26 maggio 2014

Che cos'è la Chiesa?

Che cos’è la Chiesa? Può sembrare una domanda banale, in realtà è uno dei concetti fondamentali che divide i cattolici dai protestanti. Questi ultimi, infatti, sostengono che la Chiesa sia un “edificio spirituale” composto dall’insieme dei credenti. Si tratterebbe, insomma, di qualcosa di sostanzialmente invisibile di cui le comunità locali sono solo manifestazioni visibili. E’ una visione che ha un suo perché (lo vedremo in seguito), ma la Chiesa apostolica – quella descrittaci nel Nuovo Testamento – è proprio così?

Il fondamento della Chiesa

Partiamo dal passo più contestato, quello oggetto di infinite discussioni (quando non di manipolazioni): Matteo 16, 18. Dove si legge: 

15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Matteo 16,15-20)

Si tratta di un passo dalla chiarezza disarmante, tanto da diventare insopportabile per molti. Non appena si fa cenno a questo episodio, molti si sentono in dovere di gettarsi in un’impresa disperata che non disdegna l’aperta manipolazione con inversione di soggetto, complemento oggetto e predicato verbale (molti protestanti sono stati perfino tentati di eliminarlo come fosse interpolato…). È triste, ma il termine “manipolazione” è il più adatto per definire “interpretazioni” che cercano di sostituire il soggetto del periodo (Pietro) con la sua confessione di fede. Infatti, molti vi diranno che Cristo non sta parlando di Pietro perché altrimenti vorrebbe dire che la Chiesa è fondata su un uomo. Il senso sarebbe questo:

“Tu sei Pietro, e su questa tua confessione io fonderò la mia Chiesa…”

Come potete notare, il trucco è doppio. Il primo sta nell’omettere volutamente il passo successivo che parla di chiavi affidate a Pietro (la decenza qui ha impedito di dire che le chiavi sono affidate non alla persona ma alla sua professione di fede). Il secondo, invece, è quello di ignorare volutamente il gioco di parole Pietro-pietra. Non a caso, nell’interpretazione evangelica, il “Tu sei Pietro” perde di ogni significato. Invece Cristo ha dato questo nome a Simone di Giona (Marco 3, 16; Luca 6, 14) proprio in vista di questa investitura. Perciò Gesù ribadisce anche qui il suo soprannome, e gli spiega perché ha voluto chiamarlo così fin dall’inizio. L’interpretazione evangelica si potrebbe riassumere anche così:

“La tua confessione è una pietra, e su questa pietra io fonderò la mia Chiesa…”

Però qui è ancora più chiaro che si sta manipolando il passo, perché questa “interpretazione” non tiene in alcun conto il senso logico e grammaticale. Con questo sistema, si può invertire il senso di ogni passo a partire dal proprio pregiudizio. Ad ogni modo, come già detto, il versetto successivo chiarisce che il soggetto è Pietro e che lui è la pietra di fondamento in quanto riceve le chiavi che nel contesto ebraico, come in quello moderno, sono inequivocabilmente un segno di autorità.

In questo caso, è utile andare a consultare la traduzione interconfessionale fatta da studiosi cattolici e protestanti. Essendo una traduzione in lingua corrente, attenta quindi a restituire al lettore il significato dei passi, non stupisce di leggere questo:

Per questo io ti dico che tu sei Pietro e su di te, come su una pietra, io costruirò la mia comunità. Nemmeno la potenza della morte potrà distruggerla. 19Io ti darò le chiavi del regno di Dio: tutto ciò che tu sulla terra proibirai, sarà proibito anche in cielo; tutto ciò che tu sulla terra permetterai, sarà permesso anche in cielo.

È una traduzione che rende molto bene il senso di un passo già molto chiaro anche in una traduzione letterale. Nemmeno gli studiosi protestanti hanno potuto negare l’evidenza, per questo anche loro ci confermano che il soggetto è Pietro. Interessante anche la resa del legare e dello sciogliere come proibire e permettere, un significato confermato anche dalla nota della Bibbia di Gerusalemme:

Per le chiavi del regno: proprio come la città della morte, la città di Dio ha delle porte: e lasciano entrare solo coloro che ne sono degni (cf. 23,13p ). Pietro ne riceve le chiavi. A lui spetterà dunque aprire o chiudere l’accesso del regno dei cieli, tramite la Chiesa. - «Legare» e «sciogliere» sono due termini tecnici del linguaggio rabbinico che si applicano innanzitutto al campo disciplinare della scomunica con cui si «condanna» (legare) o si «assolve» (sciogliere) qualcuno, e ulteriormente alle decisioni dottrinali o giuridiche con il senso di «proibire» (legare) o «permettere» (sciogliere). Pietro, quale maggiordomo (di cui le chiavi sono l’insegna, cf. Is 22,22 ) della casa di Dio, eserciterà il potere disciplinare di ammettere o di escludere come egli crederà meglio, e amministrerà la comunità con tutte le decisioni opportune in materia di dottrina e di morale. Sentenze e decisioni saranno ratificate da Dio dall’alto dei cieli. - L’esegesi cattolica ritiene che queste promesse eterne valgano non soltanto per la persona di Pietro, ma anche per i suoi successori; sebbene tale conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, è tuttavia legittima in ragione dell’intenzione manifesta che Gesù ha di provvedere all’avvenire della sua Chiesa con un’istituzione che la morte di Pietro non può rendere effimera. - Due altri testi ( Lc 22,31s e Gv 21,15s ) sottolineeranno che il primato di Pietro si deve esercitare particolarmente nell’ordine della fede e che tale primato lo rende capo, non solo della Chiesa futura, ma già degli altri apostoli.

Un ciottolo?

Nel mondo protestante, vigono dei veri e propri miti etimologici che sono dei totem difficili da scalzare. Uno dei più perniciosi è che il termine petros non voglia dire pietra ma “ciottolo”, un mito talmente infondato da non avere influenzato nemmeno le traduzioni protestanti che, anzi, cercano in nota (cfr. La Parola) di dissuadere il lettore da simili giochi (che invece vengono ovviamente spacciati come verità dal famigerato sito camcris). Infatti anche un vocabolario online, come questo, conferma che il significato di petros  è roccia o pietra. Non ciottolo, non piccolo sasso. Paradossalmente, lo conferma anche la Bibbia Diodati:

E Gesù, riguardatolo in faccia, disse: Tu sei Simone, figliuol di Giona; tu sarai chiamato Cefa, che vuol dire: Pietra (Giovanni 1,42)

Inoltre bisogna notare che il nome originale di Pietro è l’aramaico Kefà, appellativo che ricorre spesso nella Scrittura accanto alla versione grecizzata di Petros. Ma il termine Kefà rimanda alla roccia più che alla pietra. Quindi l’approssimazione – se c’è – è al rialzo e non certo al ribasso. Pietro è una roccia, tenendo presente questo il passo di Matteo si può parafrasare così:

“Tu sei Kefà (roccia), e su questa Kefà (roccia) io fonderò la mia Chiesa…”

Il gioco di parole è così evidente da squalificare a priori tutte le interpretazioni che si approfittano della difficoltà del greco di renderlo con la stessa efficacia dell’aramaico in cui è stato pronunciato. 

La metafora della Chiesa come edificio


Quindi, per quanto scandaloso possa sembrare, Gesù ha posto un apostolo come pietra di fondamento della Chiesa. Secondo gli evangelici, questo sarebbe in contraddizione con il resto della Bibbia che indica sempre Cristo come fondamento. E questo è il vero motivo di tutti i salti mortali sul passo di Matteo, una convinzione giusta declinata in modo sbagliato a causa di una lettura superficiale. In realtà la Bibbia ci parla della Chiesa come di un edificio fatto di pietre diverse (1 Pietro 2, 5), secondo i canoni architettonici del tempo. Illustrati benissimo in questa immagine:


Sono citati anche i passi che gli evangelici credono siano in contraddizione col fondamento umano della Chiesa. Gli evangelici poi, amano citare i passi dello stesso Pietro per smentire Gesù. Vediamo, allora, questi passi come collocano Cristo nella Chiesa:

6 Si legge infatti nella Scrittura:Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso (1Pietro 2, 6)

….edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (Efesini 2,20)

In questi passi ci viene detto che Cristo è la pietra angolare, ovvero la prima pietra di un edificio. La più importante e solida, che sostiene tutte le altre. E’ altra cosa dalla pietra di fondamento che pure è importante, ma meno di quella angolare. Infatti lo stesso san Paolo parla di fondamento degli apostoli e dei profeti, questi ultimi non sono da confondere con i Profeti dell'Antico Testamento. Infatti, san Paolo non sta facendo riferimento ad alcuna Scrittura (altrimenti avrebbe ricordato anche la Legge) ma a delle figure della Chiesa cristiana. Perchè questi profeti sono dei predicatori itineranti che sono spesso ricordati insieme agli apostoli (Ef 3, 5; 4, 11;). Questo dovrebbe levare ogni dubbio anche su chi sia la pietra di cui parla Matteo (16, 18). Infatti, il riferimento ai profeti permette di scongiurare a priori chi - anacronisticamente - potrebbe essere tentato di vedere nel fondamento della Chiesa non delle persone ma i loro scritti. Ovvero che, morti gli apostoli, la Chiesa si fondi esclusivamente sulla Scrittura. Se fosse così, visto che non abbiamo nessuno scritto di questi profeti cristiani, bisognerebbe concludere che la Chiesa - alla loro morte - ha perso parte del fondamento di cui parla san Paolo. Quando invece, il posto di questi profeti è stato preso da altri profeti e lo stesso per gli apostoli.

Il punto cruciale è che gli evangelici non hanno colto la metafora biblica dell’edificio, per questo sembra loro che vi sia contraddizione nella Scrttura (altrimenti non si spiegherebbero queste superbe arrampicate sugli specchi) anche se non lo ammetterebbero mai.

La Chiesa come corpo

Nella Scrittura la Chiesa ci viene presentata anche con la metafora del corpo (1 Cor 12, 12-27; Col. 3, 15). Dove la Chiesa non è semplicemente un corpo, ma il corpo di Cristo (Ef. 4, 12; Col. 1, 24). E questo cosa vuol dire? Lo spiega molto bene san Paolo nel primo passo citato. Essere corpo vuol dire riconoscerne come membro anche chi nega di essere tale (è questa una prospettiva tipicamente pentecostale, quella cioè di negare lo status di fratello a chi riconosce Cristo ma ha il grave difetto di non essere d’accordo con una teologia del resto non uniforme). Ma un corpo si caratterizza soprattutto per la sua unità e la collaborazione tre le varie membra che, quindi, non possono dirsi indipendenti. Per questo san Paolo non ammetteva – nemmeno a livello embrionale – la divisione denominazionale (1 Cor 1, 10-13) che invece è caratteristica del mondo protestante, tanto intrinseca che ormai molti non ne avvertono più la problematicità. Come a Corinto c’era chi si diceva di Paolo, chi di Apollo e chi di Cefa, oggi c’è chi si dice luterano, chi calvinista ecc…con un numero enorme di nomi che indicano effettivamente l’appartenenza a chiese - e dottrine - diverse. A chiese che si dicono tra di loro indipendenti, proprio al contrario del corpo di cui parla Paolo in cui “Non può l’occhio dire alla mano:«Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi»” (1 Cor 12, 21). Ed è proprio questo, invece, l’atteggiamento che contraddistingue le 43mila denominazioni protestanti oggi esistenti, un numero destinato invariabilmente a salire perché – perso il fondamento apostolico – il destino dello scisma continuo è inevitabile. 

Le cose non vanno meglio per il pentecostalismo, per due ragioni. Prima di tutto perché esistono diverse denominazioni pentecostali (come  branhamiti, gli apostolici, chiese libere, chiese confederate, chiese della prosperità,  ecc…) e poi perché anche all’interno di una stessa denominazione non c’è unità, nemmeno spirituale. Lo dimostra l’assoluta mancanza di solidarietà degli evangelici verso comunità almeno teoricamente sorelle (sono sempre formalmente indipendenti) che sono però colpite da scandali. Per salvaguardare il concetto di superiorità morale, intere chiese vengono immediatamente scaricate e i suoi membri bollati come “falsi evangelici”. Tutt’altro che il paolino soffrire insieme, perché si tratta di una comunione teorica e molto precaria.

Una Chiesa eterea?

Quindi la Scrittura ci parla di un edificio spirituale composto da una parte visibile e una parte invisibile. Le pietre di fondamento (gli apostoli – di cui Pietro è il primo – e i profeti) non sono superiori a Cristo, perché è Lui stesso che le ha poste. Però senza di esse, l’edificio della Chiesa crolla. Ed è chiaro che si tratta di una parte della Chiesa che è sempre visibile. Non si capisce la difficoltà di comprensione di questa realtà, visto che nella Storia della Salvezza Dio si è sempre servito degli uomini. Infatti gli apostoli erano un punto di riferimento per tutti i cristiani, esercitavano un ministero che era visibile a tutti. Per questo san Paolo definisce Pietro, Giovanni e Giacomo le “colonne” della Chiesa con le quali è necessario essere in comunione (Galati 2, 9). Il concetto di indipendenza assoluta delle chiese locali era inconcepibile nella Chiesa apostolica, infatti il collegio apostolico aveva autorità su tutte le comunità cristiane: vecchie e nuove, vicine e lontane (2 Ts 3, 14). Come si vede, per esempio, nell’episodio del Concilio di Gerusalemme (Atti 15, 1-33) in cui gli apostoli intervengono per rassicurare i fratelli di Antiochia riguardo la predicazione di persone che – è bene sottolinearlo – non avevano ricevuto “nessun incarico”. 

Qualcuno potrebbe, a questo punto, dire che questa struttura della Chiesa apostolica fosse ad tempus. Che, morti gli apostoli, il loro ruolo sia passato ai loro scritti. Il fatto che si possa anche solo pensare una cosa simile, denota una grave carenza storica ed esegetica. Se Gesù, infatti, avesse ritenuto così inaffidabili gli uomini avrebbe da subito optato per una rivelazione scritta. Invece ha posto delle persone come punto di riferimento della sua Chiesa mentre era ancora sulla Terra e soprattutto dopo, quando la sua vicenda terrestre si era da poco conclusa. Né si evince mai in alcuna parte della Scrittura che la Chiesa di quel tempo sia stata un unicum per la presenza degli apostoli, una struttura provvisoria. Infatti, il concetto di successione apostolica su cui la Chiesa si regge, si trova nella Scrittura stessa. A Giuda Iscariota successe Mattia come apostolo, in quanto “testimone della sua risurrezione” (Atti 1, 15-26). Questa testimonianza è la fede che viene trasmessa, insieme al ministero per imposizione delle mani (Atti 6, 5-6). Se la Scrittura non ci parla della successione post-apostolica è perché – per una scelta precisa della Chiesa – sono entrati nel canone biblico  solo gli scritti degli apostoli o di loro stretti discepoli. Quindi è chiaro che non può parlarci del dopo, ma noi sappiamo che – storicamente –agli apostoli successero i vescovi di una Chiesa che ormai si andava espandendo su tutta l’ecumene. Ed essi erano ben degni di questo ruolo, essendo stati istituiti dagli apostoli stessi proprio per questo:

In ogni modo, i presbiteri e gli episcopi cristiani non sono solo incaricati dell'amministrazione temporale, ma anche dell'insegnamento (1Tim 3,2; 5,17, Tt 1,9) e del governo (1Tim 3,5; Tt 1,7).  Stabiliti dagli apostoli (At 14,23) o dai loro rappresentanti (Tt 1,5) con l'imposizione delle mani (1Tim 5,22; cfr. 1Tim 4,14+; 2Tim 1,6), essi hanno un potere carismatico (1Cor 12,28) e di origine divina (At 20,28). [Bibbia di Gerusalemme, pg. 2558]

Non a caso, il concetto di successione apostolica è presente in tutti i Padri della Chiesa e lo usavano consapevolmente contro gli eretici e le loro chiese separate (che magari pretendevano di rappresentare la vera tradizione apostolica, senza poter dimostrare di averci mai avuto a che fare). La successione “cartacea” invece è follia del tutto assente nella Scrittura, nella patristica e quindi nella storiografia. E vorrebbe dire considerare quello apostolico un ministero temporaneo, destinato a finire con loro. Vuol dire che alla Chiesa non sono rimaste le chiavi (Mt 16, 19), la remissione dei peccati (Gv 20, 23) nè altro. Dovrebbe essere tutto finito, nè si può credere che gli apostoli facciano queste cose tramite le loro lettere e per giunta da morti (sarebbe uno scandalo).

Conclusioni

La concezione protestante di una chiesa invisibile con manifestazioni visibili, quindi, non rispecchia minimamente la Chiesa apostolica. Ed è utile per giustificare la mancanza di storia – e di unità – delle confessioni protestanti, come se la Chiesa fosse qualcosa che nella storia appare e scompare. Consci di questa diversità, cercano di adattare le Scritture alla loro realtà (e non il contrario, come dovrebbe essere). Per questo, a dispetto della Sola Scriptura, non è difficile imbattersi in curiose “teorie dei risvegli” in cui la Chiesa riappare in determinati contesti storici, come qualcosa di etereo in stile new age, per poi tornare di nuovo nell’oscurità in attesa della prossima occasione. La Chiesa, invece, è un’istituzione umana di fondazione divina, in quanto tale fa parte della storia del mondo. Il Cristianesimo ha un’inalienabile dimensione storica perché si basa sul mistero dell’Incarnazione: Dio che si fa uomo e fa irruzione nella storia. Così anche la Chiesa, se un’istituzione non ha un passato e – soprattutto – non può dimostrare che esso discenda dalle origini del Cristianesimo, è chiaro che non può ritenersi la Chiesa di Cristo. Perché manca un passato, e molto spesso manca proprio un’istituzione: proprio le caratteristiche che contraddistinguono la Chiesa apostolica.