30 aprile 2017

Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e mistica


Il viaggio del Papa in Egitto è stato, da qualsiasi angolo lo si voglia giudicare, un successo. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione. «Egli – ha affermato Francesco - è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».  

Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso. Un sostegno, innanzitutto, al presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.  

Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».  

Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra musulmani e cristiani. 

Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.  

I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue, del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico, maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono, comunque, banali.  

Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio». Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul «particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla pace: «Io sono cristiano».  

Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»: portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera, sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.  

L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico. Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici» possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha, nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente. Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente. 

MASSIMO BORGHESI

Vatican Insider