27 gennaio 2025

C'è Speranza e speranza

Come avere fede sperando contro ogni speranza (Rm 4,18) e districarsi nel supermarket delle speranze. 






26 gennaio 2025

III Domenica del Tempo Ordinario - anno C - Commento al Vangelo a cura di don Fabio Rosini

Gesù insegna nella sinagoga.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,1-4;4,14-21)

    Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore».

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 

Cristo è sempre presente nella sua Chiesa


    Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e soprattutto nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa tanto nella persona del ministro, «Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti», tanto, e in sommo grado, sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e canta i salmi, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

    In quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo prega come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’Eterno Padre.

    Giustamente perciò la Liturgia è ritenuta come l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico e integrale.

    Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l’efficacia.

    Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini e dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo. Insieme con la moltitudine dei cori celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di condividere in qualche misura la loro condizione e aspettiamo, quale salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli apparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria.

    Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore» o «domenica». In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li «ha rigenerati nella speranza viva della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1, 3). La domenica è dunque la festa primordiale che dev’essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le vengano anteposte altre celebrazioni, a meno che siano di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico.

Dalla Costituzione «Sacrosanctum Concilium» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla sacra Liturgia (Nn. 7-8. 106)

24 gennaio 2025

 O Signore, guida il tuo popolo ai pascoli della vita eterna. 🙏🏻

Cristo, buon pastore, che ha dato la vita per le sue pecorelle, innalziamo con fiducia la nostra preghiera:

O Signore, guida il tuo popolo ai pascoli della vita eterna.

Cristo, che nei santi pastori ci hai dato un’immagine viva del tuo amore misericordioso, fa’ che sperimentiamo in coloro che ci guidano la dolcezza della tua carità.

Tu, che nei tuoi vicari continui a svolgere la missione di maestro e di pastore, non cessare mai di governarci tu stesso nella persona dei tuoi ministri.

Tu, che nei santi pastori, posti al servizio del tuo popolo, ti sei fatto medico delle anime e dei corpi, fa’ che non venga mai meno la tua presenza mediante ministri santi e santificatori.

Tu, che hai animato i fedeli con la sapienza e la carità fa’ che i predicatori del vangelo ci aiutino a conoscerti e ad amarti come vuoi tu. 

🙏🏻 Padre nostro

22 gennaio 2025

Maria, "riempita dalla grazia divina"

 PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 22 gennaio 2025

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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 2. L’annuncio a Maria. L’ascolto e la disponibilità (cfr Lc 1,26-38)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Riprendiamo oggi le catechesi del ciclo giubilare su Gesù Cristo nostra speranza.

All’inizio del suo Vangelo, Luca mostra gli effetti della potenza trasformante della Parola di Dio che giunge non solo tra gli atrii del Tempio, ma anche nella povera abitazione di una giovane, Maria, che, promessa sposa di Giuseppe, vive ancora in famiglia.

Dopo Gerusalemme, il messaggero dei grandi annunci divini, Gabriele, che nel suo nome celebra la forza di Dio, è inviato in un villaggio mai menzionato nella Bibbia ebraica: Nazaret. A quel tempo era un paesino della Galilea, alla periferia di Israele, zona di confine con i pagani e le loro contaminazioni.

Proprio lì l’angelo reca un messaggio dalla forma e dal contenuto del tutto inauditi, tanto che il cuore di Maria ne viene scosso, turbato. Al posto del classico saluto “pace a te”, Gabriele si rivolge alla Vergine con l’invito “rallegrati!”, “gioisci!”, un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21-23; Zc 9,9). È l’invito alla gioia che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante.

Inoltre, Dio chiama Maria con un nome d’amore sconosciuto nella storia biblica: kecharitoméne, che significa «riempita dalla grazia divina». Maria è piena della grazia divina. Questo nome dice che l’amore di Dio ha già da tempo abitato e continua a dimorare nel cuore di Maria. Dice quanto lei sia “graziosa” e soprattutto quanto la grazia di Dio abbia compiuto in lei una cesellatura interiore facendone il suo capolavoro: piena di grazia.

Questo soprannome amoroso, che Dio dà solo a Maria, è subito accompagnato da una rassicurazione: “Non temere!”, “Non temere!”, sempre la presenza del Signore ci dà questa grazia di non temere e così lo dice a Maria: “Non temere!”. “Non temere” dice Dio ad Abramo, a Isacco, a Mosè, nella storia: “Non temere!” (cfr Gen 15,1; 26,24; Dt 31,8). E lo dice anche a noi: “Non temere, vai avanti. Non temere!”. “Padre io ho paura di questo”; “E cosa fai, quando…”; “Mi scusi, padre, le dico la verità: io vado dalla chiromante…”; “Tu vai dalla chiromante?”; “Eh sì: mi faccio leggere la mano…”. Per favore: non temere! Non temere! Non temere! È bello questo. “Io sono il tuo compagno di cammino”: e questo Dio lo dice a Maria. L’«Onnipotente», il Dio dell’«impossibile» (Lc 1,37) è con Maria, è insieme e accanto a lei, è il suo compagno, il suo alleato principale, l’eterno «Io-con-te» (cfr Gen 28,15; Es 3,12; Gdc 6,12).

Poi Gabriele annuncia alla Vergine la sua missione, facendo riecheggiare nel suo cuore numerosi passi biblici riferiti alla regalità e messianicità del bambino che dovrà nascere da lei e che il bambino sarà presentato come compimento delle antiche profezie. La Parola che viene dall’Alto chiama Maria ad essere la madre del Messia, quel Messia davidico tanto atteso. È la madre del Messia. Egli sarà re non alla maniera umana e carnale, ma alla maniera divina, spirituale. Il suo nome sarà “Gesù”, che significa “Dio salva” (cfr Lc 1,31; Mt 1,21), ricordando a tutti e per sempre che non è l’uomo a salvare, ma solo Dio. Gesù è Colui che compie queste parole del profeta Isaia:«Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione (Is 63,9).

Questa maternità scuote Maria dalle fondamenta. E da donna intelligente qual è, capace cioè di leggere dentro gli avvenimenti (cfr Lc 2,19.51), ella cerca di comprendere, di discernere ciò che sta capitando. Maria non cerca fuori ma dentro. perché, come insegna Sant’Agostino, «in interiore homine habitat veritas» (De vera religione 39,72). E lì, nel profondo del suo cuore aperto, sensibile, sente l’invito a fidarsi di Dio., che ha preparato per lei una speciale “Pentecoste”. Proprio come all’inizio della creazione (cfr Gen 1,2), Dio vuole “covare” Maria con il suo Spirito, potenza capace di aprire ciò che è chiuso senza violarlo, senza intaccare la libertà umana; vuole avvolgerla nella «nube» della sua presenza (cfr 1Cor 10,1-2) perché il Figlio viva in lei e lei in Lui.

E Maria si accende di fiducia: è «una lampada a molte luci», come dice Teofane nel suo Canone dell’Annunciazione. Si abbandona, obbedisce, fa spazio: è «una camera nuziale fatta da Dio» (ibid.). Maria accoglie il Verbo nella propria carne e si lancia così nella missione più grande che sia stata mai affidata a una donna, a una creatura umana. Si mette al servizio: è piena di tutto, non come una schiava ma come una collaboratrice di Dio Padre, piena di dignità e autorità per amministrare, come farà a Cana, i doni del tesoro divino, perché molti possano attingervi a piene mani.

Sorelle, fratelli, impariamo da Maria, Madre del Salvatore e Madre nostra, a lasciarci aprire l’orecchio dalla divina Parola e ad accoglierla e custodirla, perché trasformi i nostri cuori in tabernacoli della sua presenza, in case ospitali dove accrescere la speranza. Grazie!

Libreria Editrice Vaticana

17 gennaio 2025

Io per i miei peccati chiedo perdono a Dio! perché devo racontare i fatti miei ad un prete?

Il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra.

Dal Vangelo secondo Marco

    Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». 

    Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua».

    Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». (Mc 2,1-12)

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    Gesù compiendo quel segno (miracolo) ha dato a dimostrazione di essere Dio perché solo Dio può perdonare i peccati. 

    Allora c'è chi dirà: "Ecco i peccati li può perdonare solo Dio! Quindi dal sacerdote a racontare i fatti miei nella confessione non ci vado! mi confesso direttamente con Dio!

Dal Vangelo secondo Giovanni

    La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».    

    Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». (Cv 20,19-29)

    Gesù che è Dio è risorto quindi è Dio stesso che per mezzo dello Spirito Santo alitato su gli apostoli da loro mandato di rimettere i peccati, è Dio che ha voluto dare agli Apostoli e quindi alla Chiesa il potere o meno di rimettere i peccati. E direi cosa ovvia che per un sacerdote per poter rimette o meno i peccati è necessario che i propri peccati devono essere "raccontati" al sacerdote 

"Pace a voi!"

10 gennaio 2025

Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi.

1Gv 4,11-18

Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi.

In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. 

In questo l'amore ha raggiunto tra noi la sua perfezione: che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore

7 gennaio 2025

Galateo di comportamento in Chiesa



1. Molti vanno in Chiesa, ma non tutti sanno di entrare nella casa di Dio. Preparati nell’andare: spiritualmente, mentalmente e con il cuore.

2. Recati alla Santa Messa almeno cinque o dieci minuti prima del suo inizio, per prepararti nella preghiera e nel raccoglimento ad una migliore partecipazione al mistero della salvezza.

3. Entrando in Chiesa, davanti al Signore, inginocchiati, così lo adorerai pubblicamente. Chinare la testa, come oggi fanno molti, è solo un segno di venerazione e non di adorazione come si conviene a Dio. Nella lettera ai Filippesi si trova scritto: “nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra”. Non volerti dunque macchiare di grave irriverenza verso il tuo Signore.

4. Osserva, nella casa di Dio, un rigoroso silenzio. Nel luogo sacro non possono essere giustificate le vane chiacchiere. Si può parlare solo per una vera, grave e urgente necessità, per il tempo strettamente indispensabile e sempre e solo sottovoce. Controlla sempre che il tuo telefonino sia spento.

5. Non entrare mai in Chiesa vestito in maniera indecorosa o, peggio, indecente. Mantieni sempre un atteggiamento edificante, non andando in giro qua e là con lo sguardo, non voltandoti a vedere chi entra e chi esce, ma occupandoti solo di parlare con Dio, pensando alle cose di Dio, occupandoti degli affari divini riguardanti il bene dell’anima tua e di quelli che porti nel cuore.

6. Nella Messa, almeno durante la consacrazione, procura di stare in ginocchio ed in assoluto silenzio adorante. Se anche sei fuori dei banchi, sappi che il Signore gradisce molto il sacrificio di stare in ginocchio sulla nuda terra. Sappi che se, senza grave necessità, rimani in piedi, pecchi gravemente di irriverenza verso Colui che si sta umiliando scendendo sull’altare e rinnovando l’offerta del Suo Sacrificio per le mani del sacerdote. Se sei un’anima generosa, prolunga il tempo della tua adorazione in ginocchio per tutta la preghiera eucaristica.

7. Se vuoi ricevere Gesù nella santa comunione eucaristica, ricorda che devi essere in stato di grazia ed a digiuno da almeno un’ora da cibi e bevande non alcoliche (tre ore dalle bevande alcoliche). Se sei consapevole di aver peccato mortalmente, non accostarti alla santa comunione senza aver prima ricevuto l’assoluzione nel sacramento della Penitenza: commetteresti sacrilegio. Se hai violato le norme sul digiuno, per comunicarti devi chiedere la dispensa al Parroco prima che cominci la santa Messa. Sappi che il digiuno è rotto anche da un cioccolatino, una caramella, un caffè o una gomma da masticare.

8. Prima di ricevere la santa Comunione, chiedi umilmente perdono per le tue debolezze e mancanze recitando l’atto di dolore. Accostati a Lui con molto rispetto e riverenza, consapevole che stai andando a ricevere il Signore del cielo e della terra. Ricorda che anche per ricevere la santa comunione, l’atteggiamento più indicato è quello di ricevere il tuo Signore stando umilmente in ginocchio.

9. Dopo aver ricevuto Gesù, adoralo, benedicilo e ringrazialo. Tornato al banco, non metterti seduto: hai Dio dentro di te! Non uscire di fretta dalla Chiesa, ma soffermati in silenziosa preghiera, perché Gesù rimane, nelle Sacre Specie, vivo dentro di te, per almeno un quarto d’ora da quando l’hai ricevuto. L’ideale, quindi, sarebbe che ti trattenessi in preghiera ed in ringraziamento almeno per questo tempo.

10. Quando Gesù è solennemente esposto nell’Adorazione eucaristica, non privarlo della tua presenza. Egli ti sta aspettando per amarti, benedirti, concederti grazie, donarti la sua pace, in cambio di un po’ del tuo amore e del tempo. Sii fiero di rimanere per un po’in ginocchio davanti alla sua divina presenza.

Magico Natale? no di certo quello dei media

 … e finalmente è passato anche questo “Magico Natale” come raccontato dai media. 

Con luminarie che si sono iniziate a vedere già dal novembre. 

Il “Magico Natale” della corsa al regalo (subito da riciclare). 

Il “Magico Natale” fatto di pranzi e cenoni. 

Il “Magico Natale” di vacanza esotiche

Il “Magico Natale” delle visite a città d'arte

Il “Magico Natale” fatto di babbi natale nati da una pubblicità anni 30 della Coca Cola

Il “Magico Natale”  di befane aggiornate che invece di arrivare su di una scopa ora arrivano con elicottero il tutto organizzato da certe chiese e parrocchie….

Il “Magico Natale” festa dei bambini. Solo che i più si sono dimenticati di festeggiare l’unico Bambino che era da festeggiare. Troppo presi a celebrare il consumistico “Magico Natale” che nulla ha a che vedere con la Nacita di Gesù, il "Verbo che si è fatto carne e viene ad abitare in mezzo a noi"

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
.......
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati. (Gv1)



1 gennaio 2025

“Abbà”, dire “Papà”, dire “Babbo”, dire “Padre” ma con la fiducia di un bambino.


Abbiamo ascoltato ciò che scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (8,15). E ai Galati l’Apostolo dice: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» ( Gal 4,6). Ritorna per due volte la stessa invocazione, nella quale si condensa tutta la novità del Vangelo.

Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltato la sua predicazione, il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo “Padre”. L’espressione è talmente importante per i cristiani che spesso si è conservata intatta nella sua forma originaria: "Abbà".

È raro che nel Nuovo Testamento le espressioni aramaiche non vengano tradotte in greco. Dobbiamo immaginare che in queste parole aramaiche sia rimasta come “registrata” la voce di Gesù stesso: hanno rispettato l’idioma di Gesù. Nella prima parola del “Padre nostro” troviamo subito la radicale novità della preghiera cristiana.

Non si tratta solo di usare un simbolo – in questo caso, la figura del padre – da legare al mistero di Dio; si tratta invece di avere, per così dire, tutto il mondo di Gesù travasato nel proprio cuore. Se compiamo questa operazione, possiamo pregare con verità il “Padre nostro”. Dire “ Abbà” è qualcosa di molto più intimo, più commovente che semplicemente chiamare Dio “Padre”. Ecco perché qualcuno ha proposto di tradurre questa parola aramaica originaria “Abbà” con “Papà” o “Babbo”. Invece di dire “Padre nostro”, dire “Papà, Babbo”. Noi continuiamo a dire “Padre nostro”, ma con il cuore siamo invitati a dire “Papà”, ad avere un rapporto con Dio come quello di un bambino con il suo papà, che dice “papà” e dice “babbo”. Infatti queste espressioni evocano affetto, evocano calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui. E per questo, cari fratelli e sorelle, per pregare bene, bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino. Non un cuore sufficiente: così non si può pregare bene. Come un bambino nelle braccia di suo padre, del suo papà, del suo babbo.

Ma sicuramente sono i Vangeli a introdurci meglio nel senso di questa parola. Cosa significa per Gesù, questa parola? Il “Padre nostro” prende senso e colore se impariamo a pregarlo dopo aver letto, per esempio, la parabola del padre misericordioso, nel capitolo 15° di Luca (cfr Lc 15,11-32). Immaginiamo questa preghiera pronunciata dal figlio prodigo, dopo aver sperimentato l’abbraccio di suo padre che lo aveva atteso a lungo, un padre che non ricorda le parole offensive che lui gli aveva detto, un padre che adesso gli fa capire semplicemente quanto gli sia mancato. Allora scopriamo come quelle parole prendono vita, prendono forza. E ci chiediamo: è mai possibile che Tu, o Dio, conosca solo amore? Tu non conosci l’odio? No – risponderebbe Dio – io conosco solo amore. Dov’è in Te la vendetta, la pretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onore ferito? E Dio risponderebbe: Io conosco solo amore.

Il padre di quella parabola ha nei suoi modi di fare qualcosa che molto ricorda l’animo di una madre. Sono soprattutto le madri a scusare i figli, a coprirli, a non interrompere l’empatia nei loro confronti, a continuare a voler bene, anche quando questi non meriterebbero più niente.

Basta evocare questa sola espressione – Abbà – perché si sviluppi una preghiera cristiana. E San Paolo, nelle sue lettere, segue questa stessa strada, e non potrebbe essere altrimenti, perché è la strada insegnata da Gesù: in questa invocazione c’è una forza che attira tutto il resto della preghiera.

Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti. Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. D’altra parte, c’è una “gestazione” che dura per sempre, ben oltre i nove mesi di quella fisica; è una gestazione che genera un circuito infinito d’amore.

Per un cristiano, pregare è dire semplicemente “Abbà”, dire “Papà”, dire “Babbo”, dire “Padre” ma con la fiducia di un bambino.

Può darsi che anche a noi capiti di camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo; oppure di precipitare in una solitudine che ci fa sentire abbandonati nel mondo; o, ancora, di sbagliare ed essere paralizzati da un senso di colpa. In quei momenti difficili, possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola “Padre”, ma detta con il senso tenero di un bambino: “ Abbà”, “Papà”. Lui non ci nasconderà il suo volto. Ricordate bene: forse qualcuno ha dentro di sé cose brutte, cose che non sa come risolvere, tanta amarezza per avere fatto questo e quest’altro… Lui non nasconderà il suo volto. Lui non si chiuderà nel silenzio. Tu digli “Padre” e Lui ti risponderà. Tu hai un padre. “Sì, ma io sono un delinquente…”. Ma hai un padre che ti ama! Digli “Padre”, incomincia a pregare così, e nel silenzio ci dirà che mai ci ha persi di vista. “Ma, Padre, io ho fatto questo…” – “Mai ti ho perso di vista, ho visto tutto. Ma sono rimasto sempre lì, vicino a te, fedele al mio amore per te”. Quella sarà la risposta. Non dimenticatevi mai di dire “Padre”. Grazie.

Maria Santissima Madre di Dio

Con la solennità odierna, che in Italia è festa di precetto, la Chiesa celebra e confessa che la Beata Vergine è veramente la Theotókos («Colei che partorisce Dio», Deipara in latino), come la acclamarono i Padri riuniti al Concilio di Efeso del 431, definendo il primo dogma mariano della storia, intimamente legato alla divinità del Figlio



Meditando sulla Divina Maternità di Maria, don Divo Barsotti (1914-2006) affermava che l’aspetto straordinario del cristianesimo «non è solo che una creatura chiami Dio “Figlio”, ma che il Creatore chiami una creatura “Madre”». Con la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, che in Italia è festa di precetto, la Chiesa celebra e confessa che la Beata Vergine è veramente la Theotókos («Colei che partorisce Dio», Deipara, secondo il corrispondente termine latino), come la acclamarono i Padri riuniti al Concilio di Efeso del 431, definendo il primo dogma mariano della storia, intimamente legato alla divinità del Figlio e al mistero della sua Incarnazione nel grembo verginale di Maria. Non si può comprendere l’una se non alla luce dell’Altro, che a sua volta viene glorificato in ogni onore e verità riguardante la Madre, vero baluardo contro le eresie cristologiche, come dimostra la stessa storia del dogma.

Nel V secolo era sorta infatti l’eresia di Nestorio, un arcivescovo siro che negava l’unione ipostatica della natura umana e divina nell’unica persona del Cristo, affermando la separazione totale tra le due nature che per lui corrispondevano a due differenti persone, l’Uomo e il Dio: come corollario di questo errore, Nestorio sosteneva che Maria fosse madre solo della persona umana di Gesù e perciò rifiutava di chiamarla Madre di Dio.

All’eresia rispose subito san Cirillo di Alessandria (370-444), che indirizzò alcune lettere a Nestorio richiamandolo a riflettere sulle verità del Credo e spiegando che «il Verbo, unendo a sé stesso ipostaticamente una carne animata da un’anima razionale, si fece uomo […]. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio». La conclusione di Cirillo, fedele all’insegnamento degli antichi Padri, fu questa: noi chiamiamo Maria «Madre di Dio, non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine dalla santa Vergine, ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne».

Il Concilio di Efeso affermò l'ortodossia della dottrina di Cirillo, condannò il nestorianesimo e arrivò alla solenne definizione nota come “formula di unione”: «Noi quindi confessiamo che il nostro Signore Gesù, Figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore».

Con la proclamazione della Maternità Divina di Maria Vergine, i Padri conciliari hanno perciò onorato la Madonna definendo dogmaticamente la grazia ricevuta da Dio e per la quale la cugina Elisabetta, piena di Spirito Santo, l’aveva salutata («a gran voce», ci dice l’evangelista Luca) come «benedetta fra le donne» e «madre del mio Signore». E allo stesso tempo hanno onorato tutta la Santissima Trinità per il capolavoro compiuto in Maria con l’Incarnazione (Summum Opus Dei, come in seguito l’avrebbe definita il beato Giovanni Duns Scoto) e protetto Cristo sia dall’eresia nestoriana sia da altre eresie già condannate da precedenti concili, ma all’epoca ancora vive, come l’arianesimo e l’adozionismo che negavano la divinità del Figlio.

Il profondissimo legame tra il mistero della Madre e del Figlio si può scorgere anche nella decisione di celebrare tale solennità l’1 gennaio, nell’Ottava del Natale del Signore, con la liturgia che ricorda la circoncisione di Gesù - avvenuta otto giorni dopo la nascita, secondo le prescrizioni ebraiche - e quindi il primo sangue versato dal Divin Bambino per la salvezza dell’umanità: proprio allora gli fu imposto il nome Gesù (Lc 2, 21), «Dio salva», come era stato chiamato dall’angelo. In virtù della sua obbedienza alla volontà divina Maria partecipa in modo unico al disegno di salvezza e all’opera del Figlio, «servendo al mistero della Redenzione sotto di Lui e con Lui» (Lumen Gentium, 56).

Dalla sua Maternità Divina deriva un’altra verità consolante, cioè la maternità spirituale di Maria che si estende a tutti i redenti, già implicita nel suo sì all’Annunciazione e ratificata da Gesù in croce, con il solenne e reciproco atto di affidamento del discepolo prediletto alla Madre («Donna, ecco il tuo figlio!») e di lei al discepolo («Ecco la tua madre!»). Per dirla con le parole di san Pio X: «Dunque, tutti noi che siamo uniti a Cristo […] dobbiamo considerarci usciti dal grembo della Vergine come un corpo attaccato alla sua testa. Per questo in verità noi siamo chiamati, in un senso spirituale e tutto mistico, i figli di Maria ed Ella, per parte sua, è madre di noi tutti».


Per saperne di più:

Lux Veritatis, enciclica di Pio XI nel XV centenario del concilio di Efeso (25 dicembre 1931)