6 settembre 2014

"La Grande Meretrice" - Scacco matto da sette donne ai pregiudizi anticattolici

“Negli Stati Uniti (e non solo) non ci sono cento persone che odiano la Chiesa cattolica, ma ce ne sono milioni che odiano quella che percepiscono erroneamente essere la Chiesa cattolica”. (Fulton Sheen)



«La Chiesa è la madre di tutte le Inquisizioni». E, soprattutto, «nemica di scienza e filosofia». «Il celibato è una norma nociva», perlopiù disattesa e per questo fonte di corruzione e infelicità. «I protestanti sono più aperti alle sfide della modernità rispetto ai cattolici». Per salvarsi l’istituzione ecclesiastica «deve tornare alle origini». Quanti «luoghi comuni» sulla storia bimillenaria della Chiesa, molti dei quali avallati da «un’opinione diffusa e politicamente corretta» che tenta di portare l’istituzione ecclesiale davanti al tribunale della storia, come sostiene il teologo Bruno Forte. Ma è sempre stato così? No, non è sempre stato così. E per dimostrarlo non c’è che una strada: far entrare in scena proprio la storia. Uno sguardo cioè capace di circoscrivere e contestualizzare tante credenze, per scoprire che la verità ha molte facce, alcune delle quali davvero sorprendenti.

A far luce sui più diffusi luoghi comuni sulla storia della Chiesa è il libro «La grande meretrice» (Editrice Vaticana, pp. 260, 18 euro) scritto da sette donne, tutte storiche ma non tutte cattoliche, e curato da Lucetta Scaraffia, membro del Comitato nazionale di bioetica, consultore del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e responsabile dell’inserto mensile «Donne Chiesa mondo» dell’«Osservatore romano». Sette donne che hanno accettato di confrontarsi, senza pregiudizi, con dieci stereotipi sulla Chiesa, nati quasi sempre nell’Ottocento sull’onda della secolarizzazione e di un montante anticlericalismo. Obiettivo: fare piazza pulita delle opinioni che si fondano sui giudizi sommari, «perché è davvero arrivata l’ora di valutare la tradizione teorica della Chiesa cattolica partendo da una concezione condivisa della verità storica». Una rettifica, spiegano le autrici, che non ha nulla di apologetico, e che anzi non risparmia ammissioni di limiti e ritardi nella vita della Chiesa.

Ecco i dieci stereotipi: l’infedeltà rispetto alle origini del movimento cristiano, l’imposizione del celibato ecclesiastico, i tribunali dell’Inquisizione, l’arretratezza cattolica rispetto al progressismo evangelico, l’antisemitismo, la sessuofobia, l’anti-scientismo, la svalutazione della donna, la scelta della sofferenza. Ma perché proprio dieci? Risponde Lucetta Scaraffia: «Naturalmente potevamo aggiungerne altri, ma questi non solo sono i più diffusi, ma anche quelli che generano il maggior numero di incomprensioni». Ed ecco le sette autrici: Sylvie Barnay dell’Institut chatolique di Parigi, la teologa Cristiana Dobner, carmelitana scalza, Anna Foa dell’Università «La Sapienza» di Roma, Giulia Galeotti dal 2011 redattrice dell’«Osservatore romano», Sandra Isetta dell’Università di Genova, Margherita Pelaja della Società italiana delle storiche e la stessa Scaraffia. Perché tutte donne?, è stato chiesto. «Per tanti motivi, naturalmente», hanno risposto, «ma anche perché sono fra i migliori storici sulla piazza, e forse fra i pochi che sanno scrivere in un linguaggio divulgativo».

E se c’è un pregio del libro è proprio la sua capacità di affrontare ciascun tema scegliendo la strada meno comoda, cioè il saggio scientificamente documentato, senza però perdere di vista la regola della semplicità narrativa per ottenere la massima divulgazione possibile. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di raggiungere i non specialisti, quelli che sono più facilmente vittime dei luoghi comuni sulla Chiesa. Ma anche quei «cattolici tiepidi», che non sanno difendere la loro storia, probabilmente perché non la conoscono. Perché sarà pur vero che la Bibbia è il libro più venduto del mondo, ma forse anche quello meno letto, il «libro dimenticato».

E allora partiamo da quello che forse è il più diffuso: l’idea che la Chiesa sia «nemica» delle donne o, nella migliore delle ipotesi, abbia sempre rappresentato le figure femminili della storia sacra come docili e mansuete presenze di contorno, incapaci di caratterizzare una vicenda da cui risultavano estranee. Falso. Scrive Giulia Galeotti nel suo saggio: «Anche se la Chiesa storicamente ha avuto più di un problema con le donne, quelle reali e quelle del Vangelo, è indubbio che il messaggio di Gesù fu femminista, e non solo rispetto alla società in cui egli visse…». Gli esempi più eclatanti sono due: Maria di Nazareth e Maria Maddalena.

Al centro della Sacra famiglia, ricorda il saggio della Galeotti, Gesù ha messo Maria, una donna (e non Giuseppe): la scelta di rottura con gli schemi del tempo è radicale. Per questo, inizialmente, «la sua figura scomoda e destabilizzante è stata messa sullo sfondo». Sarà solo dopo il concilio di Trento «che il suo culto conoscerà fortuna», in particolare ad opera di un’altra donna, Teresa d’Avila, che le era molto devota. Dirompente è stata anche la scelta di Gesù di rivelarsi a Maria Maddalena, prima testimone della risurrezione. E’ lei «la sentinella, l’araldo donna che annuncia, nell’immediato e per l’eternità, la buona novella».

Non basta, dice la Galeotti, la Chiesa per prima si è fatta anche portavoce di una rivoluzionaria concezione del vincolo matrimoniale, chiedendo sia al marito che alla moglie il medesimo dovere di fedeltà: «A lungo il diritto canonico è stato il solo a parificare adulterio maschile e adulterio femminile». Tutto questo, e altro ancora (ricordiamo le religiose fondatrici di congregazioni, che col tempo conquistarono autonomia economica e organizzativa), spinge le autrice del libro a sostenere che l’emancipazione femminile sia stata proposta e realizzata con successo soltanto in Paesi che, pur secolarizzati, si rifacevano alla tradizione cristiana. E’ stato il cristianesimo per primo a presupporre una «eguale dignità spirituale» a donne e uomini, «ponendo così le basi storiche, se pure lungamente fraintese e contrastate, per un’uguaglianza dei sessi». La sfida oggi è di rinnovare l’alleanza fra donne e Chiesa, che ha caratterizzato il cristianesimo fin dalle origini.

Altro tema che disturba molto la coscienza moderna è quello della castità. Tanto che uno degli aspetti della vita cattolica più criticati è il celibato, al quale sono tenuti religiosi e preti. Pochi sanno però l’origine di questa norma (non dogma), la difficoltà che ha incontrato all’interno della stessa Chiesa («Un’affermazione lenta e contrastata dagli stessi preti», spiega nel suo saggio la Scaraffia), l’originalità della scelta di Gesù, «che ha deciso di non aderire al modello del pater familias a cui si erano omologati invece i grandi patriarchi e profeti», facendo una scelta di rottura per la società ebraica. Senza dimenticare l’esperienza della mistica cristiana, che faceva della castità una scelta individuale, valida per uomini e donne (rendendoli per la prima volta uguali…).

E poi c’è il mito delle origini, che idealizza i primi cristiani. E che nasce dalla sofferenza nel vedere la discrepanza tra ciò che è stato il Gesù storico (ciò che ha predicato, vissuto, patito) e ciò che oggi la Chiesa istituzionale rappresenta. Scrive Sandra Isetta: «Che l’istituzione, la Chiesa terrena, sia stata protagonista di pagine non edificanti è dato inalienabile, fatalmente connesso alla natura umana. Ma è la grande sintesi di Agostino che costruisce quel monumento delle “due città”, Babilonia e Gerusalemme, che condizioneranno il pensiero della storia occidentale. La Chiesa dunque comprende e accomuna buoni e cattivi». Così è quantomeno superficiale rinfacciare alla Chiesa corrotta la Chiesa delle origini, quella dei santi martiri, senza ricordare che anche oggi, in tutto il mondo, scorre il sangue dei cristiani.

E poi c’è il saggio interessante di Anna Foa, storica ebrea, dedicato alla Chiesa «madre di tutte le Inquisizioni», destinato a suscitare reazioni di segno diverso. L’Inquisizione nell’immaginario collettivo è alla base di tutte le repressioni del pensiero e della libertà religiosa. E questo è un fatto. Non tutti sanno invece che il fenomeno è formato da tre entità diverse: l’inquisizione medievale (XIII sec. per combattere le eresie), quella spagnola (1478, dipendente direttamente dalla monarchia) e quella romana (1542, dal Sant’Uffizio). E che il passaggio dal sistema «accusatorio» a quello «inquisitorio» (originario nel diritto romano, ma poi abbandonato, e che prevedeva ricerca di prove, deposizione dei testimoni, ricerca della confessione, il tutto nella massima segretezza) nacque in seno alla Chiesa per svilupparsi a macchia d’olio agli apparati statali, civili e alla società. Tanto che nel Duecento «in tutti i comuni italiani dominava la procedura inquisitoria, che cominciò a svilupparsi in Francia, Germania, e in molta parte d’Europa. Unica eccezione l’Inghilterra, dove non fu mai introdotta». Morale? L’Inquisizione, scrive la Foa, ha emanato meno condanne a morte dei tribunali laici ed ecclesiastici non inquisitoriali o misti. Non è un tentativo di assolvere (e non potrebbe esserlo), ma apre alla domanda successiva: quanto è rimasto attuale dell’Inquisizione? E lo scenario è quello dei tribunali dei totalitarismi del Novecento. La conclusione dell’autrice fa perlomeno riflettere: «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quali di questi temibili tribunali umani preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell’epoca delle grandi purghe staliniane. E nemmeno dai tribunali laici dell’età dell’assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l’Inquisizione, quella romana naturalmente. Sperando sempre che Dio me la mandi buona».

L’intento del libro è sempre quello di leggere dentro le pieghe della storia, anche nel caso di un tema scomodo per la Chiesa come quello dell’Inquisizione (ma anche l’accusa di antisemitismo o l’idea che l’esaltazione del dolore cristiano fosse la strada per la salvezza affrontato nel bel saggio della Dobner), scoprendo che è molto più variegata di come la si conosce. La Chiesa concludono le autrici «rimane in cammino verso la santità, peccatrice per natura, perfettibile per grazia. Non è dunque né la Chiesa dei puri, né la Chiesa grande meretrice». E’ la Chiesa umana che spera di diventare divina.

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