1 dicembre 2014

8×1000: quello della corte dei conti è un intervento politico

Nella delibera intitolata “Destinazione e gestione dell’8 per mille”, la Corte dei Conti si è allarmata
per gli ingenti fondi che vengono versati ai beneficiari attraverso l’8×1000 e mettendo in discussione il meccanismo attraverso cui avviene questa ripartizione.

«I beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata e su questo manca un adeguato livello di informazione», è stato evidenziato. Per questo ha chiesto al governo di «rinegoziare» il sostegno finanziario destinato alle confessioni religiose e di modificare entro 6 mesi la legge, non rispettando i «principi di proporzionalità, volontarietà e uguaglianza». In particolare rispetto alla Chiesa cattolica, è su questo che sembra voler battere la Corte, sul sito web del ministero «manca trasparenza sulle erogazioni, non vengono riportate le attribuzioni alle confessioni, né la destinazione che queste danno alle somme ricevute». E non ci sono nemmeno «verifiche sull’utilizzo dei fondi, nonostante i dubbi sollevati dalla parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi».

Inevitabilmente l’intervento della Corte dei Conti ha scatenato le più recondite frustrazioni laiciste, tanto che “Il Fatto Quotidiano” ha dedicato le edizioni di questi giorni quasi esclusivamente a questo. “Avvenire”, attraverso l’esperto Umberto Folena, ha puntualmente risposto alle critiche politiche della Corte, spiegando che «nella comunicazione della Corte, dunque, emerge un attacco a un sistema che invece ha enormi meriti. Primo tra tutti, essere un sistema “inclusivo” che soddisfa un doppio interesse: delle religioni a svolgere con serenità la propria missione a vantaggio dell’intera popolazione, e dello Stato a consolidare il clima di collaborazione con le religioni, nell’interesse del Paese, sulla base di Intese formali aderenti allo spirito e ai valori cardine della Costituzione repubblicana. Se l’intento della Corte dei Conti fosse davvero di incrinare questo clima, i conti non tornerebbero proprio».L’8×1000 è infatti guardato con ammirazione all’estero ed è stato imitato in accordi successivi con altri Stati. Funziona così bene che in 25 anni le confessioni aderenti, dalle quattro degli esordi, sono diventate nove e altre sono in lista d’attesa. Perfino le associazioni atee, come l’UAAR, tentano da anni di poter accedere all’8×1000 (arrivando a definirsi “confessione religiose”), riconoscendone implicitamente il buon valore.

Rispetto alle accuse alla CEI di destinare pochi fondi agli interventi caritativi ne abbiamo già parlato in passato. Innanzitutto alla Chiesa “andava meglio” prima del Concordato del 1984, quando i sacerdoti privi di altri redditi ricevevano dallo Stato il cosiddetto “assegno di congrua”, garanzie a cui la CEI ha rinunciato, in accordo con lo Stato, rimettendosi alla volontà degli italiani. L’otto per mille è infatti una forma di democrazia diretta applicata al sistema fiscale. Rispetto alle effettive risorse destinate agli interventi caritativi, è sbagliato considerare rigidamente soltanto quelli relativi alla voce “carità” in quanto, ad esempio, lo stipendio per un missionario che ispira e anima un progetto di carità finisce sotto la voce “sostentamento del clero”, così come i fondi per mantenere mense, centri di aiuto e case d’accoglienza e gli immobili a servizio della carità, finiscono sotto la voce “culto e pastorale”. Dunque l’investimento nella “carità”, non è tutto quello che appare sotto la diretta voce della rendicontazione. Da sempre la Cei pubblica l’esatto rendiconto, il quale appare anche sulla pagina 418 del Televideo Rai, sui settimanali diocesani, sul sito ufficiale www.8×1000.it, e anche sul quotidiano “Avvenire”, che informa costantemente sull’utilizzo dei fondi

Anche per questo il professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, è intervenuto affermando: «Viene attaccato il sistema in sé senza una comprensione di ciò che lo caratterizza. L’8 per mille è il primo caso di democrazia nell’indirizzo della spesa pubblica. Non si tratta di erogare delle somme a favore delle confessioni religiose, perché ne facciano quel che vogliono, ma di partecipare alla destinazione della spesa tra finalità confrontabili. Destinazioni parallele: lo Stato per interventi straordinari sociali e culturali, le Chiese con alcune varianti, ma soprattutto per culto a servizio della popolazione e carità. Il presupposto, poi, non è l’appartenenza confessionale. Non a caso alcune confessioni ricevono consensi palesemente superiori al numero dei propri fedeli. Il sistema funziona così bene che anche la comunità ebraica, da una sorta di imposta ecclesiastica, è passata all’8 per mille, come le altre dieci confessioni che vi partecipano».

Se la Corte ha ragione ad invitare una maggiore informazione sull’8×1000, spiegando che chi non si esprime di fatto destina in maggior parte i suoi soldi all’ente che ha più beneficiato delle firme, essa invece sbaglia a criticare l’eccessiva cifra assegnata dai contribuenti alla Chiesa cattolica: «Questo è un giudizio politico e la Corte non può essere né pro né contro. Va poi precisato che per simili questioni esiste la Commissione paritetica, prevista dalla legge 222, che ogni tre anni si riunisce e esprime le sue valutazioni per predisporre eventuali modifiche». Riassumendo, dunque, l’intervento della Corte «si manifesta di tendenza, laddove compie letture politiche. Il punto debole, ripeto, è l’errore di prospettiva di fondo. Il sistema funziona, ha contribuito al superamento definitivo delle leggi eversive dell’Ottocento, le confessioni religiose l’hanno giudicato in modo positivo, partecipano e stanno chiedendo di partecipare. La deliberazione non ne coglie l’originalità di democrazia nell’indirizzo della spesa: il suo punto di forza, chissà perché ignorato».