31 gennaio 2018

Dice che non è matto. forse bestemmiatore?

Dalla Treccani: "Per***, esclamazione imprecativa che esprime disappunto, risentimento, insofferenza o sorpresa, oppure serve a rafforzare un’asserzione, una negazione, una minaccia: .....
con il sign. di imprecazione, BESTEMMIA: ogni tanto gli scappa qualche per***





Mai sentite tante bugie e falsità concentrate in poco più di un'ora.

La Santa Messa - 8. Liturgia della Parola: I. Dialogo tra Dio e il suo popolo

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 31 gennaio 2018




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo oggi le catechesi sulla Santa Messa. Dopo esserci soffermati sui riti d’introduzione, consideriamo ora la Liturgia della Parola, che è una parte costitutiva perché ci raduniamo proprio per ascoltare quello che Dio ha fatto e intende ancora fare per noi. E’ un’esperienza che avviene “in diretta” e non per sentito dire, perché «quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella parola, annunzia il Vangelo» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 29; cfr Cost. Sacrosanctum Concilium, 7; 33). E quante volte, mentre viene letta la Parola di Dio, si commenta: “Guarda quello…, guarda quella…, guarda il cappello che ha portato quella: è ridicolo…”. E si cominciano a fare dei commenti. Non è vero? Si devono fare dei commenti mentre si legge la Parola di Dio? [rispondono: “No!”]. No, perché se tu fai delle chiacchiere con la gente non ascolti la Parola di Dio. Quando si legge la Parola di Dio nella Bibbia – la prima Lettura, la seconda, il Salmo responsoriale e il Vangelo – dobbiamo ascoltare, aprire il cuore, perché è Dio stesso che ci parla e non pensare ad altre cose o parlare di altre cose. Capito?... Vi spiegherò che cosa succede in questa Liturgia della Parola.

Le pagine della Bibbia cessano di essere uno scritto per diventare parola viva, pronunciata da Dio. È Dio che, tramite la persona che legge, ci parla e interpella noi che ascoltiamo con fede. Lo Spirito «che ha parlato per mezzo dei profeti» (Credo) e ha ispirato gli autori sacri, fa sì che «la parola di Dio operi davvero nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi» (Lezionario, Introd., 9). Ma per ascoltare la Parola di Dio bisogna avere anche il cuore aperto per ricevere le parole nel cuore. Dio parla e noi gli porgiamo ascolto, per poi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato. È molto importante ascoltare. Alcune volte forse non capiamo bene perché ci sono alcune letture un po’ difficili. Ma Dio ci parla lo stesso in un altro modo. [Bisogna stare] in silenzio e ascoltare la Parola di Dio. Non dimenticatevi di questo. Alla Messa, quando incominciano le letture, ascoltiamo la Parola di Dio.

Abbiamo bisogno di ascoltarlo! E’ infatti una questione di vita, come ben ricorda l’incisiva espressione che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). La vita che ci dà la Parola di Dio. In questo senso, parliamo della Liturgia della Parola come della “mensa” che il Signore imbandisce per alimentare la nostra vita spirituale. E’ una mensa abbondante quella della liturgia, che attinge largamente ai tesori della Bibbia (cfr SC, 51), sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, perché in essi è annunciato dalla Chiesa l’unico e identico mistero di Cristo (cfr Lezionario, Introd., 5). Pensiamo alla ricchezza delle letture bibliche offerte dai tre cicli domenicali che, alla luce dei Vangeli Sinottici, ci accompagnano nel corso dell’anno liturgico: una grande ricchezza. Desidero qui ricordare anche l’importanza del Salmo responsoriale, la cui funzione è di favorire la meditazione di quanto ascoltato nella lettura che lo precede. E’ bene che il Salmo sia valorizzato con il canto, almeno nel ritornello (cfr OGMR, 61; Lezionario, Introd., 19-22).

La proclamazione liturgica delle medesime letture, con i canti desunti dalla Sacra Scrittura, esprime e favorisce la comunione ecclesiale, accompagnando il cammino di tutti e di ciascuno. Si capisce pertanto perché alcune scelte soggettive, come l’omissione di letture o la loro sostituzione con testi non biblici, siano proibite. Ho sentito che qualcuno, se c’è una notizia, legge il giornale, perché è la notizia del giorno. No! La Parola di Dio è la Parola di Dio! Il giornale lo possiamo leggere dopo. Ma lì si legge la Parola di Dio. È il Signore che ci parla. Sostituire quella Parola con altre cose impoverisce e compromette il dialogo tra Dio e il suo popolo in preghiera. Al contrario, [si richiede] la dignità dell’ambone e l’uso del Lezionario, la disponibilità di buoni lettori e salmisti. Ma bisogna cercare dei buoni lettori!, quelli che sappiano leggere, non quelli che leggono [storpiando le parole] e non si capisce nulla. E’ così. Buoni lettori. Si devono preparare e fare la prova prima della Messa per leggere bene. E questo crea un clima di silenzio ricettivo[1].

Sappiamo che la parola del Signore è un aiuto indispensabile per non smarrirci, come ben riconosce il Salmista che, rivolto al Signore, confessa: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Come potremmo affrontare il nostro pellegrinaggio terreno, con le sue fatiche e le sue prove, senza essere regolarmente nutriti e illuminati dalla Parola di Dio che risuona nella liturgia?

Certo non basta udire con gli orecchi, senza accogliere nel cuore il seme della divina Parola, permettendole di portare frutto. Ricordiamoci della parabola del seminatore e dei diversi risultati a seconda dei diversi tipi di terreno (cfr Mc 4,14-20). L’azione dello Spirito, che rende efficace la risposta, ha bisogno di cuori che si lascino lavorare e coltivare, in modo che quanto ascoltato a Messa passi nella vita quotidiana, secondo l’ammonimento dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Parola di Dio fa un cammino dentro di noi. La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani. Impariamo queste cose. Grazie!


[1]  «La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera» (OGMR, 56).

29 gennaio 2018

Fratel Biagio scrive a Don Minutellla...

Carissimo padre e fratello Minutella: sento dal profondo del mio cuore comunicarti l’esempio profondo dell’Apostolo Paolo che da nemico e persecutore della Madre Chiesa di Dio si convertì e in Santa Ubbidienza accoglie lla Misericordia e la Grazia di Dio e del Figlio Suo Gesù; Ti prego sii anche tu Misericordioso con il Santo Padre Papa Francesco, con tutti i Cardinali e i Vescovi e tutto il popolo Santo di Dio.
Non più giudizi e condanne ma costruttori di Vera Pace e Speranza, dobbiamo essere prudentissimi perché il “Diavolo” vuole ottenere un solo obiettivo metterci gli uni contro gli altri non possiamo permettere che questo diabolico progetto si realizzi, ma nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo in terra e sottoterra.
La Pace e la Speranza ti siano preziose compagne della vita e ti prego e tu prega per me affinché non straziamo più la carne di Cristo

25-01-2018
Pace e Speranza
Fratelli Biagio
Piccolo servo inutile




Papa Francesco: Tutti insieme: “Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio”.

OMELIA DI PAPA FRANCESCO
Basilica di Santa Maria Maggiore
Domenica, 28 gennaio 2018



Come popolo di Dio in cammino, siamo qui a sostare nel tempio della Madre. La presenza della Madre rende questo tempio una casa familiare a noi figli. Insieme a generazioni e generazioni di romani, riconosciamo in questa casa materna la nostra casa, la casa dove trovare ristoro, consolazione, protezione, rifugio. Il popolo cristiano ha capito, fin dagli inizi, che nelle difficoltà e nelle prove bisogna ricorrere alla Madre, come indica la più antica antifona mariana: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Cerchiamo rifugio. I nostri Padri nella fede hanno insegnato che nei momenti turbolenti bisogna raccogliersi sotto il manto della Santa Madre di Dio. Un tempo i perseguitati e i bisognosi cercavano rifugio presso le nobili donne altolocate: quando il loro mantello, che era ritenuto inviolabile, si stendeva in segno di accoglienza, la protezione era concessa. Così è per noi nei riguardi della Madonna, la donna più alta del genere umano. Il suo manto è sempre aperto per accoglierci e raccoglierci. Ce lo ricorda bene l’Oriente cristiano, dove molti festeggiano la Protezione della Madre di Dio, che in una bella icona è raffigurata mentre, col suo manto, ripara i figli e copre il mondo intero. Anche i monaci antichi raccomandavano, nelle prove, di rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio: invocarla – “Santa Madre di Dio” – era già garanzia di protezione e di aiuto e questa preghiera ripetuta: “Santa Madre di Dio”, “Santa Madre di Dio” … Soltanto così.

Questa sapienza, che viene da lontano, ci aiuta: la Madre custodisce la fede, protegge le relazioni, salva nelle intemperie e preserva dal male. Dove la Madonna è di casa il diavolo non entra. Dove la Madonna è di casa il diavolo non entra. Dove c’è la Madre il turbamento non prevale, la paura non vince. Chi di noi non ha bisogno di questo, chi di noi non è talvolta turbato o inquieto? Quante volte il cuore è un mare in tempesta, dove le onde dei problemi si accavallano e i venti delle preoccupazioni non cessano di soffiare! Maria è l’arca sicura in mezzo al diluvio. Non saranno le idee o la tecnologia a darci conforto e speranza, ma il volto della Madre, le sue mani che accarezzano la vita, il suo manto che ci ripara. Impariamo a trovare rifugio, andando ogni giorno dalla Madre.

Non disprezzare le suppliche, continua l’antifona. Quando noi la supplichiamo, Maria supplica per noi. C’è un bel titolo in greco che dice questo: Grigorusa, cioè “colei che intercede prontamente”. E questo prontamente è quanto usa Luca nel Vangelo per dire come è andata Maria da Elisabetta: presto, subito! Intercede prontamente, non ritarda, come abbiamo sentito nel Vangelo, dove porta subito a Gesù il bisogno concreto di quella gente: «Non hanno vino» (Gv 2,3), niente più!. Così fa ogni volta, se la invochiamo: quando ci manca la speranza, quando scarseggia la gioia, quando si esauriscono le forze, quando si oscura la stella della vita, la Madre interviene. E se la invochiamo, interviene di più. È attenta alle fatiche, sensibile alle turbolenze - le turbolenze della vita -, vicina al cuore. E mai, mai disprezza le nostre preghiere; non ne lascia cadere nemmeno una. È Madre, non si vergogna mai di noi, anzi attende solo di poter aiutare i suoi figli.

Un episodio può aiutarci a capire. Accanto a un letto di ospedale una madre vegliava il proprio figlio, dolorante dopo un incidente. Quella madre stava sempre lì, giorno e notte. Una volta si lamentò col sacerdote, dicendo: «Ma il Signore non ha permesso una cosa a noi madri!». «Che cosa?» – chiese il prete. «Prendere il dolore dei figli», rispose la donna. Ecco il cuore di madre: non si vergogna delle ferite, delle debolezze dei figli, ma le vuole con sé. E la Madre di Dio e nostra sa prendere con sé, consolare, vegliare, risanare.

Continua l’antifona, liberaci da ogni pericolo. Il Signore stesso sa che ci occorrono rifugio e protezione in mezzo a tanti pericoli. Per questo, nel momento più alto, sulla croce, ha detto al discepolo amato, a ogni discepolo: «Ecco tua Madre!» (Gv 19,27). La Madre non è un optional, una cosa opzionale, è il testamento di Cristo. E noi abbiamo bisogno di lei come un viandante del ristoro, come un bimbo di essere portato in braccio. È un grande pericolo per la fede vivere senza Madre, senza protezione, lasciandoci trasportare dalla vita come le foglie dal vento. Il Signore lo sa e ci raccomanda di accogliere la Madre. Non è galateo spirituale, è un’esigenza di vita. Amarla non è poesia, è saper vivere. Perché senza Madre non possiamo essere figli. E noi, prima di tutto, siamo figli, figli amati, che hanno Dio per Padre e la Madonna per Madre.

Il Concilio Vaticano II insegna che Maria è «segno di certa speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio» (Cost. Lumen gentium, VIII, V). È segno, è il segno che Dio ha posto per noi. Se non lo seguiamo, andiamo fuori strada. Perché c’è una segnaletica della vita spirituale, che va osservata. Essa indica a noi, «ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni» (ivi,, 62), la Madre, che è già giunta alla meta. Chi meglio di lei può accompagnarci nel cammino? Che cosa aspettiamo? Come il discepolo che sotto la croce accolse la Madre con sé, «fra le cose proprie», dice il Vangelo (Gv 19,27), anche noi, da questa casa materna, invitiamo Maria a casa nostra, nel cuore nostro, nella vita nostra. Non si può stare neutrali o distaccati dalla Madre, altrimenti perdiamo la nostra identità di figli e la nostra identità di popolo, e viviamo un cristianesimo fatto di idee, di programmi, senza affidamento, senza tenerezza, senza cuore. Ma senza cuore non c’è amore e la fede rischia di diventare una bella favola di altri tempi. La Madre, invece, custodisce e prepara i figli. Li ama e li protegge, perché amino e proteggano il mondo. Facciamo della Madre l’ospite della nostra quotidianità, la presenza costante a casa nostra, il nostro rifugio sicuro. Affidiamole ogni giornata. Invochiamola in ogni turbolenza. E non dimentichiamoci di tornare da lei per ringraziarla.

Adesso guardandola, appena uscita dall’ospedale, guardiamola con tenerezza e salutiamola come l’hanno salutata i cristiani di Efeso. Tutti insieme, per tre volte: “Santa Madre di Dio”. Tutti insieme: “Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio”.

28 gennaio 2018

Visita alla Basilica di Santa Sofia a Roma

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA COMUNITÀ GRECO-CATTOLICA UCRAINA 
Domenica, 28 gennaio 2018



Saluto all’arrivo davanti alla Basilica di S. Sofia

[Sia lodato Gesù Cristo in ucraino]

Grazie tante per l’invito, per la vostra presenza, per l’accoglienza, per la vostra gioia. Sono venuto a pregare con voi e a visitarvi. Vi invito, prima di entrare, a fare una preghiera per la pace in Ucraina.

Ave o Maria…

Ci vediamo dopo.


DISCORSO

Beatitudine, caro Fratello Sviatoslav, cari Vescovi, sacerdoti, fratelli e sorelle, vi saluto cordialmente, felice di essere con voi. Vi ringrazio per la vostra accoglienza e per la fedeltà di sempre, fedeltà a Dio e al successore di Pietro, che non poche volte è stata pagata a caro prezzo.

Entrando in questo luogo sacro ho avuto la gioia di guardare i vostri volti, sentire i vostri canti. Se siamo qui, riuniti in comunione fraterna, dobbiamo rendere grazie anche per tanti volti che ora non vediamo più, ma che sono stati un riflesso dello sguardo d’amore di Dio su di noi. Penso, in particolare, a tre figure: la prima è il Cardinal Slipyj, di cui nell’anno appena concluso si è ricordato il centoventicinquesimo anniversario della nascita. Ha voluto ed edificato questa luminosa Basilica, perché splendesse come segno profetico di libertà negli anni in cui a tanti luoghi di culto l’accesso era impedito. Ma con le sofferenze patite e offerte al Signore ha contribuito a costruire un altro tempio, persino più grande e bello, l’edificio di pietre vive che siete voi (cfr 1 Pt 2,5).

Una seconda figura è quella del Vescovo Chmil, morto quarant’anni fa e qui sepolto: una persona che mi ha fatto tanto bene. È indelebile in me il ricordo di quando, da giovane – avevo dodici anni – assistevo alla sua Messa; lui mi ha insegnato a servire la Messa, a leggere l’alfabeto vostro, a rispondere alle varie parti…; da lui ho appreso, in questo servizio alla Messa – tre volte alla settimana lo facevo –, la bellezza della vostra liturgia; dai suoi racconti la viva testimonianza di quanto la fede sia stata provata e forgiata in mezzo alle terribili persecuzioni ateiste del secolo scorso. Sono molto grato a lui e ai vostri numerosi “eroi della fede”: coloro che, come Gesù, hanno seminato nella via della croce, generando una messe feconda. Perché la vera vittoria cristiana è sempre nel segno della croce, nostro stendardo di speranza.

E la terza persona che vorrei ricordare è il Cardinale Husar. Siamo stati fatti cardinali lo stesso giorno. Lui non è stato solo “padre e capo” della vostra Chiesa, ma guida e fratello maggiore di tanti; Lei, cara Beatitudine, lo porta nel cuore, e molti ne conserveranno per sempre l’affetto, la gentilezza, la presenza vigile e orante fino alla fine. Cieco, ma guardava al di là.

Questi testimoni del passato sono stati aperti al futuro di Dio e perciò danno speranza al presente. Diversi tra voi hanno avuto forse la grazia di conoscerli. Quando varcate la soglia di questo tempio, ricordate, fate memoria dei padri e delle madri nella fede, perché sono i basamenti che ci reggono: quelli che ci hanno insegnato il Vangelo con la vita ancora ci orientano e ci accompagnano nel cammino. L’Arcivescovo Maggiore ha parlato delle mamme, delle nonne ucraine, che trasmettono la fede, hanno trasmesso la fede, con coraggio; hanno battezzato i figli, i nipoti, con coraggio. E anche oggi, [è grande] il bene – e questo lo dico perché lo conosco – il bene che queste donne fanno qui a Roma, in Italia, curando i bambini, o come badanti: trasmettono la fede nelle famiglie, alcune volte tiepide nell’esperienza di fede… Ma voi avete una fede coraggiosa. E mi viene alla memoria la lettura dello scorso venerdì, quando Paolo dice a Timoteo: “Tua mamma e tua nonna”. Dietro ad ognuno di voi c’è una mamma, una nonna che ha trasmesso la fede. Le donne ucraine sono eroiche, davvero. Ringraziamo il Signore!

Nel cammino della vostra comunità romana il riferimento stabile è questa rettoria. Insieme alle comunità greco-cattoliche ucraine di tutto il mondo, avete ben espresso il vostro programma pastorale in una frase: La parrocchia vivente è il luogo d’incontro con il Cristo vivente. Due parole vorrei sottolineare. La prima è incontro. La Chiesa è incontro, è il luogo dove guarire la solitudine, dove vincere la tentazione di isolarsi e di chiudersi, dove attingere la forza per superare i ripiegamenti su se stessi. La comunità è allora il luogo dove condividere le gioie e le fatiche, dove portare i pesi del cuore, le insoddisfazioni della vita e la nostalgia di casa. Qui Dio vi attende per rendere sempre più sicura la vostra speranza, perché quando s’incontra il Signore tutto viene attraversato dalla sua speranza. Vi auguro di attingere sempre qui il pane per il cammino di ogni giorno, la consolazione del cuore, la guarigione delle ferite. La seconda parola è vivente. Gesù è il vivente, è risorto e vivo e così lo incontriamo nella Chiesa, nella Liturgia, nella Parola. Ogni sua comunità, allora, non può che profumare di vita. La parrocchia non è un museo di ricordi del passato o un simbolo di presenza sul territorio, ma è il cuore della missione della Chiesa, dove si riceve e si condivide la vita nuova, quella vita che vince il peccato, la morte, la tristezza, ogni tristezza, e mantiene giovane il cuore. Se la fede nascerà dall’incontro e parlerà alla vita, il tesoro che avete ricevuto dai vostri padri sarà ben custodito. Saprete così offrire i beni inestimabili della vostra tradizione anche alle giovani generazioni, che accolgono la fede soprattutto quando percepiscono la Chiesa vicina e vivace. I giovani hanno bisogno di percepire questo: che la Chiesa non è un museo, che la Chiesa non è un sepolcro, che Dio non è una cosa lì… no, che la Chiesa è viva, che la Chiesa dà vita e che Dio è Gesù Cristo in mezzo alla Chiesa, è Cristo vivente.

Vorrei anche rivolgere un pensiero riconoscente alle tante donne – ho parlato un po’ a braccio di questo, mi ripeto – che nelle vostre comunità sono apostole di carità e di fede. Siete preziose e portate in molte famiglie italiane l’annuncio di Dio nel migliore dei modi, quando con il vostro servizio vi prendete cura delle persone attraverso una presenza premurosa e non invadente. Questo è molto importante: non invadente…, [fatta di] testimonianza… E allora [fa dire]: “Questa donna è buona…”; e la fede viene, viene trasmessa la fede. Vi invito a considerare il vostro lavoro, faticoso e spesso poco appagante, non solo come un mestiere, ma come una missione: siete i punti di riferimento nella vita di tanti anziani, le sorelle che fanno loro sentire di non essere soli. Portate il conforto e la tenerezza di Dio a chi, nella vita, si dispone a prepararsi all’incontro con lui. È un grande ministero di prossimità e di vicinanza, gradito a Dio, di cui vi ringrazio. E voi, che fate questo mestiere di badanti degli anziani, vedete che loro vanno al di là, e forse li dimenticate, perché ne viene un altro, e un altro… Sì, ricordate i nomi… Ma saranno loro ad aprirvi la porta, lassù, saranno loro.

Comprendo che, mentre siete qui, il cuore palpita per il vostro Paese, e palpita non solo di affetto, ma anche di angoscia, soprattutto per il flagello della guerra e per le difficoltà economiche. Sono qui per dirvi che vi sono vicino: vicino col cuore, vicino con la preghiera, vicino quando celebro l’Eucaristia. Lì supplico il Principe della Pace perché tacciano le armi. Gli chiedo anche che non abbiate più bisogno di compiere immani sacrifici per mantenere i vostri cari. Prego perché nei cuori di ciascuno non si spenga mai la speranza, ma si rinnovi il coraggio di andare avanti, di ricominciare sempre. Vi ringrazio, a nome della Chiesa intera, mentre a tutti voi e alle persone che portate nel cuore do la mia Benedizione. E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me.

E vorrei anche farvi una confidenza, dirvi un segreto. La notte, prima di andare a letto, e al mattino, quando mi sveglio, sempre “mi incontro con gli ucraini”. Perché? Perché quando il vostro Arcivescovo Maggiore è venuto in Argentina, quando l’ho visto io ho pensato che fosse il “chierichetto” della Chiesa ucraina: ma era l’Arcivescovo! Ha fatto un bel lavoro, in Argentina. Ci incontravamo insieme, abbastanza spesso. Poi, un giorno è andato al Sinodo ed è tornato Arcivescovo Maggiore, per congedarsi. Il giorno in cui si è congedato, mi ha regalato un’icona bellissima – così, la metà [piega a metà i fogli che ha in mano per mostrare la dimensione] – della Madonna della tenerezza. E io a Buenos Aires l’ho portata in camera mia, e ogni notte la salutavo, e al mattino anche, un’abitudine. Poi toccò a me fare il viaggio a Roma e non poter tornare – lui poté tornare, io no! –. E mi sono fatto portare i tre libri del breviario che non avevo portato, e le cose più essenziali, e quella Madonna della tenerezza. E ogni notte, prima di andare a letto, bacio la Madonna della tenerezza che mi ha regalato il vostro Arcivescovo Maggiore, e al mattino anche, la saluto. Così si può dire che incomincio la giornata e la finisco “in ucraino”.

E adesso vi invito a pregare la Madonna e vi darò la benedizione, che vorrei dare insieme al vostro Arcivescovo.

Ave o Maria, …

[Benedizione]


Saluto finale alla comunità ucraina radunata fuori dalla Basilica di S. Sofia

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio tanto per la calorosa accoglienza. Rimango con il cuore pieno di gioia per questo incontro. Grazie per la vostra perseveranza nella fede. Siate saldi nella fede! Custodite la fede ricevuta dai vostri antenati e trasmettetela ai figli. E’ il dono più bello che un popolo può dare ai figli: la fede, la fede ricevuta.

Il Signore vi benedica. E pregate per me [dicono: “Sì!”] Ma a favore, o contro?... [rispondono: “A favore!”] Continuate a pregare per me. Io continuerò a pregare per voi, a incominciare e finire la giornata “in ucraino” davanti alla Madonna che mi ha regalato l’Arcivescovo [Shevchuk] a Buenos Aires.

Vi do la benedizione. La chiediamo alla Madonna, insieme.

“Ave o Maria…”

[Benedizione]

Coraggio, e avanti!



Pio XII, come furono salvati 11mila ebrei romani

Durante la Seconda guerra mondiale papa Pacelli ha salvato Centinaia di pagine di documenti originali "Pave the wave" contengono dettagli su come siano stati attuati gli ordini di Papa Pacelli durante la guerra di nasconderli a Roma



Il Vaticano falsificò segretamente i certificati di battesimo per permettere a molti ebrei di emigrare come cattolici. A documentare l’azione diretta di papa Pacelli sono i documenti trovati dallo storico Michael Hesemann negli archivi di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale tedesca a Roma. Un passo avanti nella causa di beatificazione e canonizzazione. In un cablogramma originale inviato dal commando tedesco a Berlino al quartier generale delle SS di Roma in cui si ordinava l'arresto di 8.000 ebrei romani da portare al campo di lavoro di Mauthausen. Dopo un intervento papale, non ne vennero arrestati 8.000 ma poco più di 1.000.

E’ documentata l'azione personale e diretta di Pio XII per fermare gli arresti degli ebrei a Roma il 16 ottobre 1943. Quando gli arresti terminarono, papa Pacelli inviò un rappresentante nel luogo in cui erano detenuti per chiedere il rilascio dei 1.000 ebrei che erano stati arrestati, ma non fu permesso l'ingresso. Il Papa ordinò che gli ebrei di Roma ricevessero ospitalità nelle proprietà della Chiesa e nelle case cattoliche, sospendendo le norme claustrali di modo che gli uomini potessero essere ammessi nei conventi e le donne nei monasteri di tutta Europa. Nascose 7.000 ebrei letteralmente in un giorno.«Probabilmente papa Pacelli ha salvato più ebrei di tutti i leader politici e religiosi del mondo insieme». Gary Krupp, Presidente della «Pave the Way Foundation», commenta che “è tempo di riconoscere il Papa Pio XII per ciò che egli ha realmente fatto e non per quello che non ha detto”. E aggiunge:“Per quello che ho visto e conosciuto il Papa è, senza dubbio, il più grande eroe della seconda guerra mondiale. Pio XII non è stato il Papa di Hitler, al contrario era un uomo che Hitler voleva uccidere”. Inoltre il futuro Pio XII sfruttò la sua influenza perché l'allora rappresentante dell'Organizzazione Sionista Mondiale Nachum Sokolov fosse ricevuto personalmente da papa Benedetto XV per parlare di una patria ebraica in Palestina. Nel 1926, monsignor Pacelli esortò i cattolici tedeschi a sostenere il Comitato Pro Palestina, che appoggiava gli insediamenti ebraici in Terra Santa.

I documenti, che possono essere scaricati dalla pagina web della Fondazione, comprendono un manoscritto di una monaca, datato 1943, che spiega dettagliatamente le istruzioni ricevute dal Papa, così come una lista di ebrei protetti. Un altro documento è un rapporto dello US Foreign Service del console americano a Colonia, che informa sul “nuovo Papa” nel 1939. Il diplomatico si mostra sorpreso per l'“estrema avversione” di Pacelli nei confronti di Hitler e del regime nazista, e per il suo sostegno ai Vescovi tedeschi nella loro opposizione al nazionalsocialismo, anche a costo della soppressione delle Gioventù Cattoliche tedesche. In un documento del 1938, l'allora Segretario di Stato Eugenio Pacelli si oppone al disegno di legge polacco di dichiarare illegale il sacrificio kosher, visto che questa legge “presupporrebbe una grave persecuzione contro il popolo ebraico”.

Durante la guerra, Pio XII scrisse un telegramma all'allora reggente dell'Ungheria, l'ammiraglio Miklós Horthy, perché evitasse la deportazione degli ebrei, e questi acconsentì, il che si stima abbia salvato circa 80.000 vite umane. Al Governo brasiliano chiese di accettare 3.000 “non ariani”. In una testimonianza il generale Karl Wolff parla dettagliatamente del piano di Hitler di attaccare il Vaticano e sequestrare il Pontefice. C'erano spie in Vaticano, e franchi tiratori tedeschi a 200 metri dalle finestre papali. La stessa limitazione delle dichiarazioni pubbliche del Papa, che ha suscitato molte critiche nei suoi confronti, si spiega per l'aumento delle pene nei campi di concentramento, testimoniata da ex prigionieri, ogni volta che alte cariche ecclesiastiche parlavano contro il regime nazista. Sono documentati molti esempi delle azioni dirette e del ministero pastorale di Eugenio Pacelli per salvare gli ebrei dalla tirannia nazista. Ci sono prove della “diretta intercessione di Pacelli per difendere gli ebrei della Palestina dai Turchi ottomani nel 1917 e del suo incoraggiamento a istituire una patria ebraica in Palestina nel 1925. Inoltre papa Pio XII ebbe un ruolo attivo nell'opposizione a Hitler. Pacelli fu un attivo nemico di Adolph Hitler, fino a cospirare nel tentativo di assassinare il Führer del 20 luglio 1944. Tra le testimonianze di quanto Pio XII fece in favore degli ebrei durante la Shoah c’è anche la prova scritta dell’ordine che il Papa diede per ospitare gli ebrei nei conventi. Nel Memoriale delle Religiose Agostiniane del Monastero dei SS. Quattro Coronati di Roma del 1943 è scritto: “Arrivato a questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto insospettata. Il Santo Padre Pio XII dal cuore paterno sente in sé tutte le sofferenze del momento. Purtroppo con l’entrata dei tedeschi in Roma, avvenuta nel mese di settembre è iniziata una guerra spietata contro gli Ebrei che si vogliono sterminare mediante atrocità suggerite dalla più nera barbarie”. “In queste dolorose situazioni – si legge ancora nel Memoriale - il Santo Padre vuol salvare i suoi figli, anche gli Ebrei, e ordina che nei Monasteri si deve ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice, e col giorno 4 novembre noi ospitammo fino al giorno 6 giugno successivo le persone qui elencate…” Nel Memoriale si racconta che “per la quaresima, anche gli Ebrei venivano ad ascoltare le prediche e il signor Alfredo Sermoneta aiutava in Chiesa”.


Ed ancora: “a guerra finita, si parlava della bontà del Santo Padre che aveva aiutato e fatto salvare tanti, sia ebrei che giovani e intere famiglie”. Ciò conferma l’impegno personale e istituzionale di Pio XII per proteggere e salvare gli ebrei perseguitati. La copia scritta dell’ordine di Pio XII manca perché in una situazione di guerra, con la città occupata dai nazisti, una persona prudente non pubblica un ordine, ma manda dei messaggeri fidati per comunicare le volontà del Santo Padre. Sarebbe stato imprudente e pericoloso scrivere un ordine che poteva finire nelle mani sbagliate e mettere in pericolo la vita di tanti. Inoltre fu organizzato un gruppo di sacerdoti che, agli ordini della Segreteria di Stato, andavano da una casa religiosa all’altra, toccando anche università, seminari, scuole, parrocchie, per chiedere di aprire i conventi e di organizzare una rete di assistenza. Alla fine della guerra furono circa 150 le case religiose, i monasteri, le parrocchie, che salvarono da morte certa migliaia di ebrei. Pio XII e la Chiesa cattolica hanno salvato la vita a centinaia di migliaia di ebrei in tutta Europa.

27 gennaio 2018

Benedici, o Signore, il nostro Santo Padre, il Papa;

assistilo nel suo ufficio di pastore universale; sii la sua luce, la sua forza e la sua consolazione: E a noi concedi di ascoltare, con docilità di cuore, la sua voce come ascoltiamo la tua.


25 gennaio 2018

Da ricordare sempre

* Figlioli miei, tenete come nemici della religione coloro che colle parole o cogli scritti offendono l’autorità del Papa e cercano di scemare, l’ubbidienza ed il rispetto dovuto ai suoi insegnamenti ed ordini. V,573.
* Ricordatevi che dobbiamo stringerci intorno a lui, e che la nostra salvezza sta solo col Papa e nel Papa. V,577



http://www.sangiovannibosco.net/index.php?id=memorie-biografiche

http://www.adorazioneeucaristica.it/Massime%20Don%20Bosco.pdf

23 gennaio 2018

Salmo 120

Alzo gli occhi verso i monti:da dove mi verrà l'aiuto?Il mio aiuto viene dal Signore,che ha fatto cielo e terra.

Non lascerà vacillare il tuo piede,non si addormenterà il tuo custode.Non si addormenterà, non prenderà sonno,il custode d'Israele.

Il Signore è il tuo custode,il Signore è come ombra che ti copre,e sta alla tua destra.Di giorno non ti colpirà il sole,né la luna di notte.

Il Signore ti proteggerà da ogni male,egli proteggerà la tua vita.Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,da ora e per sempre.

22 gennaio 2018

Salmo 41

Come la cerva anela ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela a te, o Dio.
L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?

Le lacrime sono mio pane giorno e notte,mentre mi dicono sempre: «Dov'è il tuo Dio?».Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge:attraverso la folla avanzavo tra i primi
fino alla casa di Dio,
in mezzo ai canti di gioia
di una moltitudine in festa.

Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

“Vi spiego perché ho celebrato quel matrimonio in volo”

La conferenza stampa di Francesco sull’aereo di ritorno dal Perù: «Avevano fatto i corsi prematrimoniali, si erano confessati». Il Papa chiede scusa «se le vittime di abusi si sono sentite offese» per le parole sul vescovo Barros ma ribadisce: «contro di lui non ci sono evidenze». «Ho imparato da Benedetto XVI la tolleranza zero»


«Chiedo scusa se ho ferito le vittime di abusi con le mie parole sul caso Barros». Papa Francesco rispondendo alle domande dei giornalisti sul volo che da Lima lo riporta a Roma ammette di aver sbagliato nell’esprimersi sul caso di Juan Barros, il vescovo cileno di Osorno, contestato da gruppi di fedeli della sua diocesi i quali ritengono che fosse a conoscenza degli abusi sessuali commessi dal suo mentore padre Fernando Karadima e che li abbia coperti. A margine della messa celebrata giovedì scorso a Iquique, Francesco aveva risposto in modo secco alla domanda di una cronista locale, affermando di essere disposto a valutare «prove» su Barros se gli verranno presentate e aggiungendo di considerare «calunnie» le accuse finora rivolte contro il vescovo. Parole che hanno provocato una reazione forte da parte delle vittime di abusi in Cile e una dichiarazione di comprensione nei loro confronti da parte del cardinale Sean O’Malley. Ma il Papa ha parlato anche dell’ormai famoso matrimonio della hostess e dello steward da lui benedetto in volo. E ha difeso la sua scelta spiegando che i due sposi erano ben preparati, avevano seguito i corsi prematrimoniali e si erano accostati al sacramento della penitenza. Francesco ha definito la trasferta appena conclusa un viaggio “pastorizzato”, come il latte, perché si è passati dal caldo al freddo attraversando vari climi. 

Lei il primo giorno in Cile ha lanciato un messaggio duro contro gli abusi sui minori. Però poi ha fatto quella dichiarazione sul vescovo Barros, parlando di “calunnie”. Perché non crede alle vittime e crede a Barros?  
«In Cile ho parlato due volte sugli abusi: davanti al governo e nella cattedrale con i sacerdoti. Proseguo con la tolleranza zero iniziata da Benedetto XVI. E in cinque anni non ho firmato una sola richiesta di grazia. Se la seconda istanza conferma la prima, l’unica via di uscita è appellarsi al Papa chiedendo la grazia. In cinque anni ho ricevuto circa 25 casi di richieste di grazia. Non ne ho firmata una. Per quanto riguarda il caso Barros: l’ho fatto studiare, investigare. Davvero non ci sono evidenze di colpevolezza. Chiedo che vi siano delle evidenze per cambiare la mia posizione. A Iquique, quando mi hanno chiesto di Barros, ho detto: il giorno in cui avrò la prova parlerò. Ho sbagliato a usare la parola “prova”, parlerei piuttosto di “evidenze”: so che molta gente abusata non può avere delle prove. Non le ha e non può averle, o se le ha ne prova vergogna: il dramma degli abusati è tremendo. Mi è capitato di incontrare una donna abusata 40 anni fa, sposata con tre figli, che non riceveva la comunione perché nella mano del prete vedeva la mano dell’abusatore. La parola “prova” non era la migliore, direi piuttosto “evidenza”. Nel caso di Barros, ho studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. E se condannassi senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di cattivo giudizio.  

«Devo spiegarla quella lettera perché è a favore della prudenza e racchiude una vicenda lunga dieci-dodici mesi. Quando è scoppiato lo scandalo Karadima, si è cominciato a vedere quanti sacerdoti formati da lui erano stati abusati o erano stati abusatori. Ci sono in Cile tre vescovi che Karadima ha mandato in seminario. Qualche persona della conferenza episcopale aveva suggerito che rinunciassero, si prendessero un anno sabbatico, per far passare la tempesta: sono vescovi bravi, buoni, come Barros che aveva vent’anni di episcopato e stava per finire il suo mandato da ordinario militare. Si diceva: chiediamogli le dimissioni. Lui è venuto a Roma e io ho detto no, perché questo significava ammettere una colpevolezza previa. Ho respinto le dimissioni. Poi quando è stato nominato a Osorno è sorto questo movimento di protesta: Ho ricevuto da lui le dimissioni per la seconda volta. E ho detto: no, tu continui! Si è continuato a indagare su Barros, ma non emergono le evidenze. Non posso condannarlo, non ho evidenze, e mi sono convinto che sia innocente». 

E per quanto riguarda la reazione delle vittime alle sue dichiarazioni?  
«Su ciò che provano gli abusati, devo chiedere scusa. La parola “prova” ha ferito molti di loro. Dicono: devo forse andare a cercare una certificazione? Chiedo scusa a loro se li ho feriti senza accorgermi, l’ho fatto senza volerlo. E mi provoca tanto dolore, perché io li ricevo: in Cile due incontri si sanno, altri ci sono stati di nascosto. In ogni viaggio sempre c’è qualche possibilità di incontrare le vittime, si è pubblicato l’incontro di Filadelfia, altri casi no. Sentire che il Papa dice loro: portatemi una lettera con la prova è uno schiaffo! Mi accorgo che la mia espressione non è stata felice e capisco, come scrive Pietro in una delle sue lettere, che l’incendio si sia sollevato. È quello che posso dire con sincerità». 

Perché per lei la testimonianza delle vittime non è una evidenza?  
«La testimonianza delle vittime è sempre un’evidenza. Nel caso di Barros non c’è evidenza di abuso…». 

Ma l’accusa non è di aver abusato, è di aver coperto gli abusi…  
«Anche di questo non ci sono evidenze… Ho il cuore aperto a riceverne». 

Come ha reagito alla dichiarazione del cardinale O’Malley, il quale ha detto che le sue parole sulle “calunnie” a proposito di Barros sono state fonte di dolore per le vittime?  
«O’Malley ha detto che il Papa ha sempre usato la “tolleranza zero”… Poi c’è quella espressione non felice, ho parlato di calunnia, per dire di qualcuno che afferma qualcosa con pertinacia senza averne l’evidenza. Se dico: lei ha rubato, e lei non ha rubato, allora sto calunniando, perché non ho l’evidenza. Era un’espressione infelice. Ma io non ho sentito alcuna vittima di Barros. Non sono venuti, non si sono presentati, non hanno dato l’evidenza in giudizio. È rimasto per aria. È vero che Barros era nel gruppo dei giovani di Karadima. Ma dobbiamo essere chiari: se si accusa senza evidenze con pertinacia, questa è calunnia. Se però arriva una persona e mi dà delle evidenze io sarò il primo ad ascoltarla. La dichiarazione di O’Malley è stata molto giusta, l’ho ringraziato. Ha detto del dolore delle vittime in generale». 

I membri della commissione vaticana per la tutela dei minori sono scaduti. È il segno che non si tratta di una priorità?  
«La commissione era stata nominata per tre anni. Una volta scaduta, si è studiata la nuova commissione. La decisione è stata di rinnovarne una parte e di nominare nuovi membri. Prima dell’inizio di questo viaggio è arrivata la lista definitiva con i nomi e ora si segue l’iter normale della Curia. Delle persone nuove si studia il curriculum, e c’erano due osservazioni che dovevano chiarirsi. Ma non pensate che non la facciamo… sono i tempi normali». 

Come risponde a chi dice che la sua visita in Cile sia stata un fallimento, per la poca gente che c’era e per il fatto che la Chiesa è più divisa di prima?  
«È la prima volta che lo sento dire. Sono contento del viaggio in Cile, non mi aspettavo tante gente per strada, e questa gente non è stata pagata per venire!». 

In Perù la classe politica ha defraudato il popolo con atti di corruzione e con indulti negoziati (il riferimento è all’indulto concesso dall’attuale presidente all’ex presidente Alberto Fujimori, ndr). Che cosa ne pensa?  
«So che in alcuni paesi d’Europa la corruzione c’è. E in America Latina ci sono tanti casi. Si parla molto del caso Odebrecht (società brasiliana al centro di accuse di corruzione che coinvolgono anche il presidente peruviano Paolo Kuczynsky, ndr), ma questo è solo un esempio del campionario. L’origine della corruzione è il peccato originale che ti ci porta a questo. Avevo scritto un piccolo libro il cui messaggio era: peccatori sì, corrotti no. Tutti siamo peccatori, quando commettiamo un peccato ci rendiamo conto del male e chiediamo perdono. Il peccato non mi fa paura, ma la corruzione sì, perché vizia l’anima e il corpo. Il corrotto è così sicuro di sé stesso che non può tornare indietro… è la distruzione della persona umana. Il politico ha molto potere, ma anche l’imprenditore che paga la metà del dovuto ai suoi operai è un corrotto. Una padrona di casa convinta di poter sfruttare la domestica sui soldi o trattandola male, è corrotta. Una volta ho parlato con un giovane professionista di 30 anni che trattava il personale domestico in modo non nobile, mi diceva che cosa faceva. Gli dissi: è peccato! E lui: non facciamo paragoni tra questa gente e me, queste persone sono lì per questo. È ciò che pensa chi sfrutta sessualmente le persone, chi le sfrutta con il lavoro schiavo: sono corrotti».  

«Sì, nella Chiesa c’è corruzione. Nella storia della Chiesa sempre ci sono stati casi. Il fondatore del Sodalizio è stato denunciato non soltanto per abusi sessuali ma anche per manipolazione delle coscienze. Il processo è stato fatto dalla Santa Sede, si è data una condanna, lui ora vive solo, assistito da una persona. Si dichiara innocente e ha fatto appello alla Segnatura apostolica che è la suprema corte di giustizia della Santa Sede. Ma questo processo è stata l’occasione perché altre vittime facessero denuncia sia in sede civile che ecclesiastica. Sono emerse cose molto più gravi, è intervenuta la giustizia civile - che in questi casi di abuso è sempre conveniente che intervenga, è un diritto - e credo che la situazione diventa sfavorevole per il fondatore. Ma non era solo lui il problema, c’erano altre cose non chiare, di natura economica. Il Sodalizio oggi è commissariato. Un caso simile è quello dei Legionari che già è stato risolto: Benedetto non tollerava queste cose e io ho imparato da lui a non tollerarle». 

Dopo il matrimonio dello steward e della hostess in volo, che cosa direbbe ai parroci che si trovano di fronte fidanzati intenzionati a sposarsi sugli aerei o sulle navi?  
«Lei si immagina le crociere con il matrimonio? Uno di voi mi ha detto che io sono matto a fare queste cose. La cosa è stata semplice. Il signore (Carlos Ciuffardi, ndr) aveva partecipato al volo del giorno prima. Lei (Paula Podest, ndr) invece non c’era. Lui mi ha parlato. Mi sono accorto che mi aveva sondato… è stata una bella chiacchierata. Il giorno dopo c’erano tutti e due e quando abbiamo fatto le fotografie mi hanno detto che erano sposati civilmente e che otto anni prima stavano per sposarsi in parrocchia, ma la chiesa è crollata per il terremoto il giorno prima delle nozze. E così non c’è stato matrimonio. Dicevano: lo facciamo domani, dopodomani. Poi la vita va avanti: viene una figlia, poi un’altra. Io li ho interrogati e mi hanno detto di aver fatto i corsi prematrimoniali. Ho giudicato che fossero preparati. I sacramenti sono per gli uomini, tutte le condizioni erano chiare. Perché non fare oggi quello che si può fare? Aspettare domani magari avrebbe significato attendere altri dieci anni. Entrambi si sono preparati davanti al Signore con il sacramento della penitenza. Mi hanno detto che avevano anticipato ad alcuni di voi questa loro intenzione: “Andiamo dal Papa a chiedere che ci sposi”. Non so se è vero. Bisogna dire ai parroci che il Papa li ha interrogati bene, era una situazione regolare». 

«Chiedo scusa se ho ferito le vittime di abusi con le mie parole sul caso Barros». Papa Francesco rispondendo alle domande dei giornalisti sul volo che da Lima lo riporta a Roma ammette di aver sbagliato nell’esprimersi sul caso di Juan Barros, il vescovo cileno di Osorno, contestato da gruppi di fedeli della sua diocesi i quali ritengono che fosse a conoscenza degli abusi sessuali commessi dal suo mentore padre Fernando Karadima e che li abbia coperti. A margine della messa celebrata giovedì scorso a Iquique, Francesco aveva risposto in modo secco alla domanda di una cronista locale, affermando di essere disposto a valutare «prove» su Barros se gli verranno presentate e aggiungendo di considerare «calunnie» le accuse finora rivolte contro il vescovo. Parole che hanno provocato una reazione forte da parte delle vittime di abusi in Cile e una dichiarazione di comprensione nei loro confronti da parte del cardinale Sean O’Malley. Ma il Papa ha parlato anche dell’ormai famoso matrimonio della hostess e dello steward da lui benedetto in volo. E ha difeso la sua scelta spiegando che i due sposi erano ben preparati, avevano seguito i corsi prematrimoniali e si erano accostati al sacramento della penitenza. Francesco ha definito la trasferta appena conclusa un viaggio “pastorizzato”, come il latte, perché si è passati dal caldo al freddo attraversando vari climi. 

Lei il primo giorno in Cile ha lanciato un messaggio duro contro gli abusi sui minori. Però poi ha fatto quella dichiarazione sul vescovo Barros, parlando di “calunnie”. Perché non crede alle vittime e crede a Barros?  
«In Cile ho parlato due volte sugli abusi: davanti al governo e nella cattedrale con i sacerdoti. Proseguo con la tolleranza zero iniziata da Benedetto XVI. E in cinque anni non ho firmato una sola richiesta di grazia. Se la seconda istanza conferma la prima, l’unica via di uscita è appellarsi al Papa chiedendo la grazia. In cinque anni ho ricevuto circa 25 casi di richieste di grazia. Non ne ho firmata una. Per quanto riguarda il caso Barros: l’ho fatto studiare, investigare. Davvero non ci sono evidenze di colpevolezza. Chiedo che vi siano delle evidenze per cambiare la mia posizione. A Iquique, quando mi hanno chiesto di Barros, ho detto: il giorno in cui avrò la prova parlerò. Ho sbagliato a usare la parola “prova”, parlerei piuttosto di “evidenze”: so che molta gente abusata non può avere delle prove. Non le ha e non può averle, o se le ha ne prova vergogna: il dramma degli abusati è tremendo. Mi è capitato di incontrare una donna abusata 40 anni fa, sposata con tre figli, che non riceveva la comunione perché nella mano del prete vedeva la mano dell’abusatore. La parola “prova” non era la migliore, direi piuttosto “evidenza”. Nel caso di Barros, ho studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. E se condannassi senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di cattivo giudizio.  

«Devo spiegarla quella lettera perché è a favore della prudenza e racchiude una vicenda lunga dieci-dodici mesi. Quando è scoppiato lo scandalo Karadima, si è cominciato a vedere quanti sacerdoti formati da lui erano stati abusati o erano stati abusatori. Ci sono in Cile tre vescovi che Karadima ha mandato in seminario. Qualche persona della conferenza episcopale aveva suggerito che rinunciassero, si prendessero un anno sabbatico, per far passare la tempesta: sono vescovi bravi, buoni, come Barros che aveva vent’anni di episcopato e stava per finire il suo mandato da ordinario militare. Si diceva: chiediamogli le dimissioni. Lui è venuto a Roma e io ho detto no, perché questo significava ammettere una colpevolezza previa. Ho respinto le dimissioni. Poi quando è stato nominato a Osorno è sorto questo movimento di protesta: Ho ricevuto da lui le dimissioni per la seconda volta. E ho detto: no, tu continui! Si è continuato a indagare su Barros, ma non emergono le evidenze. Non posso condannarlo, non ho evidenze, e mi sono convinto che sia innocente». 

E per quanto riguarda la reazione delle vittime alle sue dichiarazioni?  
«Su ciò che provano gli abusati, devo chiedere scusa. La parola “prova” ha ferito molti di loro. Dicono: devo forse andare a cercare una certificazione? Chiedo scusa a loro se li ho feriti senza accorgermi, l’ho fatto senza volerlo. E mi provoca tanto dolore, perché io li ricevo: in Cile due incontri si sanno, altri ci sono stati di nascosto. In ogni viaggio sempre c’è qualche possibilità di incontrare le vittime, si è pubblicato l’incontro di Filadelfia, altri casi no. Sentire che il Papa dice loro: portatemi una lettera con la prova è uno schiaffo! Mi accorgo che la mia espressione non è stata felice e capisco, come scrive Pietro in una delle sue lettere, che l’incendio si sia sollevato. È quello che posso dire con sincerità». 

Perché per lei la testimonianza delle vittime non è una evidenza?  
«La testimonianza delle vittime è sempre un’evidenza. Nel caso di Barros non c’è evidenza di abuso…». 

Ma l’accusa non è di aver abusato, è di aver coperto gli abusi…  
«Anche di questo non ci sono evidenze… Ho il cuore aperto a riceverne». 

Come ha reagito alla dichiarazione del cardinale O’Malley, il quale ha detto che le sue parole sulle “calunnie” a proposito di Barros sono state fonte di dolore per le vittime?  
«O’Malley ha detto che il Papa ha sempre usato la “tolleranza zero”… Poi c’è quella espressione non felice, ho parlato di calunnia, per dire di qualcuno che afferma qualcosa con pertinacia senza averne l’evidenza. Se dico: lei ha rubato, e lei non ha rubato, allora sto calunniando, perché non ho l’evidenza. Era un’espressione infelice. Ma io non ho sentito alcuna vittima di Barros. Non sono venuti, non si sono presentati, non hanno dato l’evidenza in giudizio. È rimasto per aria. È vero che Barros era nel gruppo dei giovani di Karadima. Ma dobbiamo essere chiari: se si accusa senza evidenze con pertinacia, questa è calunnia. Se però arriva una persona e mi dà delle evidenze io sarò il primo ad ascoltarla. La dichiarazione di O’Malley è stata molto giusta, l’ho ringraziato. Ha detto del dolore delle vittime in generale». 

I membri della commissione vaticana per la tutela dei minori sono scaduti. È il segno che non si tratta di una priorità?  
«La commissione era stata nominata per tre anni. Una volta scaduta, si è studiata la nuova commissione. La decisione è stata di rinnovarne una parte e di nominare nuovi membri. Prima dell’inizio di questo viaggio è arrivata la lista definitiva con i nomi e ora si segue l’iter normale della Curia. Delle persone nuove si studia il curriculum, e c’erano due osservazioni che dovevano chiarirsi. Ma non pensate che non la facciamo… sono i tempi normali». 

Come risponde a chi dice che la sua visita in Cile sia stata un fallimento, per la poca gente che c’era e per il fatto che la Chiesa è più divisa di prima?  
«È la prima volta che lo sento dire. Sono contento del viaggio in Cile, non mi aspettavo tante gente per strada, e questa gente non è stata pagata per venire!». 

In Perù la classe politica ha defraudato il popolo con atti di corruzione e con indulti negoziati (il riferimento è all’indulto concesso dall’attuale presidente all’ex presidente Alberto Fujimori, ndr). Che cosa ne pensa?  
«So che in alcuni paesi d’Europa la corruzione c’è. E in America Latina ci sono tanti casi. Si parla molto del caso Odebrecht (società brasiliana al centro di accuse di corruzione che coinvolgono anche il presidente peruviano Paolo Kuczynsky, ndr), ma questo è solo un esempio del campionario. L’origine della corruzione è il peccato originale che ti ci porta a questo. Avevo scritto un piccolo libro il cui messaggio era: peccatori sì, corrotti no. Tutti siamo peccatori, quando commettiamo un peccato ci rendiamo conto del male e chiediamo perdono. Il peccato non mi fa paura, ma la corruzione sì, perché vizia l’anima e il corpo. Il corrotto è così sicuro di sé stesso che non può tornare indietro… è la distruzione della persona umana. Il politico ha molto potere, ma anche l’imprenditore che paga la metà del dovuto ai suoi operai è un corrotto. Una padrona di casa convinta di poter sfruttare la domestica sui soldi o trattandola male, è corrotta. Una volta ho parlato con un giovane professionista di 30 anni che trattava il personale domestico in modo non nobile, mi diceva che cosa faceva. Gli dissi: è peccato! E lui: non facciamo paragoni tra questa gente e me, queste persone sono lì per questo. È ciò che pensa chi sfrutta sessualmente le persone, chi le sfrutta con il lavoro schiavo: sono corrotti».  

«Sì, nella Chiesa c’è corruzione. Nella storia della Chiesa sempre ci sono stati casi. Il fondatore del Sodalizio è stato denunciato non soltanto per abusi sessuali ma anche per manipolazione delle coscienze. Il processo è stato fatto dalla Santa Sede, si è data una condanna, lui ora vive solo, assistito da una persona. Si dichiara innocente e ha fatto appello alla Segnatura apostolica che è la suprema corte di giustizia della Santa Sede. Ma questo processo è stata l’occasione perché altre vittime facessero denuncia sia in sede civile che ecclesiastica. Sono emerse cose molto più gravi, è intervenuta la giustizia civile - che in questi casi di abuso è sempre conveniente che intervenga, è un diritto - e credo che la situazione diventa sfavorevole per il fondatore. Ma non era solo lui il problema, c’erano altre cose non chiare, di natura economica. Il Sodalizio oggi è commissariato. Un caso simile è quello dei Legionari che già è stato risolto: Benedetto non tollerava queste cose e io ho imparato da lui a non tollerarle». 

Dopo il matrimonio dello steward e della hostess in volo, che cosa direbbe ai parroci che si trovano di fronte fidanzati intenzionati a sposarsi sugli aerei o sulle navi?  
«Lei si immagina le crociere con il matrimonio? Uno di voi mi ha detto che io sono matto a fare queste cose. La cosa è stata semplice. Il signore (Carlos Ciuffardi, ndr) aveva partecipato al volo del giorno prima. Lei (Paula Podest, ndr) invece non c’era. Lui mi ha parlato. Mi sono accorto che mi aveva sondato… è stata una bella chiacchierata. Il giorno dopo c’erano tutti e due e quando abbiamo fatto le fotografie mi hanno detto che erano sposati civilmente e che otto anni prima stavano per sposarsi in parrocchia, ma la chiesa è crollata per il terremoto il giorno prima delle nozze. E così non c’è stato matrimonio. Dicevano: lo facciamo domani, dopodomani. Poi la vita va avanti: viene una figlia, poi un’altra. Io li ho interrogati e mi hanno detto di aver fatto i corsi prematrimoniali. Ho giudicato che fossero preparati. I sacramenti sono per gli uomini, tutte le condizioni erano chiare. Perché non fare oggi quello che si può fare? Aspettare domani magari avrebbe significato attendere altri dieci anni. Entrambi si sono preparati davanti al Signore con il sacramento della penitenza. Mi hanno detto che avevano anticipato ad alcuni di voi questa loro intenzione: “Andiamo dal Papa a chiedere che ci sposi”. Non so se è vero. Bisogna dire ai parroci che il Papa li ha interrogati bene, era una situazione regolare». 

«Il cardinale Maradiaga su questo ha fatto una dichiarazione in televisione e io ripeto quello che lui ha detto». 

Che cosa porta con sé da questo viaggio in Perù?  
«Mi porto l’impressione di un popolo credente che ha attraversato e attraversa molte difficoltà ma ha una fede che mi impressiona. Un popolo che ha espresso la sua allegria e la sua fede. Voi siete una terra “insantata”, il popolo latinoamericano che ha più santi. Porto con me dal Perù un’impressione di allegria, di fede, di speranza, e soprattutto ho visto molti bambini! La stessa immagine che ho visto nelle Filippine e in Colombia: papà e mamme che alzano i loro bambini… Questo dice futuro, dice speranza. Custodite questa la ricchezza». 

21 gennaio 2018

Ma che succede? Un’altra S.Messa di Papa Francesco che è andata deserta.....












"Lui ti ama così come sei e ha un sogno da realizzare con ognuno di voi. Non dimenticatelo"


PAPA FRANCESCO
ANGELUS
Plaza de Armas (Lima)
Domenica, 21 gennaio 2018


Parole ai giovani prima dell’Angelus

Cari giovani, sono contento di poter stare con voi. Questi incontri per me sono molto importanti e ancora di più in questo anno nel quale ci prepariamo per il Sinodo sui giovani. I vostri volti, le vostre aspirazioni, la vostra vita sono importanti per la Chiesa e dobbiamo dare ad essi l’importanza che meritano e avere il coraggio che hanno avuto tanti giovani di questa terra che non hanno avuto paura di amare e spendere la propria vita per Gesù .

Cari amici, quanti esempi avete voi! Penso a San Martín de Porres. Niente impedì a quel giovane di realizzare i suoi sogni, niente gli impedì di spendere la sua vita per gli altri, niente gli impedì di amare e lo fece perché aveva sperimentato che il Signore lo aveva amato per primo. Così com’era: mulatto e alle prese con molte privazioni. A uno sguardo umano, agli occhi dei suoi amici, sembrava destinato a “perdere”, ma lui seppe fare la cosa che sarebbe diventata il segreto della sua vita: avere fiducia. Avere fiducia nel Signore che lo amava. E sapete perché? Perché il Signore per primo aveva avuto fiducia in lui; come ha fiducia in ognuno di voi, e non si stancherà mai di avere fiducia. Ad ognuno di noi il Signore affida qualcosa, e la risposta è avere fiducia in Lui. Ognuno di voi pensi adesso, nel proprio cuore: che cosa mi ha affidato il Signore? Che cosa mi ha affidato il Signore? Ognuno pensi… Che cosa ho nel mio cuore che mi ha affidato il Signore?

Potrete dirmi: ma ci sono delle volte in cui diventa molto difficile. Vi capisco. In quei momenti possono venire pensieri negativi, sentire che ci sono tante situazioni che ci vengono addosso e sembra che noi rimaniamo “fuori dai mondiali”; sembra che ci stanno vincendo. Ma non è così, anche nei momenti in cui ormai ci arriva l’eliminazione, continuare ad avere fiducia.

Ci sono momenti in cui potete pensare che rimarrete senza poter realizzare i desideri della vostra vita, i vostri sogni. Tutti attraversiamo situazioni così. In quei momenti, quando sembra che si spenga la fede, non dimenticatevi che Gesù è accanto a voi. Non datevi per vinti, non perdete la speranza! Non dimenticatevi dei santi che dal cielo ci accompagnano; rivolgetevi a loro, pregate e non stancatevi di chiedere la loro intercessione. Sono i santi di ieri ma anche di oggi: questa terra ne ha molti, perché è una terra “colmata di santità”. Il Perù è una terra “colmata di santità”. Cercate l’aiuto e il consiglio di persone che voi sapete sono buone per consigliarvi, perché i loro volti esprimono gioia e pace. Fatevi accompagnare da loro e così andate avanti nel cammino della vita.

Ma c’è un’altra cosa: Gesù vuole vedervi in movimento; vuole vederti portare avanti i tuoi ideali, e che ti decidi a seguire le sue istruzioni. Lui vi condurrà sulla via delle beatitudini, una via per niente facile ma appassionante, è una via che non si può percorrere da soli, bisogna percorrerla in gruppo, dove ciascuno può collaborare dando il meglio di sé. Gesù conta su di te come fece tanto tempo fa con Santa Rosa da Lima, San Toribio, San Giovanni Macías, San Francesco Solano e tanti altri. E oggi domanda a te se, come a loro: sei disposto, sei disposta a seguirlo? [rispondono: sì!] Oggi, domani, sei disposto, sei disposta a seguirlo? [rispondono: sì!] E tra una settimana? [rispondono: sì!] Non esserne così sicuro, non esserne così sicura. Guardate, se volete essere disposti a seguirlo, chiedeteGli di prepararvi il cuore per essere disposti a seguirlo. E’ chiaro? [rispondono: sì!]

Cari amici, il Signore vi guarda con speranza, non si scoraggia mai riguardo a noi. Forse a noi succede che ci scoraggiamo di un amico, di un’amica, perché ci sembrava bravo e poi invece abbiamo visto che non era così bravo, ci scoraggiamo e lo lasciamo da parte. Gesù non si scoraggia mai, mai. “Padre, ma se Lei sapesse le cose che io faccio…, dico una cosa e ne faccio un’altra, la mia vita non è del tutto pulita…”. Ma nonostante tutto, Gesù non si scoraggia nei vostri confronti. E adesso facciamo un po’ di silenzio. Ognuno guardi nel proprio cuore, com’è la sua vita. La guardi nel cuore. E troverai che in certi momenti ci sono cose buone, in altri ci sono cose che non sono tanto buone, e nonostante tutto Gesù non si scoraggia nei vostri confronti. E nel tuo cuore digli: “Grazie, Gesù, grazie perché sei venuto per accompagnarmi anche quando ero in una brutta situazione. Grazie, Gesù”. Lo diciamo tutti insieme: Grazie, Gesù. [ripetono: “Grazie, Gesù”].

E’ molto bello vedere le foto ritoccate digitalmente, ma questo serve solo per le foto, non possiamo fare il “fotoshop” agli altri, alla realtà, a noi stessi. I filtri colorati e l’alta definizione vanno bene solo nei video, ma non possiamo mai applicarli agli amici. Ci sono foto che sono molto belle, ma sono tutte truccate, e lasciate che vi dica che il cuore non si può “fotoshoppare”, perché è lì che si gioca l’amore vero, è lì che si gioca la felicità, è lì che mostri quello che sei: com’è il tuo cuore?

Gesù non vuole che ti “trucchino” il cuore, Lui ti ama così come sei e ha un sogno da realizzare con ognuno di voi. Non dimenticatelo, Lui non si scoraggia riguardo a noi. E se voi vi scoraggiate vi invito a prendere la Bibbia, e leggendo ricordare gli amici che Gesù ha scelto, che Dio ha scelto. Mosè era balbuziente; Abramo, un vecchio; Geremia era molto giovane; Zaccheo, uno piccoletto; i discepoli, quando Gesù diceva loro di pregare si addormentavano; la Maddalena, una pubblica peccatrice; Paolo, un persecutore di cristiani; e Pietro, lo rinnegò…, poi è stato fatto Papa, ma lo rinnegò… E così potremmo continuare questo elenco. Gesù ti vuole bene così come sei, come ha voluto bene a questi suoi amici così com’erano, con i loro difetti, con la voglia di correggersi, ma così come sei, così ti ama il Signore. Non ti devi truccare, non truccarti il cuore, ma mostrati davanti a Gesù come sei perché Lui ti possa aiutare a progredire nella vita.

Quando Gesù ci guarda, non pensa a quanto siamo perfetti, ma a tutto l’amore che abbiamo nel cuore da offrire e per seguire Lui. Per Lui, quella è la cosa importante, la cosa più grande: quanto amore ho io nel mio cuore? E questa domanda voglio che la facciamo anche a nostra Madre: “Madre, amata Vergine Maria, guarda l’amore che ho nel cuore. E’ poco? E’ tanto? Non so se è amore”. E siate sicuri che Lei vi accompagnerà in ogni momento della vita, in tutti gli incroci delle vostre strade, specialmente quando dovrete prendere decisioni importanti. Non scoraggiatevi, non scoraggiatevi! Andate avanti, tutti insieme! Perché la vita vale la pena di essere vissuta a fronte alta. E che Dio vi benedica!

APPELLO

Siamo qui, nella piazza maggiore di Lima, un posto piccolo in una città relativamente piccola del mondo. Ma il mondo è molto più grande, ed è pieno di città e di popoli, ed è pieno di problemi, è pieno di guerre. E oggi mi giungono notizie molto preoccupanti dalla Repubblica Democratica del Congo. Pensiamo al Congo. In questo momento, da questa piazza, con tutti questi giovani, chiedo alle autorità, ai responsabili e a tutti in questo amato Paese, che mettano il massimo impegno e il massimo sforzo per evitare ogni forma di violenza e cercare soluzioni a favore del bene comune. Tutti insieme, in silenzio, preghiamo per questa intenzione, per i nostri fratelli nella Repubblica Democratica del Congo.

[Angelus]

E arrivederci a tutti!



© Copyright - Libreria Editrice Vaticana