20 marzo 2012

Vulgata, Texus Receptus o Testo Critico?

La Chiesa e i testi originali

parte prima

Quelli che i protestanti non dicono. In molte chiese evangeliche ed ortodosse esiste ancora un elevato numero di difensori del Texus Reciptus


La Chiesa Cattolica per lungo tempo riconobbe come versione ufficiale solo la Vulgata per il terrore di manipolazioni del testo sacro da parte degli ebrei, degli eretici, degli ortodossi e dei musulmani (ormai padroni incontrastati dei patriarcati di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli). Di fatto, la Vulgata, pur con qualche inevitabile limite, non fu per nulla disprezzabile, trattandosi di una versione antica (almeno come i prestigiosi codici Sinaitico e Vaticano), accurata e letterale. Fu prodotta da Girolamo utilizzando i testi originali greci ed ebraici, con l'intento di correggere ed emendare una precedente traduzione latina (la cosiddetta Vetus Latina), molto popolare ma alquanto corrotta e piuttosto inaffidabile. Prima della riforma protestante la Bibbia venne integralmente tradotta in lingua italiana nel 1471 dal monaco camaldolese Nicolò Malermi. In seguito, dopo un iniziale diffidenza verso le traduzioni nelle varie lingue nazionali (innescata soprattutto dal timore del protestantesimo), la Bibbia fu tradotta in inglese verso il 1610 (con la celebre versione Douay-Rheims) ed in lingua italiana verso il 1780 (con la famosissima traduzione curata dall'arcivescovo di Firenze Antonio Martini). Per quattro secoli, tutte le versioni cattoliche nelle varie lingue nazionali furono tratte dalla Vulgata (considerata più attendibile dei molti codici e papiri greci in circolazione), inclusero i libri deuterocanonici (definitivamente accettati come ispirati dopo il Concilio di Trento[1]) e vennero liberamente lette dal popolo cristiano[2]. Le autorità ecclesiastiche proibirono, invece, la lettura delle versioni protestanti in quanto spesso ricavate da manoscritti poco affidabili, talora segnate da stili polemici ed anticattolici e sempre prive di note esplicative (indispensabili in presenza di bassissimi livelli di cultura). La prima Bibbia tradotta dai testi originali, prima della riforma protestante, fu cattolica: la cosiddetta Poliglotta Complutense fu infatti il primo Nuovo Testamento greco, progettato e fatto stampare nel 1514 dal Cardinale Primate di Spagna Francisco Ximenes de Cisneros. Nel 1517 lo stesso Cardinale fece stampare, con approvazione ecclesiastica, i quattro volumi dell'Antico Testamento in latino, greco, aramaico ed ebraico e nel 1520 tutta l'opera ottenne la solenne ed entusiasta approvazione di papa Leone X.

Tutto il protestantesimo continuò però ad accusare la Chiesa cattolica di attaccamento superstizioso e bigotto alla Vulgata e di immotivato rifiuto delle traduzioni dai testi originali. Dalla seconda metà del 1500 le chiese riformate, in chiara polemica con la chiesa cattolica, fecero infatti costante riferimento al cosiddetto Textus Receptus, ricostruito da Erasmo e da Robert Estienne. Le famose versioni italiana del Diodati, tedesca di Lutero ed inglese di King James sono state ottenute proprio partendo da tale testo. Il Textus Receptus era però tutt'altro che perfetto e, secondo la critica testuale moderna, risultava pesantemente condizionato da aggiunte, arricchimenti ed abbellimenti del testo originale[3]. Di qui nascevano i timori e le chiusure della chiesa cattolica: il testo greco che rappresentava, almeno in parte, la tradizione testuale della chiesa bizantina [4] era stato ricostruito da Erasmo da Rotterdam utilizzando alcuni manoscritti poco affidabili (due provenienti da una biblioteca monastica di Basilea ed uno risalente al XII secolo) [5] e, in non pochi punti (soprattutto per il libro dell'Apocalisse), lo stesso Erasmo si era addirittura affidato alla Vulgata, ritraducendo in greco il testo latino.

Valore dottrinale e limiti testuali della Vulgata

Pio XII, nell’enciclica Divino Affilante Spiritu (1943) chiarì come l’autenticità della Vulgata proclamata dal Concilio di Trento avesse valore giuridico e non testuale: la Vulgata non era infatti priva di problemi e di errori testuali ma risultava totalmente esente da eresie e da errori dottrinali “Questa preminente autorità, ovvero, come suol dirsi, autenticità della Volgata fu dal Concilio decretata non già principalmente per motivi di critica, ma piuttosto per l'uso legittimo che se ne fece nelle Chiese lungo il corso di tanti secoli: il quale uso dimostra che essa, nel senso in cui la intese e intende la Chiesa, va affatto immune da errore in tutto ciò che tocca la fede ed i costumi. Da questa immunità, di cui la Chiesa fa testimonianza e dà conferma, proviene che nelle dispute, lezioni e prediche si possa citare la Volgata in tutta sicurezza e senza pericolo di sbagliare. Perciò quell'autenticità va detta non critica, in prima linea, ma piuttosto giuridica. Quindi l'autorità che la Volgata ha in materia di dottrina non impedisce punto anzi ai nostri giorni quasi esige che quella medesima dottrina venga provata e confermata per mezzo dei testi originali, e che inoltre ai medesimi testi si ricorra per dischiudere e dichiarare ogni dì meglio il vero senso delle Divine Scritture. Anzi neppur vieta il decreto del Tridentino che, per uso e profitto dei fedeli e per facilitare l'intelligenza della divina parola, si facciano traduzioni nelle lingue volgari, e precisamente anche dai testi originali, come sappiamo che in molti Paesi lodevolmente si è fatto con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica. Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri”

Oggi le versioni bibliche più accreditate hanno definitivamente abbandonato la Vecchia Vulgata ed il Textus Receptus per fare costante riferimento ai testi originali, anche se tra gli ortodossi ed in molte chiese evangeliche esiste tuttora un elevato numero di convinti difensori del Textus Receptus [7] [8]. La Chiesa cattolica ha quindi recentemente curato una splendida revisione della Vulgata sui testi originali, oggi disponibile in lingua latina: la Nova Vulgata. Lo stile di San Gerolamo è stato preservato ma la revisione è stata condotta in modo prudente ed onesto sul testo masoretico, sulla settanta e sui codici e papiri più attendibili. La Nova Vulgata dovrà essere utilizzata soprattutto per usi liturgici ed andrà comunque tenuta in considerazione per le nuove versioni dai testi originali tutte le volte che esistano dubbi, contraddizioni o incongruenze.


parte seconda

Il testo critico di Wescott e Hort

Solo dopo la scoperta e la pubblicazione del Codice Sinaitico da parte di Tishendorf (1862) molti studiosi cattolici e protestanti hanno tentato di ricostruire il testo greco originale, abbandonando pregiudizi, sospetti e superstizioni. Il Codice Sinaitico (oggi conservato al British Museum di Londra) ed il Codice Vaticano (ospitato dalla grande biblioteca vaticana a Roma) risultano infatti molto antichi (IV secolo), sostanzialmente concordi e, molto probabilmente, liberi da corruzione. Con i due codici sopraddetti concordano anche papiri molto antichi come P45 o Chester Beatty I (inizi del III secolo), P46 o Chester Beatty II (II secolo) e P75 o Bodmer XIV-XV (II secolo). Per il Nuovo Testamento la ricostruzione critica del testo greco originale è stata quindi portata avanti da Westcott e Hort verso la fine del XIX secolo, mentre nel XX secolo si sono distinte le varie versioni curate da Nestle e Aland e recentemente rivedute da Martini e Metzger. Il testo critico di Wescott ed Hort ha, Comunque, origini più antiche. Lo studioso che per primo pubblicò un'edizione del Nuovo Testamento greco, totalmente svincolata dal Textus Receptus e fondata integralmente sull'applicazione della critica testuale, fu il celebre filologo classico tedesco Karl Lachman (1793-1851). Lachman è famoso per le sue edizioni di antichi autori classici come Properzio, Catullo, Tibullo e Lucrezio. Dimostrò come, mediante il confronto di manoscritti, sia possibile ricostruire "per inferenza" gli archetipi (antenati perduti), il loro stato e la loro impaginazione. A conclusioni simili a quelle raggiunte da Wescott e Hort giunsero poi, per vie diverse, anche molti altri antichi ed autorevoli scrittori, critici ed esegeti come Bentley (1662-1742), Bengel (1687-1752), Wettstein (1693-1754), Semler (1725-1791), Bowyer (1699-1777), Harwood (1729-1794), Griesbach (1745-1812), Tischendorf (1815-1874), Tregelles (1813-1875), Alford (1810-1871) e Weiss (1827-1918). [9]

La Chiesa Cattolica ha incoraggiato il lavoro di revisione e ricerca, soprattutto con Leone XIII che nel 1893 con l’enciclica Providentissimus Deus incoraggiò lo studio delle lingue orientali e l’impiego della critica testuale, con Pio X che, nel 1907, commissionò ai monaci benedettini l'incarico di fare ricerche e preparativi per una edizione riveduta della Volgata e con Pio XII che, nel 1943, con l’enciclica Divino Affilante Spiritu caldeggiò vivamente lo studio delle lingue antiche e la preparazione di nuove traduzioni dai testi originali.

Secondo Leone XIII “Il primo mezzo (per comprender le Sacre Scritture) è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica. Essendo oggi tenuta in grande conto e onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito, con una scienza più o meno profonda traduzioni nelle lingue volgari, e precisamente anche dai testi originali, come sappiamo che in molti Paesi lodevolmente si è fatto con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica. Fornito così della conoscenza delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri” secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, Nullam arcu leo, facilisis ut 3 dovendo egli farsi tutto a tutti (1Cor 9,22), sempre pronto a dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (1Pt 3,15). E' dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi. Sarà pure ottima cosa se i discepoli della chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia. Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l'insegnamento delle sacre Lettere”.

Pio XII sottolineò infatti come “all'interprete cattolico che si accinge all'opera di intendere e spiegare le divine Scritture, già i Padri della Chiesa, e in prima linea Sant'Agostino, grandemente raccomandavano lo studio delle lingue antiche e il ricorso ai testi originali. Tuttavia tali erano a quei tempi le condizioni degli studi, che non molti, e quei medesimi soltanto in grado imperfetto, possedevano la lingua ebraica. Nel medio evo poi, mentre era in sommo fiore la Teologia Scolastica, anche la conoscenza del greco era da grande tempo scemata in Occidente, sicché anche i più grandi Dottori di quel tempo nello spiegare i Sacri Libri non si potevano basare che sulla versione latina della Volgata. Ai giorni nostri al contrario non soltanto la lingua greca, che col Rinascimento risorse, per così dire, a novella vita, è pressoché familiare a tutti i letterati e studiosi della antichità, ma anche dell'ebraico e di altre lingue orientali è diffusa la conoscenza fra le persone colte. Si ha poi adesso tanta abbondanza di mezzi per imparare quelle lingue, che un interprete della Bibbia, il quale trascurandole si precluda da sé la via di giungere ai testi originali, non può sfuggire alla taccia di leggerezza e di ignavia”.

Oggi le versioni bibliche più accreditate hanno definitivamente abbandonato la Vecchia Vulgata ed il Textus Receptus per fare costante riferimento ai testi originali, anche se tra gli ortodossi ed in molte chiese evangeliche esiste tuttora un elevato numero di convinti difensori del Textus Receptus [7] [8]. La Chiesa cattolica ha quindi recentemente curato una splendida revisione della Vulgata sui testi originali, oggi disponibile in lingua latina: la Nova Vulgata. Lo stile di San Gerolamo è stato preservato ma la revisione è stata condotta in modo prudente ed onesto sul testo masoretico, sulla settanta e sui codici e papiri più attendibili. La Nova Vulgata dovrà essere utilizzata soprattutto per usi liturgici ed andrà comunque tenuta in considerazione per le nuove versioni dai testi originali tutte le volte che esistano dubbi, contraddizioni o incongruenze.

Bibbie cattoliche, ortodosse e protestanti

Quasi tutte le Bibbie tradotte dai testi originali utilizzano oggi lo stesso testo ebraico (Biblia Hebraica Stuttgartensia) ed il medesimo testo greco (The Greek New Testament UBS). Le differenze sono pertanto minime e, quasi sempre, derivano dal fatto che (per l'Antico Testamento) i protestanti preferiscono fare riferimento quasi esclusivo al testo masoretico, mentre i cattolici, soprattutto dove il testo ebraico sembra oscuro o corrotto, ricorrono senza troppi pregiudizi anche ad altre autorevoli fonti testuali (Bibbia dei Settanta, Vulgata, Manoscritti del Mar Morto, Pentateuco Samaritano, Vetus Sira, Teodozione, ...). La Settanta è comunque ancora molto stimata dalle chiese ortodosse, che spesso la utilizzano per uso liturgico e per traduzioni ufficiali, sottolineandone l'antichità e l'uso preferenziale fattone dalla chiesa primitiva. Per il Nuovo Testamento le differenze sono invece praticamente inesistenti, essendo stato raggiunto un consenso unanime sul testo critico comune da utilizzare (grazie ai contributi di Wescott ed Hort, Nestle ed Aland, Martini e Metzger), testo che oggi ha praticamente soppiantato la "Vulgata Clementina" ed il "Textus Receptus" di Erasmo da Rotterdam.

Nelle Bibbie protestanti mancano poi quasi sempre utili note esplicative ed i libri deuterocanonici sono regolarmente omessi o inseriti in appendice. Fino all'inizio degli anni ’60 le Bibbie cattoliche furono ricavate dalla Volgata latina e vennero corredate da edificanti note esplicative, tratte dalle riflessioni di autorevoli Padri della Chiesa o di altri dotti studiosi cattolici. Per almeno tre secoli il timore del protestantesimo portò le autorità religiose a bollare con parole veementi tutte le società bibliche, a vietare il possesso di bibbie protestanti e a mettere all'indice anche le bibbie cattoliche ristampate, senza note e libri deuterocanonici, da editori non cattolici. Dopo il Concilio Vaticano II la situazione cambiò radicalmente: la Volgata non fu più il testo ufficiale e liturgico della chiesa cattolica e largo spazio venne dato ad accurate traduzioni dai testi originali in lingua volgare. Sotto l’influsso della ricerca archeologica e della critica testuale molte Bibbie furono arricchite da note storiche e linguistiche di indubbio valore culturale e di notevole spessore esegetico: in alcuni casi non mancarono però venature scettiche e scarsamente pastorali con effetti poco edificanti sugli spiriti più deboli e meno eruditi.