10 giugno 2014

Gli 800 orfani gettati nella fossa comune in Irlanda?

L’unico orrore sono le bufale (in chiave anticattolica) dei giornali
         
L’uomo che scoprì la fossa nel ’75: «Era larga come un tavolo da caffè, impossibile metterci 796 corpi». E la storica che studia il caso: «Mai detto che fossero sepolti lì»

«Non ho mai detto a nessuno che 800 corpi sono stati gettati in una fossa biologica. Quelle non erano 796 bambini scomparsi tra il ’25 e il ’61 dall’orfanotrofio di Tuam, nella contea di Galway, e che una settimana è stata citata dai giornali di tutto il mondo in relazione al “ritrovamento” di una fossa comune all’esterno dell’edificio in questione. I giorni passano, nuovi dettagli emergono, e la storia che i media hanno subito trasformato in un’arma per l’ennesimo attacco moralisteggiante alla Chiesa irlandese comincia ad assumere contorni ben diversi da quelli delineati dalla stampa. Tanto per cominciare, appunto, come ha spiegato la stessa ricercatrice all’Irish Times, Corless non ha mai collegato la morte di quei bambini alla fossa comune rinvenuta (già negli anni Settanta, per la verità) da due ragazzini: con i suoi studi ha semplicemente appurato l’identità e il numero degli scomparsi, cercando di ricostruire le cause dei decessi. «Non ho mai usato la parola “dumped” (“gettati via”, nda)», ha detto. «Volevo soltanto che quei bambini fosse ricordati e che i loro nomi venissero iscritti su una targa». Sui certificati di morte recuperati si parla di malattie come tubercolosi, convulsioni, morbillo, pertosse, influenza, bronchite e meningite.
mie parole». Non è una precisazione trascurabile, visto che viene da Catherine Corless, la storica che ha condotto l’indagine sui

TRAGEDIA CATTOLICA O EUROPEA? Occorre cautela nel raccontare la storia della Home di Tuam, una casa gestita dalle suore del Bon Secours dove erano accolte ragazze madri assieme ai loro bambini. L’istituto è finito sotto accusa oggi, più di 50 anni dopo la chiusura, secondo un “format” ormai diventato quasi di moda in Irlanda dopo che dal passato di opere simili, sempre gestite da ordini religiosi, sono emersi scandali di violenze e abusi (sono i casi raccontati, ad esempio, dai film Magdalene e Philomena). Per l’orfanotrofio di Tuam, le accuse più leggere insinuano che le malattie di questi bambini erano più che curabili, e che le suore non fecero il possibile per aiutarli. Ma lo storico Tim Stanley in un articolo apparso sul britannico Telegraph nel fine settimana scorso precisa come il dramma dei bambini di Tuam «non sia una tragedia cattolica più di quanto non sia irlandese o europea»: avere figli illegittimi era ritenuto uno stigma nella società dell’epoca, e le workhouse come le lavanderie Magdalene davano ospitalità a donne recuperate tra storie di povertà e abbandono, spesso anche prostituzione. Gli ordini religiosi tentavano semplicemente di rendere le strutture un po’ meno orribili. Ai casi di violenze e abusi perpetrati all’interno di questi istituti lo stesso governo irlandese ha dedicato un rapporto nel 2009, nel quale, ribadendo con durezza le accuse nei confronti di preti e suore, tuttavia non dimentica di riconoscere la “filantropia religiosa” a cui erano ispirate queste opere.

UNA FOSSA TROPPO PICCOLA. Tornando alla sorte dei 796 bambini di Tuam, vale la pena di sottolineare alcuni particolari che non tornano nelle ricostruzioni offerte dai giornali. Anzitutto, le dimensioni della fossa biologica dove i bambini sarebbero stati “gettati”: Barry Sweeney, il ragazzino che nel ’75 rinvenì per primo la tomba, ha spiegato all’Irish Times che le ossa erano custodite in un tank poco più largo di un tavolo da caffè. «Non era in alcun modo possibile che 800 scheletri fossero in quel buco. Non so da dove i giornali abbiano appreso questo dato. Quanti scheletri credo ci fossero? Circa 20».
Quanto poi al numero apparentemente spaventoso delle vittime, Stanley nel suo articolo evidenzia che la mortalità registrata nell’orfanotrofio a Tuam, per quanto alta possa sembrare oggi, era in linea, se non addirittura inferiore, con quella di altre città irlandesi.
Mentre le testimonianze tratte dai documenti dell’epoca descrivono la Home con toni tutt’altro che drammatici: secondo il rapporto del Board of Health del ’35 era «una delle migliori istituzioni del Paese», mentre nel ’49 un giornale locale parlava di un’ispezione che «ha trovato tutto in ottimo ordine, e si è congratulata con le sorelle per le condizioni eccellenti».

I FONDI DELLA CONTEA. Infine, un dettaglio prezioso: la struttura rimase sempre legata al Consiglio di Contea di Galway. Viveva cioè anche delle sovvenzioni economiche che arrivavano dall’apparato pubblico, difficile perciò concludere che quanto avveniva dentro quelle mura potesse essere solo ed esclusivamente frutto della perversione dei cattolici. Anzi, nel ’49 le sorelle incontrarono pure il senatore Martin Quinn, chiedendo un aiuto per le difficili condizioni in cui i bambini vivevano proprio per mancanza di fondi, ma ricevettero da lui risposte negative.
Resta dunque certa la scomparsa di quei 796 bambini, mentre ancora aleggia più di un interrogativo sul motivo per cui morirono e dove siano stati seppelliti in realtà i loro feretri. Non a caso l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin ha chiesto che sulla vicenda venga portata avanti un’indagine, purché sia davvero indipendente.

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