31 marzo 2016

Farhad Bitani, l’ex mujaheddin afgano che ama Dio

Era un ufficiale dell'esercito di Karzai. Un viaggio in Italia e un attentato hanno aperto il suo cuore al Signore. «Ho ricevuto un aiuto dal cielo nel momento più difficile. Così sono diventato cristiano».


Ex capitano dell’esercito afghano, figlio di un alto esponente dei mujaheddin, convertito dall’odio in nome di Dio e dal gusto del potere all’amore di Dio e alla gratuità del dono di sé al mondo, per il bene del mondo (Tempi,it, 18 novembre 2013).
Una conversione frutto dei segni della benevolenza divina, dall’essere sopravvissuto a un agguato dei talebani all’aver incontrato in Italia persone che in questi anni di separazione dalla famiglia di origine sono state per lui fratello, sorella e madre.
Oggi Farhad Bitani lavora per un’associazione che dà lavoro agli immigrati afgani e gira l’Italia per raccontare a tutti la sua incredibile storia. Lui che da ufficiale dell’esercito di Karzai e spettatore fisso delle esecuzioni capitali allo stadio di Kabul, ha deciso di abbandonare l’Islam e abbracciare il Signore (Tempi.it, 30 marzo 2015).

VALORI MAI CONOSCIUTI

Faahrad durante la scalata nell’esercito afgano viene inviato in Italia per formarsi prima all’Accademia militare di Modena e poi a quella di Torino. Ma in queste due esperienza trova un clima diverso da quello afgano: niente odio, inimicizia, sofferenza per il prossimo, ma una serie di valori che a lui risultavano inesistenti. Come amicizia, fratellanza, unione, tolleranza. Alcuni conoscenti gli spiegano il senso della religione cattolica, cosa rappresenta Dio, perché l’amare il prossimo è una virtù’ inestimabile. 

LA CRISI DI COSCIENZA

Quando torna in patria una profonda crisi di coscienza sta covando dentro al cuore di Farhad. Il soggiorno in Italia ha contribuito in misura decisiva a innescarla. «Come quasi tutti gli afghani, sia mujaheddin che talebani, io ero un fondamentalista islamico nell’anima. Disprezzavo gli infedeli, pensavo che tutti quelli che non erano musulmani sarebbero andati all’inferno, e che sarebbe stato giusto che l’islam trionfasse con le armi in tutto il mondo. Ma in Italia ho conosciuto tante persone migliori di me: non erano afghani e non erano musulmani. Così ho cominciato a cambiare il mio modo di pensare».

L’ATTENTATO DEI TALEBANI

La svolta decisiva avviene il 3 aprile 2011. Farhad è andato a visitare una zia a Laghman; lungo la strada per rientrare a Jalalabad, da cui proviene, cade in un’imboscata che i talebani hanno preparato contro di lui. Benché colpito riesce a mantenere la guida del suo fuoristrada e ad accelerare fino a portarsi fuori della portata dei proiettili. Sopravvive alle ferite e poco tempo dopo prende un volo per l’Italia: la sua domanda di asilo viene accolta immediatamente. «Non sono veramente sopravvissuto», racconta con gli occhi che gli luccicano.

LA “MANO” DI DIO

«Quel giorno è morto il vecchio Farhad, e ora la mia vita appartiene tutta a Dio. Lui mi ha risparmiato dalla morte quel giorno perché io capissi che aveva una missione da affidarmi. Io devo testimoniare la verità davanti a tutto il mondo, devo confessare le ingiustizie che si compiono in Afghanistan. Ilmondo deve sapere, e il popolo afghano deve cambiare la sua mentalità come io ho cambiato la mia».

“IL DESIDERIO DI CAPIRE”

Ciò che sorprende nella testimonianza di Farhad non è lo schema che vede il passaggio dall’islam estremista all’islam moderato, ma il suo insistere sul fatto di essere un musulmano che ha approfondito la sua fede in Dio e ha risposto alla chiamata di Dio grazie all’incontro con alcuni cristiani. «Su questa cosa le reazioni sono diverse e non sono uniformi né tra i cristiani né tra i musulmani. In tutte le reazioni c’è un denominatore comune che è la fatica a comprendere come ciò sia stato possibile. In molti cristiani ho trovato un desiderio di capire».

“RESTA CRISTIANA!”

L’ex mujaheddin fa l’esempio di una studentessa che durante uno dei suoi incontri pubblici gli domandò se fosse giusto che lei si convertisse all’islam, come richiesto dal suo fidanzato marocchino per sposarla. «Io le risposi che se lei è nata in una tradizione cristiana deve innanzitutto approfondire la propria identità cristiana, e se alla fine del suo percorso scopre che il cristianesimo non soddisfa il suo cuore, allora può cercare la propria identità nell’islam, altrimenti la conversione non serve a nulla. Questa ragazza dopo qualche tempo mi scrisse che aveva iniziato il percorso che le avevo suggerito e il suo fidanzato l’aveva accettato. Naturalmente ci sono anche alcuni che rimangono diffidenti, sia tra i cristiani che tra i musulmani, ma questo succede perché non accettano di fare un percorso personale».

IL “COSTO” DELLA CHIAMATA

Rispondere alla chiamata di Dio all’inizio costa, ma presto rende la vita ricca e fruttuosa. Piena di rapporti umani autentici. «La mia vita è diventata sempre più appassionante. Quando ho iniziato il mio percorso la mia vita era un deserto, mi sentivo abbandonato da tutti. Pur avendo già riconosciuto che la mia vita era stata salvata per un compito e avendo già incontrato l’umanità diversa che mi si era fatta incontro attraverso piccoli gesti di carità, mi sembrava che la mia strada fosse bloccata. Poi Dio ha mandato dal cielo l’aiuto giusto e la strada è diventata fiorita. Ora sono circondato dall’amore della gente oltre che dall’amore di Dio – conclude Farhed – Moltissime persone sono rimaste in contatto con me, specialmente studenti. Molti di loro hanno scritto delle tesi a partire dalla mia testimonianza. Per ora spero che sia durevole il cambiamento che si è generato in tanti che hanno fatto propria la mia testimonianza e ora la diffondono».