17 dicembre 2014

Nel monologo ci stava un non so che di protestante e anticattolico, del resto prevedibile visto chi ha pubblicamente ringraziato:

Caro Benigni, solo la Chiesa difende la bellezza della sessualità

Molto belle le due serate in compagnia di Roberto Benigni, dedicate alla Bibbia e ai Dieci Comandamenti, in diretta in prima serata su Rai1. Un argomento ritenuto “divisivo” che invece ha incollato allo schermo dieci milioni di spettatori in ognuna delle due puntate.

Un monologo intenso, di alto livello culturale e di immenso respiro, teso a rivelare quanto la rivelazione di Dio agli uomini, completata in Gesù Cristo, abbia effettivamente rivoluzionato il mondo e la vita di miliardi di persone. Per questo la Bibbia è «il racconto più bello di tutti i tempi, anche perché l’autore del libro è anche l’autore di tutti i lettori», ha sottolineato Benigni. «Io non mi permetterei mai di parlare per due ore di Uno che non c’è», ha avvertito. «E se non c’è lo aspettiamo».

Le Scritture parlano a tutti, credenti e non credenti e i Comandamenti «hanno segnato per sempre la vita dell’Occidente, forse anche dell’Oriente, del mondo intero insomma», ha detto ancora l’attore toscano, «bisogna essere ciechi per non vedere questa luce». Se letti in modo non superficiale, ha spiegato ancora, «riassumono tutto, contengono l’etica». «Per la prima volta ci vengono date delle regole, regole così attuali da impressionare. Diventano legge i sentimenti, l’amore, la fedeltà, il futuro, il tempo». Giustamente Enzo Bianchi ha commentato: «In questo senso Dio non ci impone una legge estranea e ostile, ma ci conferma che quanto di nobile abita il cuore umano è degno di divenire la norma di comportamento, la via regale alla felicità, la risposta agli aneliti più profondi». E ha anche giustamente rilanciato la provocazione ai molti sacerdoti «che hanno per funzione e servizio quello di spiegare la legge di Dio e far riconoscere in essa la libertà, risultano invece così noiosi, pedanti, esperti nel caricare pesi sulle spalle degli altri e così incapaci di farsi ascoltare».

La legge di Dio dona libertà all’uomo, è stato il leit movie delle due serate. Dio viene descritto da Benigni come un liberatore, liberatore dall’oppressione a cui sono ridotti gli ebrei in Egitto; ma anche l’oppressione degli idoli, di tutto ciò con cui l’uomo sostituisce Dio. Un liberatore che mette dei divieti? Certo, perché «è dalla legge che deriva la libertà». Una riflessione bellissima e attualissima, come ha commentato l'”Avvenire”, che «smantella la libertà intesa come “fa’ ciò che vuoi”, senza norme, che mette l’individuo e il suo capriccio al centro e tutto il resto scompare o, se ostacola il capriccio, va rimosso». Altro che “vietato vietare”.

C’è però una critica che può e dev’essere mossa al monologo di Benigni (almeno secondo noi): il finale della seconda serata è risultato stonato con il resto, un panteistico inno alla vita, un indistinto e abbastanza anonimo orgoglio di esserci, fine a se stesso, sentimentalistico. Una conclusione banale per uno spettacolo tanto intenso. Il secondo scivolone è stato sul sesto comandamento: “non commettere adulterio”. Il comico ha criticato la Chiesa perché nel Catechismo insegnato agli adolescenti avrebbe ridotto questo comandamento al “non commettere atti impuri”. Ha quindi fatto capolino il cliché della sessuofobia della Chiesa, con aneddoto di Benigni adolescente davanti al confessore che gli chiede “quante volte ti sei toccato oggi?”.

Quella di aver “modificato la Bibbia” è una precisa accusa alla Chiesa della comunità evangelica e valdese e non è certo un caso che tra i “consiglieri” di Benigni vi sia stato il pastore valdese Paolo Ricca. Tuttavia, nel Catechismo cattolico è ben specificato che il sesto comandamento è “non commettere adulterio”, con tanto di spiegazione e approfondimento. E’ anche vero che spesso agli adolescenti viene tradotto come “non commettere atti impuri”, ma occorre capire che è necessario declinare tale comandamento in questo modo: non ha senso, infatti, parlare ai dodicenni di matrimonio, di fedeltà al coniuge e di adulterio, situazioni lontane dalla loro situazione. La Chiesa ha così spesso preferito comunicare ai giovani un senso “alto” di amore, come donazione totale di sé, come sacrificio e non consumo dell’altro o soddisfacimento istintivo o atto egoistico (l’autoerotismo è ripiegamento su di sé, egoismo allo stato puro). Ovvero l’amore vero e non impuro, e non necessariamente legato all’atto sessuale. E’ giusto che questo comandamento venga declinato in questo modo agli adolescenti, ed è giusto farlo con gli altri comandamenti: lo stesso Benigni ha infatti trascorso due ore a farlo, ad esempio ha parlato di “non rubare”, spiegando giustamente che questo non deve limitarsi al rubare in senso stretto, ma deve avere mille declinazioni e casistiche, perfino che rubare significa «costringere a lavorare più di otto ore al giorno» (!). Insomma, come è stato ben osservato, solo quando si parla di sesso, ogni interpretazione oltre all’adulterio sarebbe invenzione della Chiesa, impegnata a osteggiare la sessualità.

Eppure, al di là dei luoghi comuni, questo sguardo sull’amore sessuale, oggi, lo offre soltanto la Chiesa mentre è il resto della società ad averne paura. Lo dimostra, è stato notato, l’ossessione dei contraccettivi, per la paura delle possibili conseguenze di un rapporto sessuale naturale; lo dimostra l’instabilità relazionale per le difficoltà di vivere un rapporto, anche sessuale, in modo fedele e con la stessa persona; lo dimostra la diffusione del sesso virtuale, ovvero il piacere senza contatto fisico; lo dimostra l’esaltazione del sesso occasionale, ovvero il terrore dell’amore come responsabilità. E’ la società contemporanea a respingere il sesso, a volerne limitare la portata esistenziale e a tendere a frazionarlo in mille relazioni per poi, di fatto, non viverlo mai fino in fondo. La Chiesa, al contrario, lo valorizza, lo esalta come strumento di dono totale di sé, mentre teme il suo abuso come ennesimo idolo a cui piegarsi, richiamandosi al primo comandamento del Decalogo. Peccato che Benigni non abbia intuito anche questo, ma forse sarebbe stato davvero un miracolo realizzare uno spettacolo del genere senza richiamare le solite leggende nere.


e poi cosa dire di quando ha detto che: “IL SETTIMO, NON RUBARE, SCRITTO PER GLI ITALIANI“?

Chi lo sta tanto osannando magari non si è accorto che praticamente ha detto che tutti gli italiani sono dei ladri. Sarebbe stato più esatto dire il settimo comandamento è stato scritto per certi italiani, visto che tanti altri italiani sono i derubati per le tasse ormai alle stelle, derubati del lavoro, derubati della speranza in un futuro migliore, e questo a causa di italiani che sono ladri....

Magari ha pensato bene di non fare tale precisazione visto il costo della sua performance che equivale ad un furto a danno degli italiani