4 settembre 2013

Montecassino: "è ormai certo che gli alleati, gli americani innanzitutto, sapevano bene che sul monte e nell'abbazia non c'erano truppe tedesche;

Ed è ormai certo che decisero la distruzione per motivi non militari, ma spinti da un desiderio di devastazione che può spiegarsi solo col desiderio di far sparire dalla faccia della terra un simbolo tra i più significativi del detestato "papismo" cattolico."



Su questa celeberrima montagna a sud di Roma, la parte degli "amici dell'uomo e della sua cultura" la fecero nientemeno che i nazisti. I quali, in quelle zone, avevano steso, dopo il voltafaccia italiano e lo sbarco alleato nel Sud, una loro frettolosa "linea Gustav". Montecassino con la sua rocca, che sorge isolata nella pianura, costituiva un caposaldo ideale, ma il feldmaresciallo Albert Kesserling, cattolico bavarese ed esponente della vecchia casta militare pre-nazista che alla durezza accompagnava un suo concetto di onore, non se la sentì di fortificare il luogo, esponendolo così alla distruzione.

I tedeschi (figli, malgrado tutto, di uno dei Paesi più colti del mondo e per almeno un terzo restato cattolico) sapevano bene che cosa rappresentasse per la civiltà universale il luogo dove riposava, accanto a santa Scolastica, quel Benedetto da Norcia che non a caso sarebbe stato proclamato patrono principale d'Europa.

Qui fu scritta quella "Regola" che, nello sfascio della civiltà classica, contribuì potentemente a salvare il meglio del mondo antico e ad inaugurare il nuovo. Qui, nei grandi "scriptoria", i monaci avevano ricopiato le opere immortali destinate altrimenti all'oblio se non alla distruzione; qui era il cuore di un benefico esercito che, dalla Scozia alla Sicilia, aveva lavorato per più di mille anni non solo per la salvezza eterna degli uomini ma anche per una loro migliore vita terrena.

E, dunque, a dispetto di tattica e di strategia, Kesserling escluse Montecassino dalla linea di difesa, lasciando che tra quelle mura venerande trovasse rifugio, accolta dai monaci, una marea di profughi, di feriti, di ammalati, di vecchi, di donne.

E' ormai certo che gli Alleati, gli americani innanzitutto, sapevano bene che sul monte e nell'abbazia non c'erano truppe tedesche; ed è ormai certo che decisero la distruzione per motivi non militari, ma spinti da un desiderio di devastazione che può spiegarsi solo col desiderio di far sparire dalla faccia della terra un simbolo tra i più significativi del detestato "papismo" cattolico. Che la vandalica operazione rispondesse ad altri scopi da quelli strategici, lo conferma anche il fatto che furono annunziati pubblicamente il giorno e l'ora dell'inizio del bombardamento.

Così fu data ai tedeschi l'occasione di confermarsi, almeno qui, "amici" della civiltà: pur afflitta da una drammatica crisi dei trasporti, la Wehrmacht trovò i camion per portare in salvo in Vaticano parte dei tesori artistici e culturali dell'abbazia. A cominciare dallo straordinario archivio dove, tra l'altro, sta il primissimo documento del volgare italiano.

Sgomberate cose e persone, puntualmente - come da preannuncio - il 15 febbraio del 1944 una nuvola di fortezze volanti americane apparve nel cielo di Montecassino e iniziò il bombardamento "di precisione", mentre dalla pianura, per completare la distruzione, presero a tirare i grossi calibri alleati. Bombardarono e spararono per tre giorni, fino a quando non ebbero la certezza che dell'abbazia non restavano che rovine irrecuperabili (si scoprirà poi che tutto era stato distrutto, ma non la cripta, dove le reliquie di Benedetto e Scolastica furono ritrovate intatte). Tutto era stato concepito come uno "spettacolo": un'équipe di cineasti ufficiali filmò l'avvenimento.

Cessato il bombardamento, visto che non c'era più nulla da salvare, la Wehrmacht occupò il monte e si fortificò tra le macerie: sul piano strategico, il vandalismo americano si rivelò prezioso per i tedeschi, che nelle rovine trovarono un rifugio ideale per postazioni così solide da resistere per mesi e mesi ai sanguinosi assalti. I trentamila caduti alleati (tra cui molti polacchi) che riposano nei cimiteri della zona sono addebitabili anche alla decisione americana di distruggere l'abbazia.

Una follia sul piano militare, un crimine sul piano culturale ma, probabilmente, un'esigenza incoercibile e oscura, un bisogno liberatorio, per quel cocktail di protestantesimo radicale e di illuminismo massonico che, sin dagli inizi, informa la classe dirigente americana. Compresi, dunque, gli alti comandi militari. Ma, forse, questa vampata d'odio aiuta ad illuminare ancor meglio la grande avventura monastica, mostrandone l'importanza storica anche nello scatenarsi di tanta furia distruttrice.

Se poi qualcuno, in questo nostro sospettare fini non militari nel bombardamento della veneranda abbazia, ci pensasse afflitti da abusivi complessi di persecuzione, potrà leggere, tra gli altri, Giorgio Spini. Storico insospettabile in quanto valdese, tenace assertore della supremazia del protestantesimo, Spini descrive «le proporzioni assunte negli Stati Uniti dai movimenti anti-cattolici, con la disgustosa brutalità di certe loro manifestazioni». Continua questo storico riformato: «Anche a prescindere da simili intolleranze e isterismi, è indubbia l'esistenza - nella storia americana - di uno stato d'allarme per l'immigrazione cattolica e per la minaccia che potrebbe rappresentare per le istituzioni fondamentali americane».

Vittorio Messori
Montecassino
tratto da: Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline, Milano 1992, p. 348s.

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IL BOMBARDIERE NUMERO 666 

Ricostruiamo la vicenda, che ha molte analogie con guerre e operazioni militari dei nostri giorni, cominciando proprio da quel 15 febbraio 1944, quando, alle ore 9 e 24 del mattino, l’abbazia di Montecassino è scossa da una tremenda esplosione, che interrompe la preghiera del piccolo gruppo di monaci benedettini nel cenobio mentre invocano l’assistenza della Madonna e recitano «et pro nobis Christum exora». Tra di loro c’è l’abate ottantenne dom Gregorio Diamare e il suo segretario dom Martino Matronola, che in seguito pubblicherà un diario, indispensabile per ricostruire quei drammatici giorni. Sulle loro teste e su quelle delle centinaia di profughi presenti nel monastero si è appena abbattuto il grappolo di bombe da 250 kg l’una sganciato dal bombardiere strategico numero 666, pilotato dal maggiore Bradford Evans, il quale, con un numero di codice così inquietante, guida la prima delle quattro formazioni di B-17, le fortezze volanti statunitensi, che hanno ricevuto l’ordine di distruggere il millenario monastero arroccato sul colle. Alle fortezze volanti seguono altre quattro ondate di bombardieri medi. Alle 13 e 33 è tutto finito, i monaci sono tutti salvi, ma diverse centinaia di profughi sono morti sotto le bombe, e sarà difficile, anche dopo la guerra, riesumarne i corpi e dare un nome alle lapidi.