24 agosto 2014

Ecco chi sono i terroristi del Califfato «made in Italy»

L'Isis è in Europa. I quadri intermedi del gruppo jihadista sarebbero composti proprio da europei per
nascita, formazione o mentalità. Secondo fonti d’intelligence, che da mesi ormai sta monitorando e combattendo i miliziani guidati da Abu Bakr al Baghdadi che proclama la rinascita del Califfato dell'Islam tra Iraq e Siria, una parte dell’organizzazione terroristica ha una provenienza occidentale, non solo per nascita. Dopo l'uccisione del giornalista americano, James Foley, per mano di un britannico aderente all'Isis, la possibilità che il numero di europei, quindi anche italiani, impegnati a fianco dell'Isis sia una realtà importante, è diventata una certezza. Gli investigatori ritengono che al momento siano 8 gli italiani attualmente operativi negli scenari di guerra. Sarebbero circa 50, invece, i mujaheddin partiti e tornati dai fronti di guerra in Iraq e Siria acquisendo esperienze sul campo. Un centinaio, poi, secondo le stime sarebbero quelli che simpatizzano per l’ideologia jihadista. Tra questi A.B e H.S., due siriani che vivono a Milano, e che sono partiti per combattere il regime di Assad e poi sono rientrati nel nostro Paese.
Gli stessi hanno partecipato all'assalto dell'ambasciata a Roma il 10 febbraio del 2012. Un numero di fondamentalisti crescente, dunque, che non ha ancora raggiunto i livelli di altri paesi europei a causa di un flusso migratorio iniziato in ritardo. Un notevole contributo al prolificare di volontari disposti a morire in nome di Allah, secondo gli investigatori, è da attribuire ad internet, che consente uno scambio veloce di informazioni e contatti. La rete, inoltre, se utilizzata da esperti, consente anche di navigare senza possibilità di essere rintracciati. Tra le fila del gruppo jihadista, dunque, nei ruoli di potere intermedio, che contemplano anche la presenza sui campi di battaglia, oltre che l'impegno nell'organizzazione, i posti di «potere» sono occupati da persone che in qualche modo sono legate all'Europa e, quindi all'Italia. Tre gli identikit dei possibili combattenti: gli europei per formazione, cioè i musulmani che hanno studiato e lavorato nei paesi occidentali, acquisendo conoscenze informatiche elevate e padronanza delle lingue.
Tra i mujaheddin, poi, ci sono quelli nati in Italia o in altre nazioni europee, e che in seguito alla conversione all'Islam, sono partiti per i teatri di guerra Mediorientali a fianco dei miliziani di Abu Bakr al Baghdadi. Il terzo profilo, invece, apparterrebbe ai cosiddetti europei per mentalità, ossia le seconde generazioni di immigrati che ritornano nei paesi d'origine, o si affiancano alle varie sigle dell'islamismo, per esportare la jihad. Insomma, una realtà variegata, ma che trova il suo punto di contatto proprio nell'odio verso l’Occidente. Non è escluso, infatti, che molti dei combattenti partiti per la Siria o l'Iraq abbiano precedentemente studiato nelle università italiane o frequentato il nostro mondo professionale. L'età dei volontari abbraccia una forbice che va dai 18 ai 28 anni, con una preparazione scolastica spesso elevata. Quindi, intrisi di cultura e formazione europea, si recano nei vari fronti di guerra. Tra i profili dei volontari italiani, spicca anche quello dei convertititi che provengono da ambienti di estremismo di destra e di sinistra. Grazie a queste nuove leve, dunque, il fondamentalismo islamico ha per certi aspetti cambiato pelle, distaccandosi dal modello medioevale che ha caratterizzato l'era di Bin Laden e accedendo alla nuova forma di comunicazione più veloce e globale: il web. è proprio sui social network, infatti, che viaggiano il messaggio e la propaganda dei fondamentalisti che postano foto, condividono link, commentano immagini e si scambiano informazioni. È il caso della pagina Facebook #storiaislamicapersa, dedicata ad «informare i musulmani su aspetti che si collegano al Califfato islamico: aspetti sociali, economici, scientifici, culturali e curiosità». Scorrendo post e commenti alla pagina, che è collegata anche con il sito www.islamlaverareligione.it, è possibile imbattersi nei profili di italiani convertiti o immigrati che vivono nel nostro paese e che sostengono in varie forme la jihad. Curiosando poi sulle bacheche dei singoli profili non passano inosservate foto di combattenti con armi in pugno, bandiere dell'Isis, commenti a favore del Califfato e contro l'Occidente. In uno dei tanti post è persino riportato un dialogo tra Giuliano Ibrahim Del Nevo, il genovese convertito all'Islam e morto in Siria nel 2012, e un altro utente in cui, secondo l'autore del post, sarebbe rappresentato il vero pensiero di Del Nevo, ingiustamente accusato di terrorismo. La nuova era del fondamentalismo, però, non ha cancellato le «vecchie maniere di operare».
Lo sgozzamento, infatti, è ancora una pratica usata per creare il panico nelle fila nemiche e per guadagnarsi il consenso di altri fanatici, favorendone il sostegno e il reclutamento. L'innovazione, quindi, sta nella velocità e nei metodi di divulgazione della notizia. Anche il ruolo delle donne all'interno dell'organizzazione è un segnale di forte cambiamento. Tra coloro che provengono dall'Europa, infatti, non prevale l'idea che la donna sia un essere inferiore a cui è negata la partecipazione ad azioni militari o ruoli di potere. In questo modo, dunque, il mondo femminile è entrato a far parte in pieno titolo della jihad, conquistando un ruolo attivo. L'organigramma dell'Isis, dunque, ha travalicato i confini territoriali. Se dapprima si poteva ipotizzare che il network jihadista fosse essenzialmente ristretto nei territori a maggioranza musulmana, oggi assistiamo ad un rovesciamento di questa teoria in favore di una globalizzazione della rete terroristica. Le basi degli ideologi, dei reclutatori e degli addestratori non vanno più cercate nei Paesi oltre mare, ma possono essere ramificate in qualsiasi punto del mondo occidentale.

http://www.iltempo.it/esteri/2014/08/23/ecco-chi-sono-i-terroristi-del-califfato-made-in-italy-1.1299795