21 marzo 2020

Papa Francesco - S.Messa in Santa Marta - 21 marzo 2020

    Oggi vorrei ricordare le famiglie che non possono uscire di casa. Forse l’unico orizzonte che hanno è il balcone. E lì dentro, la famiglia, con i bambini, i ragazzi, i genitori: perché sappiano trovare il modo di comunicare bene, di costruire rapporti di amore nella famiglia, e sappiano vincere le angosce di questo tempo insieme, in famiglia. Chiediamo la pace delle famiglie oggi, in questa crisi, e per la creatività.


Liturgia della Parola: Os 6,1-6; Sal 50; Lc 18,9-14.

Omelia - Con il “cuore nudo”

    Quella Parola del Signore che abbiamo sentito ieri: “Torna. Torna a casa”. Anche nello stesso libro del profeta Osea troviamo la risposta: “Venite, ritorniamo al Signore”. È … la risposta, quando tocca il cuore, quel “torna a casa”, “ritorniamo al Signore”. “Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed Egli ci fascerà. Affrettiamoci a conoscere il Signore: la sua venuta è sicura come l’aurora”. La fiducia nel Signore è sicura: “Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra”. E con questa speranza il popolo incomincia il cammino per ritornare al Signore. E una delle maniere, dei modi di trovare il Signore è la preghiera. Preghiamo il Signore, torniamo da Lui.
    Nel Vangelo Gesù ci insegna come pregare. Ci sono due uomini, uno un presuntuoso che va a pregare, ma per dire che è uno bravo, come se dicesse a Dio: “Ma guarda, sono così bravo: se hai bisogno di qualcosa, dimmi, io risolvo il Tuo problema”. Così si rivolge a Dio. Presunzione. Forse lui faceva tutte le cose che diceva la Legge, lo dice: “Digiuno due volte alla settimana, pago le decime di tutto quello che possiedo … sono bravo”. Questo ci ricorda anche altri due uomini. Ci ricorda il figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, quando va dal padre e dice: “Ma, io che sono così bravo non ho la festa, e questo, che è un disgraziato, tu gli fai la festa …”: presuntuoso. L’altro, che abbiamo sentito in questi giorni, è la storia di quell’uomo ricco, un senza-nome, ma era ricco, incapace di farsi un nome, ma era ricco … non gli importava nulla della miseria degli altri. Sono questi che hanno sicurezza in sé stessi o nel denaro o nel potere …
    Poi c’è l’altro, il pubblicano. Che non va davanti all’altare, no: resta a distanza. “Fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo. Si batteva il petto dicendo: «Dio, abbi pietà di me peccatore»”. Anche questo ci porta al ricordo del figliol prodigo: si accorse dei peccati fatti, delle cose brutte che aveva fatto; anche lui si batteva il petto: “Tornerò da mio padre e [gli dirò]: padre, ho peccato”. L’umiliazione. Ci ricorda quell’altro, il mendicante, Lazzaro, alla porta del ricco, che viveva la sua miseria davanti alla presunzione di quel signore. Sempre questo abbinamento di persone nel Vangelo.
    In questo caso, il Signore ci insegna come pregare, come avvicinarci, come dobbiamo avvicinarci al Signore: con umiltà. C’è una bella immagine nell’inno liturgico della festa di San Giovanni Battista. Dice che il popolo si avvicinava al Giordano per ricevere il battesimo, “nuda l’anima e i piedi”: pregare con l’anima nuda, senza trucco, senza travestirsi delle proprie virtù. Lui, lo abbiamo letto all’inizio della Messa, perdona tutti i peccati ma ha bisogno che io gli faccia vedere i peccati, con la mia nudità. Pregare così, nudi, con il cuore nudo, senza coprire, senza avere fiducia neppure in quello che ho imparato sul modo di pregare … Pregare, tu e io, faccia a faccia, l’anima nuda. Questo è quello che il Signore ci insegna. Invece, quando andiamo dal Signore un po’ troppo sicuri di noi stessi, cadremo nella presunzione di questo o del figlio maggiore o di quel ricco al quale non mancava nulla. Avremo la nostra sicurezza in altra parte. “Io vado dal Signore per … ma ci voglio andare, per essere educato … e Gli parlo a tu per tu, praticamente …”: questa non è la strada. La strada è abbassarsi. L’abbassamento. La strada è la realtà. E l’unico uomo qui, in questa parabola, che aveva capito la realtà, era il pubblicano: “Tu sei Dio e io sono peccatore”. Questa è la realtà. Ma dico che sono peccatore, non con la bocca: col cuore. Sentirsi peccatore.
    Non dimentichiamo questo che il Signore ci insegna: giustificare sé stessi è superbia, è orgoglio, è esaltare sé stessi. È travestirsi da quello che non sono. E le miserie rimangono dentro. Il fariseo giustificava sé stesso. Confessare direttamente i propri peccati, senza giustificarli, senza dire: “Ma, no, ho fatto questo ma non era colpa mia…”. L’anima nuda. L’anima nuda.
    Il Signore ci insegni a capire questo, questo atteggiamento per incominciare la preghie-ra. Quando la preghiera la incominciamo con le nostre giustificazioni, con le nostre sicurezze, non sarà preghiera: sarà parlare con lo specchio. Invece, quando incominciamo la preghiera con la vera realtà – “sono peccatore, sono peccatrice” – è un buon passo avanti per lasciarsi guardare dal Signore. Che Gesù ci insegni questo, a noi.

Comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare.
Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mai. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore.
E come già venuto, Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che abbia mai a separarmi da Te.