Per spiegare chi è il Papa leggiamo le parole del Catechismo: «Il Papa, vescovo di Roma e successore di San Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità della Chiesa. E’ il vicario di Cristo, capo del collegio dei vescovi e pastore di tutta la Chiesa, sulla quale ha, per divina istituzione, potestà piena, suprema, immediata e universale» (Compendio 182).
“Successore di Pietro” dovrebbe essere chiaro, deriva dal primato di Pietro, lo ha voluto direttamente Gesù. “Vescovo di Roma” vien da sé, perché storicamente il cuore della Chiesa è diventato quello , la città che ai tempi era il cuore del mondo. E’ lì che Pietro si è stabilito negli ultimi anni, è lì che ha subito il martirio, è lì che il suo ruolo è stato raccolto dal successore.
Ma la frase che dà una spiegazione più piena del ruolo del pontefice (parola bellissima, tra l’altro: “colui che getta un ponte”) è quella che arriva subito dopo: «Perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità della Chiesa». Perché la Chiesa sia unita occorre un punto di riferimento ultimo, un’autorità ultima a cui guardare. Una, non due. E non un’idea, una dottrina: ma una persona, “visibile”. Il primato del Papa serve a questo: affida al successore di Pietro, in maniera “perpetua” – cioè fino a quando durerà la storia del mondo-, il compito di custodire la Tradizione. Di far sì che l’essenziale della fede non si disperda, non cambi natura. Rischio concretissimo, visto che la stessa fede passa attraverso uomini. E tra noi uomini, si sa, le divisioni sono all’ordine del giorno.
Nella Chiesa, no. Si può discutere sull’interpretazione, sulla morale, sulle dottrine, sul rapporto con il mondo. Ma alla fine c’è un criterio, un punto di confronto -e di conforto- ultimo: l’autorità del Papa. Se non ci fosse, presto o tardi ognuno farebbe solo ciò che gli passa per la testa. Userebbe certe parole a modo suo, dandogli un significato diverso. Leggerebbe Antico e Nuovo testamento a modo suo. Il risultato sarebbe un’inevitabile divisione. Che è quello che succede a tutti, fuori dal cattolicesimo. Tutte le grandi confessioni religiose sono profondamente divise, anche se noi tendiamo a immaginarle come dei “blocchi” unici. I musulmani sono divisi in sunniti e sciiti. Negli ebrei si distinguono ortodossi, ultraortodossi e liberali. Ma anche i cristiani che non riconoscono l’autorità del Papa finiscono per essere divisi: calvinisti, luterani, avventisti…
Per questo il Papa è detto anche “vicario di Cristo”, termine che scandalizza molti. E’ un’esagerazione? No. E’ che custodendo la fede, come abbiamo detto, assicura la presenza continua di Cristo nella storia. Ma poi c’è un altro punto interessante: “capo delle chiese locali, i successori degli apostoli. Pastori come lui, quindi. E uno dei punti più importanti è l’unità tra di loro. C’è un capo, perché «senza testa non c’è corpo» dicevano i padri della Chiesa. Ma la Chiesa è anche una compagnia, una unità. E infatti la sua guida è molto più collegiale di quanto si pensi.
Certo, il Papa può sbagliare. Giovanni Paolo II ci ha persino scherzato su il giorno stesso della sua elezione: «Se sbaglio, mi corrigerete…». Il Papa è un uomo, un peccatore come noi. E può sbagliare anche lui, come noi. Tranne che in un momento molto preciso, in cui Dio lo assiste in maniera particolare: quando decide di intervenire su materia di fede e di costumi ex cathedra, cioè letteralmente “dalla sua cattedra”. Capita di rado, dev’esserci proprio in gioco la necessità di fissare una volta per tutte -o di ribadire- un aspetto particolarmente decisivo della fede. Infatti la Chiesa lo chiama “magistero straordinario”. Ma l’infallibilità (che, nota bene, dipende dall’assistenza dello Spirito Santo, non dalla “bravura” del Papa) c’è solo in quel momento. Oltre che in momenti altrettanto straordinari e solenni come i concili ecumenici, assemblee che raccolgono tutti i vescovi sotto la guida del pontefice. Tutto questo c’entra molto con l’ultima frase che abbiamo letto prima: quell’«ha per divina istituzione, potestà piena…». Per divina istituzione. Se è vero quello che abbiamo detto fin qui della Chiesa, non c’è nessuna difficoltà ad ammettere che Dio la accompagni in maniera particolare sopratutto nei momenti più delicati, più importanti, più decisivi nel preservare la tradizione della fede.
Ci sono Papi che hanno sbagliato, e molto. Ma nessuno ha contraddetto la tradizione. Puoi scorrere tranquillamente i duemila e rotti anni di storia della Chiesa: ci sono errori, evoluzioni e cambiamenti come in tutte le realtà umane, ma non trovi una contraddizione che sia una sulle verità fondamentali della fede. Una volta che sono state proclamate, nessun pontefice le ha mai messe in discussione. In duemila anni, capisci? Basterebbe questo per sospettare che ci sia sotto qualcosa di sovrumano..
Detto questo, però, forse il nome più importante del Papa è un altro. Quello a cui ci si rivolge a lui da sempre: Santo Padre. “Santo” non perché tutti i Papi lo siano automaticamente (molti lo sono diventati, molti altri no). Ma perché la figura stessa del Papa, il suo ruolo, è un richiamo a Dio. Obbliga a pensare a Lui.