Non era nemmeno una suora, ma questo ai nostri occhi non cambia la sostanza della vicenda. Qualche giorno fa i giornali hanno dato notizia di una suora di clausura che, recatasi in ospedale per forti dolori di pancia, ha poi partorito un bambino. Immaginatevi le ironie sul voto di castità e altri sottintesi da caserma. Qualcuno a digiuno dei più basilari rudimenti di pietà cristiana ha persino ipotizzato che la sventurata potesse incorrere in una scomunica. Solo poi si è scoperto che la ragazza era di umili origini, era straniera, aveva subìto una violenza sessuale nel suo paese ed era stata accolta nel convento dalla suore che, discretamente, l’avevano accudita e aiutata.
A noi resta l’impressione che il nocciolo della questione sia quello non raccontato e che può essere solo dedotto dal comportamento delle religiose. Di fronte a un mondo che fa un gran parlare di diritti, quote rosa ed emancipazione femminile, ancora una volta – arrivati al sodo – è la Chiesa a mostrare la cura più adeguata e disinteressata dell’altro. E cos’è questo se non il segno più profondo di ciò che noi chiamiamo “maternità”? Che ce lo insegnino delle vergini di clausura è un ossimoro solo per gli stolti.
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