24 aprile 2025

Rolando Rivi, il seminarista di 14 anni seviziato e ucciso dai partigiani

Il seminarista cattolico Rolando Rivi, il 10 aprile 1945, all’età di 14 anni, fu rapito da un gruppo di partigiani comunisti che costrinsero il ragazzo a seguirli nella boscaglia. Appeso ad un ramo fu lasciato un bigliettino con scritto “Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani“. Accusandolo di fare la spia per i fascisti, dopo tre giorni di percosse, umiliazioni e sevizie, lo uccisero a colpi di pistola in un bosco di Piane di Monchio, frazione di Palagano.

Seguendo le indicazioni di alcuni partigiani, comprese quelle del suo stesso assassino Giuseppe Corghi, la sera del 14 aprile Roberto Rivi (suo padre) e don Alberto Camellini ritrovarono il corpo con il volto coperto di lividi, il corpo martoriato e le due ferite mortali, una alla tempia sinistra e l’altra all’altezza del cuore.

Il racconto del padre

Roberto Rivi ricorda come gli uccisero il figlio quattordicenne. Il suo racconto è frutto di una ricerca angosciosa iniziata il 10 aprile, quando, tornando a casa dal lavoro, non trovò Rolando.

Foto con la sua famiglia (Rolando è a sinistra)
Foto con la sua famiglia (Rolando è a sinistra)

“Credendo che si fosse addormentato in un boschetto che era lì vicino dove era solito andare a studiare, non lo trovai. Vidi appeso a un ramoscello un foglietto che diceva: Non cercatelo, è venuto un momento
con noi partigiani”. Infatti i partigiani «lo portarono a Monchio e, dopo averlo tenuto in mezzo a loro, torturandolo e seviziandolo, il 13 aprile 1945 lo portarono in un boschetto poco distante dalla casa, dove erano alloggiati. Il ragazzo, quando ha visto la buca scavata, ha chiesto di fare una preghiera. S’inginocchiò sulla buca, in quell’istante lo hanno fulminato. Uno di questi partigiani non voleva arrivare a questo. Un certo Corghi di Formigone, rispose: “Domani un prete in meno”».


La condanna

L’indagine ha accertato che i suoi rapitori, camminando per sentieri a piedi per circa 26 chilometri, condussero il ragazzo da San Valentino ad un casolare in Piane di Monchio (Modena), nei pressi di Farneta, dove era il comando partigiano e il loro tribunale militare.

La Lapide sul luogo dove Rolando fu ucciso, a Piane di Monchio
Rolando fu rinchiuso in un piccolo ambiente uso pollaio. Nell’interrogatorio per fargli confessare la sua collaborazione con i tedeschi e i fascisti, si fece uso anche di schiaffi, pugni, cinghiate.


Gli tolsero la veste talare di seminarista, dalla quale non aveva mai voluto separarsi, nonostante il parere contrario dei genitori già spaventati dall’odio partigiano (sua madre voleva andasse in giro solo in abiti civili, ma lui si oppose), ne fecero una palla per prenderla a calci come se fosse un pallone e, infine, messa a sventolare attaccata ad un chiodo alla porta della casa colonica.

Lo seppellirono nel bosco vicino, in una conca del terreno che ricoprirono con foglie. Giuseppe Corghi confessò:

“In seguito alla decisione presa (dal tribunale partigiano di Farneta) di passare per le armi il giovane, ordinai a due partigiani di preparare la fossa… e quindi lo portammo lì. Egli capì che stava per essere ucciso e allora mi si buttò ai piedi supplicandomi di avere pietà di lui. Ma senza nemmeno pensarci io gli sparai contro due colpi di pistola: il primo colpo alla tempia lo freddò, ma per assicurarmi gli tirai un secondo colpo… Subito me ne tornai al comando lasciando agli altri il compito di seppellirlo”.

Fu chiesto di visionare il verbale del “tribunale partigiano” ma non saltò mai fuori. Molto probabilmente non è stato mai portato lì, così come avvenuto per tante altre persone rapite e poi uccise con la stessa modalità.

Corghi poi aggiunse:

“È opinione corrente che fosse una spia dei fascisti… Almeno così credo… Certo il Rivi aveva tendenze ideologicamente opposte alle nostre, proprio in fatto di movimento partigiano”.

I sacerdoti erano difatti considerati un ostacolo all’idea di rivoluzione come intesa dai comunisti, che in quegli anni cercarono di monopolizzare i movimenti partigiani.

Nel 1951 ci fu il processo di primo grado, che per evitare intimidazioni ai testimoni, si svolse a Lucca. I due responsabili, Giuseppe Corghi e Delcisio Rioli, rei confessi, furono condannati a 26 anni di reclusione. Rimasero in carcere soltanto sei anni, per via dell’amnistia concessa dal Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti.

Nelle motivazioni della sentenza di primo grado il giudice sottolinea:

  • “ragioni ideologiche di contrastanti idee politiche e religiose che in siffatti torbidi momenti trascesero purtroppo in episodi di violenza anche cruenta”
  • “fu un uccisione non necessaria dettata solo da sentimenti contrari a quelli professati dall’infelice ragazzo, che andava quale seminarista vestito sempre con l’abito talare”
Successivamente anche la Corte d’appello ha confermato che l’odium fidei è stato il solo e unico motivo della sua uccisione. È stata difatti sempre esclusa la possibilità che Rolando potesse aver svolto attività spionistica o che gli imputati fossero stati davvero consapevoli di questo, nonostante i tentativi iniziali da parte di questi ultimi di sostenerlo, subito decaduti per l’assoluta inconsistenza di quelle tesi basate su elementi giudicati falsi.

Il carattere di Rolando

Rolando era un ragazzo molto vivace, ma anche maturo e responsabile. Si è sempre contraddistinto per la sua grande dedizione allo studio. Amante della musica, entra a far parte della corale e inizia a suonare l’armonium. Quando torna a casa, aiuta i genitori (contadini) nel lavoro in campagna.

In paese scoppiavano spesso discussioni politiche. In un’occasione in cui è presente anche Rolando, alcuni attaccano ingiustamente la Chiesa e le attività dei sacerdoti. Rolando ne prende le difese davanti a tutti senza paura. Quindi, a quanti già l’ammiravano in paese, si alternavano alcuni che lo guardavano di cattivo occhio.

Nel 1944 il seminario fu occupato dai tedeschi in ritirata. Rolando, tornato a casa, proseguì la sua vita da seminarista, vestendo sempre l’abito talare, come segno della sua appartenenza a Gesù. Pochi mesi prima della sua uccisione anche Don Olinto – sua guida spirituale – fu brutalmente picchiato e di questo fu molto addolorato. Sapeva che correva un pericolo, ma non si tirò indietro.

Storie taciute

Il caso di Rolando Rivi merita di essere ricordato in modo particolare, data la sua giovane età, ma furono almeno 129 le uccisioni di sacerdoti accertate e avvenute per mano dei partigiani comunisti, anche dopo il 25 aprile.

Nella sola provincia reggiana, dall’8 settembre del 1943 al 1946 furono assassinati dodici religiosi. Nel libro Storia della Resistenza reggiana di Guerrino Franzini nessuno dei sacerdoti uccisi è menzionato. Silenzio omertoso, che in qualche caso continua. La quotidiana realtà lo dimostra: a Santarcangelo il Consiglio comunale, nel 2017, bocciò la proposta di intitolare una rotonda al beato Rivi, con qualche consigliere che invitò a ridiscutere i presunti crimini compiuti da alcune frange partigiane.

A Rio Saliceto, nell’autunno del 2013, la scuola “Anna Frank” decise di annullare la visita guidata alla mostra sul seminarista ucciso, rea di “infangare la memoria della Resistenza”.

In seguito a questa decisione il vescovo della diocesi dichiarò:

“La beatificazione di Rolando Rivi è stata presentata dalla Chiesa diocesana come un grande momento di riconciliazione. Questo è il significato del riconoscimento che la Chiesa ha dato del martirio. La riconciliazione non può avvenire attraverso la negazione della verità storica. Nessuno deve avere paura della verità storica. Se c’è un male che è stato compiuto dobbiamo denunciarlo: dobbiamo perdonare coloro che l’hanno compiuto, ma non nascondere ciò che è accaduto.”

La lettura politicamente corretta della Resistenza ha fatto dimenticare questa e tante altre storie di martiri, eliminati in odio alla fede.

La beatificazione

Rolando Rivi viene beatificato il 5 ottobre del 2013 perché ucciso “in odio alla sua fede, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di violenza scatenata contro il clero”, dirà Papa Francesco.

Quella veste talare che i suoi persecutori avrebbero arrotolato e trasformato in una sorta di pallone da prendere a calci, appendendola poi a un chiodo alla stregua d’un trofeo. È questa la chiave, l’odio per la fede appunto, così forte da ammettere anche l’assassinio di uomini poco più che bambini solo perché devoti a Cristo.

Insegnamenti e perdono

Mons. Camisasca ha detto:

«L’uccisione di Rolando non è stata la vittoria del male, dell’ingiustizia, della morte. Il suo martirio è in realtà il trionfo della vita. La sua giovane esistenza infatti non è stata strappata via dalla terra, ma vi è stata deposta come un seme silenzioso. E ora, a distanza di tanti anni, non smette di crescere e benedirci con tanti frutti».

“La fede nel Dio d’amore, che è alla base del nostro cristianesimo, e l’esempio di Gesù, che ha perdonato i suoi uccisori – giustificandoli per di più ‘perché non sanno quello che fanno – richiedono anche a noi, sia individualmente che come collettività cristiana, di fare del perdono, della comprensione e della compassione il connotato fondamentale dei rapporti vicendevoli”.

Meris Corghi, figlia dell’uccisore di Rolando Rivi, si è riconciliata con la sorella e la cognata della vittima, dicendo:

«Ognuno ha un compito nella vita, una missione: la mia era fare ritrovare la pace a mio padre e tentare di riconciliare i nostri cuori. Con l’aiuto di Dio oggi si compirà dentro una stretta di mano.»

Meris ha partecipato alla messa solenne per l’anniversario dell’uccisione del beato, con il figlio che le è stato sempre accanto. Il vescovo Camisasca, commosso, durante l’omelia ha detto:

«Il perdono che oggi avviene è il segno che Egli è in mezzo a noi. È Gesù che, per intercessione di Rolando, attrae i cuori di coloro che oggi chiedono e donano il perdono. Egli è il sole, che scende nelle profondità delle nostre inimicizie per sanarle».

Meris dirà ancora:

«Quello che ha stravolto la vita di mio padre e ha travolto la vita di Rolando è l’odio che cresce tra gli uomini e si trasforma nella guerra. Perché siamo tutti fratelli e nella guerra tutti perdiamo. Avete perso Rolando e si è perduto mio padre, ma Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici. “Padre perdona loro perché non sanno”.

E ancora:

«L’unica vera esplosione, e mi permetto di parlare a nome di tutti, sia quella della gioia sui sentieri dei nostri figli. Facciamo che diventino creatori di pace come lo è diventato il beato Rolando in questa vicenda e come cerco di esserlo io in questo momento nella memoria di mio padre. Trasformati nella morte e riuniti dall’amore e dal perdono del Padre, che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e accanto a lui anche quello di mio padre. Ciò che l’odio del separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del sacro Cuore di Gesù e nell’amore del Padre».

Fonti
  • “Beato Rolando Maria Rivi. Il martire bambino.”, di Andrea Zambrano, Imprimatur Editore.
  • “Bambini Santi, ragazzi santi”, di Andrea Muni, Lulu International Editions, 2001.