno che ha tutto, quella è la gente più triste, più arrabbiata e più egoista. Io ho capito questo.
Una volta, durante uno dei corsi vocazionali che noi facciamo, dopo un po' la gente viene a parlare, io mi ricordo c'erano in fila un ragazzo veramente bellissimo e una ragazza, vi assicuro, mostruosa, che aveva il volto sfigurato, non so che malattia aveva, gli occhi erano due fessure, la pelle brutta ecc; entra questo dentro, che poi era un professore, ricco e dice: "Io sono ateo, perchè io di fronte a queste cose che fa Dio io non le sopporto, la sofferenza ecc." e se ne va.
Entra questa ragazza bruttissima che spingeva l'altro ad essere ateo e dice: "Quanto sono felice! Quanto ringrazio Dio! Io sono brutta, lo so, ma io insegno e i bambini mi vogliono un sacco bene, mi accettano benissimo; tempo fa mio padre stava male e Dio me l'ha guarito, pure questo, non solo la gente mi ama, ma pure Dio. Quanto ringrazio Dio!"
Queste cose le vedo continuamente, ma questa contrapposizione mi colpì molto, perchè il motivo che spingeva uno ad essere ateo era il motivo per cui quest'altro ringraziava il Signore.
C'è gente che si scandalizza perchè c'è quella ingiustizia, perchè c'è quella sofferenza, ma mi ricordo di una signora che era 35 anni che stava paralizzata a letto, 35 anni, neanche la testa muoveva e le chiesi: "Ma da quanto tempo è che stai a soffrire?", "Da oggi"; questa era una persona piena di luce, piena d'amore, piena di bontà.
Ho visto gente col tumore, con le metastasi che ringraziava Dio; gente che si era convertita proprio grazie alle sofferenze.
C'era uno che era un pezzo grosso del partito comunista che era un santo, un santo; era pieno di metastasi diceva: "Io veramente ho capito Dio, adesso che ho visto la realtà, mi è caduta l'illusione, ho capito Dio:"
Questo per dirvi che il dolore può essere a volte fonte di disperazione, non voglio essere semplicione, però una persona quando comincia a piantarla di giudicare Dio, quando lo perdona, quando lo accoglie, là la persona comincia a capire.
Quindi un modo perchè questo bubbone, questa realtà che ci ostruisce l'animo, questa realtà che ci deforma possa essere combattuta è il perdonare Dio, cioè accettare la nostra condizione di creature, accettare che Lui sia il progettista e noi i progetti.
Poi, legato a questo c'è il perdono verso gli altri.
Normalmente uno ce l'ha con gli altri; i primi sono i genitori.
Non c'è persona al modo che, dopo cinque minuti che sta parlando dei suoi problemi, facendo la psicanalisi da pizzicarolo, dice che è così perchè la madre non lo ha amata, perchè il padre l'ha amata, perchè il nonno non l'ha amata come doveva amarla.
E' un discorso di una banalità infinita; è una pseudo-spiegazione, ti pare che spieghi, ma non ti spiega niente: t'ha amato, non t'ha amato, t'ha amato troppo, t'ha amato troppo poco, t'ha amato male, ma alla fine l'altro è come è, i tuoi genitori sono così.
Se dallo psicanalista, invece che andarci tu, che ti dice che la colpa è di tua madre, ci va tua madre, la colpa è di tua nonna; insomma lo psicanalista dà la colpa alla persona che non paga. Cioè uno ha i genitori che ha.
Ad esempio mio padre era un tipo piuttosto apprensivo, una persona a volte molto pesante, depresso e io pensavo: "Ma perchè deve essere così, mannaggia la miseria", lo odiavo ecc. poi sapete quando sono cambiato con lui? Un giorno, vedendo le foto, ho visto una foto sua di quando aveva sedici anni: aveva una giacca tutta piena di pieghe e gli chiesi il perchè: era appena morto mio nonno e lui a sedici anni si dovette occupare di mia nonna che era malata, di due fratelli più piccoli, doveva lavorare e doveva studiare. Doveva fare tutto lui, non era capace a stirare ecco perchè aveva quella giacca piena di pieghe. Oggi i ragazzi a sedici anni non sanno allacciarsi neanche le scarpe!
E mia madre a cinque anni doveva andare in campagna a dar da mangiare agli animali, a sette anni doveva salire su un seggiolino e fare la pasta.
Quando io ho capito queste cose ho cominciato a pensare: "Ma chi sono io da pretendere che siano squisiti nel dirmi le cose, che siano sempre perfetti a livello psicologico, ma ringrazio Dio che, con tutto quello che hanno sofferto, mi hanno amato, mi hanno sopportato". Questo lo dico soprattutto ai giovani e anche agli adulti che hanno magari qualcosa con i genitori loro. Quante volte noi accusiamo i genitori nostri per colpe che non hanno!
Una volta, mi ricordo che stavo in una missioncina e una ragazza mi parlava del padre che non credeva, che era qui, che era lì, ma, mi raccontava che aveva sofferto tantissimo: da bambino aveva perso i genitori, era andato in guerra, aveva visto la gente morire, alla fine di questo racconto mi sono messo a piangere e ho pensato: "Ma quest'uomo è un santo, con quello che ha sofferto ha avuto ancora voglia di lavorare, di farsi una famiglia, di sopportare i figli."
Qualche tempo fa, mi ricordo, facevo dell'ironia su un ragazzo che mentre parlava diceva qualche stupidaggine, si scordava le cose ecc., ma, parlando un po' con lui mi disse che era rimasto attaccato alla corrente per alcuni minuti, era stato in coma per tre mesi, era rimasto paralizzato per sei mesi; si era scordato tutto il suo passato e a diciannove anni ha dovuto ricominciare ad imparare. Ed io che stavo a fare dell'ironia su qualche cavolata che diceva! Perchè non sapevo. Ed ecco, allora quando qualcuno sembra che ci abbia fatto qualcosa, stiamo attenti, perchè chissà quanto dolore c'è dietro quella persona! Che ne sappiamo noi! Dietro quella arroganza, dietro quella durezza, dietro quella maleducazione, a volte, che ne sappiamo noi cosa c'è. Parlo dei genitori perchè, normalmente è l'esperienza con cui noi facciamo i conti, ma anche quel professore, quell'amico; che ne sappiamo noi!
Io ricordo che una volta c'era un frate che io consideravo molto rozzo, molto duro; io lo sfottevo; un giorno si venne a confessare da me e ad un certo punto mi raccontò le sue sofferenze: "Io non ce la faccio ad essere buono, io provo un'invidia per lei, io non ho avuto mai niente dalla vita, io mi sento complessato, non valgo niente, io capisco che dovrei essere diverso, mi sforzo, ma non ci riesco, mi scappano le durezze, che devo fare?"
Questo è un altro filone: quando qualcuno ci urta, quando qualcuno sembra ci abbia fatto del male, stiamo attenti prima di giudicarlo, perchè potrebbe essere una persona che ha sofferto nonché sai quanto e in quel momento, magari sta dando il meglio di sè. Quella cosa che ti urta, magari è il meglio che lui può dare; cominciare a ragionare così ti aiuta tantissimo a capire l'altro.
A me colpì molto quando, sentendo le efferatezze che aveva compito Lenin, lessi che quando era giovane gli uccisero un fratello che gli era carissimo e quel giorno " il cuore di Lenin diventò di ferro". Certe volte noi che ne sappiamo degli altri, quindi perdonare gli altri, perchè noi non sappiamo quanto possano aver sofferto.
Poi c'è il punto dei punti: perdonare se stessi.
Questo è un problema molto delicato, sapete, perchè noi non abbiamo una idea chiara su questo punto, perchè? Perchè noi a livello pratico ci giustifichiamo continuamente, sembra che noi siamo molto indulgente con noi stessi.
Se uno ha un po' di dimestichezza con Dio, sa che Dio è amore, che Dio è bontà, che Dio è perdono, e quindi il perdono dovrebbe essere una cosa semplice, ma spesso c'è un giudizio inconscio su noi stessi che è spaventoso.
Francesco, ad un certo punto della sua vita si convertì; era una persona che pregava, che faceva penitenza, che evangelizzava, dava tutto al Signore; meglio di questo non si poteva, eppure, dopo tanto tempo, un giorno mentre stava qui alla Porziuncola si sentì che era stato perdonato; cioè si era perdonato. Dio aveva fatto talmente "violenza" su di lui che lo aveva spinto a perdonarsi e Francesco provò una gioia così grande che chiese al Papa di concedergli l'indulgenza della Porziuncola; cioè Francesco chiese al Papa che questa esperienza che lui aveva fatto, di sentire veramente il perdono, potesse essere comunicata a tutti, diceva: "Voglio mandarvi tutti in Paradiso". Che cos'era? Era la possibilità di ricominciare tutto da capo.
Per capire quello che vi dico, provate a pensare a qualche fratellino, figlio, cuginetto che ha sette-otto anni; guardate quel volto, quel volto che non ha ancora commesso peccati grossi, che è ancora buono, che è benevolo, che magari dà un calcio al cugino e tutto finisce lì, che magari dice una parolaccia e poi si pente.
Che cosa c'è a quel punto? C'è una confidenza con Dio.
Anche se non capisce tante cose, però c'è un rapporto di freschezza, di fiducia; ad un certo momento comincia qualche cosa, comincia che vede un film in un certo modo, o che si masturba, o che dice una bestemmia, o che magari ruba qualcosa in casa, ecc. e ti accorgi che non è più lui. Si va a confessare, però non è più lui. Sul volto ha una pieghetta, appare un ghigno, che è successo?
Quella persona si sta giudicando; c'è una presenza dentro, l'accusatore, che dice: "Guarda che tu ormai sei di serie B, ormai la cosa è finita."
Siccome l'uomo non è capace di perdonare veramente, entra in questa logica: una volta che una cosa è fatta, una volta che un vaso cinese l'hai rotto, è rotto, si vede che l'hai incollato, non suonerà più; in noi c'è questa esperienza che una volta che la frittata è stata fatta le uova non si possono più rifare. Una volta che tu hai deluso te stesso, c'è una impossibilità a ricominciare da capo.
Invece è possibile perdonare se stessi.
Spesso noi cristiani vediamo Cristo nei poveri, nei malati ecc., ma non riusciamo a vedere Cristo in noi stessi; non riusciamo ad accettarci veramente, non riusciamo ad amarci, a perdonare noi stessi.
Perchè non vuoi avere piètà di te, della tua debolezza, delle tue incongruenze?
Perchè non vuoi avere pietà?
Io vi vorrei dare un metodo che vi può un pochino aiutare su questo: provate, una volta nella vita a fare una bella confessione generale. Questo è un grandissimo aiuto a perdonare se stessi.
Dio non sta lì con il foglietto a segnarsi tutto, però sei tu che ti segni tutto.
In qualche esperienza di pre-morte, la gente racconta che mentre sta in coma vede tutta la sua vita come in un film, proprio perchè la gente memorizza tutto; se provi a pensare alle cose che ti hanno fatto gli altri, ti ricordi tutto, non ti sfugge niente; tanto più le cose che hai fatto tu.
Per esempio se tu non ti stimi, non ti accetti, non vai avanti, ti paralizzi.
Come cosa pratica, se uno vuol perdonare se stesso, una volta si prenda dei fogli e cominci a segnarsi le cose storte che si porta dentro, sia i peccati che ha fatto, sia i momenti brutti che ha vissuto, sia tutto quello che ha subito, cioè tutto quello che non funziona dentro; io vi dico che se una volta uno fa una confessione fatta "col raschietto", è una esperienza bellissima.
Se uno dice: " Per una volta voglio fare verità; per una volta nella mia vita voglio andare in cantina con la luce a 2000 Watt e voglio vedere quello che sta dentro a tutti i buchetti." è una esperienza bellissima.
Io mi sono confessato diverse volte in questo modo, e, dopo 13 anni che ero frate, tre anni fa, mi ricordo che la notte di Natale andai a dire Messa in una comunità di ex-drogati e, guardando quelle facce, per sintonia mi tornarono in mente alcune cose che avevo dimenticato. Finita la Messa andavamo a mangiare il panettone, ma, prima, mi sono voluto confessare di quello che avevo fatto da ragazzetto.
La mattina ho rivisto il cielo veramente azzurro, cioè mi sono accorto che l'aver detto quella cosa mi aveva rimesso in armonia con me stesso.
Di peccati ce n'ho sempre tantissimi, ma quell'esperienza vi auguro che ognuno di voi la passa fare: tornare in pace con te stesso, consapevole che, una volta che tu sei sincero tutte le cose riprendono.
In sintesi.
Dio si manifesta con gli avvenimenti, però in te c'è una incapacità di rispondere a Lui.
In tè c'è una capacità di percepire negli altri un male e questo male, uno dei metodi per affrontarlo qual'è? E' il perdono.
Perdonare Dio, quindi accettare che tu sei creatura, senza darGli consigli.
Perdonare gli altri, sapendo che molte volte tu le cose degli altri non le sai.
Perdonare te stesso perchè tu sei uno dei tanti, ama il prossimo come te stesso, questo si può fare con una confessione fatta veramente per bene.
Tutto questo si fa come?
In una comunità, in cammino, in un contesto, in carovana, tutti quanti insieme, perchè proprio stando insieme ci si accorge delle varie spigolosità, ci si accorge dei vari problemi e ci si accorge delle varie conquiste; cioè basterebbe che qualcuno veramente facesse questo, perdonare Dio, gli altri e se stesso, che gli altri se ne accorgono subito.
E quando uno si accorge che qualcun'altro è cambiato, allora veramente la conversione può avere inizio.