24 marzo 2014

L'Apocalisse

tratto da: Don Antonio Persili, La nuova evangelizzazione e l’apostolo Giovanni.

     l tema del libro dell'Apocalisse è la storia del progetto creativo di Dio e della sua realizzazione nel
tempo.

     L'autore è Giovanni (Ap 1, 1.4.9; 22,8), l'apostolo, che negli ultimi anni visse ad Efeso, "fratello e compagno di tribolazione" (Ap 1,5).

     L'Apocalisse fu scritta da Giovanni nell'isola di Patmos, ove era stato deportato a causa della parola di Dio alla fine dell'impero di Domiziano, verso l'anno 95.
L'interpretazione del libro è strettamente legata alle leggi cosmiche, che regolano i movimenti del sole e della luna, che determinano la divisione del tempo: il giorno, la settimana, il mese e l'anno.
     Giovanni ha fatto questa scelta, perché voleva porre la rivelazione al di sopra e al di fuori di ogni fenomeno terrestre, che potesse essere influenzato, in qualche modo, dall'uomo, che può sconvolgere la terra, ma nulla può per mutare il corso degli astri.
     La parola "Apocalisse" è la trascrizione letterale di una parola greca, che in italiano corrisponde alla parola "Rivelazione".

     Il libro, che inizia con le parole illuminanti "Rivelazione di Gesù Cristo", riassume tutte le rivelazioni della Bibbia e svela il senso recondito della storia: di ciò che è accaduto, di ciò che accade e di ciò che accadrà.
     La rivelazione è fatta per immagini e visioni; deve perciò essere decodificata, per comprenderne il significato; segue una logica interna, che deve essere scoperta, per comprenderne lo sviluppo progressivo; dà una visione d'insieme della storia umana, che, per quanto diversa nel suo svolgimento, si ripete ad ogni generazione con la monotonia esasperante del peccato; riscatta il tempo con la novità dell'azione di Dio, che non è solo il Creatore, ma anche il Salvatore di tutte le sue creature.

    Prima di presentare la struttura dell'Apocalisse, è opportuno spiegare il significato di alcuni elementi, che rendono comprensibile l'Apocalisse.

     IL GIORNO

     Presso gli Ebrei il giorno iniziava con il tramonto del sole e si estendeva fino al tramonto del sole, inizio del giorno seguente.

     Il giorno era diviso in due parti. La prima parte comprendeva dodici ore di tenebre, dalle 18 alle 6; la seconda parte comprendeva dodici ore di luce, dalle 6 alle 18.
     Si può affermare che la visione di Giovanni inizia al calar del sole, che poneva fine al sabato, e che dura fino al sorgere del sole, cioè durante le 12 ore di tenebre.
     La visione termina al sorgere del sole, cioè 12 ore dopo, quando inizia la domenica, giorno in cui Gesù risorge e si canta l'Alleluia della vittoria della vita sulla morte.
     Con la risurrezione di Gesù, anticipazione della risurrezione finale, si entra nell'ottavo giorno, che è il giorno di Dio, giorno della salvezza, della pace e della gloria.
     Le dodici ore della notte erano divise in quattro parti, di tre ore ciascuna, chiamate "vigilie".
La parola "vigilia", che in origine era un termine militare, derivava dal verbo "vigilare", e si riferiva alla vigilanza dei soldati alle porte della città.
     I turni di guardia duravano 3 ore, sicché con 4 turni si coprivano tutte le ore della notte: dalle 18 alle 21, dalle 21 alle 24, dalle 24 alle 3, dalle 3 alle 6.
I diversi turni erano chiamati prima, seconda, terza e quarta vigilia.

     IL MESE

     Le dodici ore della notte, divise in quattro vigilie, scandiscono, nell'Apocalisse, lo svolgersi di un mese lunare, che viene diviso dalle fasi lunari in 4 parti: novilunio, primo quarto, plenilunio, ultimo quarto.

     Giovanni, nella divisione della notte, ha in mente le divisioni delle vigilie, come se fossero le fasi lunari, e le divide in 7 sezioni, che corrispondono alla durata di ogni fase lunare, cioè alla settimana.
     La luna ha sempre avuto una grande influenza presso gli antichi abitatori della terra.
     Il libro del Siracide descrive così l'importanza della luna:
     "Anche la luna sempre puntuale nelle sue fasi regola i mesi e determina il tempo. Dalla luna dipende l'indicazione delle feste, luminare, che decresce fino alla sua scomparsa. Da essa il mese prende il nome, mirabilmente crescendo secondo le fasi. È un'insegna per le milizie nell'alto splendendo nel firmamento del cielo". (Sir 43, 6-8).

     LA SETTIMANA

     La settimana nasce dalle fasi della luna, che duravano mediamente sette giorni e nasce anche dalla Bibbia, che nel primo capitolo del libro della Genesi racconta la creazione, dividendo l'azione di Dio in 7 giorni: sei di creazione e il settimo di riposo.

     Questa divisione del tempo dalla cultura ebraica è passata anche nella nostra cultura, tanta è la forza non solo della Bibbia, ma anche delle leggi del tempo, che regolano il lavoro dell'uomo proprio con le fasi lunari.

     I NUMERI: sette, quattro, tre, dodici, mille.

    Dalle fasi lunari è nata non solo la settimana, ma anche uno speciale significato del numero sette, che è usato dagli Ebrei, e non solo da loro, come numero che indica la totalità.

    Infatti in 7 giorni è stato creato l'universo, che è la totalità per eccellenza dell'azione del Creatore e della creazione delle creature.

    La metà di 7, variamente espressa, indica, invece, incompiutezza, situazione temporanea.
Nell'Apocalisse si trova in queste forme: tre anni e mezzo; due tempi, più un tempo, più mezzo tempo; 42 mesi; 1260 giorni.

    Il numero 7 risulta formato dalla somma di due numeri, 4 e 3, che, a loro volta, hanno importanza fondamentale nella cultura ebraica.

    Il numero 4 è il numero del creato, che ha 4 direzioni: settentrione, meridione, oriente e occidente.

    Sembra che il male e la debolezza derivi dal settentrione, da cui vengono le tenebre e i venti freddi.              
    Il settentrione è la parte della terra meno illuminata dal sole. È come il regno della morte.

    Il numero 4 è il numero della debolezza della creatura che, quando è colpita dalla morte, nei primi tre giorni ha ancora la possibilità di rianimarsi, ma al quarto giorno entra nella morte biologica e non può più tornare indietro.

    Quattro sono le virtù cardinali, le virtù umane, che sorreggono l'uomo come i cardini sostengono una porta a due ante: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza.

    Il numero 3, invece, è il numero della divinità e della vita.

    Presso gli Egiziani esisteva un amuleto, simbolo della vita, che consisteva in una T maiuscola, fornita di un cappio, che serviva per sorreggerlo, chiamata "Ankh", cioè vita.
Questo simbolo della vita, lo si trova nei dipinti, che ornano le tombe egizie, ed è portato dalle divinità, mentre le creature ne sono prive.
Le divinità sono immortali, le creature mortali.
Un simbolo simile lo ritroviamo nella Bibbia con lo stesso significato: è il Tau maiuscolo.
    Ne parla Ezechiele, quando narra che sulla fronte di coloro che dovevano essere salvati doveva essere segnato un Tau (Ez 9.4).
L'episodio viene ripreso nell'Apocalisse, dove si parla di un sigillo di Dio da imprimere sulla fronte dei suoi servi (Ap 7,3).
    La T maiuscola è una lettera che ha tre direzioni ed è esattamente la forma della croce, sulla quale è morto Gesù.
    La croce, il Tau, l'Ankh mancano della direzione settentrionale, cioè della direzione mortale, tenebrosa.
    È veramente straordinario e profetico che la cultura egizia e la Bibbia abbiano stimato la croce come il segno della vita, perché veramente la vita viene dalla Croce.

    Tre sono le virtù teologali : Fede, Speranza e Carità.
    Nella Bibbia si parla molte volte dell'intervento di Dio al terzo giorno, perché al quarto sarebbe troppo tardi.
    Nel terzo giorno è avvenuto quello che è l'avvenimento centrale di tutta la creazione: la risurrezione di Gesù.

Dunque il numero 4 indica il creato ed il numero 3 la divinità.

La loro somma, cioè 7, indica la totalità dell'umanità e della divinità.

La loro moltiplicazione, cioè 12, indica, invece, la perfezione.

Perfetto è l'anno, formato da 12 mesi, divisi in 4 stagioni di 3 mesi ciascuna.

Il calendario biblico si basava sull'anno solare di 365 giorni e un quarto e sul mese lunare di 29 giorni e mezzo. Dodici mesi lunari danno un anno di 354 giorni: alla differenza, come anche alla frazione di un giorno dell'anno solare, si provvedeva intercalando un secondo mese con nome di Adar, ultimo mese dell'anno.
Non sappiamo quale fosse il meccanismo seguito, per far concordare i due diversi sistemi di divisione del tempo.
Nell'Apocalisse si trovano utilizzati molte volte sia il numero 7 che il numero 12 e spesso sono anche usati i numeri che li compongono: il 3 e il 4.
Per indicare una moltitudine di persone, non calcolabile numericamente, gli Ebrei usavano il numero 1000. Uso che in parte è diffuso anche nella nostra cultura.

     BREVE PRESENTAZIONE DEI TEMI DELL'APOCALISSE

     Anticipando quelle che saranno le conclusioni delle riflessioni sulla struttura dell'Apocalisse, possiamo dire che essa è una Veglia pasquale.
     La celebrazione inizia al tramonto del sole del sabato santo e termina al sorgere del sole del "giorno del Signore", quando Gesù risorto entra vittorioso in cielo.
     La veglia dura 12 ore durante le quali Giovanni, attraverso visioni e rivelazioni, è condotto a ripercorrere tutta la storia della creazione e della redenzione.

     Il libro dell'Apocalisse è un'opera stilisticamente perfetta, perché è stata composta seguendo le regole di una corretta composizione letteraria: unità di luogo, unità di tempo, unità d'azione.

     Nella prima parte della veglia, Giovanni prende coscienza della situazione delle Chiese d'Asia ed è invitato a scrivere loro delle lettere, con le quali Gesù le conforta nelle loro prove, le rimprovera per le loro debolezze, le loda per la loro fedeltà. È la sezione delle sette lettere.
L'Apocalisse inizia con la presentazione della Chiesa nel momento storico, vissuto da Giovanni, e termina con la visione della Chiesa perfetta, per cui possiamo anche dire che l'Apocalisse è il libro della storia della Chiesa.

     Nella seconda parte Giovanni viene invitato a salire in cielo, perché gli deve essere rivelato il progetto creativo e redentivo di Dio.
Progetto che ha il suo centro nell'apertura del rotolo chiuso da sette sigilli da parte dell'Agnello, segno dell'infinita potenza misericordiosa di Dio. È la sezione dei 7 sigilli.

     Nella terza parte Giovanni vede scorrere sotto i suoi occhi le linee essenziali della realizzazione del progetto di Dio.
     Due schieramenti opposti si affrontano: da una parte i due testimoni (Giovanni Battista e Giovanni evangelista), la donna (Maria), e suo figlio (Gesù); dall'altra parte il drago (satana), la bestia che viene dal mare (il potere satanico dei falsi cristi), la bestia che viene dalla terra (il potere satanico dei falsi profeti).
     Il drago e le due bestie sono una caricatura della Santissima Trinità.
     È la sezione delle 7 trombe. Le trombe annunziano la guerra, che termina con la sconfitta di coloro che non temono Dio.

     Nella quarta parte si celebra la vittoria dell'Agnello e la sconfitta di satana e dei suoi seguaci. Si ode una gran voce che grida: "È caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demoni" (Ap 18,2).

     Nella quinta parte si realizza il regno di Dio sulla terra. Il regno di Dio trionfa nella verità, nella giustizia e nella pace.

     Infine Giovanni vede scendere dal cielo la Gerusalemme celeste, la città santa, la città di Dio per gli uomini. E, quando tutto giunto alla perfezione, il creato entra nella vita eterna.

     In questa breve presentazione e nelle riflessioni che seguono non è possibile illustrare tutti gli aspetti dell'Apocalisse, ma solo quelli che sembrano i più opportuni e i più nuovi, per capirne la struttura, il significato e il messaggio.

     Ora riprendiamo le riflessioni sulla struttura dell'Apocalisse.

     LA STRUTTURA DELL'APOCALISSE

     L'Apocalisse è divisa in 7 parti: il prologo e l'epilogo; 4 parti centrali divise ciascuna in 7 sezioni: le sette lettere, i sette sigilli, le sette trombe e le sette coppe; e la quinta parte conclusiva.

     IL PROLOGO (Ap 1, 1-3) (3 versetti)

Il libro contiene la rivelazione, manifestata da Gesù Cristo, per volontà del Padre, attraverso un angelo, al suo servo Giovanni.


     PRIMA PARTE: 

     LE SETTE LETTERE (da Ap 1,4 a Ap 3,22) (68 versetti)

     Introduzione (Ap 1, 4-8)

     Questo brano, come molti altri dell'Apocalisse, ha la struttura di un dialogo tra il lettore e l'assemblea. Infatti l'Apocalisse è una celebrazione liturgica, che la Chiesa ha inserito nell'anno liturgico, come uno dei momenti centrali della vita della Chiesa: la Veglia pasquale.

     Visione iniziale (Ap 1, 9-20)

     Giovanni ha la visione nel giorno del Signore, mentre soggiornava nell'isola di Patmos, dove era stato relegato dall'imperatore Domiziano.
     È importante stabilire quale fosse il giorno del Signore.
     Non può essere una domenica qualsiasi, chiamata così perché ripete la domenica pasquale di settimana in settimana.
     Qui si deve intendere il giorno del Signore per eccellenza, cioè il giorno della risurrezione di Gesù, centro focale della rivelazione e della salvezza.
     Una domenica qualsiasi, per quanto importante, non poteva essere celebrata con una veglia così solenne e con una grandiosa rivelazione, che ha il suo culmine nell'Alleluia pasquale (Ap 19, 1-10).
     In quale ora del giorno del Signore Giovanni è rapito in estasi?
     Poiché non viene indicata un'ora particolare, vuol dire che la visione è cominciata con l'inizio del giorno del Signore, cioè alle 6 pomeridiane del sabato.

     LE SETTE LETTERE (da Ap 1,21 a Ap 3,22)

     Le visioni dell'Apocalisse iniziano nella prima vigilia, che corrisponde, nel pensiero di Giovanni, alla prima fase della luna: il novilunio.
     Nella fase di luna nuova, la luna non è visibile in cielo, perché mostra la faccia non illuminata dal sole. Il cielo perciò è oscuro ed è rischiarato solo dalla tenue luce delle stelle.
     Il cielo è chiuso e Giovanni riceve l'ordine di scrivere lettere a 7 Chiese dell'Asia minore, che si trovavano di fronte all'isola di Patmos.
     Le comunità sono nominate nell'ordine che un corriere avrebbe seguito, se avesse dovuto portare dei messaggi, seguendo la strada che collega le diverse città: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea.
     Naturalmente le lettere sono 7 come i giorni della settimana.

     SECONDA PARTE:

     I SETTE SIGILLI (da Ap 4,1 a Ap 4,8,1) (60 versetti)

     Introduzione (Ap 4,1; Ap 5,14)

     Inizia la seconda vigilia, che corrisponde alla seconda fase lunare: il primo quarto.
     Questa fase è così introdotta da Giovanni: "Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta in cielo" (Ap 4,1).
     La porta aperta in cielo è il primo quarto di luna, che somiglia veramente ad una porta, che permette il passaggio al di là del firmamento.
     Giovanni continua: "La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. Subito fui rapito in estasi" (Ap 4, 1-2).
     A Giovanni non vengono mostrate le cose che devono accadere a partire dalla fine del primo secolo dopo Cristo, in cui egli vive, ma le cose che devono accadere dall'inizio della creazione fino alla fine del mondo.

In questa seconda parte viene presentato il progetto creativo e redentivo
 di Dio nelle sue linee essenziali: la creazione e la redenzione
 per mezzo dell'Agnello, le sofferenze dei martiri, le schiere dei consacrati
 e di una folla immensa, che adorano, lodano e ringraziano Dio, 
perché sono stati salvati.

     Nel capitolo quarto è descritto il trono di Dio e, con figure simboliche, tutta la creazione (Ap 4, 1-11).
     La creazione è presente intorno al trono di Dio, per mezzo del simbolismo di vari elementi, e rende gloria a Dio secondo il detto del salmista: "I cieli narrano la gloria di Dio, e le opere delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia" (Sal 19, 2-3).
     La creazione, nel pensiero di Dio, è buona e incontaminata e da essa si innalza un linguaggio incessante di adorazione e di lode.
     I ventiquattro anziani non sono altro che le dodici ore di luce e le dodici ore di tenebre; sono il giorno di ventiquattro ore; sono il tempo che altro non è se non un susseguirsi di giorni, di luce e di tenebre.
     Il tempo, che passa ed invecchia, è ben rappresentato dai ventiquattro vegliardi, che cantano le lodi di Dio e dell'Agnello.
     I quattro esseri viventi rappresentano lo spazio, il creato: proprio perché sono quattro.
     La presenza degli esseri viventi, che con i loro occhi riflettono l'immagine del creato e lo rendono partecipe della loro vita e della loro storia.
     Davanti al trono vi era come un mare simile al cristallo. In Dio, il mare non è una forza ostile, solo dopo il peccato cambia nella storia la sua natura e diviene di tipo demoniaco.
     Davanti al trono ardono sette lampade accese, simbolo dei sette spiriti di Dio.
     Era costume degli Ebrei di tenere sempre accesa, fuori la porta di casa, una lampada, che aveva il significato di avvertire i passanti che la casa era abitata e che si sarebbe aperta a chiunque avesse avuto bisogno di aiuto.
     Davanti al trono di Dio ardono sette lampade, che indicano la pienezza della vita e la piena disponibilità ad accogliere i bisognosi di aiuto.
     Del resto anche nel tempio di Gerusalemme, davanti al Santo dei Santi, ardeva, giorno e notte, il candelabro d'oro dai sette bracci.
     Sacerdoti incaricati riassettavano la lampada due volte al giorno, usando olio purissimo, che non provocava nè fumo nè cattivi odori.

     L'AGNELLO APRE IL ROTOLO SIGILLATO

     L'Agnello, che è il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto e tutto è stato rigenerato, prende il rotolo tra canti e preghiere di tutte le creature viventi e di miriadi di angeli e apre i sette sigilli.
     All'apertura dei primi quattro compaiono quattro cavalli; il primo bianco, che rappresenta Cristo vittorioso; il secondo nero, che rappresenta la guerra; il terzo rosso, che rappresenta l'ingiustizia e l'oppressione; il quarto verdastro, che rappresenta la Morte, seguita dall'Inferno (Ap 6, 1-8).
     Quando è aperto il quinto sigillo, si odono le preghiere dei martiri che attendono la salvezza di Dio.
     Quando è aperto il sesto sigillo giunge l'ora di Dio. L'Agnello salva il suo popolo.
     Per primi appaiono i consacrati del popolo eletto del Vecchio Testamento e del popolo di Dio del Nuovo Testamento.
     Sono quelli, di cui san Paolo dice: "È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori" (2 Cor 1, 21-22).
     Il numero dei consacrati è indicato con il numero simbolico di 144.000, che risulta dalla moltiplicazione di 12.000 per 12. I consacrati sono divisi secondo le 12 tribù di Israele. Dodicimila salvati per ogni tribù: complessivamente 144.000.
     Il numero 12 è il numero della perfezione e si addice, in modo particolare, alla Gerusalemme celeste, alla città santa, al popolo di Dio. Il numero 12, moltiplicato per mille, indica il massimo della perfezione e della totalità.
     Non c'è da meravigliarsi che i consacrati del Vecchio e del Nuovo Testamento siano indicati come facenti parte delle 12 tribù di Israele. Infatti, quando nell'Apocalisse si descriverà la Gerusalemme celeste, si dirà che la città ha dodici porte, sulle quali è scritto il nome delle dodici tribù di Israele e che gli Apostoli ne costituiscono il fondamento. Non esistono due città, ma una sola, di cui fanno parte Ebrei e cristiani.
     Nell'Apocalisse strettissimo è il legame che unisce il popolo ebreo e il popolo dei cristiani: sono il popolo dei consacrati del Signore.
     L'elenco delle tribù non corrisponde esattamente all'elenco delle tribù storiche.
Ma ci sono delle ragioni che spiegano questa scelta.
Infatti, le tribù di Israele di fatto erano 13, come anche gli Apostoli saranno 13, e come anche i mesi dell'anno sono dodici più un terzo di mese.
     Le tribù territoriali di Israele erano 12, ma vi era una tredicesima tribù, quella di Levi, che non aveva territorio proprio, ma non poteva essere tralasciata, perché era la tribù dei sacerdoti e dei leviti a servizio del tempio.
     Dovendo eliminare una tribù, Giovanni ha tolto dall'elenco la tribù di Dan, la tribù di Sansone, che ha avuto il grave torto di non aver saputo difendere il suo territorio dall'attacco dei Filistei ed ha preferito emigrare in un territorio non suo, al nord della Palestina.

     I consacrati sono seguiti da "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9). E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello" (Ap 7,10).
     Un inno di adorazione, di lode, e di ringraziamento si innalza da tutto il creato.
     Al centro del progetto di Dio vi è l'Agnello, per mezzo del quale Dio crea l'universo e salva le sue creature.

     TERZA PARTE:

     LE SETTE TROMBE (da Ap 8,2 a Ap 14,20) (119 versetti)

     L'apertura del settimo sigillo dà inizio alla terza vigilia, che è anche la terza fase lunare, quella della luna piena e viene introdotta con queste parole: "Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe" (Ap 8, 1-2).
     In questi versetti sono indicati due elementi, che si riferiscono alla terza fase lunare del plenilunio: il silenzio e le trombe.
     Quando, di notte, la luna piena sorge all'orizzonte, un senso di sorpresa colpisce gli esseri viventi, che reagiscono al passaggio dalle tenebre alla pallida luce lunare con un silenzio, pieno di attesa.

     Giovanni coglie questo silenzio come elemento caratterizzante del fenomeno.
     Bisogna, infatti, tener conto che l'apostolo è in cielo e non può vedere la luna piena, come ha visto il primo quarto.
     Tutte le visioni di Giovanni, a partire dalla seconda parte, si svolgono in cielo.
     L'altro elemento è la connessione del plenilunio con le trombe della liturgia.
     Nei salmi si legge che per la festa del plenilunio si suonava la tromba: "Suonate la tromba nel plenilunio nostro giorno di festa. Questa è una legge per Israele, un decreto del Dio di Giacobbe" (Sal 81, 4-5).
     Nel Levitico si legge: "Nel settimo mese, il primo giorno del mese, sarà per voi riposo assoluto, una proclamazione fatta a suono di tromba, una santa convocazione" (Lv 23,24).
     Ma le trombe sono anche uno strumento musicale, usato nelle battaglie per annunciare l'attacco, il momento cruciale della lotta.
     Si legge in Geremia: "Il cuore mi batte forte; non riesco a tacere, perché ho udito uno squillo di tromba, un fragore di guerra..." (Ger 4,13).

     Questo duplice aspetto della tromba come strumento, usato nella liturgia e in guerra, si adatta perfettamente a questa sezione della Bibbia, che presenta in sintesi lo scontro tra il bene e il male, scontro che avviene nel cielo.

     L'esito di ciò che accadrà in terra sarà determinato da ciò che accadrà in cielo.
Anche Omero, nell'Iliade, fa dipendere l'esito della guerra di Troia da ciò che accade in cielo. Quando le divinità protettrici di Troia soccombono di fronte alle divinità protettrici degli Achei, davanti al tribunale supremo di Giove, il destino di Troia è segnato per la distruzione.
     Al suono delle prime quattro trombe avvengono guasti sulla terra, nel mare e nel cielo.
     Al suono delle ultime tre trombe avvengono i fatti centrali dell'Apocalisse e della storia umana.
     Come se non bastasse, al suono terrificante delle ultime trombe, Giovanni vede e poi udì un'aquila, che volava nell'alto del cielo e gridava a gran voce: "Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba, che i tre angeli stanno per suonare!" (Ap 8,13).
     Quando il quinto angelo suona la tromba, inizia il primo guaio ed un astro cade dal cielo sulla terra.
     Gli viene data la chiave del pozzo dell'Abisso. Egli apre il pozzo, da cui esce un fumo denso, che oscura il sole e l'atmosfera. Dal fumo escono terribili cavallette, che danneggiano gli uomini, che non avevano il sigillo di Dio.

     Termina il primo guaio.

     Quando il sesto angelo suonò la tromba, inizia il secondo guaio ed appare una cavalleria infernale, che stermina un terzo dell'umanità.

     Segue l'apparizione di un angelo che fa mangiare a Giovanni un piccolo libro, perché la rivelazione che ora udrà e vedrà è la rivelazione suprema.

     I DUE TESTIMONI

     Entrano in scena i due Testimoni del Signore, vestiti di sacco, che devono compiere la loro missione per milleduecentosessanta giorni, cioè per un tempo determinato.
     I due testimoni sono Giovanni Battista e Giovanni evangelista. Essi sono "i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra" (Ap 11,4).
     Davanti al Signore della terra stanno i due precursori, che, per vocazione divina, sono i testimoni dell'entrata del Figlio di Dio nel mondo con l'incarnazione, e della sua uscita dal mondo con la resurrezione.
     Essi, secondo l'Apocalisse, rendono con forza la loro testimonianza e vengono uccisi, "ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli" (Ap 11,11).
     Trascorsi i tre giorni e mezzo, che indicano un tempo limitato, i due Testimoni cominciano di nuovo a rendere la loro testimonianza e poi salgono in cielo.
     Termina così il secondo guaio; ed ecco viene subito il terzo, descritto nel capitolo dodicesimo.

     LA DONNA E IL DRAGO

     Quando il settimo angelo suona la tromba, echeggiano nel cielo voci potenti di adorazione e di ringraziamento a Dio, che preparano la rivelazione del mistero di pietà (Ap 11, 15-18).

     Il momento è solenne.
     In una visione cosmica grandiosa appare una donna, dalla quale, per volere divino, verrà il Salvatore. Giovanni la descrive con poche parole stupende: "Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle" (Ap 12,1).
     In questa donna si realizza la promessa, che Dio ha fatto ai primordi dell'umanità, con le parole conosciute come il proto-vangelo: "Io porrò inimicizia tra te (satana) e la donna (Maria), tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gn 3,15).
     Questa donna del capitolo dodicesimo dell'Apocalisse è la donna del capitolo terzo della Genesi. 
     E questa donna è Maria.
     Senza il libro dell'Apocalisse, la Bibbia sarebbe rimasta come incompiuta, anzi sarebbe stata incomprensibile, perché Dio avrebbe fatto delle promesse e non avremmo saputo come e quando le avrebbe mantenute.
     Nell'Apocalisse Maria è vestita di sole, perché è luminosa per la sua divina maternità. Maria è la madre del "sole di giustizia" (Mal 3,20) perché è la madre di Gesù e madre della Chiesa.
     La luna è sotto i suoi piedi.
     Da sempre sotto i piedi sono posti i nemici vinti. In questa visione la luna rappresenta Satana e i suoi seguaci vinti e resi ormai innocui.
     Maria è la nemica di satana, per vocazione divina. Maria è l'Immacolata Concezione, è la Vergine Santa, la piena di grazia.
     Maria ha sul capo una corona di dodici stelle, che sono le dodici tribù di Israele, il popolo di Dio del Vecchio Testamento.
     È veramente fuorviante l'interpretazione, che vorrebbe vedere nella donna solo la Chiesa e non Maria.
     Nella Bibbia tradotta dai testi originali e commentati a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo sono elencati i motivi, per i quali la donna dell'Apocalisse non può essere assolutamente la Chiesa, ma è certamente Maria, la Madre di Dio e della Chiesa.
E, per conseguenza, neanche la donna della Genesi può essere la Chiesa, ma è Maria.
     I motivi si possono riassumere così:
     La donna del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse non può essere la Chiesa:

     a. perché la donna è presentata come madre della Chiesa;

     b. perché la Chiesa non può dirsi la madre di Cristo;

     c. perché la donna è anteriore alla Chiesa, essendo il suo conflitto già nel protoevangelo;

     d. perché la lotta della donna col drago è distinta dalla lotta della Chiesa col drago (Ap 12,15-17 e Ap 13);

     e. perché la donna è sottratta agli attacchi del drago, mentre la Chiesa rimane sulla terra, vittima degli attacchi di satana.

     A tutti questi argomenti se ne può aggiungere un altro.
Il segno appare in cielo e la lotta si svolge nel cielo, mentre la Chiesa, al contrario, si trova sulla terra e combatte sulla terra e non cielo.
     La Chiesa è salva per la lotta e la vittoria, che Maria e suo Figlio riportano sul drago.
     La stirpe della donna, la sua discendenza, che è il Cristo, schiaccia la testa del drago, mentre egli, invano, cerca di morderlo al calcagno.
     Michele e i suoi angeli gettano satana e i suoi seguaci dal cielo sulla terra, dove, con grande furore, attacca la Chiesa, sapendo che ormai gli rimane poco tempo.
     Il capitolo si conclude con queste parole: "Il drago si infuriò contro la donna (Maria) e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza (la Chiesa), contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù" (Ap 12,17).
     Comunque, come vedremo nel capitolo seguente, la donna è anche la Chiesa, anche se in senso secondario.

     LE DUE BESTIE

     Il capitolo tredicesimo è dedicato alla presentazione delle due bestie.
     Giovanni vede salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna aveva dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia riceve dal drago il potere, che appartiene solo a Dio, e si fa adorare, come se essa fosse la portatrice della salvezza.
     La bestia rappresenta i falsi cristi: il potere dell'uomo. Giovanni poi vede salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago.

     La bestia, che sale dalla terra, è l'immagine dei falsi profeti, che ingannano gli uomini e con la violenza e l'inganno li costringono ad adorare la prima bestia.
     Questa bestia impone il suo marchio sulla mano destra e sulla fronte degli uomini, che lo seguono.
     Il potere del male è rappresentato dal drago e da due bestie, che tentano di imitare la potenza della Santissima Trinità. Il drago rappresenta il Padre, fonte del potere. La prima bestia, che viene dal mare, rappresenta Cristo, che riceve il potere dal Padre. La seconda bestia, che viene dalla terra, rappresenta lo Spirito Santo, che è la comunicazione.

     L'AGNELLO SUL MONTE SION

     Il capitolo quattordicesimo è il capitolo conclusivo della terza parte e logicamente si chiude con la visione dell'Agnello vittorioso ritto sul monte Sion e insieme a lui compaiono 144.000 persone, che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo.
     L'Agnello ha vinto per la sua obbedienza al Padre, quando si è immolato sulla croce restituendo all'uomo la regalità perduta.
     Nella sua infinita pietà e misericordia il Padre ha voluto che suo Figlio non fosse il solo a salvare il mondo, ma associasse a sè un popolo scelto ed eletto.
     I 144.000 sono i redenti della terra, i consacrati del Vecchio e del Nuovo Testamento, gli Ebrei ed i Cristiani, che hanno tre caratteristiche:

     a. sono vergini, cioè non si sono prostituiti nell'adorazione degli idoli, ma hanno conservato la fedeltà (la verginità) al Dio vero;

     b. seguono l'Agnello dovunque esso vada, perché la via della salvezza e della regalità consiste nel seguire Cristo: Via, Verità e Vita.

     c. Essi sono redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello.

     I 144.000 rappresentano il numero totale dei consacrati, che prima degli altri sono stati redenti, perché la loro salvezza risale alla loro consacrazione.

     La lotta è finita. Dio ha vinto con l'obbedienza del suo Figlio, come si legge nel salmo 109: "Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi nemici" (Sal 109,2).
     Lo scettro del suo potere che il Signore Gesù ha usato in Sion, cioè in Gerusalemme, è la sua obbedienza al Padre.
     L'obbedienza al Padre è l'arma potente, che salva il mondo, anzi è l'unica arma che salva. È venuta l'ora del giudizio.
     Chi adora la bestia e ne riceve il marchio berrà il vino dell'ira di Dio, che è versato nella coppa della sua ira. Beati, invece, coloro che muoiono nel Signore.

     QUARTA PARTE: 

     LE SETTE COPPE (da Ap 15,1 a Ap 19,10) (81 versetti)

     Con il capitolo quindicesimo inizia la quarta vigilia, che corrisponde alla fase lunare dell'ultimo quarto.
     Giovanni è ancora in cielo e di là ha contemplato la visione, che ha descritto nella seconda e terza fase: i sigilli sono stati infranti dall'Agnello in cielo; le trombe sono state suonate dagli angeli in cielo.
     In questa quarta parte i sette angeli ricevono l'ordine: "Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio" (Ap 16,1).
     L'ordine allude alla porta che si aprì in cielo con l'ultimo quarto di luna. Inoltre poco prima Giovanni aveva visto aprirsi nel cielo il tempio, che contiene la Tenda della Testimonianza; ed aveva visto uscire dal tempio i sette angeli: altra allusione all'apertura del cielo.

     Il capitolo si apre con il cantico di Mosè e dell'Agnello. La lotta è finita. L'Agnello ha trionfato.
     Giovanni vede in cielo un altro segno grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli, per compiere l'ira di Dio.
     Coloro che avevano vinto la bestia stavano ritti sul mare di cristallo e, come gli Ebrei, dopo aver attraversato il mar Rosso, cantano il cantico di Mosè e dell'Agnello: un cantico di adorazione, di lode e di ringraziamento.
     La liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d'Egitto è il modello della liberazione dell'umanità dalla schiavitù di satana e dalla morte.
     I primi cinque angeli versarono le loro coppe sulla terra, nel mare, nei fiumi, sul sole, sul trono della bestia e terribili castighi si abbatterono sui nemici di Dio.
     Quando il sesto angelo versò la sua coppa sul fiume Eufrate, le acque del fiume si prosciugarono e da tutta la terra i re si radunarono nel luogo chiamato Armaghedon.
     Armaghedon è una parola derivata dalla corruzione di due parole "Har Meghiddon" o "Har Megheddo" cioè la montagna di Meghiddo.
     Meghiddo era una città della Palestina settentrionale, ai margini della catena montuosa del Carmelo. Aveva una grande importanza strategica, perché era il passaggio obbligato tra il Nord e il Sud. Innumerevoli eserciti lo avevano attraversato e sul quel valico avevano perduto il fior fiore dei loro soldati, gioventù forte proveniente da paesi vicini e lontani.

     I re della terra con i loro eserciti si radunarono in Armaghedon, non per combattere, perché il tempo della lotta è finito, ma per essere distrutti.

     LA CADUTA DI BABILONIA

     Quando il settimo angelo versò la sua coppa, una voce potente disse: "È fatto!". Babilonia si squarciò in tre parti e crollarono le città delle nazioni.
     I capitoli che seguono non fanno altro che descrivere ciò che accadrà quando la voce potente dice: "È fatto!", cioè la volontà di Dio si compie, nonostante la guerra scatenata da Satana e dalle due bestie contro di essa.
     L'affermazione esclamativa "È fatto!" (Ap 16,17) somiglia molto a quella che Gesù pronunciò sulla croce "Consummatum est!" "È fatto!".
     Nella traduzione della C.E.I. si legge così "E dopo aver ricevuto l'aceto. Gesù disse: Tutto è compiuto!" (Gv 19,30).

     Tra le due espressioni c'è una sottile differenza che le rende sostanzialmente diverse.
     Mentre Gesù sulla croce ha compiuto liberamente la volontà di Dio, Babilonia e le città delle nazioni compiono la volontà di Dio nonostante la loro opposizione.
     Ciò risulta dai verbi che Giovanni usa: nell'Apocalisse Giovanni adopera il verbo "ghegonen" che sta ad indicare come l'avvenimento si compie senza l'adesione di coloro che sono coinvolti nel fatto e che si sono sempre opposti alla realizzazione della volontà divina; nel Vangelo invece adopera il verbo "tetèlestai" che vuol indicare come l'avvenimento si compie con la piena e totale adesione di Gesù, che non è oggetto passivo dell'avvenimento, ma è colui che realizza liberamente la volontà di Dio.
     Tutti e due, Babilonia e Gesù, muoiono e sono distrutti. Ma la distruzione di Babilonia è fonte di morte eterna; la morte di Gesù è fonte di vita.
     I capitoli diciassettesimo e diciottesimo sono dedicati alla caduta di Babilonia.
     Ai tempi di Giovanni, Babilonia aveva perduto ogni importanza; della sua grande potenza e grandezza era rimasto solo il ricordo, tramandato soprattutto attraverso la Sacra Scrittura.

     Babilonia, il cui nome "Bab-ilanu" significa "Porta degli dei", era stata una delle meraviglie del mondo antico ed era diventata simbolo di tutte le città, in cui si adorano gli idoli, la cui potenza, benché magnifica, è fragile, perché frutto dell'orgoglio umano e demoniaco.
     Babilonia è la città di satana in antitesi a Gerusalemme, che è la città di Dio.
Nella descrizione delle città di satana Giovanni utilizza elementi di sua conoscenza, che riguardano Roma.
     Babilonia e Roma sono le città esemplari, simbolo di tutte le città idolatre di ogni tempo e di ogni luogo, che subiscono la stessa sorte.
     Babilonia è chiamata la grande prostituta, vittima della sua prostituzione.
Babilonia è simboleggiata da una donna, la grande prostituta, seduta su molte acque, chiaro riferimento alla posizione di Babilonia adagiata sull'Eufrate e sui canali, derivati dal fiume.
Con Babilonia "si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati dal vino della sua prostituzione" (Ap 17,2).
     Continua la descrizione della donna, che sulla fronte aveva scritto un nome misterioso "Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra" (Ap 17,5).
     I re della terra "hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia" (Ap 17,13). "Ma l'Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli" (Ap 17,14).

     Nel capitolo diciottesimo si innalza un lamento a più voci, secondo gli schemi usati dai grandi profeti dell'Antico Testamento, per la caduta di Babilonia la grande.

     Il lamento è diviso in sette parti: due proclamazioni (Ap 18,1-3); quattro episodi corali (Ap 18, 9-10; 11-14; 15-17a; 17b-20); e infine un'azione simbolica (Ap 18, 21-24).
     Nel capitolo diciannovesimo l'attenzione è tutta rivolta alla vittoria dell'Agnello: "Alleluia! la salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio..." (Ap 19,1).
     Si susseguono cori di adorazione, di lode e di ringraziamento all'Agnello, che ripetono "Alleluia!" (Ap 19, 1.3.4.6.)
     La parola "Alleluia" ricorre per quattro volte e sono le uniche che si incontrano in tutto il Nuovo Testamento.
     L'Alleluia fa da sfondo musicale, dà "leitmotiv" a tutta la dossologia in onore dell'Agnello. È l'Alleluia pasquale, che segna la vittoria di Gesù nella risurrezione e preannuncia la risurrezione delle creature.
     Siamo arrivati al mattino. Sono passate le dodici ore della notte. Il sole sorge all'orizzonte, le tenebre sono fugate: "Cristo è risorto! Cristo ha vinto il peccato e la morte! Cristo trionfa".
     La veglia pasquale è giunta al culmine; l'Agnello si è immolato con fiduciosa obbedienza alla volontà del Padre, che con un raggio di sole lo richiama alla vita.

     Tutta la storia dell'umanità si svolge tra un tramonto e un sorger di sole.
     Il tramonto è figura delle tenebre e della morte, frutto del peccato; il sorgere del sole è la figura della luce e della vita, frutto dell'obbedienza di Gesù al Padre.

     QUINTA PARTE: 

     IL REGNO di DIO (da Ap 19,11 a Ap 22,11) (64 versetti)

     Cristo appare su un cavallo bianco giudica, combatte e vince con la fedeltà al Padre, con la testimonianza della verità, con la giustizia.
     Il Verbo di Dio è invincibile. Sul mantello e sul femore porta scritto: "Re dei re e Signore dei signori" (Ap 19,16).
     Il capitolo ventesimo scioglie l'intreccio degli eventi e fa scattare la conclusione finale.
     Come nel capitolo sedicesimo, quando il sesto angelo versò la sua coppa, i re si radunarono nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedon, per essere distrutti; così ora è la volta del dragone, del serpente antico, cioè del diavolo, di satana, che, dopo una serie di lotte convulse contro i santi di Dio, viene gettato "nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia (il potere) e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli".
     Il capitolo ventunesimo presenta la realizzazione completa del progetto di Dio.
     Il nuovo cielo e la nuova terra, che erano cominciati con l'Incarnazione del Verbo, sono giunti alla loro completa maturazione e splendore.
     Giovanni vede il tanto atteso regno di Dio in tutta la sua potenza e bellezza. "Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Ap 21,2).
     Dal cielo scende il progetto che Dio aveva preparato fin dall'eternità, che ora si adatta perfettamente al Regno di Dio, che è stato fondato sulla terra e che si è maturato con l'azione divina e la cooperazione umana.
     La volontà divina si è compiuta!

     Il Signore, riprendendo le parole riferite dal profeta Isaia, dice: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5 e Is 43,19).
     La profezia di Isaia, che ha iniziato a realizzarsi con l'incarnazione del Figlio di Dio, è giunta al compimento: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco, sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine" (Ap 21, 5-6).
     Segue la descrizione della Gerusalemme celeste, della Chiesa trionfante.
     La città santa è costruita seguendo le leggi, che regolano l'anno.
     L'anno, generato dai movimenti del sole, è considerato come il massimo della perfezione. Esso è formato da dodici mesi, divisi in quattro stagioni di tre mesi ciascuna.
     Così la Gerusalemme celeste è formata da una cinta di mura con dodici porte, sulle quali stanno dodici angeli e vi sono scritti i nomi delle dodici tribù di Israele.
     Le mura sono a forma di quadrato e su ogni lato vi sono tre porte.
     Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
     È interessante notare che non esistono due città, quella dell'Antico Testamento e quella del Nuovo, quella degli Ebrei e quella dei cristiani; ma vi è un'unica città del popolo di Dio.
Giovanni, fin dagli inizi della Chiesa, aveva indicato ai cristiani la strada da percorrere per quanto riguarda i rapporti con gli Ebrei: una strada che porta all'unione tra i due popoli, nell'attesa della venuta del Regno di Dio.
     Le altre misure della città santa sono multipli di dodici, numero solare perfetto. Le mura misurano dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza hanno le stesse misure, formando un enorme cubo. Le mura sono larghe 144 braccia (12 x 12 144).
     All'interno non vi è il tempio, perché Dio e il suo Agnello sono il suo tempio; non vi è luce del sole nè della luna, perché è illuminata dalla gloria di Dio e la sua lampada è l'Agnello.

     L'Apocalisse si chiude con il capitolo ventiduesimo, dedicato in parte a completare la descrizione della città santa ed in parte alla conclusione del libro.
Nell'interno della città santa si trova l'albero della vita, che dà dodici raccolti l'anno. "Il Signore Dio illuminerà i suoi servi e regneranno nei secoli dei secoli" (Ap. 22,5).

     EPILOGO: (Ap 22, 12-20)

     La rivelazione si chiude con l'assicurazione, da parte del Signore Gesù, della sua prossima venuta: "Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine". (Ap 22,12).

     "Lo Spirito e la sposa (la Chiesa) dicono: Vieni!" (Ap 22,17).

     E "Colui che attesta queste cose dice: Sì, verrò presto!" (Ap 22,20)

     Così termina la Veglia pasquale, che è insieme l'attesa della risurrezione di Gesù e del regno di Dio.


NUMERO DEI VERSETTI
I. Parte Prologo Ap 1, 1-3  Versetti 3 
II. Parte da Ap 1,4 a Ap 3,22  Versetti 68 
III. Parte da Ap 4,1 a Ap 5,14  Versetti 60 
IV. Parte da Ap 8,5 a Ap 14,20  Versetti 119 
V. Parte da Ap 15,1 a Ap 19,10  Versetti 81 
VI. Parte da Ap 19,11 a Ap 22,11  Versetti 64 
VII. Parte Epilogo Ap 22, 12-20  Versetti 9 
Totale versetti 404

DIVISIONE DELL'APOCALISSE

I. PARTE  PROLOGO  (Ap 1, 1-3)
II. PARTE   Prima Fase Lunare  (da Ap 1,4, a Ap 3,22)
   Le Sette Lettere 
Introduzione (Ap 1, 4-8)

Visione iniziale (Ap 1, 9-20)

1. Lettera alla Chiesa di Efeso   (Ap 2, 1-7)

2. Lettera alla Chiesa di Smirne  (Ap 2, 8-11)

3. Lettera alla Chiesa di Pergamo  (Ap 2, 12-17)

4. Lettera alla Chiesa di Tiatira  (Ap 2, 18-29)

5. Lettera alla Chiesa di Sardi  (Ap 3, 1-6)

6. Lettera alla Chiesa di Filadelfia  (Ap 3, 7-13)

7. Lettera alla Chiesa di Laodicea  (Ap 3, 14-22)

III. PARTE Seconda Fase Lunare (da Ap 4,1 a Ap 5,14)

   I Sette Sigilli

Il trono di Dio (Ap 4, 1-11)

Il rotolo dei Sette Sigilli e l'Agnello (Ap 4, 1-14)

1. Il primo sigillo (Ap 6, 1-2)

2. Il secondo sigillo (Ap 6, 3-4)

3. Il terzo sigillo (Ap 6, 5-6)

4. I quarto sigillo (Ap 6, 7-8)

5. Il quinto sigillo (Ap 6, 9-11)

6. Il sesto sigillo (Ap 6, 12-17)

7. Il settimo sigillo (Ap 8, 1)

IV. PARTE Terza Fase Lunare (da Ap 8,2a a Ap 14,20)

   Le Sette Trombe

Liturgia celeste (Ap 8, 2-5)

1. La prima tromba (Ap 8, 6-7)

2. La seconda tromba (Ap 8, 8-9)

3. La terza tromba (Ap 8, 10-11)

4. La quarta tromba (Ap 8, 12-13)

5. La quinta tromba (Ap 9, 1-12)

6. La sesta tromba (Ap 9, 13; Ap 11,14)

7. La settima tromba (Ap 11,15; Ap 14,20)

V. PARTE Quarta Fase Lunare (da Ap 15,1 a Ap 19,10)

   Le Sette Coppe

Il cantico dei vittoriosi (Ap 15, 1-8)

1. La prima coppa (Ap 16, 1-2)

2. La seconda coppa (Ap 16,3)

3. La terza coppa (Ap 16, 4-7)

4. La quarta coppa (Ap 16, 8-9)

5. La quinta coppa (Ap 16, 10-11)

6. La sesta coppa (Ap 16, 12-16)

7. La settima coppa (Ap 16,17; Ap 19,10)

VI. PARTE Quinta Parte conclusiva (da Ap 19,11 a Ap 22,11)

VII. PARTE EPILOGO (Ap 22, 12-20)

La Bibbia non è un libro di devoti racconti e di rassicuranti fiabe, ma è il libro della storia della nostra salvezza, che usa il linguaggio e la logica umana, perché tutti possano comprendere e credere.