Si chiamava Salah Farah e il suo nome non dirà molto al mondo che sa invece bene come si chiamano i terroristi, da Coulibaly a Mohammed Emwazi, in arte Jihadi John. Salah Farah, 4 figli e una moglie incinta, è l’insegnante kenyota che il 21 dicembre scorso fece da scudo ai cristiani a bordo del suo stesso pullman diretto a Mandera quando i killer di al Shabaab provarono a separarli dai passeggeri musulmani per giustiziare a sangue freddo gli infedeli.
Salah Farah è morto due notti fa all’ospedale di Nairobi dove era ricoverato dal giorno dell’attentato. Sebbene ferito gravemente ha continuato fino all’ultimo a raccontare ai giornalisti cosa fosse accaduto quel lunedì, quando altri come lui hanno rifiutato la selezione esiziale: «Ci hanno detto se sei un musulmano sei al sicuro. C’erano alcuni che lo non erano e si nascondevano. Gli abbiamo chiesto di ucciderci tutti o di lasciarci in pace. Siamo fratelli, cristiani e musulmani devono aiutarsi reciprocamente».
Salah Farah era musulmano e gli Shabaab gli hanno sparato. Oggi sui social volano l’hashtag #HeroSalah e le parole di un connazionale, tal Musa Mikaya: «Mia moglie è incinta, sono cristiano, se nascerà un bimbo si chiamerà Salah Farah. Non m’importa cosa voglia dire quel nome, l’ultimo che lo ha portato mi ha convinto che significhi “amore per l’umanità”».