27 gennaio 2013

Pio XII: uno strano nazista?

Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, nacque a Roma nel 1876 da una famiglia appartenente al patriziato papalino. Diventato sacerdote nel 1903 fu nominato nunzio apostolico a Monaco nel ‘17 e, in seguito, anche a Ber­lino. Nel ‘ 39 successe a Pio XI al soglio pontificio dopo un brevissimo conclave (durò infatti solo un giorno) a causa della guerra ormai im­mi­nente; in quel giorno ebbe inizio il difficile pontificato di Pio XII, che do­vette affrontare, oltre ai duri anni del secondo conflitto mondiale con la mi­naccia nazista, anche quella sovietica del dopoguerra. Il suo complesso e spesso incompreso pontificato durò, infatti, fino al 1958, anno in cui tutta la comunità internazionale compianse il defunto papa. Pio XII viene spesso accusato di essere stato compiacente col nazismo, per verificare questa ipotesi storica prenderemo come testo di riferimento il libro “Pio XII” di Andrea Tornelli. Prima di procedere è essenziale andare a vedere quale fu la percezione dei contemporanei riguardo questo pontificato. Il primo dato che de­ve far riflettere, per un corretto esame storico, è proprio questo: su Pio XII gravano moltissimi e pesanti giudizi negativi provenienti da più parti, ma la stragrande maggioranza di questi sono nati decenni dopo la scom­parsa del papa. Infatti alla morte del pontefice fu grande e commosso il cor­doglio degli Ebrei da parte di personalità sia politiche che religiose: ri­cordiamo fra queste Golda Meir (ministro degli Esteri d’Israele), Nahum Gol­ddmann (presidente del Congresso mondiale ebraico), il gran rabbino capo di Gerusalemme Herzog, il rabbino capo di Londra Brodie e quello di Roma, Toaff.

    Ritengo particolarmente degne di nota le parole di Herzog, di Toaff e di Brodie: il primo, nel suo messaggio telegrafico alla Santa Sede, ricordava la grande levatura morale del papa e la sua disponibilità quando, nel ‘46, gli aveva chiesto aiuto per la restituzione  dei bambini ebrei, rimasti orfani e ospitati nei conventi e nelle famiglie cattoliche; il secondo, scampato alla deporta­zione grazie all’intervento di un sacerdote, ricordava invece la “c­a­ri­tatevole bontà” del Pontefice nei confronti degli Ebrei mentre il terzo sot­to­lineava la sua “coraggiosa e concreta preoccupazione per le vittime della persecu­zio­ne” (le  parole di questi ultimi due furono riportate da “L’Os­ser­va­tore Ro­ma­no” dell’11 ottobre 1958).  Il ministro degli Esteri di Israele Golda Meir inviò alla santa sede un messaggio di cordoglio nel quale si poteva leggere:"Durante il decennio del terrore nazista, il nostro popolo ha subito un martirio terribile. La voce del Papa si è alzata per condannare i persecutori e per invocare pietà per le vittime". Di questo avviso erano anche la mag­gior parte delle riviste e dei giornali ebraici e messaggi simili arri­va­rono, inoltre, da moltissime comunità ebraiche di tutto il mondo. Il direttore della rivista ebraica americana “Jewish Newsletter”, Zukermann, così scriveva il 10 ottobre 1958: “Quello che il Vaticano ha fatto è stata una delle più grandi manifestazioni di “umanitarismo” nel secolo XX ed ha costituito un nuovo ed efficace metodo di combattere l’antisemitismo”. Lo stesso Zukermann aggiunge poi: “Qualunque Ebreo, di qualunque paese, riuscisse a toccare il Vaticano, era salvo”. Riportiamo ora un brano di Tornelli: “Messaggi di cordoglio e di stima per il Pontefice scomparso arrivano dal rabbino Israel Goldstein, dai membri del Comitato esecutivo sionista, dall’Agenzia ebraica, dalla maggior parte dei giornali e delle pubblicazioni ebraiche. L’ex console israeliano di Milano, Pinchas Lapide, che li riporta nel suo libro, commenta: “Non c’è papa nella storia che sia mai stato ringraziato tanto calorosamente dagli Ebrei, per l’aiuto e la salvezza offerti ai loro fratelli in momenti di grave pericolo” (pag. 30). Così mi­lioni di Ebrei, che avevano vissuto sulla loro pelle gli orrori della Shoah, testimoniarono il concreto aiuto, spirituale e materiale, di Pio XII nei loro confronti. Si potrebbe continuare a riportare di questi messaggi e articoli per ore e ore, la quasi totalità ci darebbe il medesimo responso positivo. La domanda che ci si può porre è se questi non siano infondo delle parole di circostanza dettati dall’occasione. Un veloce sguardo delle citazioni sopra riportate sconsiglia gravemente questa chiave di lettura, sono parole troppo affettuose e slanciate per essere di circostanza. Si ricordi inoltre che questi Ebrei erano appena venuti fuori dall’Olocausto, l’occasione della morte del Papa poteva riaprire vecchie ferite e lasciare facilmente spazio a nuove o vecchie recriminazioni: e invece nulla di tutto questo.
 Questa breve premessa è già sufficiente per capire che su Pio XII abbiamo un nuovo caso dove la storia lascia il posto all’ideologia di turno che ha bisogno dei suoi miti. Perché è già chiaro che se Pio XII fu un nazista fu un ben strano nazista, lo vedremo in seguito, oppure nazista lo divenne diversi anni dopo la sua morte (e anche questa sarebbe ben strana cosa). Diverso tempo fa fu addirittura presentata alla Santa Sede la richiesta di bloccare il processo di canonizzazione di Pio XII perché accusato di essere stato simpatizzante della “soluzione finale” di Hitler o comunque di non aver mosso un dito e di essersi quindi com­por­tato da pusillanime.
     Come si è potuto giungere dal coro di omaggi del ’58 alle innumerevoli accuse di oggi? Il primo pesante colpo fu vibrato nel ‘63 con la rappre­sentazione a Berlino del dramma di Rolf Hochhuth “Il Vicario” in cui si asseriva che una forte protesta pubblica della Chiesa avrebbe fermato la persecuzione nazista, da lì in poi il Papa della “caritatevole bontà” e degli Ebrei divenne il colpevole Papa dei “silenzi”. Certo è vero che in tutti i suoi messaggi il Pa­pa fu sempre molto prudente ma, comunque, altrettanto chiaro nella con­danna all’antisemitismo anche se mai menzionando il nome di Hitler. Tanto è vero che nel Natale del’ 41 il “New York Times” (giornale vicino alla comunità ebraica americana) definì Pacelli come l’unico sovrano eu­ropeo che aveva ancora il coraggio di innalzare la sua voce per la pace e per il rispetto delle minoranze. In effetti nel messaggio natalizio del ’42 Pio XII caldeggiò  la difesa «delle centinaia di migliaia che, non per colpa loro, ma soltanto per la loro razza o nazionalità, sono stati condannati alla morte o alla estinzione progressiva».  Non si parla chiaramente di Ebrei e di nazismo ma questo rientra nello stile delle encicliche papali, ad ogni modo il significato è chiaro (ed era chiaro ai contemporanei, come abbiamo visto). La Chiesa aveva, inoltre, già manifestato tu­tta la sua avversione per il nazismo e né Pio XII né il suo predecessore Pio XI rimasero in silenzio, come testimoniato, al processo di Norimberga, dall’ex ministro degli Esteri del Reich von Ribbentrop che rivelò l’esi­sten­za a Berlino di un intero cassetto pieno di proteste del Vaticano alle quali spesso il Fuhrer non rispondeva nemmeno. Quindi è assolutamente improbabile che un solenne intervento di Pacelli avrebbe potuto in qualche modo contra­sta­re i piani di Hitler, anzi esso poteva solo peggiorare la situazione dei catto­lici tedeschi, ma non solo, e questo Pio XII lo sapeva benissimo. Infatti, secondo le testimonianze giurate di molti suoi collaboratori, più volte il Pon­tefice pensò di intervenire in maniera esplicita contro il nazismo pre­pa­rando anche un durissimo documento che poi però decise di bruciare in cucina (si credeva e non a torto probabile un’invasione del Vaticano) quan­do gli giunse la notizia che in Olanda la protesta dei vescovi, letta in tutte le chiese, aveva provocato la deportazione anche degli Ebrei cattolici che fino a quel momento non erano stati perseguitati. Così Pio XII, visto che la protesta dei vescovi era costata la vita a tante persone (circa quat­tro­mila), non osò immaginare quale sarebbe stata la ritorsione per la protesta del Papa. Inoltre, nonostante questa prudenza, Hitler aveva progettato il ra­pi­mento del Papa e la cancellazione del Vaticano, come testimoniato dal generale Karl Friedrich Otto Wolff, il quale riuscì a prendere tempo col Fh­urer avvertendo il Papa del rischio che correva.Karl Friedrich Otto Wolff, capo della segreteria personale di Himmler e poi capo supremo delle SS in Italia ha testualmente affermato nella memoria scritta depositata il 24 marzo a Monaco: "Ricevetti da Hitler in persona l’ordine di rapire Pio XII…". sempre nelle sue memorie Wolff dice che dopo l’8 settembre l’insitenza di Hitler si fece semprepiù pressante. "Berliner Morgenpost" (organo del nazismo) così commentò il 3 marzo 1939 l’elezione di Pio XII: "L’elezione di del cardinale Pacelli non è accettate con favore dalla Germania perchè egli si è sempre opposto al nazismo".

 Infatti il dittatore tedesco considerava Pacelli un suo nemico personale mentre quest’ultimo non esitava a fare esorcismi contro di lui. È facile anche verificare quanto la stampa tedesca fosse contraria al Vaticano, un esempio su tutti è quello del "Berliner Morgenpost" (organo del nazismo)  che così commentò il 3 marzo 1939 l’elezione di Pio XII: "L’elezione di del cardinale Pacelli non è accettate con favore dalla Germania perchè egli si è sempre opposto al nazismo".

Inoltre se il piano del rapimento fosse stato portato  a termine Pio XII non avrebbe potuto organizzare quel­la poderosa rete di aiuti per i perseguitati e inoltre sarebbe venuta meno la preziosissima extraterritorialità della Città del Vaticano che salvò la vita a molti ebrei ed anche a diversi esponenti dell’ateismo social-comunista (co­me Ne­nni). Era quindi necessario non offrire ai nazisti facili giustificazioni, anche davanti al popolo Italiano, come poteva essere una sorta di dichiarazione di guerra.

    Un altro argomento per i detrattori di Pacelli è il Concordato che nel’ 33 egli, in qualità di Segretario di Stato del Vaticano, siglò con Hitler e que­sta è sembrata ad alcuni, come al giornalista inglese John Cornwell autore de “Il Papa di Hitler”, la prova inequivocabile dell’approvazione della Chie­sa e del futuro Papa per la politica di sterminio del Terzo Reich in quan­to esso obbligava la Santa Sede a tacere in merito alle scelleratezze per­­petrate dai nazisti. Tuttavia nel testo era precisato, in particolare nell’ ar­ticolo 32, che la Chiesa non avrebbe subito nessuna limitazione nel suo magistero e che quindi si risevava il diritto di protestare contro le leggi in­giuste ed infatti, come abbiamo sottolineato sopra, cosi fece quando fu­rono promulgate la legge sulla sterilizzazione e quella della messa al ban­do degli Ebrei, ma anche in molti altri casi. Ad ogni modo, in realtà, Hitler non rispettò mai il concordato, infatti gli arresti e le deportazioni di sacer­doti, suore e dirigenti cattolici non cessarono e furono soppresse molte organizzazioni giovanili e pubblicazioni ispirate alla dottrina cattolica. I­nol­tre la proposta di un concordato non era venuta dalla Santa Sede ma dal­lo stesso Hitler che desiderava un riconoscimento internazionale del suo regime e che, per questo, aveva offerto alla Chiesa condizioni molto favo­re­voli sulla carta che, come era chiaro a tutti, non aveva però nessuna in­tenzione di rispettare. “Se si tratta di salvare qualche anima, di evitare un dan­no ancora più grave, abbiamo il coraggio di trattare anche con il de­monio” affermò allora Pio XI in quanto, in caso di rifiuto da parte della Chiesa, il Fuhrer avrebbe fatto pubblicare il testo del concordato con quel­le condizioni così favorevoli e la mancata ratifica avrebbe così offerto ai na­zisti una giustificazione per un’ancora più spietata persecuzione contro i cat­tolici. Inoltre il concordato aveva almeno il vantaggio di offrire alla Chie­sa e ai cattolici uno strumento giuri­dico di protesta a cui aggrapparsi. Per quanto riguarda poi l’atteggiamento della Chiesa tedesca in quel diffi­ci­le contesto è vero che ci furono dei cattolici, fra cui anche alcuni ve­scovi, che acclamarono il nazismo ma per avere un’idea complessiva dei fatti è interessante l’illustre testimonianza di Albert Einstein rilasciata su “Time Megazine” in cui dichiarò: “Solo la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler che mirava a sopprimere la verità. […] Sono quindi obbligato a confessare che ciò che prima avevo disprezzato ora elogio senza una qualsiasi riserva”. L’ebreo Phincas Lapide, che fu console israeliano a Milano, ha calco­la­to che la Chiesa Cattolica durante il pontificato di Pio XII salvò circa 800.000 Ebrei, certo una goccia nell’oceano rispetto ai sei milioni di mar­tiri della follia nazista ma pur sempre un valido aiuto. Il Papa, fin dall’ ini­zio della guerra,  destinò ingenti somme di denaro (anche dal suo patrimonio familiare) per gli aiuti agli Ebrei e distribuì le grandissime offerte, circa due miliardi e mezzo di lire in tutto, degli ebrei americani. Inoltre il Papa, tramite l’enciclica segreta ”Opere et caritate”, invitò i vescovi ad aiutare, con ogni mezzo, le vittime dell’olo­cau­sto e così ordinò di aprire le chiese di Roma, i conventi e i monasteri di tutt’Europa agli Ebrei (abolendo le rigide regole di clausura) e autorizzò i nunzi a rilasciare passaporti vaticani ai perseguitati. Pio XII si occupò personalmente di circa duecento rifugiati, tremila persone ( non solo ebrei ma anche nemici del fascismo) furono accolte a Castelgandolfo e, inoltre, fe­ce figurare molti ebrei come guardie palatine e molti li fece assumere alla Biblioteca Vaticana. In Italia si salvarono, gra­zie alle istruzioni papali segrete al clero non meno di 40.000 ebrei, ovvero più del 75% di quelli presenti nel suolo italiano (stando sempre a quanto stimato da Lapide), un risultato conseguito anche al prezzo del sacrificio di molti preti, suore ed anche di laici. Furono adoperati anche metodi molto scal­tri come la falsificazione dei documenti, ad esempio monsignor Bar­bie­ri divenne uno dei più esperti falsari del mondo con l’ausilio di una tipografia clandestina e la complicità di un addetto  dell ufficio anagrafe del Comune di Roma. Alcuni mettono in dubbio l’esistenza dell’encilica “O­pere et caritate”, di cui non è rimasta traccia nemmeno negli archivi va­ticani, ma ad ogni modo è improbabile che tutto questo abbia potuto avere luogo senza il consenso e l’organizzazione delle alte gerarchie ecclesia­stiche e, quindi, del Papa. Inotre ci sono molte testimonianze sull’esistenza di queste direttive e fra queste ci sono quella di Angelo Roncalli (il futuro Giovanni XXIII) e quella di monsignor Giuseppe Maria Palatucci, zio di Giovanni Palatucci che sacrificò la sua vita per salvare le vittime della persecuzione. Inoltre la Santa Sede fondò l’UIV (Uffici Informazioni del Va­ticano) grazie al quale più di trentamila Ebrei poterono rintracciare i loro congiunti dispersi.

    Per quanto concerne l’attività della Chiesa in favore degli ebrei romani molti detrattori di Pacelli affermano che egli, in occasione dei rastrel­lamenti del ghetto di Roma del ’43, se ne sia disinteressato perché non è documen­tata nessuna protesta, neppure formale, da parte della Santa Sede. In realtà è ormai certo che il Papa convocò, tempestivamente, l’amba­scia­tore tedesco, Weizsacker, che fu ricevuto dal cardinale Maglione, il quale gli chiese di fare quanto in suo potere appellandosi ai suoi sentimenti di umanità. Ma l’ambasciatore non solo non presentò la protesta, forse perché la giudicava inutile e controproducente, al governo di Berlino ma cercò di presentare la Chiesa ai gerarchi del Reich come amica del popolo tedesco. Tuttavia la reazione della Chiesa non si limitò a questo, infatti, il Papa fece pressioni sul generale Stahel, il quale aveva fama di essere favorevole alla Chiesa Cattolica (tanto che dopo questo episodio fu mandato a combattere in Russia dove trovò la morte), che riuscì a convincere Himmler a revocare l’ordine di deporta­zione per la effettiva mancanza di mezzi e di soldati. Inoltre l’allora rabbino capo di  Roma, Israel Zoller, ha testimoniato la generosa disponibilità del Vaticano a fornire oro per un riscatto chiesto dai nazisti. Invece per l’ecci­dio del­le Fosse Adreatine le pressioni del Pontefice rimasero senza frutto per­ché, come ricorda Giulio Andreotti, gli fu solo risposto che Hitler era ir­ra­giungibile e che era stata già una concessione moltiplicare solo per dieci e non per cento le vittime della rappresaglia. Inoltre Pio XII non esitò ad ac­correre a San Lorenzo fuori le mura tra le rovine dei bombardamenti incu­rante dei pericoli per rincuorare il popolo che lo definì nuovo “Difensor urbis”. Eccone una foto:



Pertanto se Pio XII fu un nazista non si può fare a meno di notare ironicamente che fu uno “strano nazista” perchè riempì il suo piccolo stato di Ebrei e fece tutto quanto era materialmente possibile per aiutare i perseguitati senza abbandonarsi ad inutili e clamorose scomuniche che avrebbero avuto come unico effetto quello di impedire al Vaticano di salvare la vita a decine di migliaia di persone. Quel “silenzio” non fu un vero silenzio, come abbiamo visto, e se proprio di silenzio si vuol parlare l’unico aggettivo che mi viene in mente per definirlo è quello di prudente (e la prudenza è notoriamente una virtù) mentre parlare di “silenzio ideologico” è assolutamente fuori dalla verità storica. Dopo tutto questo è chiaro che Pio XII non fu un nazista, altrettanto chiaro è che oggi il Pontefice deve essere un nazista semplicemente per motivi ideologici i quali sono però, per loro stessa natura, contrari alla ragione. 

Segnaliamo a proposito anche il contributo di Paolo Mieli che abbiamo analizzato qui: