23 ottobre 2014

Il primato petrino ha una chiara documentazione storica

Per “primato petrino” si intende la particolare preminenza che Gesù Cristo ha accordato all’apostolo Pietro all’interno del gruppo degli apostoli e della prima comunità cristiana. E’ un argomento che interessa molto, in particolare, i nostri fratelli ortodossi e protestanti i quali non riconoscono la figura del Pontefice romano e l’autorità della Chiesa cattolica come diretta discendente della comunità cristiana primitiva.
Essi sostengono che Pietro non sia mai arrivato a Roma, che non sia stato il vescovo di quella città e che non sia morto lì, in questo modo -affermano- sarebbe negata anche la sua diretta conseguenza: la trasmissione del suo ministero. La questione è storica e oggi gli storici non hanno molti dubbi sul fatto che Pietro sia arrivato a Roma per esercitare «quel ruolo rilevante che veniva riconosciuto al pastore del gregge di Gesù»come ha scritto l’archeologo agnostico Andrea Carandini nel libro “Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa“ (Laterza 2013). D’altra parte, come è stato fatto notare, in tutto l’ambiente sub-apostolico si parlava delle relazioni tra Pietro e Roma, come del suo martirio romano.
Ma, come ha spiegato magistralmente il teologo padre Angelo Bellon«certamente nelle Sacre Scritture non è scritto che san Pietro sia stato a Roma e che sia morto a Roma. Ma per riconoscere il primato della Chiesa di Roma di per sé non sarebbe neanche necessaria la presenza e la morte di Pietro in quella città. Sarebbe stata sufficiente la sua volontà». Come ha scritto C. Journet: “Sappiamo che se anche Pietro non fosse mai venuto a Roma, poteva, dovunque si trovasse, attribuire alla Chiesa di Roma il pontificato transapostolico della Chiesa universale” (C. Journet, “Teologia della Chiesa”, p. 136). 
Non occorre perciò concentrarsi solo sulla permanenza di Pietro a Roma, perché sul primato della Chiesa di Roma nei primi due secoli abbiamo un’abbondante documentazione, ovvero testimonianze dei primi successori degli apostoli che confermano l’autorevolezza della Chiesa di Roma, alla quale riconoscono una presidenza. Il camminare assieme ai nostri fratelli protestanti verso una sperata e definitiva unità con loro, non può tralasciare i documenti storici.
Innanzitutto il primato di Pietro lo si trova nel vangelo di Matteo (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli“, Mt 16, 18-19) e in quello di Giovanni (“pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli”, Gv 21,15), in cui c’è anche la profezia sul suo martirio (Gv 21,18). Policarpo, vescovo di Smirne, contemporaneo, discepolo e successore di Giovanni ad Efeso, arrivò faticosamente dall’Asia a Roma per impetrare dal vescovo di Roma, come da suo superiore e superiore di tutti i vescovi in causa, una maggiore larghezza circa la data della Pasqua usata in Oriente. Questa visita, per l’autorità della persona e per il grande riconoscimento che importava fece impressione, tanto che Ireneo ne parla ancora quarant’anni più tardi scrivendo a Papa Vittore (Eusebio, “Storia ecclesiastica”, V,24,16).
Lo stesso Ireneo, nell’Adversus haereses tratta del modo sicuro di conoscere la vera tradizione apostolica, indicando il criterio nell’ininterrotta serie dei vescovi successori degli apostoli e affermando di poter dimostrare questa successione citando i cataloghi episcopali delle diverse Chiese, ma si limita ad uno, al catalogo della Chiesa romana che ritiene essere «la più grande e la più antica» e ha una «principalità»o primato tale che tutte le altre comunità da ogni parte debbono accordarsi e sottostare ad essa. In secondo luogo indica che la successione dei suoi vescovi rimonta a Pietro (Adversus haereses III,3,2). Lo stesso Ireneo informa anche della data di composizione del Vangelo di Matteo, scrivendo che avvenne «mentre Pietro e Paolo stavano ad evangelizzare Roma ed a fondarvi la Chiesa» (Ad Haereses). Egli stesso si recherà a Roma per affari ecclesiastici dell’Oriente, così come il più illustre apologeta e filosofo cristiano del tempo, Giustino, seguito dal discepolo suo Taziano e, come pellegrino, il vescovo della Frigia, Abercio.
Ad Antiochia troviamo il vescovo Ignazio, quasi contemporaneo del Cristo e successore di Pietro, il quale una volta prigioniero trasportato verso Roma, scrive una lettera alla Chiesa di questa città esprimendosi con termini di deferenza tali, mai utilizzati in altre lettere indirizzate ad altre Chiese. Si indirizza così ai Romani: «Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha conseguito misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e del suo unigenito Gesù Cristo; alla chiesa prediletta ed illuminata dalla sua volontà che elegge tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo Dio nostro; la quale (chiesa) inoltre tiene la presidenza nel luogo della regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, degna d’esser predicata beata, degna di lode, degna di esaurimento, degnamente casta e posta a presiedere l’universale accolta della carità (la Chiesa), che porta la legge del Cristo, che è insignita del nome paterno, che io saluto nel nome di Gesù Cristo, figlio del Padre; a coloro che secondo la carne e lo spirito sono adunati ad ogni suo comando inseparabilmente ripieni della grazia di Dio e purificati da ogni eterogeneo colore, (a questi) auguro sovrabbondante ed incontaminata salvezza in Gesù Cristo, Dio nostro».
Abbiamo ancora altri dati: nel 90 d.C. un’angustiosa questione agita e divide la Chiesa di Corinto, di essa non viene investito Giovanni, l’apostolo prediletto di Gesù, per quanto topograficamente molto più vicino (dall’altra sponda del Mar Egeo), ma il vescovo di Roma, papa Clemente I. Il quarto pontefice dopo Pietro interviene con un’epistola di 65 capitoli (la prima lettera di Clemente ai Corinti), solenne e piena di un senso d’autorità. La chiesa di Corinto non solo accettò con disciplina gli ordini di Clemente, ma conservò o lesse devotamente per molto tempo quel venerabile documento nelle proprie assemblee liturgiche, come lo attesta settant’anni dopo il vescovo Dionigi di Corinto in una lettera indirizzata a Papa Sotero e riportata da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica.
Si potrebbe andare ancora avanti, ma la conclusione è evidente da queste voci che sorgono in Oriente e in Occidente: i primi due secoli riconobbero nel vescovo di Roma un primato, un’autorità. Fosse anche leggenda la permanenza a Roma del primo Papa, resterebbe egualmente vero che la sua successione è passata a Lino, Clemente, ecc. e ciò perché esiste una documentazione univoca in questa direzione, formata dai testimoni dei fatti. Si rimane stupiti come fosse possibile in un secolo di quasi continua persecuzione, con le difficoltà di contatto tra le Chiese, una simile coesione disciplinare. Questi documenti mostrano che la nostra fede è la stessa dei cristiani del primo e del secondo secolo. «Mi auguro»ha concluso padre Angelo Bellon, «che tanti evangelici o protestanti non liquidino come leggenda ciò che viene riferito da tante testimonianze della prima ora. È vero che queste testimoniane non si trovano nella Scrittura e che i protestanti ed evangelici si appellano alla sola Scrittura. Ma da nessuna parte della Scrittura vien detto di riferirsi alla sola Scrittura, tanto meno viene detto di abdicare alla ragione e di rifiutare a priori qualsiasi testimonianza coeva alla Scrittura o di poco posteriore. D’altra parte nelle Scritture non vi è neanche l’elenco dei libri da ritenersi come ispirati e facenti parte della Bibbia. Questo lo si ricava dalla Tradizione, da quella medesima tradizione ben documentata che ti ho presentato a favore del ministero petrino».