22 ottobre 2012

Rino Cammilleri: storia di una conversione


Parla l’autore di “Come fu che divenni C.C.P. (cattolico, credente e praticante)”

di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 25 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Seppure di fronte ad una offensiva mediatica e culturale di atei e agnostici, il mondo moderno registra una grande quantità di conversioni alla religione cattolica.
Tra queste ultime stupisce scoprire la storia di Rino Cammilleri, giornalista e scrittore di successo, che conosciuto come un apologeta del cattolicesimo.
In un libro appena edito da Lindau dal titolo “Come fu che divenni c.c.p. (cattolico, credente e praticante)”, Cammilleri racconta la sua conversione al cattolicesimo romano.
Non è che prima fosse protestante o giainista, no, il noto scrittore narra che “come quasi tutti gli atei e gli agnostici d’Italia odierni sono stato battezzato nel rito di Santa Romana Chiesa ma poi, come spesso accade, ho smarrito la via. Per ignoranza. Per noncuranza. Perché il battesimo ti fa, sì, diventare cristiano, ma per mettersi a fare il cristiano ci vuole, appunto, una conversione”.
ZENIT lo ha intervistato.
Lei, indicato come “il Kattolico”, un convertito? Ci racconti la sua storia. Come è accaduto?
Cammilleri: Non vorrei sciupare il piacere della lettura. Per sommi capi, dunque. Frequentavo Scienze Politiche a Pisa negli anni Settanta e finii contagiato. Ma, prima degli altri, portai in fondo la mia rivoluzione personale. E in fondo c’è il nichilismo. Cioè, il suicidio. Devo tutto alla mia conversione, frutto per metà di ragionamento e per metà (come tutte le conversioni) di grazia. Pensi che avevo anche lasciato gli studi per fare il cantautore a Milano… Ho toccato il fondo, insomma. Ma Dio mi ha “assunto” proprio quando ero indeciso se farla finita o rimandare. Nel libro ci sono anche foto d’epoca. Sulla copertina ci sono io, bambino, insieme a Cassius Clay alle Olimpiadi di Roma del 1960. La storia della mia conversione, come vedrà chi leggerà il libro, è anche uno spaccato della “grande storia” recente. E di una generazione illusa. 
San Pietro tradì, san Paolo teneva gli abiti di chi lapidò santo Stefano, san Camillo De Lellis sostenne prima di convertirsi che non c’era peccato che non avesse commesso, ma allora il cristianesimo è una storia di conversione continua. Qual è il suo punto di vista in proposito? 
Cammilleri: Siamo tutti battezzati, dunque cristiani di nome. Ma per diventarlo di fatto ci vuole, appunto, una conversione. La parola vuol dire esattamente “inversione a U” e scoprire che il Vangelo non è altro che il manuale della perfetta manutenzione di noi stessi. Se non si applica il manuale (e, dunque, non si crede al Costruttore) si vanifica la vita. Intendiamoci: la conversione non elimina la croce, anzi (vedi le disavventure di san Paolo dal giorno della caduta da cavallo in avanti). Ma ti fa scoprire qual è il senso della vita. Quello giusto intendo. E’ questa la perla preziosa per la quale il mercante evangelico capisce che vale la pena di vendere tutto per appropriarsene.
Quindi il cattolicesimo romano non è la religione che molti indicano come moralista? E’ notizia di ieri che forse sarà beatificato Jacques Fesch, una persona condannata per assassinio. Può aiutarci a capire?
Cammilleri: Basta pensare al Buon Ladrone, beatificato da Cristo in persona. La sua intera vita è tutt’altro che esemplare, né il finale è migliore. Diceva un altro convertito, Oscar Wilde, che la Chiesa cattolica è per i santi e i peccatori; per le brave persone va bene anche la Chiesa anglicana… A Dio interessa chi ci prova, non chi ci riesce. Mi si passi il paragone: anche nell’amore umano la passione è preferibile allo scialbo tran-tran.
In che modo un libro sulla storia della sua conversione potrebbe essere utile a comprendere la grandezza degli insegnamenti di Gesù Cristo?
Cammilleri: Le conversioni non sono mai uguali, perché Dio – è stato detto – sa contare solo fino a uno. Dunque, il racconto di una conversione non è granché esemplare. Ma ha una indubbia utilità come “testimonial”, come sanno bene i pubblicitari. Chi legge i resoconti dei convertiti scopre che il cristianesimo ancora oggi viene abbracciato integralmente, fino a farne l’unica ragione di vita, da gente (mi si passi l’immodestia) non banale. Nel mio caso (che è quello che conosco meglio), da uno che aveva introiettato i miti del Sessantotto fino a quasi precorrere i tempi. Ogni epoca fornisce miti ai giovani. Ma i miti uccidono. Seguire gli idoli proposti dal proprio tempo porta al suicidio. O a una vita sbagliata perché fuori bersaglio. Diceva sant’Agostino (altro convertito) che siamo fatti per la Felicità. Cioè per Dio. E il nostro cuore è inquieto finché non Lo raggiunge. Il convertito è colui che ha capito questo. 
Viviamo tempi in cui sono tanti coloro che si stanno convertendo alla religione cattolica. Secondo lei, perchè? E’ forse un segno dei tempi?
Cammilleri: Ogni epoca ha avuto i suoi convertiti, perché ogni generazione nasce col Peccato originale. Anche ai tempi di Gesù c’erano gli Erode e i Pilato, gente che aveva consacrato l’esistenza agli idoli (che poi sono sempre gli stessi: Sesso, Denaro & Potere). Oggi la società edonistica di massa macina più gente, produce più “drop out”, come dicono i sociologi. Aumenta il numero di coloro che cedono, che non ce la fanno. Basta accendere la tivù per vedere quanti sono quelli che sono disposti a tutto per il successo, pur di “emergere”. Ma non bisogna credere che i convertiti vadano ricercati tra i falliti o i perdenti; anche lo stesso Gesù fu, sul piano terrestre, un perdente e un fallito. No, molti si sono convertiti proprio perché avevano raggiunto le loro mete e si erano accorti di quanto fossero vuote. Chi cerca il vero senso della vita lo trova, perché Dio stesso si fa trovare. Ma è appunto qui il discrimine: se uno in cuor suo (e con tutto il cuore) cerca la Verità, Dio prima o poi lo converte. Se uno, sotto sotto, cerca in realtà se stesso, troverà anche lui quel che cerca: niente.