Significativa, a questo proposito, la riflessione di un militante laicista: «ci vogliono slogan che puntino a destabilizzare la fede dei credenti, a farla crollare dalle fondamenta».
Uno di questi “slogan” è quello di estrapolare piccoli brani dell’Antico Testamento nel tentativo di mostrare ai più sprovveduti quanto presente sia l’odio, la violenza e la guerra nella mente del Dio ebreo-cristiano: dopo aver copiato&incollato il solito elenco riciclato, solitamente è stato insegnato a concludere con la frase: «Se dovessi convincere qualcuno a diventare ateo gli direi di leggere la Bibbia» (Odifreddi, “Perché Dio non esiste”, Aliberti 2010, pag. 49).
Innanzitutto, bisogna premettere che il cattolicesimo non è una cosiddetta “religione del Libro”, ovvero «cuore della fede non è il Nuovo Testamento [tanto meno l'Antico, Nda], del quale la Chiesa nascente ha potuto fare a meno a lungo, aspettando secoli prima di fissare la “lista” ufficiale dei libri, ma è l’Eucarestia» (V. Messori, “Qualche ragione per credere”, Ares 2008, pag. 78).
L’essenziale per un cattolico, e per un Cristiano, cioè, è la Persona stessa del Cristo, prima ancora che le sue parole (“Quid est veritas? Est vir qui adest”).
Il riferimento fondamentale per accostarsi all’Antico Testamento è senz’altro la “Dei Verbum”, dove si spiega: «L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare con diverse figure l’avvento di Cristo».
L’intenzione di Dio appare essere dunque fortemente pedagogica verso il popolo d’Israele, cioè una civiltà violenta, di “dura cervice”, radicata in una cultura esclusivamente pagana e politeista (si pensi ad esempio alla durezza di un padre verso un figlio scapestrato).
Continua infatti la “Dei Verbum”: «Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina».
Inoltre, «Dio, ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro Testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell’antico e l’antico diventasse chiaro nel nuovo».
Questa è l’interpretazione corretta per affrontare anche i passi più crudi dell’Antico Testamento, anche dopo averli necessariamente contestualizzati in un’epoca profondamente incivile, rispetto ad oggi.
Per capire cosa significhi l’opera pedagogica di Dio, occorre riflettere su un episodio saliente dell’Antico Testamento, ovvero il sacrificio di Isacco contenuto del Libro della Genesi.
Si legge infatti: «Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse:
“Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”».
Abramo fece quanto indicato, ma nel momento di immolare suo figlio, «l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo! Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio [...].
Perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.
Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». L’intenzione pedagogica di Dio, come emerge chiaramente, era mettere alla prova la fede e la libertà dell’uomo.
Su questo si è anche soffermato don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura, spiegando «occorre capire il modo graduale (la “divina pedagogia”) di Dio di condurre gli uomini alla pienezza della Rivelazione».
Lo stesso ha fatto padre Angelo Bellon sull’utilissimo sito “Amici Domenicani”: «Il criterio generale di interpretazione è il seguente: Dio si è rivelato servendosi degli uomini, della cultura, dei modi di concepire la santità e i Dio e la giustizia tra gli uomini secondo i costumi del tempo».
Proprio in questi giorni è tornato sul tema della violenza dell’A.T.: «Il tema delle guerre e degli eccidi va letto alla luce di Gn 9,6 là dove viene stabilita la legge del taglione, che è propria dell’Antico Testamento ed è tipica di una società non ancora organizzata come la società nomade e dove la giustizia veniva fatta dai singoli».
Rispetto a queste guerre “in nome di Dio”, occorre prestare anche attenzione poi a quanto ha affermato il rabbino Alan Lurie, citando l’opera “Encyclopedia of Wars”: «dobbiamo riconoscere che le evidenze archeologiche hanno dimostrato che queste conquiste non sono mai avvenute, o almeno non in modo drammatico come descritto nella Bibbia».
Queste storie sono più che altro «avvertimenti sui pericoli della guerra».
Ricordiamoci, infatti, che la Sacra Scrittura può essere interpretata nei quattro sensi: letterale, allegorico, morale, anagogico.
Infine, occorre citare il card. Gianfranco Ravasi quando afferma che la Bibbia «non è una collezione di tesi teologiche e morali perfette e atemporali, come sono i teoremi in geometria, bensì è la storia di una manifestazione di Dio all’interno delle vicende umane.
È dunque un percorso lento di illuminazione dell’umanità perché esca dalle caverne dell’odio, dell’impurità, della falsità e s’incammini verso l’amore, la coscienza limpida e la verità» (“I Comandamenti”, p. 100).
Un percorso conclusosi con l’irruzione di Gesù Cristo nella storia che ha compiuto la preparazione pedagogica di Dio e annullato la “Legge del taglione”: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio…avete inteso dire che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,38.43-44).
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15).