30 aprile 2017

Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e mistica


Il viaggio del Papa in Egitto è stato, da qualsiasi angolo lo si voglia giudicare, un successo. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione. «Egli – ha affermato Francesco - è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».  

Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso. Un sostegno, innanzitutto, al presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.  

Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».  

Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra musulmani e cristiani. 

Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.  

I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue, del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico, maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono, comunque, banali.  

Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio». Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul «particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla pace: «Io sono cristiano».  

Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»: portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera, sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.  

L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico. Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici» possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha, nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente. Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente. 

MASSIMO BORGHESI

Vatican Insider

29 aprile 2017

"Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!"



SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE 
Air Defense Stadium, Il Cairo
Sabato, 29 aprile 2017


Al Salamò Alaikum/ la pace sia con voi!

Oggi il vangelo, nella III Domenica di Pasqua, ci parla dell’itinerario dei due discepoli di Emmaus che lasciarono Gerusalemme. Un vangelo che si può riassumere in tre parole: morte, risurrezione e vita.

Morte. I due discepoli tornano alla loro vita quotidiana, carichi di delusione e disperazione: il Maestro è morto e quindi è inutile sperare. Erano disorientati, illusi e delusi. Il loro cammino è un tornare indietro; è un allontanarsi dalla dolorosa esperienza del Crocifisso. La crisi della Croce, anzi lo “scandalo” e la “stoltezza” della Croce (cfr 1 Cor 1,18; 2,2), sembra aver seppellito ogni loro speranza. Colui sul quale hanno costruito la loro esistenza è morto, sconfitto, portando con sé nella tomba ogni loro aspirazione.

Non potevano credere che il Maestro e il Salvatore che aveva risuscitato i morti e guarito gli ammalati potesse finire appeso alla croce della vergogna. Non potevano capire perché Dio Onnipotente non l’avesse salvato da una morte così ignobile. La croce di Cristo era la croce delle loro idee su Dio; la morte di Cristo era una morte di ciò che immaginavano fosse Dio. Erano loro, infatti, i morti nel sepolcro della limitatezza della loro comprensione.

Quante volte l’uomo si auto-paralizza, rifiutando di superare la propria idea di Dio, di un dio creato a immagine e somiglianza dell’uomo! Quante volte si dispera, rifiutando di credere che l’onnipotenza di Dio non è onnipotenza di forza, di autorità, ma è soltanto onnipotenza di amore, di perdono e di vita!

I discepoli riconobbero Gesù “nello spezzare il pane”, nell’Eucaristia. Se noi non ci lasciamo spezzare il velo che offusca i nostri occhi, se non ci lasciamo spezzare l’indurimento del nostro cuore e dei nostri pregiudizi, non potremo mai riconoscere il volto di Dio.

Risurrezione. Nell’oscurità della notte più buia, nella disperazione più sconvolgente, Gesù si avvicina a loro e cammina sulla loro via perché possano scoprire che Lui è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Gesù trasforma la loro disperazione in vita, perché quando svanisce la speranza umana incomincia a brillare quella divina: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (Lc18,27; cfr 1,37). Quando l’uomo tocca il fondo del fallimento e dell’incapacità, quando si spoglia dell’illusione di essere il migliore, di essere autosufficiente, di essere il centro del mondo, allora Dio gli tende la mano per trasformare la sua notte in alba, la sua afflizione in gioia, la sua morte in risurrezione, il suo cammino all’indietro in ritorno a Gerusalemme, cioè in ritorno alla vita e alla vittoria della Croce (cfr Eb 11,34).

I due discepoli, difatti, dopo aver incontrato il Risorto, ritornano pieni di gioia, di fiducia e di entusiasmo, pronti alla testimonianza. Il Risorto li ha fatti risorgere dalla tomba della loro incredulità e afflizione. Incontrando il Crocifisso-Risorto hanno trovato la spiegazione e il compimento di tutta la Scrittura, della Legge e dei Profeti; hanno trovato il senso dell’apparente sconfitta della Croce. 

Chi non passa attraverso l’esperienza della Croce fino alla Verità della Risurrezione si autocondanna alla disperazione. Infatti, noi non possiamo incontrare Dio senza crocifiggere prima le nostre idee limitate di un dio che rispecchia la nostra comprensione dell’onnipotenza e del potere.

Vita. L’incontro con Gesù risorto ha trasformato la vita di quei due discepoli, perché incontrare il Risorto trasforma ogni vita e rende feconda qualsiasi sterilità.[1] Infatti, la Risurrezione non è una fede nata nella Chiesa, ma la Chiesa è nata dalla fede nella Risurrezione. Dice San Paolo: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Cor15,14).

Il Risorto sparisce dai loro occhi, per insegnarci che non possiamo trattenere Gesù nella sua visibilità storica: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29; cfr 20,17). La Chiesa deve sapere e credere che Egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia, nelle Scritture e nei Sacramenti. I discepoli di Emmaus capirono questo e tornarono a Gerusalemme per condividere con gli altri la loro esperienza: “Abbiamo visto il Signore … Sì, è davvero risorto!” (cfr Lc 24,32).

L’esperienza dei discepoli di Emmaus ci insegna che non serve riempire i luoghi di culto se i nostri cuori sono svuotati del timore di Dio e della Sua presenza; non serve pregare se la nostra preghiera rivolta a Dio non si trasforma in amore rivolto al fratello; non serve tanta religiosità se non è animata da tanta fede e da tanta carità; non serve curare l’apparenza, perché Dio guarda l’anima e il cuore (cfr 1 Sam 16,7) e detesta l’ipocrisia (cfr Lc 11,37-54; At 5,3-4).[2] Per Dio, è meglio non credere che essere un falso credente, un ipocrita! 

La fede vera è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di dare una mano a chi è caduto; a vestire chi è nudo, a sfamare l’affamato, a visitare il carcerato, ad aiutare l’orfano, a dar da bere all’assetato, a soccorrere l’anziano e il bisognoso (cfr Mt 25,31-45). La vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli.

Cari fratelli e sorelle,

Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui! 

Ora, come i discepoli di Emmaus, tornate alla vostra Gerusalemme, cioè alla vostra vita quotidiana, alle vostre famiglie, al vostro lavoro e alla vostra cara patria pieni di gioia, di coraggio e di fede. Non abbiate paura di aprire il vostro cuore alla luce del Risorto e lasciate che Lui trasformi la vostra incertezza in forza positiva per voi e per gli altri. Non abbiate paura di amare tutti, amici e nemici, perché nell’amore vissuto sta la forza e il tesoro del credente! 

La Vergine Maria e la Sacra Famiglia, che vissero su questa terra benedetta, illuminino i nostri cuori e benedicano voi e il caro Egitto che, all’alba del cristianesimo, accolse l’evangelizzazione di San Marco e diede lungo la storia numerosi martiri e una grande schiera di santi e di sante!

Al Massih Kam / Bilhakika kam! – Cristo è Risorto / È veramente Risorto!



[1] Cfr Benedetto XVICatechesi, Udienza generale di mercoledì 11 aprile 2007.


[2] Esclama S. Efrem: «Ma strappate la maschera che copre l'ipocrita e voi non vi vedrete che marciume» (Serm.). «Guai a chi è doppio di cuore!» - dice l'Ecclesiastico (2,14 Volg.).   

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2017/documents/papa-francesco_20170429_omelia-viaggioapostolico-egitto.html

23 aprile 2017

Ci si scandalizza per l'Eterna Misericordia? Non hanno conosciuto il Vero Dio!

Salmo 135
Alleluia.
Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.

Lodate il Dio degli dèi:
perché eterna è la sua misericordia.

Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.
Ha creato i cieli con sapienza:
perché eterna è la sua misericordia.
Ha stabilito la terra sulle acque:
perché eterna è la sua misericordia.
Ha fatto i grandi luminari:
perché eterna è la sua misericordia.
Il sole per regolare il giorno:
perché eterna è la sua misericordia;
la luna e le stelle per regolare la notte:
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:
perché eterna è la sua misericordia.
Da loro liberò Israele:
perché eterna è la sua misericordia;
con mano potente e braccio teso:
perché eterna è la sua misericordia.
Divise il mar Rosso in due parti:
perché eterna è la sua misericordia.
In mezzo fece passare Israele:
perché eterna è la sua misericordia.
Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso:
perché eterna è la sua misericordia.
Guidò il suo popolo nel deserto:
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse grandi sovrani
perché eterna è la sua misericordia;
uccise re potenti:
perché eterna è la sua misericordia.
Seon, re degli Amorrei:
perché eterna è la sua misericordia.
Og, re di Basan:
perché eterna è la sua misericordia.
Diede in eredità il loro paese;
perché eterna è la sua misericordia;
in eredità a Israele suo servo:
perché eterna è la sua misericordia.
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:
perché eterna è la sua misericordia;
ci ha liberati dai nostri nemici:
perché eterna è la sua misericordia.
Egli dà il cibo ad ogni vivente:
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio del cielo:
perché eterna è la sua misericordia.

22 aprile 2017

Mio Signore e Mio Dio!

"Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime."
1Pt 1,3-9

20 aprile 2017

Gesù esaudisce la preghiera

La preghiera a Gesù è già esaudita da lui durante il suo ministero, mediante segni che anticipano la potenza della sua morte e della sua risurrezione: Gesù esaudisce la preghiera di fede, espressa a parole (dal lebbroso; da Giairo; dalla Cananea; dal buon ladrone) oppure in silenzio (da coloro che portano il paralitico; dall'emoroissa che tocca il suo mantello; dalle lacrime e dall'olio profumato della peccatrice).
La supplica accorata dei ciechi: « Figlio di Davide, abbi pietà di noi » (Mt 9,27) o: « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me » (Mc 10,47) è stata ripresa nella tradizione della Preghiera a Gesù: « Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore! ». Si tratti di guarire le malattie o di rimettere i peccati, alla preghiera che implora con fede Gesù risponde sempre: «Va' in pace, la tua fede ti ha salvato!».
Sant'Agostino riassume in modo mirabile le tre dimensioni della preghiera di Gesù: « Prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo, dunque, in lui la nostra voce, e in noi la sua voce ».


19 aprile 2017

Amenità di ultras evangelici: dal "Sola Scriptura" allo "Zero Scrittura" cioè che neanche la leggono.

... quindi gli li esorcisti cattolici sono idolatri e ovviamente sedotti e ingannati dal diavolo, però cacciano i demoni nel nome di Gesù! non male! ahahahahahahahahahahah
I farisei dicevano esattamente la stessa cosa e accusavano Gesù di scacciare i demoni per mezzo di Beelzebùl 😄😄😄

"Ma i farisei, udendo questo, presero a dire: «Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni».Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: «Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici."Matteo 12,23-50

 

17 aprile 2017

Testimoni oculari. 2 Pietro 1,16

"non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza"


"L'ultima parola non è il sepolcro, la morte, ma la vita!"

"Cristo è risorto, in lui il sepolcro è stato sconfitto, è nata la vita"


13 aprile 2017

“L’evangelizzazione non può essere presuntuosa”

Il Papa invita a fare omelie brevi e afferma: nessuno separi «queste tre grazie del Vangelo: la sua verità non negoziabile, la sua misericordia incondizionata, e la sua gioia inclusiva»





di A. Tornielli
«Che nessuno cerchi di separare queste tre grazie del Vangelo: la sua verità non negoziabile, la sua misericordia incondizionata con tutti i peccatori, e la sua gioia intima e inclusiva». Papa Francesco celebra la messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, durante la quale viene benedetto l’olio che sarà usato per amministrare i sacramenti lungo l’anno, e spiega che «Non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Non può essere rigida l’integrità della verità». Con il Vescovo di Roma concelebrano i preti della diocesi, che rinnovano le promesse fatte al momento dell’ordinazione. 

Nell’omelia, il Papa ha insistito sul «lieto annuncio ai poveri» che Gesù ha portato. «Gioioso della gioia evangelica: di chi è stato unto nei suoi peccati con l’olio del perdono e unto nel suo carisma con l’olio della missione, per ungere gli altri. E, al pari di Gesù, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutta la sua persona. Quando predica l’omelia – breve, se possibile – lo fa con la gioia che tocca il cuore della sua gente mediante la Parola con cui il Signore ha toccato lui nella sua preghiera». 

«Come ogni discepolo missionario, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutto il suo essere. E, d’altra parte, sono proprio i particolari più piccoli – tutti lo abbiamo sperimentato – quelli che meglio contengono e comunicano la gioia: il particolare di chi fa un piccolo passo in più e fa sì che la misericordia trabocchi nelle terre di nessuno; il particolare di chi si decide a concretizzare e fissa giorno e ora dell’incontro; il particolare di chi lascia, con mite disponibilità, che usino il suo tempo…». 

Il lieto annuncio, sottolinea Francesco, «non è un oggetto, è una missione». E in una sola parola, Vangelo, nell’atto di essere comunicato «diventa gioiosa e misericordiosa verità. Che nessuno cerchi di separare queste tre grazie del Vangelo: la sua Verità – non negoziabile –, la sua Misericordia – incondizionata con tutti i peccatori – e la sua Gioia – intima e inclusiva». 

Bergoglio sottolinea che «mai la verità del lieto Annuncio potrà essere solo una verità astratta, di quelle che non si incarnano pienamente nella vita delle persone perché si sentono più comode nella lettera stampata dei libri. Mai la misericordia del lieto Annuncio potrà essere una falsa commiserazione, che lascia il peccatore nella sua miseria perché non gli dà la mano per alzarsi in piedi e non lo accompagna a fare un passo avanti nel suo impegno. Mai potrà essere triste o neutro l’Annuncio, perché è espressione di una gioia interamente personale. La gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli, la gioia di Gesù nel vedere che i poveri sono evangelizzati e che i piccoli vanno ad evangelizzare». 

Francesco ha quindi detto che «le gioie del Vangelo» sono «speciali» e «vanno messe in otri nuovi». Ha quindi presentato tre icone di otri nuovi. La prima è quella delle anfore di pietra delle nozze di Cana. «Maria è l’otre nuovo della pienezza contagiosa. Lei è la Madonna della prontezza», e «senza la Madonna non possiamo andare avanti nel sacerdozio!». Lei «ci permette di superare la tentazione della paura: quel non avere il coraggio di farsi riempire fino all’orlo, quella pusillanimità di non andare a contagiare di gioia gli altri». 

La seconda icona del lieto Annuncio è la brocca che portava sulla testa la Samaritana al pozzo, il mezzo con cui la donna attinge l’acqua per dissetare Gesù. «Un otre nuovo con questa concretezza inclusiva il Signore ce l’ha regalato nell’anima “samaritana” che è stata Madre Teresa di Calcutta. Lui la chiamò e le disse: ho sete. “Piccola mia, vieni, portami nei buchi dei poveri. Vieni, sii mia luce. Non posso andare da solo. Non mi conoscono, per questo non mi vogliono. Portami da loro”. E lei, cominciando da uno concreto, con il suo sorriso e il suo modo di toccare con le mani le ferite, ha portato il lieto Annuncio a tutti». Le «carezze sacerdotali ai malati ai disperati del sacerdote uomo della tenerezza». 

Infine, la terza icona del lieto Annuncio è «l’otre immenso del Cuore trafitto del Signore: integrità mite, umile e povera, che attira tutti a sé. Da Lui dobbiamo imparare che annunciare una grande gioia a coloro che sono molto poveri non si può fare se non in modo rispettoso e umile fino all’umiliazione». Per questo Francesco ha spiegato che «non può essere presuntuosa l’evangelizzazione. Non può essere rigida l’integrità della verità. Perché la verità si è fatta carne, tenerezza, si è fatta bambino, si è fatta uomo, si è fatta peccato in croce. Lo Spirito annuncia e insegna tutta la verità e non teme di farla bere a sorsi. Lo Spirito ci dice in ogni momento quello che dobbiamo dire ai nostri avversari e illumina il piccolo passo avanti che in quel momento possiamo fare. Questa mite integrità dà gioia ai poveri, rianima i peccatori, fa respirare coloro che sono oppressi dal demonio».

LA STAMPA

11 aprile 2017

Gesù fatto peccato, Gesù divenuto maledizione....

No, non sono parole di qualche papa eretico, è la Scrittura, esattamente San Paolo che su ispirazione scrive queste parole che pennivendoli "cattolici" giudicherebbero degne di scomunica
"Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio2 Cor. 5,18-21 
"Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede."  Galati 3,13-14

 

10 aprile 2017

Il card. Biffi: «Gesù si è fatto serpente». Ora Socci scomunicherà anche lui?

La nuova trovata del giornalista di LiberoAntonio Socci, è aver dato del bestemmiatore a Papa Francesco dopo alcune parole pronunciate in una omelia durante la messa mattutina a Santa Marta.
E’ curioso che a definire così il Pontefice sia il giornalista che si guardò bene dal prendere posizione contro la famosa bestemmia pubblica del (suo) Cavalier Berlusconi, nel 2010.
E’ rimasto invece scandalizzato per questa profonda riflessione del Santo Padre a commento del brano biblico sul serpente di Mosé: «Gesù si è “fatto serpente”, Gesù si “è fatto peccato” e ha preso su di sé le sporcizie tutte dell’umanità, le sporcizie tutte del peccato. E si è “fatto peccato”, si è fatto innalzare perché tutta la gente lo guardasse, la gente ferita dal peccato, noi. Questo è il mistero della croce e lo dice Paolo: “Si è fatto peccato” e ha preso l’apparenza del padre del peccato, del serpente astuto». Il Papa ha quindi chiesto memoria «di colui che si è fatto peccato, che si è fatto diavolo, serpente, per noi; si è abbassato fino ad annientarsi totalmente. Ognuno di noi oggi guardi il crocifisso, guardi questo Dio che si è fatto peccato perché noi non moriamo nei nostri peccati e risponda a queste domande che io vi ho suggerito».
Dopo averlo massacrato in prima pagina chiamandolo blasfemo e «ignorante teologico»ha approfittato per rinnovare il suo pippone mistico sulle profezie catastrofiche che riguarderebbero la Chiesa cattolica. Lo stesso di due, tre, quattro anni fa. Lo stesso che ripeterà fra dieci anni, quando forse si sarà separato completamente dal cattolicesimo.
Eppure il compianto arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi, molto amato suo malgrado dai tradizionalisti, pronunciò parole molto simili a quelle di Francesco commentando lo stesso brano biblico, senza mai ricevere lo stesso trattamento che oggi subisce il Papa. Il 17 settembre 2000, commentando un passo biblico, il card. Biffi disse infatti: «Dice la Sacra Scrittura: “quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame restava in vita” (Nm 21,9). Ebbene, dice Gesù, quel serpente sono io: quel serpente è la figura anticipata di quanto sarebbe avvenuto sul Golgota». Se Francesco è stato definito «gnostico» da Socci, perché Biffi rimane impunito? I cristiani sanno bene, infatti, che nella Bibbia il Diavolo è sempre associato al serpente…
D’altra parte, è San Paolo prima di tutti che afferma nella Scrittura: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Cor. 5,18-21). Nella lettera ai Galati definisce Gesù addirittura una “maledizione”: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi» (Gal 3,13). Dio fece Gesù peccato? Cristo divenuto maledizione? I farisei odierni avrebbero ributtato il povero Paolo di Tarso giù da cavallo una seconda volta.
Oltretutto già un anno fa Papa Francesco citò le stesse parole di Paolo, spiegandole con le stesse espressioni usate oggi: «San Paolo dice che Gesù svuotò se stesso, umiliò se stesso, si annientò per salvarci. È più forte ancora: “Si è fatto peccato”. Usando questo simbolo si è fatto serpente. Questo è il messaggio profetico di queste Letture di oggi. Il Figlio dell’uomo, che come un serpente, “fatto peccato”, viene innalzato per salvarci». Anche il teologo padre Angelo Bellonconferma«Dio ha trattato Gesù Cristo come se fosse stato il più grande peccatore di questo mondo. Anzi come se avesse compiuto tutti i peccati degli uomini». Un diavolo, per l’appunto, o serpente, come ricordato dal card. Biffi. Sono ossimori usati da sempre per far percepire la sproporzione di un Dio che non si vergogna di immergersi nella limitatezza umana e, grazie a questo invischiarsi nei peccati dell’uomo, salva l’uomo dagli stessi. Per sempre.
Non c’è mai stato un Papa che ha bestemmiato, ha scritto il giornalista toscano. Gli ha risposto il vaticanista Andrea Tornielli, ricordando che anche Giovanni Paolo II sottolineò lo stesso paradosso: «L’analogia colpisce ancora di più»commentò Wojtyla, «se consideriamo che la salvezza della morte fisica, provocata dal veleno dei serpenti nel deserto, avviene attraverso un serpente. La salvezza dalla morte spirituale – la morte che è il peccato e che fu causata dall’uomo – avviene attraverso un Uomo, attraverso, il Figlio dell’uomo “innalzato” sulla croce».
«Non ci sono parole»commentava pochi mesi l’Associazione Papaboys rispetto alla quotidiana creatività di Antonio Socci, «solamente la consapevolezza che c’è bisogno di uno psichiatra bravo, ma molto bravo per uno dei più accaniti e violenti sostenitori della “crociata” disumana contro Papa Francesco». Lo psichiatra no, certamente tanto calore umano da parte delle persone che gli sono vicine, per un uomo in crisi esistenziale che sta facendo tanto male a molti cattolici che ancora in lui credono. E ogni giorno si trovano sempre più confusi e lontani dalla comunione ecclesiale.

Supplica per i sacerdoti


O Gesù sono qui ai tuoi piedi a chiederti misericordia per tutto il genere umano.

Mai come oggi ti abbiamo offeso così tanto ma tu paziente, umile e buono, Dio misericordioso continui a dispensarci grazie e ad amarci.

Gesù buono ti affido in quest'epoca così difficile tutti i sacerdoti in particolar modo quelli a me più cari.

I tuoi ministri hanno bisogno del tuo aiuto, della tua forza, della tua perseveranza, del tuo amore, perchè troppe sono le tentazioni che li spingono a seguire la via del peccato, a scoraggiarsi imboccando così la via larga lasciando quella stretta che porta a te.

O Gesù buono, sostienili, guidali, santificali, formali secondo il tuo cuore,
Dagli la capacità di perseverare nelle tribolazioni, fà che riescano a trovare sempre la forza necessaria nella preghiera.

Fa che sappiano tenere lo sguardo fisso su di te, in quella piccola Ostia, che sotto le loro mani divine il Tuo Corpo e il Tuo Sangue.
Fissare lo sguardo su di te abbracciando con amore la Croce che porta alla resurrezione.

Gesù Ostia, ti offro tutte le comunioni che farò per il loro bene, ti offro tutte le mie più piccole azioni per la loro santificazione. Gesù forma sacerdoti capaci di stare inginocchiati ai tuoi piedi, di adorati, di porsi come esempio e di ricondurre a te tante anime che brancolano nel buio più profondo.

Gesù buono non distogliere mai il tuo sguardo da loro, tienili per mano e se è necessario prendili in braccio nei momenti di maggiore difficoltà; ma ti prego Gesù non permettere mai che il male prenda il sopravvento su di loro.

Gesù, Maria vi prego intensamente per tutti loro.
Maria Santissima tu che hai amato tanto il tuo figlio Gesù e lo hai custodito ed educato per tutto il periodo della sua infanzia e giovinezza, fà lo stesso con i suoi ministri.

Mettili sotto il tuo manto e intercedi per loro presso Dio. Io vi prego, vi supplico non li abbandonate! Ma non sia fatta la mia ma la vostra volontà, sicura che questa è l'unica che porta al vero bene!

Lode e gloria a te Signore Gesù, benedetto sia sempre il tuo Santissimo Nome, insieme a quello della tua Santissima Madre Maria.

Vi amo con tutto il cuore rimando nella certezza che nella vostra infinita bontà ascolterete questa misera anima che vi chiede aiuto. Grazie. Amen

9 aprile 2017

Celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
XXXII Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 9 aprile 2017

Questa celebrazione ha come un doppio sapore, dolce e amaro, è gioiosa e dolorosa, perché in essa celebriamo il Signore che entra in Gerusalemme ed è acclamato dai suoi discepoli come re; e nello stesso tempo viene proclamato solennemente il racconto evangelico della sua Passione. Per questo il nostro cuore sente lo struggente contrasto, e prova in qualche minima misura ciò che dovette sentire Gesù nel suo cuore in quel giorno, giorno in cui gioì con i suoi amici e pianse su Gerusalemme.
.......

Il Vangelo proclamato prima della processione (cfr Mt 21,1-11) descrive Gesù che scende dal monte degli Ulivi in groppa a un puledro di asino, sul quale nessuno era mai salito; dà risalto all’entusiasmo dei discepoli, che accompagnano il Maestro con acclamazioni festose; ed è verosimile immaginare come questo contagiò i ragazzi e i giovani della città, che si unirono al corteo con le loro grida. Gesù stesso riconosce in tale accoglienza gioiosa una forza inarrestabile voluta da Dio, e ai farisei scandalizzati risponde: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40).

Ma questo Gesù, che secondo le Scritture entra proprio in quel modo nella Città santa, non è un illuso che sparge illusioni, non è un profeta “new age”, un venditore di fumo, tutt’altro: è un Messia ben determinato, con la fisionomia concreta del servo, il servo di Dio e dell’uomo che va alla passione; è il grande Paziente del dolore umano.
Mentre dunque anche noi facciamo festa al nostro Re, pensiamo alle sofferenze che Lui dovrà patire in questa Settimana. Pensiamo alle calunnie, agli oltraggi, ai tranelli, ai tradimenti, all’abbandono, al giudizio iniquo, alle percosse, ai flagelli, alla corona di spine…, e infine pensiamo alla via crucis, fino alla crocifissione.

Lui lo aveva detto chiaramente ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Non ha mai promesso onori e successi. I Vangeli parlano chiaro. Ha sempre avvertito i suoi amici che la sua strada era quella, e che la vittoria finale sarebbe passata attraverso la passione e la croce. E anche per noi vale lo stesso. Per seguire fedelmente Gesù, chiediamo la grazia di farlo non a parole ma nei fatti, e di avere la pazienza di sopportare la nostra croce: di non rifiutarla, non buttarla via, ma, guardando Lui, accettarla e portarla, giorno per giorno.

E questo Gesù, che accetta di essere osannato pur sapendo bene che lo attende il “crucifige!”, non ci chiede di contemplarlo soltanto nei quadri o nelle fotografie, oppure nei video che circolano in rete. No. E’ presente in tanti nostri fratelli e sorelle che oggi, oggi patiscono sofferenze come Lui: soffrono per un lavoro da schiavi, soffrono per i drammi familiari, soffrono per le malattie… Soffrono a causa delle guerre e del terrorismo, a causa degli interessi che muovono le armi e le fanno colpire. Uomini e donne ingannati, violati nella loro dignità, scartati…. Gesù è in loro, in ognuno di loro, e con quel volto sfigurato, con quella voce rotta chiede – ci chiede – di essere guardato, di essere riconosciuto, di essere amato. 

Non è un altro Gesù: è lo stesso che è entrato in Gerusalemme tra lo sventolare di rami di palma e di ulivo. E’ lo stesso che è stato inchiodato alla croce ed è morto tra due malfattori. Non abbiamo altro Signore all’infuori di Lui: Gesù, umile Re di giustizia, di misericordia e di pace.

8 aprile 2017

"SIA CROCIFISSO, SIA CROCIFISSO!"

"Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione

Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni."
Apocalisse 21,8

"In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita."
Giovanni 5,24

"Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio...."
Colossesi 3,1

"Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti."
Colossesi 2,12

"E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo....."
Ebrei 9,27



6 aprile 2017

Papa: fermiamoci un po' per scoprire l'amore di Dio nella nostra storia


“Vi invito a prendere, oggi, cinque minuti, dieci minuti, seduti, senza radio, senza tv; seduti, e pensare alla propria storia: le benedizioni e i guai, tutto. Le grazie e i peccati: tutto. E guardare lì la fedeltà di quel Dio che è rimasto fedele alla sua alleanza, è rimasto fedele alla promessa che aveva fatto ad Abramo, è rimasto fedele alla salvezza che aveva promesso in suo Figlio Gesù. Sono sicuro che in mezzo alle cose forse brutte – perché tutti ne abbiamo, tante cose brutte, nella vita – se oggi facciamo questo, scopriremo la bellezza dell’amore di Dio, la bellezza della sua misericordia, la bellezza della speranza. E sono sicuro che tutti noi saremo pieni di gioia”.

RadioVaticana

1 aprile 2017

Don Minutella, il santone dei cattolici protestanti si è separato da Roma


Un prete sedevacantista di Palermo, don Alessandro Minutella, ha ricevuto ordine dall’arcivescovo Corrado Lorefice di allontanarsi ed interrompere i suoi tentativi di separare i suoi seguaci dalla comunione ecclesiale con i vescovi e il Papa.
Il sacerdote ha risposto ieri con queste parole (più sotto il video), pronunciate durante l’omelia: «Corrado, vescovo di Palermo, consegnandomi questo decreto hai compiuto una vera profanazione di migliaia di anime! Hai fatto un passo falso, hai profanato tante coscienze, sei causa di tanto dolore e di tanta sofferenza! Ne risponderai a Dio».
Don Minutella ha quindi scomunicato la Chiesa cattolica: «Addio falsa Chiesa, i tuoi sforzi per riempire le chiese di gente resteranno inutili perché non hai la benedizione di Dio. Sei solo una multinazionale della menzogna e della falsità, prostituta indegna venduta ai poteri del mondo e hai scommesso sulla scomparsa del cattolicesimo». Sembrano citazioni di Lutero, ma non lo sono, anche se assomigliano molto alle parole usate dal padre della Riforma protestante, che giustificò così la sua denuncia verso la Chiesa romana: «Il papato è diventato infedele al Vangelo, il Papa è l’anticristo e la sua Chiesa la meretrice babilonese».
Il prete palermitano ha proseguito: «La polizia di regime ha individuato in me il vero nemico da eliminare, reo di essere costretto a denunciare la manomissione ereticale in alto per rendere la solenne sposa di Cristo ridicola concubina del mondo. Ho un risalto nazionale e se continuano a perseguitarmi sarà internazionale! Ciò che stanno facendo, sollevandomi da parroco, è una sfida non a me, a voi, ma direttamente alla Madonna». Dopo aver accusato la Chiesa di «piacere al mondo» e aver sottolineato più volte quanto la sua parrocchia sia sempre «stracolma» di gente, (quindi, anche lui piace al mondo?), don Minutella ha annunciato convinta resistenza al «vescovo che accoglie gli immigrati», ovvero mons. Lorefice. «Vi dico, se altri hanno chinato il capo per le loro ragioni spirituali, io andrò avanti per la difesa della fede cattolica, rischiando così la vita. Io di qua non mi muovo!».
Poco dopo, però, ha cambiato idea: «Fuggiremo in luoghi clandestini, dove però ci precederà il soffio della Pentecoste. Questa Chiesa menzognera, che crea lei disaffezione, non noi che che difendiamo la verità cattolica, riuscirà a rendermi vagabondo e ramingo. Il cuore immacolato di Maria ha ingaggiato la battaglia finale mentre il Drago infernale trema, la falsa Chiesa è molto forte e ce ne andremo negli scantinati e nelle catacombe. Io sarò sospeso a divinis e ridotto allo stato laicale ma le loro manovre sanzionatorie non solo non le temo ma non le ritengo neanche efficaci, sono un onore per me».
“Noi” e “loro”, Don Minutella si è da solo separato dalla Chiesa dando così ragione al decreto del vescovo Lorefice: era reale e fondata la minaccia di violare la comunione ecclesiale. Il sacerdote ha anche tradito pubblicamente la promessa fatta davanti a Dio di portare al vescovo che lo ha ordinato, e ai suoi successori, «filiale rispetto ed obbedienza» (Pontificale Romanum). Estrapolando varie profezie, ha inoltre fatto riferimento a Papa Francescocome «il falso profeta» a capo «del corpo mistico dell’Anticristo: il corpo mistico sulla terra avrà il suo Giuda Iscariota e sarà il falso profeta, Satana lo assumerà dai vescovi». Ha poi concluso annunciando, a partire dal prossimo mese, l’inizio dei raduni della sua “nuova chiesa”, quella autentica, protestante verso i cattolici romani: «Svolgo il mio ruolo di profeta e il raduno si farà».
Il sacerdote pare un evidente e affezionato lettore dei noti giornalisti dissidenti, uno che ha preso per vere e reali le falsità da loro scritte, eccone alcune: il Papa celebra Lutero, vuole le donne prete, detesta i cristiani perseguitati a cui preferisce l’ecologia del pianeta, si vergogna di Cristo, insulta i cattolici e rinnega il Catechismo, vuole l’immigrazione incontrollata perché la religione islamica sovverta quella cattolica, intende distruggere Medjugorje, ha istituito il divorzio cattolico ecc. Ecco a dove portano gli articoli di Antonio Socci, Riccardo Cascioli, Marco Tosatti e Roberto De Mattei (e colleghi), verso i quali abbiamo ritenuto da diverso tempo doverci esprimere, annusando nell’aria di questa disinformazione totale un insano desiderio di seconda ribellione sessantottina.
E’ un ottimo oratore don Minutella e sa conquistare la folla citando parole evangeliche, di Santi e del Catechismo per convincere i seguaci a frequentare solo la sua (ex) parrocchia e non le altre di Palermo, immerse nell’eresia poiché fedeli a Roma. La rottura con la Chiesa cattolica è però iniziata quando il cardinale Paolo Romeo (scelto nel 2006 da Benedetto XVI a guida dell’arcidiocesi di Palermo) e l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi (nominato nel 2013 da Benedetto XVI), lo hanno intimato alla conversione e al divieto a parlare pubblicamente dei suoi sedicenti poteri sovrannaturali. Sì, il prete aveva infatti già provato a far parlare di sé qualche anno fa sostenendo di ricevere locuzioni divine, indicazioni dagli angeli e messaggi dalla Madonna, che rivelava attraverso il suo sito web. Ha anche fondato il centro “Piccola Nazareth”, sostenendo che la Madonna gli avrebbe indicato -come fece con Bernadette- un luogo dove scavare e trovare acqua miracolosa dalle proprietà terapeutiche ed esorcistiche, che poi ha iniziato a distribuire ai seguaci. La Curia gli aveva chiesto di interrompere questa messinscena, imitazione di Medjugorje e Lourdes, «per non turbare le coscienze e per non dare scandalo ai fedeli». I suoi discepoli hanno aggredito il vescovo.
Don Minutella si è così reinventato profeta del web, cadendo nella vanità e scoprendo la facile celebrità su Facebook. Oggi tiene infatti lunghissime denunce alla Chiesa in auto, in casa, sull’altare: la videocamera è sempre accesa e puntata su di sé, l’inizio del quotidiano show virtuale del predicatore viene annunciato dai post sui social network, l’omelia trasformata in comizio dove i fedeli urlano e applaudono ad ogni suo affondo, sognando la rivoluzione. Ci sono però da fare due importanti precisazioni.

1) Prima precisazione. Il prete siciliano odia Martin Lutero ma è colui che più gli assomiglia e non soltanto per le identiche parole utilizzate. Infatti, se Lutero, di fronte alla decadenza della Chiesa rinascimentale aveva legittime intenzioni di riforma (come hanno spiegato Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II) -poi finite, in scisma e relativa scomunica-, anche don Minutella ha qualche legittima ragione dalla sua parte. Nella diocesi di Palermo, infatti, vi sono effettivamente altri preti a dir poco scandalosi verso i quali non sembra vi sia stato alcun provvedimento. Il principale è don Fabrizio Fiorentino, noto alle cronache per aver augurato la morte al card. Angelo Bagnasco. Recandosi sul suo profilo Facebook lo si vede spesso esibirsi in costume da bagno o in vestiti attillati, con sigaretta in bocca su spiagge dorate e in comportamenti ambigui. E’ un esplicito militante Lgbt e deride le omelie dei suoi colleghi, ha definito «criminale» don Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria. Abbiamo scritto in passato all’arcivescovo Lorefice chiedendo se fosse a conoscenza di tutto questo, non ricevendo però alcuna risposta.
Purtroppo i don Farinella, i don Gallo, i don Antonelli, i don De Capitani, i Vito Mancuso e gli Hans Küng sono sempre esistiti nella Chiesa e ben prima di mons. Lorefice, senza che verso di loro fossero presi particolari provvedimenti. Nessuno di essi, però, ha mai esplicitamente minacciato la divisione, lo scisma della comunità ecclesiale, come ha fatto don Minutella. Quest’ultimo mostra di avere alcune intenzioni corrette e pienamente condivisibili, ma appena nega l’autorità dei vescovi e del Pontefice, giustificandosi con loro presunte mancanze, allora diventa più pericoloso per i fedeli di qualunque prete ambiguo (compreso il suo nemico, don Fiorentino).
«Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro»ha scritto Joseph Ratzinger«la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: “Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia”. Il ministero dell’unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo» e la comunione con il Santo Padre e con i vescovi «è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa». Le schegge impazzite, pur animate da buone intenzioni, non salvano la Chiesa e provocano soltanto danni irreparabili. Gli errori umani dei pastori e del Papa, aggiunse il futuro pontefice, «non sono mai mancati. Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio».

2) Seconda precisazione. La misericordia proclamata da Francesco viene oggi usata dai seguaci di don Minutella e dai tradizionalisti in generale come “ricatto morale” verso l’allontanamento del sacerdote. Non c’è in realtà alcuna contraddizione e a scriverlo è il giornalista antipapista Aldo Maria Valli: «La scomunica», o la sottrazione della parrocchia come è stato fatto nei riguardi di don Minutella, «non è una rinuncia alla misericordia, ma una sua forma di esercizio. A volte il massimo della misericordia consiste proprio nel far capire al figlio la gravità di ciò che ha commesso. Altrimenti si cade nel relativismo e nell’indifferentismo morale. La Chiesa, che è madre, quando prevede una pena non lo fa per il gusto di punire, ma perché il figlio ritrovi la strada della conversione e della comunione. Non rinuncia ad accogliere, ci ricorda la distinzione dei ruoli: chi ha autorità morale la deve esercitare, sulla base della propria sapienza, per il bene di tutti. E se il colpevole prova vergogna? Tanto meglio, risponde san Paolo (e qualche volta l’ha detto anche papa Francesco), perché provare vergogna fa bene sulla strada del pentimento».
Se nel 2014 Francesco è arrivato a scomunicare i fondatori di Noi siamo Chiesa, associazione di cattolici progressisti vicina a Vito Mancuso, per don Minutella si tratta per ora solo di allontanamento, ennesimo atto misericordioso in speranza di un suo ravvedimento. E’ quello che ci auguriamo tutti,