23 ottobre 2013

La Storia del Canone Biblico

Per poter parlare di canone biblico occorre stabilire quanti e quali siano in concreto i libri ispirati. Si cercherà di mostrare come i libri ispirati furono uniti nel tempo insieme, formando la collezione chiamata Canone biblico. Esamineremo, nelle linee generali, questo lento processo, dopo aver premesso alcune necessarie nozioni.

Il criterio della canonicità è il medesimo dell’ispirazione, con la sola differenza che, mentre il criterio per l’ispirazione è applicato a tutti i libri sacri in generale, il criterio per la canonicità è applicato a ciascun libro in particolare. Tale criterio è la Tradizione apostolica della Chiesa. Questa Tradizione si manifestò fin dagli inizi della comunità cristiana, attraverso forme concrete: testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, citazioni di brani dell’AT e NT attribuiti a Dio, decisioni sinodali, lettura liturgica.

Il termine canone biblico designa fina dal sec III i cataloghi ufficiali dei libri ispirati, i quali costituiscono, insieme con la Tradizione, la regola della fede. Dal termine canone si forma l’aggettivo canonico, nel senso d’appartenente al canone, e il verbo canonizzare (ammettere nel canone). In epoca più recente è stato formato il termine astratto di canonicità per indicare l’appartenenza di un libro al catalogo dei testi ispirati.

Sebbene esista uno stretto legame fra il termine canonico ed ispirato, essi corrispondono formalmente a due aspetti diversi. Coincidono nella verità di fede che tutti i libri canonici sono ispirati. Differiscono nel concetto ontologico: l’ispirazione fa riferimento all’origine divina dei libri sacri; la canonicità, al loro riconoscimento da parte della Chiesa. La canonicità dunque presuppone l’ispirazione: un libro è canonico poiché ispirato, non viceversa.

La Bibbia è il testo contenente la rivelazione che Dio fa di se stesso, i suoi interventi capaci di fare della storia umana una storia della salvezza, garantendo agli uomini, protagonisti e destinatari del messaggio, la verità in quanto contiene e comunica.
Il termine Bibbia è un vocabolo d’origine greca (βιβλία = libro), usato in italiano nella sua forma plurale per indicare i libri che la compongono. La Bibbia si presenta al lettore come una gran biblioteca. Per gli ebrei e i cristiani la Bibbia è molto più di un documento ricco di storia, di cultura e di religiosità. E' la parola della nostra salvezza, capace di convertirci e trasformarci.



ISPIRAZIONE E CANONICITÀ

Fin dall’inizio, i libri ispirati ricevettero l’approvazione apostolica, nel fare ciò la Chiesa fu guidata con infallibilità dallo Spirito Santo il quale, dopo aver ispirato gli apostoli nel proclamare autenticamente la Rivelazione, la ha assistita lungo i secoli per conservare, custodire e proclamare il deposito della Rivelazione. Il rapporto tra Scrittura e Tradizione è il nesso di fondamento al criterio di canonicità nella teologia cattolica.

In Israele

Per quanto riguarda la Tradizione in Israele, ad un’uniformità si arrivò soltanto dopo il 70 d C, quando distrutta Gerusalemme, i farisei divennero i dirigenti indiscussi della comunità ebraica, imponendo le loro credenze religiose. Anteriormente la questione era molto discussa, non esisteva un magistero dogmatico unificante. Riguardo al canone, risulta evidente la mancanza d’unità.

La discussione riguardava i libri da considerare fondamentali e quelli accessori, in un dibattito sempre più crescente tra la comunità della Palestina e quelle della diaspora. Probabilmente la comunità ebraica d’Alessandria attribuiva ai deuterocanonici (1) un’autorità normativa uguale ai libri protocanonici. Difatti, non sembra si possa dare altra spiegazione all’inserimento nella versione greca della LXX dei deuterocanonici, lasciando da parte molti altri libri circolanti negli ambienti giudeo-ellenistici, fra i quali molti apocrifi veterotestamentari, non come gruppo separato, nella forma d’appendice o di raccolta marginale, ma nello stesso corpo della versione, attribuendo loro l’identico valore.

Forse in Palestina, alcuni gruppi religiosi, accettavano i deuterocanonici. Infatti, tra le comunità di Gerusalemme e d’Alessandria ci furono sempre buone relazioni, e non risulta ci fossero state dispute riguardo al canone biblico.

Da diversi dati si può dedurre come all’inizio dell’era cristiana i libri deuterocanonici godevano di stima fra gli ebrei della Palestina. Il Siracide fu considerato come scrittura sacra fino al sec. X; 1Mac, Baruc, Tobia e Giuditta erano letti pubblicamente nelle sinagoghe; anche l’ispirazione del libro della Sapienza fu in discussione fino al sec VI.

Da quanto detto sembra si possa formulare la seguente teoria. Fino l’anno 70 d C, nel giudaismo non c’era un’unica opinione sui libri da considerarsi sacri ed ispirati. La religione era centrata sul Tempio, e non si era trasformata, come posteriormente, in una religione del libro. Dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, e la fine del sacerdozio levitino, la situazione cambiò profondamente. I farisei raggiunsero un’egemonia spirituale assoluta. Seguendo la tradizione dei padri, vollero assicurare la vita religiosa della nazione, stabilendo le basi ferme del giudaismo. Sottomisero i libri ad uno scrupoloso esame, sia per definire il testo valido sia per delimitare l’estensione del canone.

Nella storia della Chiesa l’agire divino degli agiografi, è stato sempre compreso come un dono, capace di perfezionare le capacità umane affinché divengano fedeli collaboratrici del volere divino. L’agire di Dio nell’uomo è stato descritto dalla teologia e il Magistero lo ha sottolineato, in particolare in due importanti passi: uno nella Providentisimus Deus "Dio stesso così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che Egli voleva le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scriverle fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente non sarebbe Egli stesso l’autore di tutta la Sacra Scrittura" (EB125 DS3293); l’altro nella Spiritus Paraclitus "Dio con un dono della sua grazia illumina lo spirito dello scrittore riguardo alla verità che questo deve trasmettere agli uomini per ordine divino. Egli suscita in lui la volontà e lo costringere a scrivere; gli conferisce un’assistenza speciale fino al compimento del libro" (EB448 DS3651).

Nella Dei Verbum [di seguito DV] la dottrina è riassunta con le parole: "Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte" (DV11). Questa formula indica come le facoltà e le forze dell’agiografo intervennero nella composizione dei libri sacri, poiché adoperate da Dio.

La DV contiene anche un’esplicita affermazione sul criterio di canonicità della Bibbia: "È questa tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rendere interrottamente operanti le stesse sacre Scritture" (DV8). Questo testo asserisce un dato di fatto, verificabile nella storia della formazione del canone della sacra Scrittura, e un dato di fede: sottolinea l’importanza primaria e insostituibile della Tradizione apostolica nella determinazione del canone biblico. L’affermazione fatta dalla DV ribadisce che l’elenco completo dei libri, come lo troviamo dai concili africani d’Ippona e Cartagine in poi, è stato trasmesso dagli apostoli, consentendo alla Chiesa di fissare con certezza i libri ispirati e di proclamare il canone come vero dogma di fede.

CANONE EBRAICO

La Chiesa ha ricevuto il canone biblico dell’AT attraverso Gesù e gli apostoli, questi approvavano, almeno implicitamente, e trasmisero l’insieme dei libri ritenuti sacri dalla tradizione ebraica. Nonostante ciò, la lista canonica sancita nel Concilio di Trento, corrispondente all’antica edizione latina Volgata e alla versione greca dei LXX (sec III/II a C), non coincide con il canone ebraico per quanto si riferisce ai deuterocanonici. Il motivo di questa differenza è ancora un problema aperto. Per spiegare questa differenza e come si è costituito il canone accettato dalla Chiesa cercherò di esporre come si formò il canone dell’AT fra gli ebrei.

Serve ricercare come si formò il canone dei protocanonici presso gli Ebrei e cosa pensassero dei deuterocanonici. Non c’è dubbio sul pensiero dei giudei in favore dei protocanonici, rimane incerto quale fossero le diverse opinioni riguardo ai deuterocanonici.

Secondo l’uso corrente i protocanonici dell’AT sono 39. Antichi documenti giudaici (l’apocrifi IV Esdra, il Talmud babilonese, con altri scritti rabbinici) e due scrittori ecclesiastici (S.Gerolamo, S.Ilario di Poitiers) ne contano solo 24; questa cifra è una riduzione ottenuta mediante raggruppamenti di libri simili tra loro e sostanzialmente corrispondente alla cifra precedente.

Causa il numero esiguo di documenti, è impossibile tracciare una storia completa ed esauriente del canone dei protocanonici dell’AT i pochi dati ci permettono di stabilire soltanto le linee generali.

Le tre raccolte

Nella Bibbia ebraica i protocanonici dell’AT sono distribuiti in tre gruppi: la Legge, i Profeti, gli Scritti. Questa tripartizione è attestata da antichi documenti, i quali menzionano le prime due con i loro nomi ben determinati, il terzo con termini diversi. Queste ripartizioni dimostrano che il canone dell’AT non si formò di getto, ma lentamente e in varie tappe.

La canonizzazione della prima raccolta ha una propria storia, anche se nota solo in modo approssimativo, permette di ritenere come certo il riconoscimento del suo valore sacro e normativo; tale storia ebbe una fase decisiva, se non finale, nel sec IV a C, per opera di Esdra (2) . L’importanza di questa prima raccolta è tale che con il termine Legge a volte s’indicava tutto l’AT.

La canonizzazione della seconda raccolta era già terminata nei primi anni del sec II a C. Tale affermazione è verosimile, non è certa la conclusione prima della terza parte non si può ricavare con certezza dalle espressioni dove la formula Legge e Profeti equivale all’intero AT: si tratta dell’indicazione delle parti principali per il tutto.

La canonizzazione degli Scritti, iniziata con Ezechia, si sviluppò lentamente: non si può stabilire quando sia giunta a compimento. Dall’aggiungere alla Legge anche i Profeti e gli Scritti, possiamo dedurre come i giudei riconoscessero alla seconda e alla terza raccolta lo stesso valore normativo attribuito alla Legge: le consideravano raccolte di libri sacri.

Che cosa pensavano gli Ebrei dell’ispirazione dei deuterocanonici è ancora molto discusso. Le opinioni sono tre:

a.     il canone giudaico sarebbe stato unico per tutti gli Ebrei, sia della diaspora sia della Palestina, e breve, cioè senza i deuterocanonici;

b.     secondo altri il canone giudaico sarebbe stato unico per tutti e lungo, con i deuterocanonici, solo in un secondo tempo gli Ebrei palestinesi, rappresentati dai farisei, avrebbero escluso i deuterocanonici, ritenuti canonici dagli Ebrei alessandrini e della diaspora;

c.     infine il canone giudaico sarebbe stato duplice: breve per i palestinesi, lungo per gli alessandrini; però gli stessi palestinesi avrebbero avuto una stima particolare almeno verso alcuni deuterocanonici.

La chiusura del canone

Quando avvenne la chiusura del canone ebraico e da chi fu operata? Questioni alle quali, attualmente, non è possibile rispondere. Verso l’anno 130 a C, un autore legato all’Ecclesiastico parla di una traduzione della Legge dei Profeti e degli altri libri; verso lo stesso periodo il 1Mac parla di libri sacri, testi che godono di una particolare venerazione presso il popolo d’Israele; il 2Mac 3,13 riferisce che tra le attività riorganizzative di Neemia vi fu anche una biblioteca, probabilmente, comprendente anche altri testi accanto ai libri sacri.

Alle soglie dell’era cristiana, tra gli Ebrei vi erano ancora delle esitazioni: il giudaismo palestinese rivela la tendenza a considerare sacri soltanto i libri antichi, scritti soprattutto in ebraico, e non quelli scritti in greco, questa è la tendenza, principalmente, dei farisei.

Questi sembrano attenersi a tre criteri fondamentali di canonicità:

a.     l’antichità del libro, per questo dovevano considerarsi ispirati soltanto i libri scritti prima della fine dei profeti, ritenendo come ultimo Malachia (sec V);

b.     essere scritti nella lingua sacra (ebraico o aramaico);

c.     la conformità con i principi religiosi del fariseismo.

L’ambiente sadduceo, e quello samaritano, considerava canonico soli il pentateuco; mentre nella diaspora alessandrina, a Qumran , forse si riteneva non ultimata la parola di Dio e si attendeva ancora un messaggio ispirato. Nella diaspora si riconosce una vera autorità divina ai deuterocanonici, a Qumran, probabilmente, si dava la stessa autorità a certi scritti della setta.

La lingua

La lingua ebraica fa parte del ceppo semitico nord-occidentale, comprendente l’ugaritico, il cananeo, il moabitico, il fenicio ed altre lingue.

Le origini sia della lingua sia della scrittura ebraica sono certo anteriori al popolo: si tratta essenzialmente della lingua parlata in Canaan (Palestina) quando sopraggiunse il gruppo di immigrati da cui si sviluppo il popolo ebraico. Secondo un’opinione comune il proto-ebraico, è la lingua parlata dagli immigrati, corrispondente al cananeo centro-meridionale che la famiglia patriarcale, e poi gli Ebrei venuti dall’Egitto, trovarono in Palestina nella forma particolare assunta in bocca agli immigrati.

La scrittura dell’ebraico ha avuto tre momenti principali: l’uso dell’alfabeto fenicio, l’uso dell’alfabeto quadrato o aramaico, la puntazione masoretica. In Palestina furono usate anche la scrittura cuneiforme e in minor misura quella geroglifica egiziana, ma erano scritture estranee agli indigeni. Nel periodo postesilico, gli Ebrei adottarono la scrittura quadrata, cioè i segni alfabetici dell’aramaico, e gli antichi testi furono trasportati nel nuovo alfabeto (3).

I testi

Gli autografi degli scrittori sacri nessuno finora ci è giunto, il testo sacro fu però più volte trascritto e nelle copie subì varie vicende, per chiarezza, possiamo dividerle nei quattro seguenti periodi:

1.     dalle origini al sec I d C, il primo periodo è caratterizzato dalla varietà del testo: quasi tutte le alterazioni (4) da noi oggi conosciute risalgono a questa epoca;

2.     dal sec I d C al IV, caratteristica di questo periodo è la codificazione del testo delle consonanti per opera degli scribi;

3.     dal sec IV al X, in questo periodo fu fissato il testo delle vocali, per opera dei Masoreti (5);

4.     dal sec X in poi, dall’epoca dei Masoreti fino all’invenzione della stampa il testo ebraico fu trascritto sempre secondo le norme della Masora [di seguito TM], con fedeltà maggiore o minore a seconda che le copie erano destinate all’uso pubblico, nella Sinagoga, o privato; di qui un certo numero di varianti nei codici pervenuti fino a noi.

La prima versione greca della Bibbia (sec III-II a C) sorse ad Alessandria d’Egitto, destinata ai Giudei ellenisti ivi residenti, i quali generalmente non comprendevano più l’ebraico. Iniziata verso la metà del sec III a C, terminò sulla fine del sec II a C. La versione è detta Alessandrina dal luogo, più comunemente dei Settanta [di seguito detta LXX] dal numero tradizionale dei traduttori (6).

                   La Settanta

Fu eseguita da più persone di ben diversa capacità. Come nel caso di libri ispirati che, dopo la loro composizione da parte dell’agiografo hanno subito aggiunte, sviluppi, correzioni da parte di autori secondari, così non sembra ci sia difficoltà se ciò sia avvenuto anche nel momento stesso in cui qualche libro biblico veniva tradotto in altra lingua, se la traduzione è anteriore all’epoca apostolica.

In numerosi punti la versione dei LXX presenta notevoli divergenze rispetto al testo originale, masoretico o premasoretico; divergenze che toccano la sostanza religiosa, anche se non la alterano, e talvolta con un netto progresso della rivelazione. In qualche caso autori del NT citano passi dell’AT non nella forma del testo ebraico, ma nella forma data loro dai LXX. Ciò fa pensare che gli autori del NT ritenessero ispirati almeno quei passi nella forma propria dei LXX. Sembra dunque si possa pensare ai LXX come ispirati, almeno in quei punti dove costituiscono un reale progresso rispetto ai corrispondenti passi dell’originale ebraico.

Se poi si riflette che gli autori del NT ricorrono alla versione alessandrina in misura pressappoco uguale che all’originale ebraico, e soprattutto che la Chiesa dei primi secoli considerava questa versione come il suo testo ufficiale della sacra Scrittura, sembra tale traduzione possa essere considerata, nel suo insieme, parola divina al pari della Bibbia ebraica. Le stesse considerazioni non possono valere per la Volgata latina, perché il tempo della rivelazione pubblica si è chiuso con la fine dell’epoca apostolica.
CANONE CRISTIANO DELL’ANTICO TESTAMENTO
Il NT parla genericamente di Scritture, nomina però anche i tre gruppi visti precedentemente; per le prime due si serve della solita terminologia, Legge e Profeti, per la terza si serve del termine Salmi. Non essendo suo scopo, il NT non dà mai l’elenco dei libri dell’AT.

Nessuno ha mai posto in dubbio che tutta la tradizione cristiana abbia ammessa la canonicità dei libri protocanonici. La discussione si centra solo sui deuterocanonici, intorno ai quali il pensiero della tradizione cristiana ha avuto un periodo di unanimità (sec I-II), un periodo d’incertezza (sec III-V), seguito dal ritorno all’unanimità (dal sec VI in poi).

Le cause delle incertezze si possono ridurre a tre:

1.     la polemica con gli ebrei, questi non ammettevano l’autorità dei deuterocanonici; polemizzavano con loro, i primi apologisti cristiani si trovarono nella necessità di tralasciarne le testimonianze;

2.     la diffusione degli apocrifi, il timore che penetrassero nel canone libri non corretti, aventi somiglianze con i libri canonici, contribuì a una presa di posizione ostile ai deuterocanonici;

3.     la mancanza di una decisione ecclesiastica chiarificatrice: le prime decisioni sono della fine del sec IV, non ancora della Chiesa universale.

La Volgata

Col nome Volgata s’intende oggi la traduzione latina della Bibbia attualmente in uso nella Chiesa cattolica. A causa della frequente trascrizione e dell’imperizia di certi correttori, numerosi errori ed aggiunte si erano introdotte nelle antiche versioni latine, anche in quella usata dalla Chiesa di Roma. Gli inconvenienti accorsi indussero il papa S.Damaso a ordinare un lavoro di revisione e di correzione. Tale compito, laborioso e delicato, fu affidato a S.Girolamo. Il lavoro iniziò nel 383 a Roma e terminò nel 405-406 a Betlemme, fu duplice: prima di revisione poi di traduzione (7).

Una nuova traduzione dai testi originali ebraici sarebbe stata certamente più utile della semplice revisione, S.Girolamo vi si accinse con ardore, mettere nelle mani dei cristiani un testo fedele all’originale, base incontrastata nelle loro controversie con gli Ebrei, i quali rifiutavano continuamente le testimonianze dei LXX e della Vetus Latina, non sempre conformi all’originale ebraico.

Per una tale opera egli era maturo, possedeva le lingue bibliche, si trovava sul luogo della storia sacra con la possibilità di perlustrarlo a suo piacere, era a contatto con dotti rabbini da poter consultare a volontà. Eseguì la traduzione sul testo ebraico del rotolo usato nella sinagoga di Betlemme trascrivendolo di suo pugno: questo testo era affine al TM, almeno per le consonanti. Tradusse solo i libri protocanonici, dei deuterocanonici, ai quali era contrario perché mancanti nella Bibbia ebraica, tradusse Tobia e Giuditta, per compiacenza verso alcuni amici.

Malgrado la sua incontestabile superiorità, l’opera di S.Girolamo incontrò, già durante la vita del suo autore, forti opposizioni, suscitando vivaci polemiche. Tale accoglienza sfavorevole proveniva da un’esagerata stima dei LXX, da cui derivava l’antica latina, e dall’attaccamento a quest’ultima. La situazione cambiò quando S.Agostino, a poca distanza dalla morte dell’amico iniziò a servirsi della nuova versione. L’uso diffuso in tutta la Chiesa della Volgata si avrà verso la fine del sec VIII.

LA FORMAZIONE DEL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Tutti i libri del NT furono scritti nella seconda metà del primo secolo, durante un periodo di circa 50 anni. Dal primo momento questi libri, che contenevano l’insegnamento di Gesù e la dottrina degli apostoli, furono accolti con grande venerazione dalle primitive comunità cristiane a cui erano indirizzati.

Alcune lettere avevano una destinazione più ampia perché indirizzate a varie chiese locali, ed è logico pensare che le chiese destinatarie avessero, per successive trascrizioni, copie di quei documenti, facendo così delle piccole raccolte.

Non si è in grado di precisare con maggiore esattezza questa fase iniziale di formazione del Canone. Forse Rm ed Ef ebbero una rapida diffusione per il loro contenuto dogmatico; nelle chiese della Grecia e dell’Asia Minore, per la loro vicinanza, si formò una collezione costituita da alcuni scritti paolini, giovannei e lucani. A Roma sarebbe stata integrata da Rm e Mc; in Siria e Palestina da Mt, Gc e Gd. In alcune comunità, come la Gallia, la storia sembra confermare la precoce costituzione di tutto il canone; in altre, quali la Siria, il processo fu molto più lento.

I primi secoli

Nella formazione del canone nel sec II, nessuno degli scrittori ecclesiastici (Didachè, S.Clemente Romano, Pseudo-Barnaba, S.Ignazio antiocheno, S.Policarpo, S.Giustino, Taziano, Atenagora, S.Teofilo, S.Ireneo) si preoccupò di redigere un catalogo dei libri ritenuti ispirati (8). Essi mostrano comunque una grande familiarità con gli scritti del NT. Dalle loro opere si possono ricavare i seguenti tre dati: citano o alludono a quasi tutti i libri del canone (tranne 3Gv); nessuno dei libri ispirati viene messo in dubbio; tutti riconoscono ad essi un’autorità suprema (9).

Verso la fine del sec II il canone biblico del NT era praticamente formato: c’era un consenso quasi unanime nelle chiese sui libri da ritenere ispirati e normativi. Dall’inizio del sec III le testimonianze sono più chiare, nelle diverse comunità cristiane, dove possedevano proprie tradizioni, si avvertì un doppio fenomeno: da una parte, le liste dei libri mostravano come in alcune di esse non si era aggiunta una conoscenza completa del canone; dall’altra, al contatto fra le diverse comunità, si manifestarono dubbi sulla reale canonicità degli scritti non riconosciuti da tutte le chiese come ispirati (10). La tradizione sull’ispirazione con la conseguente normatività, dei libri del canone, si impose gradualmente grazie alla catena continua di testimonianze su di essi, mai interrotta.

Tutti i libri del NT furono scritti nel greco comune, ampiamente diffuso in Oriente durante l’epoca ellenistica; tale lingua ricevette il nome di κοινή (comune, ordinario). Nei testi si riscontrano anche risonanze semitiche.

Riguardo il materiale scrittorio si riscontra l’uso del papiro, inizialmente, dal sec IV divenne comune la pergamena, più costosa e più resistente. Il formato del papiro era generalmente il rotolo, è documentata anche la rilegatura a libro; per la pergamena prevale il codice, estremamente pratico tale sistema si impose nell’uso.

La scrittura era di due forme: onciale o minuscola. La prima era simile alla scrittura capitale, utilizzata per monumenti e monete, più arrotondata e meno lineare, le lettere sono tutte della stessa altezza, un’oncia da cui il nome. La seconda fu utilizzata dal sec IX, in sostituzione della precedente, scritta con i caratteri legati e diversa altezza.

I manoscritti erano redatti di seguito su una o due colonne, senza punteggiatura, l’attuale divisione in capitoli si fa risalire al Vescovo di Canterbury Stefano Langton, morto nel 1228; l’uso dei versetti venne introdotto dallo stampatore francese Robert Estienne, nel 1551.

FUORI DAL CANONE

Come accanto ai libri sacri, il mondo ebraico producesse fra il sec II a C, ed il sec II d C, un’ampia letteratura, la cui conoscenza risulta vantaggiosa per precisare la storia del canone, per l’ermeneutica biblica, come espressione dell’ambiente culturale-religioso in cui nacquero i libri sacri. Tale letteratura è chiamata intertestamentaria per l’epoca in cui sorse, benché a volte i testi definitivi raggiunsero la forma finale molto più tardi. Accanto ad essa si sviluppò una letteratura che pose per iscritto l’insegnamento dei rabbini e possiamo denominar rabbinica.

Una possibile classificazione di questi scritti comprende la letteratura liturgica (orazioni, Targumim), la letteratura rabbinica di tipo halakico (Mishnah, Ghemara, Talmud, Tosefta), la letteratura rabbinica haggadica (Midrashim), la letteratura apocrifa dell’AT (palestinese ed ellenistica), gli scritti di Qumran, la produzione letteraria del giudaismo ellenico (Filone d’Alessandria, Giuseppe Flavio).

Anche il NT ebbe una ricca letteratura concorrente tra il sec II e il V d C, tali testi sono detti αποκρυφος (occulto, nascosto). Questi libri, pur presentando affinitΰ per il titolo o per il contenuto con i libri del canone, non furono mai riconosciuti dalla Chiesa come ispirati, anche libri attribuiti ad un falso autore per dargli autorevolezza usando il nome di un apostolo o di un personaggio dell’AT o del NT. Gli apocrifi del NT sono molti e si suddividono in vangeli, atti, lettere, apocalissi, a seconda dei libri neotestamentari a cui si ispirano. La critica attribuisce a gli apocrifi un certo valore per quanto riguarda le indicazioni geografiche, archeologiche e ambientali in genere, non però per quanto concerne il contenuto.

Sempre nell’ambito del cristianesimo troviamo gli àgrafa, sono frasi isolate attribuite a Gesù da qualche tradizione, non presenti nei Vangeli canonici, sono anche chiamati loghia o detti. Perché si possano ritenere autentici è necessario che abbiano a loro favore varie testimonianze degne di fede ed indipendenti fra loro, e contengano una dottrina conforme all’insegnamento autentico del Cristo ed al suo stile. Il risultato dell’indagine condotta dai critici è stato piuttosto scarso; e gli àgrafa considerati più probabili ben poco aggiungono alla figura di Gesù conosciuta attraverso i Vangeli canonici.

CHIESA E CANONE

La definizione dogmatica del canone biblico, vetero e neotestamentario, fu proclamato dal Concilio di Trento. In precedenza non mancarono decisioni magisteriali più circoscritte, di alcuni concili provinciali o di documenti pontifici, che attestavano la fede della Chiesa come era vissuta nelle diverse comunità cristiane.

Le prime definizioni

Le prime decisioni dell’autorità ecclesiastica sul canone biblico furono emanate in tre concili plenari africani: quello d’Ippona del 393, e i due celebrati a Cartagine, il III e il IV, del 397 e 419, ai quali prese parte S.Agostino, al primo come sacerdote agli altri due come vescovo. In questi concili, per risolvere i dubbi ancora esistenti nella chiesa africana, si redasse la lista completa dei libri dell’AT e NT comprendente sia i protocanonici sia i deuterocanonici. Il IV concilio cartaginese offre l’interesse particolare di segnalare il criterio di cannonicità, ossia il perché si stabiliva la suddetta lista dei libri: per averli ricevuti dai Padri. Afferma testualmente: "Dai nostri Padri, infatti, abbiamo accolto questi testi, perché siano letti nella Chiesa" (EB20).

A questi documenti se ne possono aggiunger altri due: la lettera Consulenti Tibi del 405 di papa Innocenzo I a S.Esuperio, vescovo di Tolosa, il quale aveva chiesto indicazioni riguardo il canone dei libri sacri, nella lettera si trova l’elenco completo con l’avvertimento verso gli apocrifi, invece, da respingere e condannare; il canone del sinodo greco detto Trullano o Quinisesto del 692, è importante per il suo influsso sulla questione del canone in Oriente.

Per trovare un altro documento rilevante bisogna giungere fino al sec XV, quando il Concilio ecumenico di Firenze, nel decreto per i Giacobini, riporterà il primo catalogo ufficiale della Chiesa universale sui libri sacri. Il decreto non è propriamente una definizione dogmatica solenne, piuttosto una professione di fede, espone la dottrina cattolica così come era già universalmente ammessa. Riproduce l’elenco completo, seguendo i decreti dei sinodi cartaginesi.

Il Concilio di Trento

Il motivo per cui il Concilio di Trento affrontò questo argomento fu l’atteggiamento dei protestanti riguardo il canone. Con il rifiuto della Tradizione e del Magistero, il protestantesimo risolse il problema della determinazione di un canone adottando, per l’AT, il canone ebraico ristretto. Per il NT le opinioni dei protestanti furono molteplici.

Nella sessione dell’8 aprile 1546, nel decreto De libris sacris et de traditionibus recipiendis, il Concilio definì il canone dei libri sacri. Il testo conclude affermando: "E se qualcuno poi non accetterà come sacri e canonici questi libri, nella loro integrità e con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella Chiesa cattolica e come si trovano nell’antica versione della Volgata latina, e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni: sia anatema" (EB60 DS1504). In questa definizione dogmatica viene affermata l’autorità normativa di tutti i libri del canone, senza introdurre differenze al suo interno, e l’estensione della canonicità a tutti i libri con tutte le loro parti. Oltre al canone tale decreto stabilì anche: la validità delle due forme distinte della rivelazione, scritta ed orale, Scrittura e Tradizione; la dottrina della validità e dell’autorità del Magistero; l’autenticità della Volgata, come testo ufficiale e normativo per la Chiesa latina.

La definizione del tridentino, dalla quale risulta con certezza quanti e quali libri dovevano essere ritenuti ispirati, quindi canonici, fu rinnovata dal Concilio Vaticano I di fronte al rinascere di vecchie teorie manifestanti dubbi sull’autorità di alcuni libri sacri, così si espresse il Concilio: "Questi libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, nella loro interezza, con tutte le loro parti, così come sono elencati nel decreto di questo concilio e come si trova nell’antica edizione della Volgata, devono essere accettati come sacri e canonici" (EB77 DS3006).

                     Le conseguenze

Le conseguenze delle eresie protestanti influirono molto sulla teologia e nel modo di affrontare la Bibbia. Una prima conseguenza fu la soppressione dalle edizioni della Bibbia dei deuterocanonici, il soggettivismo della traduzione e dell’interpretazione, da parte dei protestanti. Per evitare e scoraggiare il soggettivismo nella traduzione e nell’interpretazione la Chiesa sottopose alla revisione le varie traduzioni e mise in guardia i cattolici da eventuali traduzioni ed interpretazioni non concordi con le indicazioni del Magistero. Nell’ultimo secolo (XX) molteplici sono state le iniziative riguardo la scrittura:

a.     nel 1910 viene fondato l’Istituto superiore di ricerca biblica voluto dal papa Pio X, detto Pontificio Istituto Biblico;

b.     nel 1943 con l’enciclica Divino affilante Spiritu di Pio XII si invitano i teologi ad accettare i generi letterari, come elementi indispensabili per comprendere l’AT;

c.     nel 1964 la Commissione Biblica estende anche al NT l’accoglienza del metodo di studio della Storia delle Forme, favorendo il rifiorire degli studi biblici nel mondo cattolico.

Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II [di seguito CVII] ha ripreso la dottrina sul canone biblico soprattutto nei capitoli IV e V della DV, ha messo in rilievo la funzione della sacra Tradizione come criterio ultimo per la definizione del canone biblico, (come già citato: cfr pag. 4).

Il Concilio ricupera il concetto di rivelazione, dove il Concilio di Trento lo aveva sostituito con quello di Vangelo. Sulla rivelazione il CVII esprime ciò che la Chiesa ha sempre creduto, accogliendo anche i risultati degli studi biblici e teologici, sempre più perfezionati e progrediti in quest’ultima parte di secolo. Credo utile riportare, di seguito, ampie citazioni della DV per presentare con la chiarezza delle parole del CVII il pensiero della Chiesa.

Ha orientato lo studio sull’articolazione interna del canone, come la relazione dinamica fra l’AT e il NT: "Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse. […] L’economia della salvezza, preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchi Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: "Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vendono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza" (Rm 15,4)"(DV14); ed ancora: "Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo" (DV16).

La centralità dei Vangeli nell’insieme delle Scritture: "Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, nonché con l’invio dello Spirito Santo. Elevato da terra, attira tutti a sé, lui che solo ha parole di vita eterna. Ma questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti nello Spirito Santo, affinché predicassero l’Evangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa" (DV17); ed ancora: "A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Signore" (DV18). La specifica ordinazione degli altri scritti notestamentari ai Vangeli: "Il canone del Nuovo Testamento, oltre ai quattro Vangeli, contiene anche le lettere di san Paolo ed altri scritti apostolici, composti per ispirazione dello Spirito Santo; questi scritti, per sapiente disposizione di Dio, confermano tutto ciò che riguarda Cristo Signore[…]" (DV20).

Gli elementi più importanti presenti nella DV sulla rivelazione sono:

1.     Dio parla all’uomo, gli si rivela e l’uomo ha la capacita di aprirsi a Dio; la Bibbia contiene il piano di salvezza pensato da Dio per l’uomo, svoltosi nella storia del popolo eletto (AT), si è realizzato in Gesù (NT), si compie e attualizza ancora nella predicazione della Chiesa (Tradizione e Magistero);

2.     la sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo deposito della Parola di Dio affidata alla Chiesa;

3.     la verità divinamente rivelata e contenuta nei libri della sacra Scrittura furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo;

4.     la Costituzione afferma la necessità e la validità del Magistero della Chiesa, incoraggia gli studi e tutti ad accostarsi al testo sacro;

5.     ricorda che la verità di cui parla la Bibbia è quella riferita alla salvezza dell’uomo, non ad altre verità raggiungibili dall’uomo con i propri mezzi intellettivi.

Il viaggio alla scoperta del Canone biblico è un itinerario che, partendo dall’origine stessa della Parola, attraverso la Chiesa, giunge fino a noi, continuando il cammino nel futuro attraverso la Tradizione ed il Magistero, sotto l’attenta guida dello Spirito Santo.

"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli Apostoli la voce dello Spirito Santo" (DV21).

Fraternamente in Cristo

NOTE:

1) I deuterocanonici sono sette nell’AT: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, 1-2 Maccabei.

2) Fu opinione di vari scrittori ecclesiastici, quali Ireneo, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene, Eusebio, Girolamo, che Esdra avesse formato e chiuso il canone. L’opinione si diffuse largamente tra protestanti e cattolici e dominò fino ai nostri giorni passando come tradizione: secondo i protestanti Esdra avrebbe chiuso il canone in modo che non sarebbe più stato permesso aggiungervi altri libri, mentre i cattolici sostenevano che i giudei d’Alessandria vi avessero aggiunto più tardi i deuterocanonici.

3) Il materiale scrittorio era di generi molto diversi, come si deduce tanto dalla Bibbia quanto dalla letteratura extrabiblica. Lastre di pietra dure o ricoperte di calce, tavolette di terracotta, lastre di piombo, d’argento, d’oro, tavolette di legno ricoperte di cera, cocci o frammenti di terracotta; molto antico fu l’uso del papiro. L’uso della pergamena è certo posteriore al papiro, ma non si è certi in quale epoca sia stato introdotto; forse dal sec II al III a C.

4) Le cause principali di tali alterazioni furono due: la poca cura che ci deve essere stata per questi scritti quando, non essendo ancora fissato il canone, non tutti ancora ne riconoscevano l’ispirazione; la sorte subita dai libri sacri in tempi di prove religiose, come l’esilio babilonese e la persecuzione d’Antioco Epifane.

5) Masoreti sono chiamati quei dotti rabbini della scuola tiberiense che raccolsero e misero in iscritto la Masora, ossia tutto il complesso d’annotazioni critiche relative al testo sacro, fino allora trasmesse per via orale. Tra queste annotazioni critiche vi era anzitutto il modo di leggere il gruppo di consonanti di ciascuna parola, ossia la vocalizzazione delle consonanti. Questa vocalizzazione, iniziata al sec VI, fu completata nel sec VIII, mentre l’intero lavoro masoretico ebbe termine nel sec X.

6) Dietro richiesta del re Tolomeo Filadelfo (285-247) le autorità di Gerusalemme mandarono ad Alessandria 72 dottori della legge, i quali ritiratesi nell’isoletta di Faro, davanti ad Alessandria, in 72 giorni tradussero il Pentateuco. In questo racconto generalmente si riconosce come storico soltanto il fatto che verso la metà del sec III a C, sotto il re Tolomeo ad Alessandria fu tradotta in greco la Legge.

7) La revisione fu eseguita parte a Roma parte a Betlemme. A Roma emendò i quattro vangeli in base ad ottimi codici greci, limitando ordinariamente la correzione ai punti dove il senso era alterato. È molto probabile che abbia riveduto anche altri libri del NT. Contemporaneamente rivide anche i Salmi sul testo dei LXX. A Betlemme emendò tutto l’AT, ad eccezione dei deuteronomici, secondo il testo esaplare d’Origene, recandosi nella biblioteca di Cesarea. Questo lavoro andò poco dopo perduto, prima ancora che lo pubblicasse, ne rimase il Salterio, detto gallicano.

8) Nella storia della formazione del Canone è utile ricordare il ruolo dell’opera dell’eretico Marcione (morto nel 160 circa). Questi volle raggiungere il nucleo originale del messaggio cristiano, consistente nella rivelazione di un Dio dell’amore in contrapposizione al Dio degli Ebrei, vendicativo e giustiziere. Stabilì un elenco di Scritture, composto da 10 lettere di Paolo e il Vangelo di Luca. Oltre al rifiuto dell’AT escluse anche i restanti testi del NT, poiché avrebbero falsificato la dottrina aggiungendo elementi giudaici, arrivando a correggere il proprio canone da ogni elemento dell’AT.

9) La più antica lista di libri sacri del NT che finora si conosce è quella scoperta nel 1740 da Lodovico Antonio Muratori nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, denominata Canone del Muratori. È opinione comune che il canone abbia avuto la sua origine a Roma; e dal testo si deduce che, al più tardi, deve risalire all’anno 180 circa, poiché il papa Pio, cui si accenna, è stato pontefice romano negli anni 141-155. Il documento presenta quattro serie di libri: 1)libri considerati sacri da tutti e si devono leggere in chiesa pubblicamente; 2) libri che non sono considerati sacri da tutti e quindi non tutti leggono pubblicamente in chiesa; 3) libri che si possono leggere privatamente; 4) libri non accolti poiché apocrifi o scritti da eretici. Il valore del canone è notevole, l’autore è un tenace assertore dell’autorità apostolica e dell’autorità della Chiesa; il tono autoritario e il netto senso della cattolicità sono argomenti in favore dell’origine romana.

10) Le chiese siriaca e antiochena presentano un caso del tutto particolare. Qui il processo di canonizzazione attraversò sommariamente tre periodi: a) all’inizio ci fu una misconoscenza dell’esistenza delle lettere cattoliche, comprese le due protocanoniche (1Pt e 1Gv), e dell’Apocalisse, come si deduce dagli scritti d’Afraate e dal cosiddetto canone siriano, la lettera agli Ebrei fu sempre riconosciuta come libro ispirato; b) in un secondo momento, attestato dalla versione siriaca Peshitta (inizi del sec V), entrarono nel canone le tre lettere cattoliche maggiori (1Pt, 1Gv, Gc); c) a partire dal 450 si arriva alla formazione del canone completo, i cui libri integreranno, in maniera del tutto normale, la versione siriaca chiamata filosseniana, dal vescovo Filosseno di Mabbug (482-523), sull’Eufrate, che autorizzò una revisione della Peshitta con una traduzione dei libri che in essa mancavano.

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