distrutte, una madre si è suicidata, un sacerdote è morto di crepacuore
Non erano pedofili, non erano satanisti, non rapivano i bambini seviziandoli in orge truculente. Dopo sedici anni (sedici anni!) si conclude con un’assoluzione l’incredibile vicenda di un piccola comunità della Bassa Modenese, in cui sono state coinvolte (e distrutte) le vite di famiglie, minori, sacerdoti. Tutti assolti. Ma a che prezzo? Al tremendo prezzo di esistenze triturate in un caso giudiziario che Tempi seguì sin dal principio, mostrando come le inoppugnabili prove presentate dai magistrati non fossero poi così inoppugnabili e dove solo qualche politico coraggioso (il senatore Carlo Giovanardi su tutti) ebbe il coraggio di protestare.
È una vicenda lunga, complessa e strabiliante. Ieri Lorena Morselli e Delfino Covezzi sono stati riconosciuti innocenti dall’accusa rivolta loro più di tre lustri fa. La sentenza dice che non hanno commesso il fatto.
«Durante queste messe nel cimitero, i grandi ci hanno fatto lanciare in aria dei bambini che poi ricadevano per terra e forse morivano», raccontò la bimba cui psicologi e magistrati diedero retta. Tutto tornava nella sceneggiatura del film horror di provincia: coppie all’apparenza irreprensibili e cattolicissime (Lorenza era insegnante nell’asilo parrocchiale), in combutta col sacerdote, compivano riti malvagi su bambini offerti loro, dietro compenso, dalle famiglie indigenti della zona. Si parlò addirittura di un fotografo che filmava e fotografava le pratiche per poi rivendere il materiale e di una bambina seviziata alle 13 di pomeriggio in un bosco vicino alla scuola, con una frasca di quaranta centimetri, dal nonno e da due zii.
La comunità del paese era incredula. Possibile che tutto ciò sia fosse avvenuto senza che nessuno si fosse mai accorto di nulla? Possibile che il medico della famiglia Covezzi non si fosse mai accorto della violenze sui bambini? Possibile che tutte le ricerche nel fiume – dove si diceva fossero stati gettati dal prete i corpi dei bambini – non avessero mai portato mai ad alcun ritrovamento? Intanto, però, le famiglie furono divise e tredici minori sottratti ai genitori della setta. Una congrega che secondo gli inquirenti coinvolgeva 17 persone e sette sacerdoti.
MORTI DI CREPACUORE. Pian piano (molto piano) la verità è venuta a galla. E così si è scoperto che l’inferno non era quello prospettato da giudici e assistenti sociali, ma quello vissuto dalle famiglie coinvolte nella vicenda. Una delle madri si è suicidata. Sette persone sono morte di crepacuore; tra queste anche don Govoni, cadendo nelle braccia del suo avvocato un giorno prima della sentenza. Lorena è fuggita in Francia, lasciando in Italia il marito Delfino che ha proseguito nella battaglia giudiziaria di cui, tragica sorte, non ha potuto vedere la conclusione perché è morto d’infarto prima dell’assoluzione. Parlando con Avvenire, Lorena ha raccontato tra le lacrime le sofferenze di questi anni in cui i suoi quattro figli, affidati ad altre famiglie, hanno sempre rifiutato di incontrarla. «Se io e Delfino non siamo impazziti è solo grazie alla fede e alla totale solidarietà del paese, che ha sempre sostenuto la nostra innocenza. Ora però vorrei tanto riuscire a farmi ascoltare dai miei figli, spiegare loro che li ho sempre cercati. Mi affido allo Spirito Santo, che mi aiuti».
CHI PAGA? E’ GIUSTIZIA QUESTA? Ieri in aula al Senato, Giovanardi ha pronunciato un breve discorso per ricordare questa tragica vicenda, di cui – a parte Avvenire e Tempi – nessuno conserva più memoria. «Mi domando e domando a voi – ha chiesto il senatore rivolgendosi ai colleghi – che sistema giudiziario è quello che distrugge una famiglia, porta via ai genitori i quattro figli minorenni e solo dopo 16 anni comunica loro quello che fin dall’inizio si capiva e cioè che erano totalmente innocenti rispetto agli addebiti infamanti loro rivolti. E malgrado il fatto che fossero già stati assolti in appello, la sentenza è stata impugnata in Cassazione. Sono stati di nuovo assolti in appello e nuovamente la sentenza è stata impugnata in Cassazione. Parliamo di prescrizione e di tempi della giustizia, ma forse dovremmo parlare anche di consapevolezza, di servizi sociali, di assistenti sociali irresponsabili e di magistrati che, comunque vada a finire un processo, hanno già massacrati gli imputati, colpevoli o innocenti che risultino essere alla fine del procedimento. Ebbene: chi paga? Chi risarcisce questa famiglia dal fatto di essere stata distrutta? E perché l’opinione pubblica non è stata coinvolta? Perché lei era una maestra d’asilo, fra le altre cose cattolica e che lavorava in parrocchia, o perché lui era un povero fuochista che lavorava nel settore della ceramica? (…) Sono voluto intervenire per abbracciare le vittime di questa vicenda, la mamma che è rimasta, il papà che è morto ed i figli che hanno subito questo massacro, sperando che nel Parlamento e nella magistratura (a proposito della quale parliamo di responsabilità civile) vi sia la consapevolezza che quando si tratta della vita delle persone la giustizia deve dare una risposta in tempi utili; la giustizia deve stabilire se una persona è colpevole o innocente, ma non può far stare un presunto colpevole tutta la vita sotto processo, perché quando alla fine la giustizia arriva, dopo 16 anni, purtroppo arriva fuori tempo massimo».
Tempi